Raimondo di Penyafort (Santa Margarida i els Monjos, 1175 – Barcellona, 6 gennaio 1275) il terzo generale dei Domenicani, dopo Domenico di Guzman e Giordano di Sassonia. Ma le cariche – quando le accetta – addosso a lui durano sempre poco, e quasi sembrano interruzioni forzate e temporanee di un modello di vita al quale tornerà sempre, nella sua lunga esistenza: preghiera, studio e nient’altro.
Figlio di signori catalani, ha cominciato gli studi a Barcellona e li ha terminati a Bologna, dov’è stato anche insegnante. Qui ha conosciuto il patrizio genovese Sinibaldo Fieschi, poi papa Innocenzo IV e aspro nemico dell’imperatore Federico II; e il capuano Pier delle Vigne, che di Federico sarà l’uomo di fiducia e poi la vittima (innocente, secondo Dante). Torna a Barcellona, dov’è nominato canonico della cattedrale. Ma nel 1222 si apre in città un convento dell’Ordine dei Predicatori, fondato pochi anni prima da san Domenico. E lui lascia il canonicato per farsi domenicano.
Nel 1223 aiuta il futuro santo Pietro Nolasco, originario della Linguadoca in Francia, a fondare l’Ordine dei Mercedari per il riscatto degli schiavi, e qualche anno dopo accompagna il cardinale Giovanni d’Abbeville a Roma. Qui Gregorio IX nota la profondità della sua dottrina giuridica e gli affida un gravoso compito: raccogliere e ordinare tutte le decretali, ossia gli atti emanati via via dai pontefici in materia dogmatica e disciplinare, rispondendo a quesiti o intervenendo su situazioni specifiche: una massa enorme di testi più e meno importanti, un coacervo plurisecolare di decisioni, da perderci la testa. Raimondo riesce a dare un ordine e una completezza mai raggiunti prima, e quindi una pronta utilità.
Ritratto di Raimondo de Penyafort, ex convento di San Niccolò, Sala del Capitolo, Treviso, 1352 |
A lavoro finito, nel 1234, il Papa gli offre in ricompensa l’arcivescovado di Tarragona. Ma lui non accetta: è frate domenicano e frate rimane. Nel 1238, però, sono appunto i suoi confratelli a volerlo generale dell’Ordine, e deve dire di sì. Dice di sì a un periodo faticosissimo di viaggi, sempre a piedi, attraverso l’Europa, da un convento all’altro, da un problema all’altro. Un’attività che lo sfianca, costringendolo infine a lasciare l’incarico.
Torna, ormai settantenne, alla sua vera vita: preghiera, studio, formazione dei nuovi predicatori nell’Ordine, che si va espandendo in Europa. Un Ordine per sua natura missionario e che perciò, pensa Raimondo, si deve dotare di tutti gli strumenti culturali indispensabili per avvicinare, interessare, convincere. Occorrono testi idonei alla discussione con persone colte di altre fedi; e lui lavora per parte sua a prepararli, spingendo inoltre il confratello Tommaso d’Aquino a scrivere per questo scopo la famosa Summa contra Gentiles. Inoltre, bisogna conoscere da vicino la cultura di coloro ai quali si vuole annunciare Cristo e Raimondo istituisce una scuola di ebraico a Murcia, in Spagna, e una di arabo a Tunisi. Sembra che tante fatiche e iniziative gli allunghino la vita. Frate Raimondo muore infatti a Barcellona ormai centenario. Sarà canonizzato nel 1601 da Clemente VIII.
- Domenico Agasso