Il Rev. Dr. Luca Vona
Un evangelico nel Deserto

Ministro della Christian Universalist Association

mercoledì 31 gennaio 2024

Fermati 1 minuto. Fra le pieghe della quotidianità

Lettura

Marco 6,1-6

1 Partito quindi di là, andò nella sua patria e i discepoli lo seguirono. 2 Venuto il sabato, incominciò a insegnare nella sinagoga. E molti ascoltandolo rimanevano stupiti e dicevano: «Donde gli vengono queste cose? E che sapienza è mai questa che gli è stata data? E questi prodigi compiuti dalle sue mani? 3 Non è costui il carpentiere, il figlio di Maria, il fratello di Giacomo, di Ioses, di Giuda e di Simone? E le sue sorelle non stanno qui da noi?». E si scandalizzavano di lui. 4 Ma Gesù disse loro: «Un profeta non è disprezzato che nella sua patria, tra i suoi parenti e in casa sua». 5 E non vi potè operare nessun prodigio, ma solo impose le mani a pochi ammalati e li guarì. 6 E si meravigliava della loro incredulità.
Gesù andava attorno per i villaggi, insegnando.

Commento

Per quanto possa indicare anche il paese natale il termine greco patris è riferito in questo brano evangelico al paese d'origine di Gesù, Nazaret. La presenza dei discepoli indica che egli non sta compiendo una visita privata alla sua famiglia ma sta esercitando il suo ministero. Lo stupore di coloro che lo ascoltano insegnare nella sinagoga non è espressione di un senso di ammirazione ma di scetticismo: "si scandalizzavano di lui" (v. 3). 

La gente di Nazaret continua a identificare Gesù come colui che porta avanti il lavoro del padre. A volte la famiglia, il proprio ambiente di origine divengono una gabbia che ci vorrebbe costringere entro quell'idea che si sono fatti di noi. Anziché luogo in cui i nostri talenti possono maturare ed esprimersi ci soffocano e respingono tutto ciò che risulta "eversivo" rispetto alle loro aspettative. 

Non è che i conterranei di Gesù non riconoscano la sua sapienza e i suoi prodigi (v. 2) ma per le sue umili origini si rifiutano di considerarlo superiore a se stessi e di accettarlo come Figlio di Dio e Messia. L'appellativo "figlio di Maria" potrebbe indicare che Giuseppe era già morto, ma con esso il popolo potrebbe anche voler esprimere in modo dispregiativo l'idea di una nascita illegittima di Gesù. 

Secondo l'usanza semitica quando si parla di fratello (adelphos) o sorella (adelphe) non si intendono solo i figli degli stessi genitori, ma anche nipoti, cugini e fratellastri. Giacomo sarà alla guida della chiesa di Gerusalemme. Giuda è l'autore della omonima lettera apostolica. Non sappiamo nulla di Simone, Ioses e delle due "sorelle". 

I residenti di Nazaret si sentono offesi dal fatto che Gesù si presenti come un grande maestro, per le sue origini ordinarie, la formazione limitata e la mancaza di un titolo religioso riconosciuto. Gesù invece non esita a definirsi profeta, in accordo con uno dei suoi ruoli. Egli dichiara apertamente la propria identità, affinché chi lo rifiuta non possa avere alibi al riguardo. Ma è "impossibilitato" a compiere grandi miracoli (v. 5) perché questi sono destinati a coloro che sono pronti a credere. 

Gesù è sorpreso dell'incredulità della gente di Nazaret perché proprio in Galilea egli ha predicato e compiuto numerosi prodigi. Solo spogliandoci dei nostri pregiudizi, dei nostri automatismi concettuali, potremo accogliere il vangelo e riconoscere lo spirito di Cristo all'opera tra le pieghe della nostra quotidianità.

Preghiera

Liberaci, Signore, da ciò che ostacola l'accoglimento del tuo vangelo; affinché possiamo riconoscerti quando vieni a visitarci e professare il tuo santo Nome. Amen.

- Rev. Dr. Luca Vona

Marcella e il monachesimo domestico

Marcella, nobile donna romana, rimasta vedova a pochi mesi dalle nozze, decise di vivere, in casa propria, quella forma di monachesimo domestico in uso ai suoi tempi. Poi, quando venne a conoscenza del monachesimo egiziano ormai noto a Roma soprattutto grazie alla Vita di Antonio, redatta dal patriarca Atanasio, trasformò il suo palazzo sull’Aventino in una sorta di monastero dove confluirono molte nobili donne romane. Marcella, dopo ripetute insistenze, riuscì a convincere Girolamo a sostenere questo gruppo di donne offrendo la sua competenza biblica e i suoi consigli spirituali. Assai dotata, curiosa, esigente, Marcella non riceveva supinamente gli insegnamenti del suo padre spirituale e maestro, ma formulava obiezioni, sollevava dubbi, lo stimolava a ulteriori ricerche e Girolamo, che la definisce “amantissima della fatica” (Lettera 30,14) oppure “mio datore di lavoro” (Lettera 28,1), nasconde sotto queste parole scherzose la sua altissima stima per questa donna che non si limita a leggere e studiare le Scritture nelle lingue originali, ma le mette in pratica nella sua vita quotidiana.
Alla partenza di Girolamo per la Terrasanta, Marcella, a differenza delle sue compagne, decide di restare a Roma, dove continua la sua vita di studio delle Scritture e interviene, con autorevolezza e competenza, nelle questioni teologiche del tempo.
Muore nel 411, dopo aver sperimentato personalmente la violenza dei goti che avevano invaso Roma. Girolamo ne narra la vita nella Lettera 127, dedicata alla sua fedele discepola Principia.

Tracce di lettura

Incredibile era il suo zelo per le divine Scritture, cantava incessantemente: “Ho nascosto nel mio cuore le tue parole per non peccare contro di te” (Sal 119,11), e quei versetti sull’uomo perfetto: “E si compiace nella legge del Signore, e nella sua legge medita giorno e notte” (Sal 1,2). Sapeva che la meditazione della legge non consiste nel ripetere quello che sta scritto, come pensano, fra i giudei, i farisei, ma nell’agire secondo quel detto dell’Apostolo: “Sia che mangiate, sia che beviate, qualunque cosa facciate, fate tutto a gloria del Signore” (1Cor 10,31), e secondo le parole del profeta che dice: “Ho capito a partire dai tuoi comandamenti” (Sal 119,104), di modo che, dopo aver adempiuto i comandamenti, sapeva di meritare l’intelligenza delle Scritture.
(Girolamo, Lettera 127,4)

- Dal Martirologio ecumenico della Comunità monastica di Bose

martedì 30 gennaio 2024

Fermati 1 minuto. Strappare la salvezza

Lettura

Marco 5,21-34

21 Essendo passato di nuovo Gesù all'altra riva, gli si radunò attorno molta folla, ed egli stava lungo il mare. 22 Si recò da lui uno dei capi della sinagoga, di nome Giàiro, il quale, vedutolo, gli si gettò ai piedi 23 e lo pregava con insistenza: «La mia figlioletta è agli estremi; vieni a imporle le mani perché sia guarita e viva». 24 Gesù andò con lui. Molta folla lo seguiva e gli si stringeva intorno.
25 Or una donna, che da dodici anni era affetta da emorragia 26 e aveva molto sofferto per opera di molti medici, spendendo tutti i suoi averi senza nessun vantaggio, anzi peggiorando, 27 udito parlare di Gesù, venne tra la folla, alle sue spalle, e gli toccò il mantello. Diceva infatti: 28 «Se riuscirò anche solo a toccare il suo mantello, sarò guarita». 29 E subito le si fermò il flusso di sangue, e sentì nel suo corpo che era stata guarita da quel male.
30 Ma subito Gesù, avvertita la potenza che era uscita da lui, si voltò alla folla dicendo: «Chi mi ha toccato il mantello?». 31 I discepoli gli dissero: «Tu vedi la folla che ti si stringe attorno e dici: Chi mi ha toccato?». 32 Egli intanto guardava intorno, per vedere colei che aveva fatto questo. 33 E la donna impaurita e tremante, sapendo ciò che le era accaduto, venne, gli si gettò davanti e gli disse tutta la verità. 34 Gesù rispose: «Figlia, la tua fede ti ha salvata. Va' in pace e sii guarita dal tuo male».

Commento

Rifiutato dai Gadareni, Gesù si sposta sulla riva occidentale del Mare di Galilea e subito viene circondato dalla folla. Un capo della sinagoga gli si avvicina per chiedere la guarigione della figlia, gravemente malata. I capi della sinagoga erano ufficiali che presiedevano il gruppo degli anziani e si occupavano di dettagli amministrativi, come il decidere chi avrebbe letto e pregato le Scritture durante il culto. La posizione era tenuta in alta considerazione.

Per restituire la vita alla figlia che sta morendo, Giàiro si spoglia del ruolo che riveste e si affida completamente a Gesù. L'imposizione delle mani, richiesta da Giàiro è un gesto che ricorre frequentemente nel Vangelo di Marco e serve a trasmettere agli infermi la forza risanatrice.

All'interno di questo episodio se ne incastona un'altro. Quello di una donna affetta da una continua emorragia che oltre a provocarle una lunga sofferenza la rendeva ritualmente impura (Lv 15,25-27); le era impedito ogni atto di culto e ogni contatto con la gente; la sua vita era pertanto privata di una relazione con Dio e con gli uomini. L'insuccesso delle numerose e costose terapie mediche cui si è sottoposta la porta a riporre ogni fiducia nei guaritori. Rispettosa del divieto stabilito dalla legge per la sua impurità rituale, la donna non tocca direttamente Gesù, ma si limita a sfiorarne il mantello.

La domanda di Gesù - «Chi mi ha toccato il mantello?» - non è un rimprovero, né è dovuta a ignoranza, ma alla volontà di far emergere la figura della donna dallo sfondo indistinto della folla, affinché possa dare testimonianza della propria fede. Mentre la donna si prostra davanti a Gesù, riconoscendolo in tal modo come Signore, egli la riconosce come figlia (v. 34), generata dalla fede.

Sia nel caso di Giàiro - il quale chiede a Gesù di imporre le mani alla figlia malata - che nel caso dell'emorroissa viene premiata l'intima convinzione che il contatto fisico con Gesù, per chi crede, ha il potere di guarire. Che sia la fede, che sta dietro il gesto fisico, a causare la guarigione è attestato dalle parole di Gesù: «Figlia, la tua fede ti ha salvata» (v. 34). La donna non viene semplicemente guarita per la sua fede, ma ottiene la salvezza integrale, del corpo e dello siprito.

Gesù accetta di avvicinarsi e si lascia avvicinare da ciò che è considerato ritualmente impuro. Il numero dodici che accomuna le due vicende - la ragazzina morente, dell'età di dodici anni, e l'emorroissa malata da dodici anni - sembra dare volti diversi all'esperienza della fragilità umana, che si manifesta nella malattia e nella morte. La compassione di Gesù è al di sopra delle norme della legge ed egli prende su di sé la sofferenza e l'umiliazione, proprio come il Servo annunciato dal profeta Isaia (Is 52-53).

La donna protagonista di questo miracolo dimostra che anche il minimo contatto con Gesù è sufficiente per "strappargli" la salvezza. Non è indispensabile avere esperienze mistiche, ma anche una fede piccola come un granellino di senape (Mt 17,20) può ristabilire la nostra comunione con Dio e sanare le nostre relazioni con gli uomini.

Preghiera

Suscita in noi, Signore, la fede capace di allontanare ogni timore; affinché possiamo servirti con gioia e glorificare il tuo santo Nome. Amen.

- Rev. Dr. Luca Vona

Alano di Lilla. Ogni creatura è come un libro e una pittura

La chiesa cattolica d'occidente fa oggi memoria di Alano di Lilla, noto anche come Alano delle Isole o Alano di Rupe, pensatore, filosofo e teologo del XII secolo. Nato intorno al 1125, la sua vita è avvolta nel mistero, e molte informazioni sulla sua biografia sono incerte o oggetto di dibattito tra gli studiosi.

Si presume che Alano sia nato in Irlanda o in Scozia. Divenne noto per la sua vasta conoscenza e la sua abilità di sintetizzare le idee provenienti da diverse tradizioni filosofiche e teologiche. Alano trascorse parte della sua vita monastica nelle Isole britanniche, ma dettagli precisi sulla sua formazione e le influenze iniziali sono sfuggenti.

La sua opera più significativa è la "Summa Quoniam Homines," un trattato che affronta questioni teologiche e filosofiche fondamentali. In questo lavoro, Alano tentò di conciliare la fede cristiana con la ragione e la filosofia. Affrontò temi cruciali come la conoscenza, il libero arbitrio e la natura di Dio. La sua prospettiva era radicata nell'armonizzazione tra la fede e la ragione, cercando di dimostrare che la vera saggezza derivava dalla luce divina.

Alano si impegnò anche in dibattiti teologici contemporanei, contribuendo a risolvere dispute sulla Trinità e altre questioni dottrinali. La sua visione della conoscenza era profondamente legata alla fede, sostenendo che solo attraverso l'illuminazione divina si poteva raggiungere una comprensione autentica.

La sua influenza si estese oltre la teologia, contribuendo anche alla filosofia dell'amore. Esplorò la natura dell'amore divino e umano, enfatizzando l'importanza dell'amore come forza motrice nell'unione con Dio.

La data precisa della sua morte è incerta, ma si ritiene che sia avvenuta intorno al 1202. Nonostante la mancanza di dettagli sulla sua biografia personale, Alano di Lilla è considerato un pensatore eclettico e un ponte tra diverse tradizioni filosofiche medievali. La sua eredità intellettuale ha continuato a influenzare il pensiero cristiano e la filosofia medievale, sottolineando il suo ruolo significativo nel contesto dell'epoca.

Tracce di lettura

Ogni creatura del mondo, | come un libro e una pittura, | è per noi specchio, | fedele segno della nostra vita, | della nostra sorte, | del nostro stato, | della nostra morte. | Il nostro stato dipinge la rosa, | del nostro stato glossa elegante, | commento della nostra vita, | che mentre rifiorisce nel primo mattino come fiore | sfiorisce sfiorito per la vecchiaia della sera. | Così il fiore respirando spira, | mentre delira in pallore morendo al nascere; | insieme vetusta e nuovissima, | insieme vecchia e giovane | la rosa marcisce nascendo. (Alano di Lilla, De planctu naturae)

lunedì 29 gennaio 2024

Fermati 1 minuto. Liberati fino in fondo

Lettura

Marco 5,1-20

1 Intanto giunsero all'altra riva del mare, nella regione dei Gerasèni. 2 Come scese dalla barca, gli venne incontro dai sepolcri un uomo posseduto da uno spirito immondo. 3 Egli aveva la sua dimora nei sepolcri e nessuno più riusciva a tenerlo legato neanche con catene, 4 perché più volte era stato legato con ceppi e catene, ma aveva sempre spezzato le catene e infranto i ceppi, e nessuno più riusciva a domarlo. 5 Continuamente, notte e giorno, tra i sepolcri e sui monti, gridava e si percuoteva con pietre. 6 Visto Gesù da lontano, accorse, gli si gettò ai piedi, 7 e urlando a gran voce disse: «Che hai tu in comune con me, Gesù, Figlio del Dio altissimo? Ti scongiuro, in nome di Dio, non tormentarmi!». 8 Gli diceva infatti: «Esci, spirito immondo, da quest'uomo!». 9 E gli domandò: «Come ti chiami?». «Mi chiamo Legione, gli rispose, perché siamo in molti». 10 E prese a scongiurarlo con insistenza perché non lo cacciasse fuori da quella regione. 11 Ora c'era là, sul monte, un numeroso branco di porci al pascolo. 12 E gli spiriti lo scongiurarono: «Mandaci da quei porci, perché entriamo in essi». 13 Glielo permise. E gli spiriti immondi uscirono ed entrarono nei porci e il branco si precipitò dal burrone nel mare; erano circa duemila e affogarono uno dopo l'altro nel mare. 14 I mandriani allora fuggirono, portarono la notizia in città e nella campagna e la gente si mosse a vedere che cosa fosse accaduto. 15 Giunti che furono da Gesù, videro l'indemoniato seduto, vestito e sano di mente, lui che era stato posseduto dalla Legione, ed ebbero paura. 16 Quelli che avevano visto tutto, spiegarono loro che cosa era accaduto all'indemoniato e il fatto dei porci. 17 Ed essi si misero a pregarlo di andarsene dal loro territorio. 18 Mentre risaliva nella barca, colui che era stato indemoniato lo pregava di permettergli di stare con lui. 19 Non glielo permise, ma gli disse: «Va' nella tua casa, dai tuoi, annunzia loro ciò che il Signore ti ha fatto e la misericordia che ti ha usato». 20 Egli se ne andò e si mise a proclamare per la Decàpoli ciò che Gesù gli aveva fatto, e tutti ne erano meravigliati.

Commento

L'azione missionaria di Gesù si sposta in territorio pagano, oltre il lago di Gennesaret. Qui gli viene incontro dai sepolcri un uomo indemoniato. I luoghi di sepoltura si trovavano fuori città e secondo la legge ebraica toccare un morto o una tomba rendeva impuri (Num 19,16); forse per questo lo spirito che affligge quest'uomo è definito "immondo". 

Gesù ha a che fare con una forma di possessione violenta; l'indemoniato Geraseno, ci dice Marco, ha spezzato più volte le catene e i ceppi con cui si è cercato di contenerlo e si ferisce percuotendosi con delle pietre. Se Dio cerca per le sue creature ogni bene vediamo qui la condizione dell'uomo quando è governato da Satana; questi lo separa dall'umano consorzio, lo fa abitare in terra di morte, tormenta la sua anima e ne sfigura l'immagine e somiglianza con Dio. 

Ma c'è una parte sana, un residuo di luce nel cuore dell'indemoniato geraseno, che il maligno non riesce ad oscurare con la sua tenerbra. L'incontro con Cristo suscita un momentaneo "risveglio" nella coscienza dell'indemoniato, che gli corre incontro e si getta ai suoi piedi, riconoscendone la sovranità.

L'autorità di Gesù si manifesta proprio nella capacità della sua parola di liberare l'uomo dallo spirito maligno, facendo spazio allo Spirito Santo. Che fra i due spiriti non vi sia nulla in comune è attestato dalle parole stesse dell'indemoniato: "Che hai tu in comune con me, Gesù, Figlio del Dio altissimo?" (v. 7). I demoni riconoscono la natura messianica di Gesù e ciò che chiedono è di poter continuare a esercitare la loro azione sia pur in un ambito circoscritto. Ma l'avvento del regno di Dio non lascia più spazio a Satana e alle sue potenze. 

Il nome che il demone rivela a Gesù attesta la sua natura belligerante: "Mi chiamo Legione... perché siamo molti" (v. 9). La legione era costituita da circa seimila soldati in armi. I demoni sono potenze in guerra contro Dio e contro l'uomo per portare quest'ultimo verso la perdizione. Così Paolo, nella sua lettera agli Efesini: "La nostra battaglia infatti non è contro creature fatte di sangue e di carne, ma contro i Principati e le Potestà, contro i dominatori di questo mondo di tenebra, contro gli spiriti del male che abitano nelle regioni celesti" (Ef 6,12). 

Che vi sia un ordine anche nelle gerarchie demoniache e che non si tratti di una moltitudine divisa in se stessa - come pensavano i farisei (Mc 3,22-30) - risulta evidente dal fatto che la legione che possiede l'uomo geraseno parla con una voce sola. La presenza di un gregge di maiali, animali considerati impuri dalla legge mosaica, indica che ci troviamo in un ambiente pagano o di ebrei "apostati". Acconsentendo che la legione vada a possedere questo gregge causandone la distruzione Gesù mostra quanto fosse grave la situazione dell'uomo e il potere distruttivo del  maligno. 

La reazione dei geraseni accorsi per vedere quanto accaduto dovrebbe essere di ammirato stupore vedendo l'uomo "vestito e sano di mente" invece Marco riporta che "ebbero paura" (v. 15) e pregarono Gesù di andarsene. Il loro attaccamento ai beni materiali è superiore alla pietà verso il proprio concittadino che aveva sofferto terribilmente e a lungo, né troviamo in essi il desiderio di trarre beneficio dalla parola potente di Gesù. 

L'uomo appena liberato dal demonio desidera seguire colui che lo ha salvato, ma Gesù vuole che egli cammini con le proprie gambe, lo vuole liberare fino in fondo, così non gli permette di restare con lui (v. 19). Esortato ad annunziare la misericordia del Signore alla sua casa il geraseno si spinge oltre questi confini e si mette a proclamare l'annuncio del vangelo per tutta la Decapoli (v. 20). L'uomo tormentato, l'uomo spaventato, è divenuto un fervente discepolo.

Preghiera

Rendici, Signore, tempio del tuo Spirito; affinché liberati dal peccato e dal timore possiamo servirti e annunciarti con fervore. Amen.

-Rev. Dr. Luca Vona

domenica 28 gennaio 2024

Ciò che la sola legge non può dare

COMMENTO ALLA LITURGIA DELLA QUARTA DOMENICA DOPO L'EPIFANIA


Colletta

O Dio, che sai che siamo posti nel mezzo di tanti e grandi pericoli, cui non possiamo far fronte per la fragilità della nostra natura; concedici forza e protezione e liberaci da ogni tentazione. Per Gesù Cristo, nostro Signore. Amen.

Letture

Rm 13,1-7; Mt 8,1-13

Commento

L'evangelista Matteo fa seguire al "discorso della montagna" una serie di miracoli compiuti da Gesù, nel quadro più generale di una sezione narrativa sulla predicazione del regno dei cieli. Dopo essersi manifestato come sommo legislatore, Gesù si presenta nella sua qualità di medico delle anime e dei corpi. 

Uno dei mali che la cultura giudaica riteneva un segno eminente della riprovazione divina era la lebbra. Il primo uomo che Gesù guarisce è proprio un lebbroso, dimostrando che egli può allontanare qualsiasi genere di peccato. Considerata la massima espressione di impurità rituale, la lebbra - per la quale non si conoscevano trattamenti medici - doveva essere diagnosticata da un sacerdote, il quale verificava  anche l'eventuale guarigione del malato. Al sacerdote spettava dunque la diagnosi, ma non la cura. Sanando un lebbroso Gesù dimostra di essere colui che offre ciò che la legge non può dare: la guarigione e la restituzione al servizio di Dio. 

La chiesa deve guardarsi dallo scadere in uno sterile legalismo, zelante nel condannare il peccato e minacciare le sue conseguenze, ma incapace di suscitare conversione e guarigione. Toccando il lebbroso Gesù contravviene alla legge giudaica, ma in questo modo dimostra la sua superiorità ad essa e la sua completa separazione dal peccato, pur dimorando tra i peccatori. Non teme di toccare le nostre piaghe colui che ha sanato la nostra umanità assumendola su di sé. 

Il tocco e la parola di autorità di Gesù - "Lo voglio, sii sanato" (v. 3) - sono sufficienti per suscitare una immediata guarigione. Il miracolo di guarigione del lebbroso mette in guardia da ogni forma di purismo religioso, dalla tentazione di stabilire una barriera tra la santità di Dio e le miserie dell'uomo, di fuggire non solo il peccato ma anche il peccatore. Siamo chiamati invece a pregare per la guarigione dei nostri mali, ma anche di quelli del nostro prossimo, come attesta l'umiltà e la carità del protagonista del successivo racconto di guarigione. 

Con il miracolo compiuto a favore del servo del centurione cominciano ad avverarsi le parole profetiche pronunciate da Simeone alla presentazione di Gesù al tempio, riconosciuto come gloria di Israele ma anche come "luce per illuminare le genti" (Lc 2,32). Le parole del centurione tradiscono infatti la sua appartenenza pagana, dal momento che egli non si ritiene degno di una visita di Gesù, il quale, entrando nella sua casa, si sarebbe esposto all'impurità rituale secondo la legge ebraica. 

Abituato al comando e consapevole dell'autorità di un ordine, al centurione basta la semplice parola di Gesù per avere la certezza della guarigione del suo servo. Con tale attestazione di fede e con l'utilizzo dell'appellativo "Signore" il soldato romano dimostra di riconoscere la sovranità di Cristo e per questa ragione viene annoverato tra i figli di Abramo, padre di coloro che credono. 

Gesù rimprovera l'incredulità di coloro, tra i figli naturali del patriarca, che rifiutano il suo insegnamento di fronte ai prodigi di cui sono stati testimoni. Chi cerca il miracolo per credere non avrà mai "prove" a sufficienza, ma a chi crede e chiede con umiltà nulla sarà negato per la salvezza propria e di quelli che egli ama.

- Rev. Dr. Luca Vona

sabato 27 gennaio 2024

Assidui e concordi nella preghiera. Commento al Salterio - Salmo 26,1-6

Lettura

Salmi 26,1-6

1 Di Davide.
Il Signore è mia luce e mia salvezza,
di chi avrò paura?
Il Signore è difesa della mia vita,
di chi avrò timore?
2 Quando mi assalgono i malvagi
per straziarmi la carne,
sono essi, avversari e nemici,
a inciampare e cadere.
3 Se contro di me si accampa un esercito,
il mio cuore non teme;
se contro di me divampa la battaglia,
anche allora ho fiducia.
4 Una cosa ho chiesto al Signore,
questa sola io cerco:
abitare nella casa del Signore
tutti i giorni della mia vita,
per gustare la dolcezza del Signore
ed ammirare il suo santuario.
5 Egli mi offre un luogo di rifugio
nel giorno della sventura.
Mi nasconde nel segreto della sua dimora,
mi solleva sulla rupe.
6 E ora rialzo la testa
sui nemici che mi circondano;
immolerò nella sua casa sacrifici d'esultanza,
inni di gioia canterò al Signore.

Commento

Il salmo 26 è costruito quasi su due tavole simmetriche (versetti 1-6 e 7-14): la prima esalta una fiducia gioiosa e intensa nell'azione di Dio, la seconda presenta una fiducia più supplice e tesa. Le due sezioni sono concluse in se stesse, anche se il salmo è stato trasmesso dalla tradizione come un componimento unico. Il filo che le lega è la certezza che il Signore non abbandona quanti lo cercano.

Il salmista esordisce con la consapevolezza dello scatenarsi di un assalto da parte del male, rappresentato come belva che strazia (v. 2) e esercito che assedia (v. 3). Con una espressione analoga Giobbe descrive l'implacabilità dei suoi accusatori che "si saziano" della sua carne (Gb 19,22). Tali parole sono spesso usate per esprimere la calunnia e la diffamazione.

Ma il Signore è luce (v. 1). Dio compare fin dalla prima pagina della Bibbia come autore della luce (Gn 1,3) e il Verbo-luce degli uomini è protagonista della prima pagina del Vangelo di Giovanni (Gv 1,4). Anche nella prima lettera di Giovanni Dio è luce (1 Gv 1,5). La luce è spesso rappresentata come attributo di Dio, della sua legge e della sua parola (Sal 17,29; 35,10; 118,105). Per l'uomo della Bibbia una vita nella luce equivale a benessere e prosperità, quasi anticipo dei beni messianici (Is 9,1). La rovina del malvagio è descritta come assenza di luce (Gb 18,6). La sopravvivenza di Israele e la continuità della discendenza davidica sono presentate con l'immagine della luce o della lucerna che non si spegne (2 Sam 21,17).

Nella sua preghiera il salmista non ha da formulare particolari richieste, ma un unico grande desiderio da soddisfare: restare sempre alla presenza del Signore e vivere in comunione con lui (v. 4).

Il verbo ebraico tradotto come "gustare" (v. 4) significa propriamente "vedere, percepire, contemplare". In questo senso va collegato più che alla "dolcezza" alla "bellezza" del Signore.

L'orante non teme di fronte al pericolo, perché Dio offre al giusto un rifugio (v. 5) come su una rupe alta e imprendibile, riparo inespugnabile anche nel giorno più nero. Forse si vuole alludere concretamente al fatto che nel Tempio di Gerusalemme vigeva il diritto d'asilo.

I "sacrifici di esultanza" (v. 6) designano l'offerta sacrificale, accompagnata da canti e manifestazioni di giubilo, fatta in ringraziamento dei benefici ricevuti. 

- Rev. Dr. Luca Vona

Fermati 1 minuto. Verso un porto sicuro

Lettura

Marco 4,35-41

35 In quel medesimo giorno, verso sera, disse loro: «Passiamo all'altra riva». 36 E lasciata la folla, lo presero con sé, così com'era, nella barca. C'erano anche altre barche con lui. 37 Nel frattempo si sollevò una gran tempesta di vento e gettava le onde nella barca, tanto che ormai era piena. 38 Egli se ne stava a poppa, sul cuscino, e dormiva. Allora lo svegliarono e gli dissero: «Maestro, non t'importa che moriamo?». 39 Destatosi, sgridò il vento e disse al mare: «Taci, calmati!». Il vento cessò e vi fu grande bonaccia. 40 Poi disse loro: «Perché siete così paurosi? Non avete ancora fede?». 41 E furono presi da grande timore e si dicevano l'un l'altro: «Chi è dunque costui, al quale anche il vento e il mare obbediscono?».

Commento

Gesù e i discepoli si imbarcano per raggiungere l'altra riva del lago di Galilea, abitata in prevalenza da pagani. Le grandi onde suscitate dal forte vento - come accade non di rado in questo lago - si levano in modo improvviso e violento.

Gesù è esausto dalla giornata di predicazione e guarigioni appena trascorsa e si mette a dormire sulla barca. Il suo atteggiamento non indica una mancanza di cura per i suoi discepoli; egli intende utilizzare la tempesta per offrire loro un insegnamento.

Nell'Antico Testamento solo Dio ha il potere di dominare le forze della natura e gli uomini possono salvarsi invocandolo. Gesù, Figlio di Dio, testimonia di avere questa potestà.

Il timore della tempesta lascia spazio allo stupore reverenziale dei discepoli: non hanno mai visto un uomo comandare agli elementi naturali. L'azione di Gesù è rivelatrice della sua natura divina.

L'episodio della tempesta sedata evoca la presenza salvifica di Cristo nella comunità cristiana, in mezzo alle persecuzioni che la minacciano. La chiesa è come un'imbarcazione fragile sferzata dalle onde di un mondo spesso ostile, e i suoi stessi timonieri fanno fatica a governarla; ma abbiamo la certezza che il cuore di Gesù veglia, anche quando egli sembra dormire (Ct 5,2). Di fronte al nostro appello egli non resterà indifferente, ma destatosi metterà a tacere nemici e ribelli (Sal 8,3), riporterà la pace e ci guiderà verso un porto sicuro.

Preghiera

Metti a tacere, Signore, le potenze che si oppongono alla tua chiesa; affinché da te guidati possiamo raggiungere la destinazione beata che attende coloro che credono in te. Amen.

- Rev. Dr. Luca Vona

venerdì 26 gennaio 2024

Dizionario della Musica Anglicana. Amy Beach

Amy Marcy Cheney Beach (1867-1944) è stata una compositrice e pianista americana, riconosciuta come la prima compositrice americana di musica classica di grande successo. Nata a Henniker, New Hampshire, dimostrò un notevole talento musicale fin dalla giovane età. La sua istruzione musicale iniziò a quattro anni, e a sette anni, Amy fece il suo debutto pubblico come pianista.

Amy Beach dimostrò precocemente una straordinaria abilità nella composizione, e la sua prima composizione, "Sextet for Piano and Strings," fu eseguita quando aveva soli 16 anni. Nel 1885, sposò il dottor Henry Harris Aubrey Beach, e da allora iniziò a firmare le sue composizioni come "Mrs. H.H.A. Beach." Il matrimonio e la nascita dei loro tre figli non fermarono la sua carriera musicale.

La sua produzione musicale copre una vasta gamma di generi, tra cui oltre 150 opere, spaziando dalla musica da camera alle sinfonie e alle opere corali. Una delle sue opere più celebri è il "Gaelic Symphony," completato nel 1896, che la rese la prima compositrice americana ad aver mai scritto una sinfonia eseguita da un'orchestra professionale.

Amy Beach fu anche una pianista di successo, esibendosi in concerto negli Stati Uniti e in Europa. La sua abilità esecutiva e la sua reputazione come compositrice contribuirono significativamente a sfidare gli stereotipi di genere della sua epoca.

Durante la sua carriera, Beach fu attiva nel movimento delle donne e sostenne l'idea che le donne dovessero avere maggiori opportunità nell'ambito musicale. Nel 1914 fondò la "Beach Club," un'organizzazione per sostenere le donne musiciste.

Amy Beach morì nel 1944, ma il suo lascito musicale continua a essere riconosciuto e celebrato. La sua vita e il suo lavoro sono emblematici di una donna determinata a sfidare le convenzioni sociali del suo tempo, aprire la strada per le generazioni future di compositrici e lasciare un'impronta indelebile sulla storia della musica classica americana.

Amy Beach ha composto diverse opere ecclesiastiche di grande importanza. Tra le più importanti:

  • "Mass in E-flat major, Op. 5" (1890): Questa è una delle prime opere corali di Beach ed è una messa completa. Mostra la sua abilità nell'armonizzazione corale e nella costruzione di un'opera liturgica significativa.
  • "An Epitaph, Op. 25" (1894): Composta per coro misto a cappella, questa breve ma toccante composizione riflette la sensibilità di Beach nell'esprimere emozioni attraverso la musica. È un esempio della sua abilità di comunicare intensità e significato anche in opere di dimensioni più ridotte.
  • "The Canticle of the Sun, Op. 123" (1928): Quest'opera è basata su un testo di San Francesco d'Assisi ed è scritta per soli, coro e orchestra. È un esempio delle composizioni di Beach che incorporano testi religiosi importanti, evidenziando la sua profonda connessione con le tematiche spirituali.

Fermati 1 minuto. Hai mai colto l'attimo in cui una pianta cresce?

Lettura

Marco 4,26-34

26 Diceva: «Il regno di Dio è come un uomo che getta il seme nella terra; 27 dorma o vegli, di notte o di giorno, il seme germoglia e cresce; come, egli stesso non lo sa. 28 Poiché la terra produce spontaneamente, prima lo stelo, poi la spiga, poi il chicco pieno nella spiga. 29 Quando il frutto è pronto, subito si mette mano alla falce, perché è venuta la mietitura».
30 Diceva: «A che cosa possiamo paragonare il regno di Dio o con quale parabola possiamo descriverlo? 31 Esso è come un granellino di senapa che, quando viene seminato per terra, è il più piccolo di tutti semi che sono sulla terra; 32 ma appena seminato cresce e diviene più grande di tutti gli ortaggi e fa rami tanto grandi che gli uccelli del cielo possono ripararsi alla sua ombra».
33 Con molte parabole di questo genere annunziava loro la parola secondo quello che potevano intendere. 34 Senza parabole non parlava loro; ma in privato, ai suoi discepoli, spiegava ogni cosa.

Commento

Il parlare in parabole di Gesù indica un metodo pedagogico che stimola il coinvolgimento degli uditori e richiede una partecipazione attiva del loro intelletto. A coloro che vogliono intendere offre la possibilità di una spiegazione ulteriore, innalzando la loro conoscenza, ma a coloro che non lo accolgono resta oscuro il senso delle sue parole. 

Nella parabola del seme che cresce il seminatore e il mietitore sono la stessa persona. Il seme cresce da solo, senza alcun intervento umano, come il regno di Dio, iniziato da Gesù con la proclamazione del vangelo. Esso si sviluppa fino al tempo della mietitura, il giudizio finale stabilito da Dio. Questa crescita e questa raccolta richiamano sia la vita del cristiano che l'instaurarsi del regno nella storia. 

La progressione nella crescita del seme (stelo, spiga, chicco) indica che, la grazia, così come la natura, hanno bisogno di fare il loro corso, richiedono uno sviluppo graduale. I tempi di Dio non sono i tempi frettolosi dell'uomo "urbano", ma piuttosto i tempi del contadino, la cui pazienza, nell'operosa preparazione del terreno e nell'attesa da una stagione all'altra, sono premiate con un raccolto favorevole.

Nella parabola sul grano di senapa, le dimensioni esigue di questo seme rimandano all'azione invisibile della grazia che opera in noi e nel mondo, mentre la grandezza della pianta rappresenta l'universalità del regno di Dio. 

Non dobbiamo scoraggiarci se non vediamo risultati immediati nel nostro percorso di crescita spirituale; è necessario che discendiamo nelle profondità dell'humus, che diventiamo umili attraverso le prove e i fallimenti della nostra vita. Solo quando ci saremo totalmente spogliati della "scorza" del nostro ego potremo diventare come un albero piantato lungo corsi d'acqua, che darà frutto a suo tempo (Sal 1,3). 

Quando incontra un terreno buono la parola di Dio produce, in modo inesplicabile e senza far rumore, frutti di grazia. Qualcuno ha mai colto l'attimo in cui una pianta cresce? Ma quando giunge a piena maturazione, come l'arbusto di senape che offre riparo alla sua ombra, il cristiano diviene una benedizione per il mondo. 

La parabola del seme e quella del granello di senapa ci insegnano che la natura e la grazia non solo non fanno "salti" (natura non facit saltus) ma neanche operano con violenza. La storia terrena di Gesù ci mostra che egli non si impone e neanche si contrappone a coloro che lo rifiutano mettendolo in croce. 

Non sarebbe insensato un contadino che cercasse di far crescere il seme con la forza? L'agricoltura è attività per uomini miti come Abele e Giacobbe. Prendiamo esempio dalle parole di Gesù affinché uno zelo eccessivo non rischi di farci rovinare la delicata opera della grazia nel nostro cuore e in ogni uomo.

Preghiera

Signore, sia che vegliamo, sia che dormiamo, la tua grazia opera misteriosamente in noi; il tuo Spirito ci conceda un'attesa fiduciosa, nella certezza che ti prendi cura del tuo campo. Amen.

- Rev. Dr. Luca Vona

Roberto, Alberico e Stefano, primi abati di Cîteaux

In questo giorno, nel calendario monastico occidentale sono ricordati i cistercensi Roberto, Alberico e Stefano, primi abati di Cîteaux.
Nella seconda metà dell'XI secolo, Roberto, originario dei dintorni di Troyes, divenne monaco benedettino. Alla ricerca di una più grande semplicità e povertà evangeliche, diede vita a un monastero nella foresta di Molesme, nella diocesi francese di Langres; in breve tempo, però, la nuova fondazione divenne un'abbazia ricca e potente, e Roberto, assieme a una ventina di compagni, la lasciò per proseguire altrove la propria ricerca spirituale.
Sul finire del secolo si stabilì a Cîteaux, ma fu costretto a rientrare a Molesme, dove morì nel 1111. La ricerca di povertà e semplicità nei vari aspetti della vita monastica fu allora portata avanti dai suoi successori al Nuovo Monastero: Alberico e Stefano Harding. Essi guidarono la piccola comunità, attraverso prove molto grandi, a una rinnovata fedeltà alla Regola di Benedetto, e cominciarono a precisarne la forma di vita.
Aveva così inizio la riforma cistercense (da Cistercium, nome latino di Cîteaux), che con l'ingresso nell'Ordine di Bernardo di Clairvaux assumerà un volto e un contenuto spirituale rimasti vivi, tra vicende alterne e ulteriori riforme, fino ai nostri giorni.

Tracce di lettura

Poiché né nella Regola né nella Vita del santo Benedetto [i fondatori di Cîteaux] trovavano che quel loro padre avesse mai posseduto chiese o altari, e neppure leggevano di offerte, di sepolture o di decime ricevute da qualcuno, né di forni o mulini, né di possedimenti rurali o di contadini alle proprie dipendenze, né di donne che fossero entrate nel monastero, né di morti in esso seppelliti, fatta eccezione per sua sorella, rinunciarono a tutto ciò, dicendo: «Quando il santo padre Benedetto insegna che il monaco deve rendersi estraneo alle opere mondane, non fa evidentemente che affermare che queste non devono riguardare le opere e il cuore dei monaci. Ed è proprio col fuggire tali opere che essi devono essere fedeli al nome che portano».
(Piccolo esordio di Cîteaux 15,5-6)

- Dal Martirologio ecumenico della Comunità monastica di Bose

giovedì 25 gennaio 2024

Dizionario della Musica Anglicana. Judith Bingham

Judith Bingham è una rinomata compositrice britannica nata il 1952. Si è affermata come figura significativa nel mondo della musica contemporanea. Bingham ha studiato al Royal Academy of Music di Londra e ha guadagnato riconoscimenti per il suo talento compositivo e le sue capacità vocali.

La sua produzione comprende una vasta gamma di composizioni, dalle opere corali alle sinfonie, con una particolare attenzione alle voci e alla musica sacra. Ha spesso affrontato temi spirituali e sociali nelle sue opere, contribuendo a definire il suo stile unico e coinvolgente.

Tra le sue composizioni più note vi sono "The Snows Descend" per coro e orchestra e "Choral Symphony - The Hythe" ispirata ai paesaggi marittimi. Il lavoro di Bingham ha ricevuto elogi critici per la sua originalità e profondità emotiva, consolidando la sua reputazione come una delle voci più distintive e influenti nel panorama musicale contemporaneo.




Fermati 1 minuto. Il dovere e la grazia dell'annuncio

Lettura

Marco 16,15-18

15 Gesù disse loro: «Andate in tutto il mondo e predicate il vangelo ad ogni creatura. 16 Chi crederà e sarà battezzato sarà salvo, ma chi non crederà sarà condannato. 17 E questi saranno i segni che accompagneranno quelli che credono: nel mio nome scacceranno i demòni, parleranno lingue nuove, 18 prenderanno in mano i serpenti e, se berranno qualche veleno, non recherà loro danno, imporranno le mani ai malati e questi guariranno».

Commento

Gesù, che in precedenza aveva chiesto agli apostoli di predicare il vangelo della salvezza alle pecore perdute della casa di Israele (Mt 10,5-6; 15,24), estende ora questa missione nei confronti del mondo intero (v. 15). Undici apostoli non potranno da soli adempiere a un compito così grande, ma insieme ai settandadue discepoli e ad altri che si aggiungeranno loro di generazione in generazione, getteranno il seme del vangelo verso i quattro angoli della terra. 

Il "grande mandato" è simile nei Vangeli di Matteo e Marco. Attraverso il battesimo si entra nella Chiesa, la comunità di Gesù-risorto, e la funzione della Chiesa è di evangelizzare "ogni creatura" (v. 15).

I miracoli, che all'inizio della predicazione di Gesù sono stati "segni" per suscitare la fede, divengono ora espressione del regno di Dio che si fa strada nella storia. Quella che viene delineata da Gesù e un'umanità riconciliata: la pacifica convivenza con i serpenti velenosi, la capacità di affrancare dagli influssi del male, la ritrovata comprensione senza che si perda la ricchezza delle differenze, sono i segni di un cielo nuovo e di una terra nuova (Ap 21,1), promessi dal Risorto nel nuovo patto siglato sulla croce.

Pur coltivando il dialogo tra fedi e culture differenti, nella solidarietà suscitata dalla comune natura umana e nel riconoscimento della diversità come benedizione, non può essere trascurata l'urgenza e la responsabilità dell'annuncio evangelico: "guai a me se non predicassi il vangelo!" eslama l'apostolo Paolo (1 Cor 9,16), afferrato dalla misericordia del Risorto. 

Annunciare Cristo significa partecipare alla sua missione sacerdotale, per liberare l'uomo da ciò che lo rende schiavo, non lasciarsi danneggiare dalla malvagità di questo mondo ma saperne curare e guarire le ferite. 

Preghiera

Rinnova in noi, Signore, il fervore per l'annuncio della tua Parola; affinché possiamo essere dispensatori della tua grazia che salva e guarisce. Amen.

- Rev. Dr. Luca Vona

La conversione di Paolo, afferrato dalla misericordia

Oggi le chiese d'occidente ricordano la rivelazione di Gesù Cristo a Saulo di Tarso, ebreo della Cilicia, zelante fariseo educato alla scuola di Rabbi Gamaliele, chiamato a riconoscere in Gesù di Nazaret il Messia atteso da Israele e ad annunciarlo ai suoi fratelli ebrei e a tutte le genti. Mentre si recava a Damasco per condurre in catene a Gerusalemme i seguaci della "via" (At 9,2) di Cristo, Saulo si sentì interpellato dal Signore risorto, quel Gesù che egli perseguitava nei suoi discepoli. 
Accecato dalla rivelazione ricevuta, fu condotto nella comunità cristiana di Damasco e qui Anania gli impose le mani perchè recuperasse la vista e fosse colmato dallo Spirito santo. Ricevuto il battesimo, Saulo o Paolo, come viene chiamato in seguito, cominciò ad annunciare dapprima ai Giudei e poi ai pagani "la parola della croce" (1Cor 1,18), il mistero della salvezza donata in Cristo attraverso l'abbassamento fino alla morte in croce (cf. Fil 2,8). Rivendicando la sua autorità apostolica, Paolo affermò di non aver ricevuto il vangelo da uomini ma "per rivelazione di Gesù Cristo" (Gal 1,12). La sua infaticabile attività di predicazione lo portò a viaggiare per tutto il Mediterraneo; si rivolse soprattutto ai pagani ricevendo il titolo di "apostolo delle genti".
La festa odierna, sorta in Gallia già nel VI secolo, fu estesa a tutto l'occidente a partire dall'XI secolo.

Tracce di Lettura

Se la memoria della conversione di Paolo è così solenne, questo accade perché è utile a quelli che ne celebrano il ricordo. Perché da questa celebrazione il peccatore attinge la speranza del perdono che l'invita alla penitenza; e chi si è già pentito vi trova il modello di una perfetta conversione.
Come è possibile cedere alla disperazione, per quanto grandi siano le nostre colpe, quando si sente che quel Saulo che sempre fremente minacciava strage contro i discepoli del Signore, fu all'improvviso trasformato in vaso d'elezione? Chi potrebbe dire: «Non posso rialzarmi e condurre una vita migliore» se sulla strada su cui il suo cuore era pieno di veleno, l'accanito persecutore divenne subito il predicatore più fedele?
(Bernardo di Clairvaux, Sermone per la conversione di san Paolo 1)

- Dal Martirologio ecumenico della Comunità monastica di Bose

Caravaggio. La conversione di San Paolo (particolare)

mercoledì 24 gennaio 2024

Francesco di Sales e la dolcezza dell'azione pastorale

La Chiesa cattolica e la Chiesa anglicana ricordano oggi la persona di Francesco di Sales (1567-1622). 
Francesco si formò alla cultura classica e filosofica alla scuola dei Gesuiti, ricevendo al tempo stesso una solida base di vita spirituale. Il padre, che sognava per lui una brillante carriera giuridica, lo mandò all’università di Padova, dove Francesco si laureò, ma dove pure portò a maturazione la vocazione sacerdotale. Ordinato il 18 dicembre 1593, fu inviato nella regione del Chablais, dominata dal Calvinismo, e si dedicò soprattutto alla predicazione, scegliendo non la contrapposizione polemica, ma il metodo del dialogo.
Per incontrare i molti che non avrebbe potuto raggiungere con la sua predicazione, escogitò il sistema di pubblicare e di far affiggere nei luoghi pubblici dei “manifesti”, composti in agile stile di grande efficacia.
A Thonon fondò la locale Congregazione dell’Oratorio, eretta da Papa Clemente VIII con la Bolla “Redemptoris et Salvatoris nostri”.
L’impegno che Francesco svolse al servizio di una vastissima direzione spirituale, nella profonda convinzione che la via della santità è dono dello Spirito per tutti i fedeli, religiosi e laici, fece di lui uno dei più grandi direttori spirituali. La sua azione pastorale - in cui impegnò tutte le forze della mente e del cuore - e il dono incessante del proprio tempo e delle forze fisiche, ebbe nel dialogo e nella dolcezza, nel sereno ottimismo e nel desiderio di incontro, il proprio fondamento, con uno spirito ed una impostazione che trovano eco profondo nella proposta spirituale di San Filippo Neri, la quale risuona mirabilmente esposta, per innata sintonia di spirito, nelle principali opere del Sales - “Introduzione alla vita devota, o Filotea”, “Trattato dell’amor di Dio, o Teotimo” - come pure nelle Lettere e nei Discorsi.
Fatto vescovo di Ginevra nel 1602, contemporaneamente alla nomina dell’Ancina, continuò con la medesima dedizione la sua opera pastorale. Frutto della direzione spirituale e delle iniziative di carità del Vescovo è la fondazione, in collaborazione con S. Francesca Fremiot de Chantal, dell’Ordine della Visitazione.

 Tracce di lettura

I bambini, a forza di ascoltare le mamme e balbettare dietro loro, imparano la loro lingua; avverrà lo stesso per noi se ci terremo vicino al Salvatore con la meditazione: osservando le sue parole, le sue azioni e i suoi affetti, impareremo, con il suo aiuto, a parlare, agire e volere come Lui. (Filotea. Introduzione alla vita devota)

Fermati 1 minuto. Gesù, parola che si è fatta seme

Lettura

Marco 4,1-20

1 Di nuovo si mise a insegnare lungo il mare. E si riunì attorno a lui una folla enorme, tanto che egli salì su una barca e là restò seduto, stando in mare, mentre la folla era a terra lungo la riva. 2 Insegnava loro molte cose in parabole e diceva loro nel suo insegnamento: 3 «Ascoltate. Ecco, uscì il seminatore a seminare. 4 Mentre seminava, una parte cadde lungo la strada e vennero gli uccelli e la divorarono. 5 Un'altra cadde fra i sassi, dove non c'era molta terra, e subito spuntò perché non c'era un terreno profondo; 6 ma quando si levò il sole, restò bruciata e, non avendo radice, si seccò. 7 Un'altra cadde tra le spine; le spine crebbero, la soffocarono e non diede frutto. 8 E un'altra cadde sulla terra buona, diede frutto che venne su e crebbe, e rese ora il trenta, ora il sessanta e ora il cento per uno». 9 E diceva: «Chi ha orecchi per intendere intenda!».
10 Quando poi fu solo, i suoi insieme ai Dodici lo interrogavano sulle parabole. Ed egli disse loro: 11 «A voi è stato confidato il mistero del regno di Dio; a quelli di fuori invece tutto viene esposto in parabole, 12 perché:
guardino, ma non vedano, ascoltino, ma non intendano,
perché non si convertano e venga loro perdonato».
13 Continuò dicendo loro: «Se non comprendete questa parabola, come potrete capire tutte le altre parabole? 14 Il seminatore semina la parola. 15 Quelli lungo la strada sono coloro nei quali viene seminata la parola; ma quando l'ascoltano, subito viene satana, e porta via la parola seminata in loro. 16 Similmente quelli che ricevono il seme sulle pietre sono coloro che, quando ascoltano la parola, subito l'accolgono con gioia, 17 ma non hanno radice in se stessi, sono incostanti e quindi, al sopraggiungere di qualche tribolazione o persecuzione a causa della parola, subito si abbattono. 18 Altri sono quelli che ricevono il seme tra le spine: sono coloro che hanno ascoltato la parola, 19 ma sopraggiungono le preoccupazioni del mondo e l'inganno della ricchezza e tutte le altre bramosie, soffocano la parola e questa rimane senza frutto. 20 Quelli poi che ricevono il seme su un terreno buono, sono coloro che ascoltano la parola, l'accolgono e portano frutto nella misura chi del trenta, chi del sessanta, chi del cento per uno».

Commento

Con la parabola del seminatore Gesù esemplifica il modo in cui la parola di Dio viene respinta, incontra ostacoli e resistenze, ma anche viene accolta e porta frutto, diffondendosi ovunque. Mentre il monte è il luogo privilegiato da Gesù per la preghiera e la formazione dei discepoli, la costa del mare di Galilea, ovvero il lago di Gennesaret, è il luogo in cui Marco presenta il Signore intento ad ammaestrare le folle.

Il verbo greco usato per indicare il riunirsi delle persone intorno a lui è synago, con un richiamo alla sinagoga; forse perché gli ascoltatori sono ebrei, o perché quella che Gesù forma con la sua predicazione è la nuova sinagoga dei credenti nel vangelo. 

Mentre il capitolo precedente si apriva con l'ingresso di Gesù nella sinagoga per insegnare, in questo lo vediamo uscire dagli ambienti tradizionali di predicazione, che gli sono ostili, per rivolgersi alle moltitudini. 

Gesù predica su una barca, quasi a significare che il suo messaggio è rivolto a Israele, ma questi guarda verso il mare, da dove il vangelo prenderà il largo verso le terre dei gentili. L'uso di parabole - comune nel giudaismo del tempo - serve a Gesù per coinvolgere e provocare chi ascolta, facendogli applicare ciò che dice alla realtà della propria vita spirituale. Attraverso esempi e paragoni così vicini all'esperienza quotidiana di ciascuno, Gesù scuote e invita a cambiare mentalità e comportamenti, perché la parola di Dio penetri e diventi lievito della vita. 

L'esortazione "Ascoltate" con cui si apre la parabola, come invito a interiorizzare la parola, richiama l'"Ascolta, Israele" del libro del Deuteronomio (Dt 6,4-9). L'ascolto che ci chiede Cristo implica una piena partecipazione della nostra mente e della nostra volontà alla sua parola. Non la curiosità con cui Erode si dilettava nell'ascoltare Giovanni il Battista, che poi mise a morte (Mc 6,20); non la superbia e l'ipocrisia con cui gli scribi e i farisei ascoltavano Gesù per cercare di coglierlo in errore; ma l'attenzione con cui i due discepoli sulla via di Emmaus ascolteranno il Risorto, che li apre all'intelligenza delle Scritture (Lc 24,13-27). 

L'ascolto che porta frutto è incontro spirituale con la persona di Gesù. Ma la parola necessita di cuore umile, di un humus, un terreno morbido, dove il seme può trovare riparo e nutrimento. Il rendimento di una semina era solitamente di otto a uno, dieci a uno in casi eccezionali; la crescita fino al cento per uno che Gesù descrive è incredibilmente grande. 

Sebbene questa parabola sia riportata in tutti e tre i vangeli sinottici, solo Luca e Matteo spiegano che il seme è la parola di Dio. Ma la parola di Dio non è solo aria che risuona, è Gesù stesso, Verbo generato dal padre e incarnato nel seno di Maria. Gesù è la parola fattasi "seme", che incontra la durezza di chi lo disprezza tra quelli della sua patria, tra i suoi parenti e in casa sua (Mc 6,4); è il seme che incontra i rovi di chi flagellerà il suo corpo e gli coronerà il capo di spine; il seme che dovrà morire ed essere sepolto per generare frutti di vita eterna. Un frutto così grande da sfamare tutti coloro che hanno fame non di pane, ma d'ascoltare la parola del Signore (Am 8,11).

Preghiera

Crea in noi, Signore, un cuore umile e pronto a ricevere la tua parola; irriga i solchi, spiana le zolle, effondi la pioggia del tuo Spirito; affinché possano abbondare i frutti della tua grazia. Amen.

- Rev. Dr. Luca Vona

martedì 23 gennaio 2024

Menno Simons, i Mennoniti e gli Amish

Nel 1535, nella città tedesca di Münster, non lontana dai Paesi Bassi, veniva stroncato in un bagno di sangue il tragico tentativo di instaurare la Nuova Gerusalemme attraverso la forza. Esso era stato progettato dalle frange impazzite dell'anabattismo olandese, ed ebbe come conseguenza una crudele persecuzione di chiunque si dichiarasse anabattista. L'anabattismo sopravvisse però grazie all'intelligente opera di Menno Simons, il quale ricondusse alle radici evangeliche un movimento che aveva attirato moltissime persone semplici e desiderose soltanto di fare la volontà di Dio.
Simons era nato a Witmarsum, in Frisia, nel 1496 da una famiglia di contadini. Divenuto prete cattolico, egli fu colpito dalla sincera buona fede che riscontrava in molti suoi fedeli, attratti dalle diverse correnti della Riforma.
Attraversò una profonda crisi vocazionale che lo condusse ad abbandonare la chiesa di Roma. Convinto che seguire Cristo poteva significare solo accettare la propria croce, per venti anni predicò la parola di Dio e ricostituì un movimento anabattista liberato da deliri profetici ed escatologici e ricondotto al primato del vangelo. Simons si sforzò di operare una profonda conversione nella propria vita per adeguarla al messaggio evangelico che quotidianamente predicava.
Morì il 31 gennaio 1561. La data odierna è quella in cui è ricordato in alcune chiese evangeliche.

Menno Simons (1496-1561)

La dottrina

La dottrina di Simons è molto lontana sia da quella Cattolica che da quella Riformata. Difficile anche ricondurla all'ortodossia di epoca patristica. Per Simons non era il battesimo che rigenerava il fedele, bensì la fede e la parola di Dio, e solo dopo poteva seguire il rito del battesimo. Ovviamente egli negava il battesimo degli infanti, anzi per Simons il declino della Chiesa cristiana era iniziato nel 407, proprio quando Papa Innocenzo I (402-417) aveva introdotto il battesimo obbligatorio dei bambini. Inoltre per Simons la Messa, intesa in senso cattolico, era un atto sacrilego, poiché constava nell'adorazione della materia, il pane, come se quest'ultimo fosse stato Dio, mentre invece Cristo si donava solo spiritualmente.

Simons mantenne questo concetto docetista anche per quanto riguardava la nascita di Gesù Cristo: era convinto che, come il raggio di luce passava attraverso il bicchiere di acqua senza prenderne la sostanza, così la "carne celeste" di Cristo era passato attraverso il corpo di Maria, senza averne preso una benché minima parte della sua sostanza. Quindi, poiché Gesù era in contatto solo spirituale con l'uomo, Simons si allineava con la tesi di Caspar Schwenckfeld, il quale credeva che il Corpo ed il Sangue di Cristo non potevano essere presenti nell'Eucaristia, sotto le specie del pane e del vino. L'Eucaristia era dunque basata sulla "carne celeste" o "carne spirituale".

Simons fu un innovatore nel comportamento quotidiano dei suoi seguaci, facendo ritornare gli anabattisti allo spirito originario, basato su semplicità, povertà, carità, e sopportazione. Tuttavia, nonostante la sua mitezza, i contemporanei di Simons. non furono certo teneri nei giudizi nei confronti dell'ex prete olandese: Calvino lo paragonò ad un asino e ad un cane!

I mennoniti dopo la morte di Menno Simons

Dopo la morte di Simons, i suoi seguaci, come già detto, furono denominati mennoniti.

Purtroppo quasi immediatamente iniziarono le secessioni interne al movimento: la prima fu quella dei waterlanders (il Waterland era la regione costiera nell'Olanda settentrionale), che furono guidati con energia per 54 anni (dal 1577 al 1638) da Hans de Ries. I waterlanders parteciparono attivamente alla guerra di liberazione dell'Olanda contro gli spagnoli, sia consegnando una forte somma a Guglielmo d'Orange, nel 1572, sia inviando volontari a combattere a fianco dei calvinisti, cosa ancora più straordinaria, vista la tipica vocazione non violenta dell'anabattismo.

Comunque questo spirito pacifista fu ribadito nel 1577 nella Confessione di fede di Waterlander, elaborata da de Ries stesso, in cui si condannò la guerra e la violenza, oltre a sottolineare i punti cardini dell'anabattismo: battesimo solo degli adulti, negazione del peccato originale, condanna del giuramento, obbedienza condizionata alle autorità locali.

Il governo olandese li trattò tutto sommato abbastanza bene, esentando i loro templi e orfanotrofi dal pagamento delle tasse, permettendo loro di fare semplici dichiarazioni al posto dei giuramenti nei tribunali ed esentandoli dalla leva militare dietro pagamento di una somma concordata. I rimanenti mennoniti olandesi invece scomparvero in un frazionamento all'infinito: prima in frisoni (vriezen) e fiamminghi (vlamingen): poi ognuno dei due gruppi si frazionò ulteriormente in conservatori (o vecchi) e moderati (o giovani).

Gli altri mennoniti, che erano la maggioranza, non ebbero la fortuna del gruppo olandese e furono costretti, a causa delle persecuzioni, a spostarsi sempre più verso est, verso la Prussia, la Polonia, l'Ungheria, la Transilvania, fino in Russia, invitati in quest'ultimo paese nel 1786 dall'imperatrice Caterina II (1762-1796), detta la Grande, la quale concesse loro la libertà di religione e l'esenzione militare.

Nel frattempo, nel 1693, dal filone principale dei mennoniti, si era staccato l'ex vescovo svizzero Jakob Amman, il quale aveva fondato una sua chiesa denominata Amisch, poi graficamente semplificato in Amish. Oramai totalmente scomparsi in Europa, gli Amish sono ancora presenti negli Stati Uniti, principalmente in Pennsylvania, e sono caratterizzati da una strettissima osservanza biblica, perciò rifiutano qualsiasi modernità, come automobili, telefoni, televisori e lampadine elettriche.   

Nel XIX secolo, quando in Prussia ed in Russia s'introdusse la leva obbligatoria per tutti, i mennoniti ripresero le emigrazioni verso gli Stati Uniti, dove altri loro confratelli, già dal 1663, erano emigrati, in particolare in Pennsylvania, e dove avevano lottato contro il commercio degli schiavi. Altre emigrazioni del XIX secolo portarono i mennoniti russi, attraverso il Pacifico, in Canada (Manitoba), negli Stati Uniti centrali (Nebraska e Indiana) e in Paraguay.

I mennoniti oggi

I mennoniti sono quindi principalmente concentrati in America: infatti, benché secondo le loro statistiche interne ci siano più di un milione di fedeli (tuttavia secondo altre statistiche sono solo 700.000) sparsi in 60 paesi del mondo, solo in Stati Uniti e Canada (secondo la Mennonite World Conference del 1996) ci sono 415.978 membri (altri danno un numero più contenuto di circa 200-250.000 fedeli nordamericani).

Risultati immagini per mennonites
Giovani donne Mennonite

Tracce di lettura

Quando si diffusero le notizie delle persecuzioni seguite alla tragedia di Münster, il sangue di questi uomini, sia pur sviati, ricadde sulla mia coscienza e ne ebbi dei rimorsi insopportabili. Ripensai alla mia vita impura, carnale, alla dottrina ipocrita e all'idolatria che professavo tutti i giorni sotto una parvenza di pietà, ma senza gioia. Vidi che quelle creature zelanti, pur essendo nell'errore, offrivano volentieri la loro vita e i loro beni per la loro dottrina e la loro fede.
Mentre riflettevo, la mia coscienza mi tormentava a tal punto che non potei più resistere. Mi dicevo: me misero, cosa sto facendo? Se continuo a vivere così e non conformo la mia vita alla parola di Dio; se non condanno apertamente con i miei deboli talenti l'ipocrisia, la falsificazione del battesimo, la cena del Signore snaturata dal culto che insegnano i dotti; se, per timore del mio corpo, non espongo ciò che ritengo essere il fondamento della verità e non concentro tutte le mie forze per condurre il gregge disperso - che farebbe volentieri il proprio dovere se lo conoscesse - verso i pascoli di Cristo, oh come il loro sangue, versato nella trasgressione, griderà contro di me nel giorno del giudizio!
(Menno Simons, Risposta a Gellius Faber)

Fermati 1 minuto. Quale famiglia cristiana?

Lettura

Luca 8,19-21

19 Un giorno andarono a trovarlo la madre e i fratelli, ma non potevano avvicinarlo a causa della folla. 20 Gli fu annunziato: «Tua madre e i tuoi fratelli sono qui fuori e desiderano vederti». 21 Ma egli rispose: «Mia madre e miei fratelli sono coloro che ascoltano la parola di Dio e la mettono in pratica».

Commento

Non sappiamo se i "fratelli" di Gesù menzionati in questo brano fossero figli di Maria o, come accadeva secondo una usanza semitica, il termine greco adelphos (f. adelphe) va inteso come "cugini", "nipoti", "fratellastri" (vedi ad es. Gn 14,16; 29,15; Lv 10,4). Una antica e diffusa tradizione patristica afferma la verginità di Maria anche dopo aver partorito Gesù. 

Tutto ciò poco conta ai fini dell'interpretazione del racconto di Luca. Ciò che esso ci trasmette è che, senza disprezzare la famiglia naturale, Gesù pone al di sopra di essa la famiglia che egli "si è scelto", quella di coloro che ascoltano la parola di Dio e la mettono in pratica (v. 21). Il passo evangelico, "ingentilito" rispetto al parallelo di Marco (Mc 3,31-35) - in cui Gesù afferma «Chi è mia madre e chi sono i miei fratelli?». (Mc 3,33) - riferisce che "non potevano avvicinarlo", "stavano fuori" e "desideravano vederlo", ma tutto ciò gli era impedito dalla folla. 

Vi è una distanza, una barriera impenetrabile che si frappone tra Gesù e i suoi familiari. In un passo ancor più "duro" di Marco ci viene riferito che i familiari di Gesù, in altra occasione "uscirono per andare a prenderlo; poiché dicevano: «È fuori di sé» (Mc 3,21)". Altrove Gesù afferma: «Un profeta non è disprezzato che nella sua patria, tra i suoi parenti e in casa sua» (Mc 6,4). 

Gesù relativiza l'istituto familiare; non ne fa "una gabbia", un contesto chiuso e autoreferenziale, ma lo pone in secondo piano rispetto al senso di appartenenza alla famiglia dei credenti. In questo senso, «chiunque avrà lasciato case, o fratelli, o sorelle, o padre, o madre, o figli, o campi per il mio nome, riceverà cento volte tanto e avrà in eredità la vita eterna» (Mt 19,29). Altrove Gesù afferma: «Non crediate che io sia venuto a portare pace sulla terra; non sono venuto a portare pace, ma una spada. Sono venuto infatti a separare il figlio dal padre, la figlia dalla madre, la nuora dalla suocera. (Mt 10,34-35)». 

Ma se la parola di Dio è una spada che può recidere i legami familiari è anche un vincolo che può rafforzarli, arricchirli di una forza di unione soprannaturale. Allora la famiglia diventa qualcosa di più di una sorta di "clan"; diviene il focolare della Parola di Dio, laddove due o tre riuniti nel nome di Gesù lo rendono presente in mezzo a loro; diventa nucleo fecondo per l'evangelizzazione al di fuori di essa.

Preghiera

Custodisci le nostre famiglie Signore, affinché la tua parola possa rendersi presente in mezzo a noi, per vivificare le nostre relazioni e renderci apostoli del vangelo. Amen.

- Rev. Dr. Luca Vona

lunedì 22 gennaio 2024

Fermati 1 minuto. Il discernimento che genera dalla purezza di cuore

Lettura

Marco 3,22-30

22 Ma gli scribi, che erano discesi da Gerusalemme, dicevano: «Costui è posseduto da Beelzebùl e scaccia i demòni per mezzo del principe dei demòni». 23 Ma egli, chiamatili, diceva loro in parabole: «Come può satana scacciare satana? 24 Se un regno è diviso in se stesso, quel regno non può reggersi; 25 se una casa è divisa in se stessa, quella casa non può reggersi. 26 Alla stessa maniera, se satana si ribella contro se stesso ed è diviso, non può resistere, ma sta per finire. 27 Nessuno può entrare nella casa di un uomo forte e rapire le sue cose se prima non avrà legato l'uomo forte; allora ne saccheggerà la casa. 28 In verità vi dico: tutti i peccati saranno perdonati ai figli degli uomini e anche tutte le bestemmie che diranno; 29 ma chi avrà bestemmiato contro lo Spirito santo, non avrà perdono in eterno: sarà reo di colpa eterna». 30 Poiché dicevano: «È posseduto da uno spirito immondo».

Commento

La specificazione che gli scribi che accusano Gesù provengono da Gerusalemme indica la loro autorità agli occhi del popolo, ma anche il lungo viaggio compiuto per ostacolare la sua attività. La malizia degli scribi è più grande della loro scienza e davanti alla compassione di Gesù lo accusano di agire per mezzo del principe dei demòni.

I miracoli del Signore, il cui scopo è rendere più salda la fede in lui, sono motivo di scandalo per chi lo rifiuta. L'opposizione all'azione liberante del vangelo proviene spesso proprio dai rappresentanti della "dottrina ufficiale".

Beelzebùl era una antica divinità pagana, venerata nel tempio di Ekron, in Filistea. Il secondo libro dei Re, racconta l'episodio in cui l'empio re di Isrele Acazia, mandò a consultare il suo oracolo (2 Re 1,2). La divinità è chiamata dall'autore con la deformazione insultate "Baal-Zebub", che significa "Signore delle mosche", anziché Baal-Zebul, il cui significato è "Baal il sublime". Gesù identifica questa divinità con Satana.

Gesù risponde all'accusa mossagli dagli scribi con un'analogia: occorre essere più forti di Satana per entrare nel suo dominio - "la casa dell'uomo forte" -, contenere la sua azione ("legarlo") e liberare l'uomo che si trova sotto il suo controllo ("saccheggiare la casa"). Le parole di Gesù testimoniano che il diavolo non è un mito, la rappresentazione simbolica dell'idea del male, ma un soggetto personale che pensa e agisce in opposizione a Dio e all'uomo creato a immagine di Dio.

A chi lo accusa, consapevole della falsità della denuncia, Gesù riserva una condanna durissima: la bestemmia contro lo Spirito Santo è il rifiuto cosciente della verità e della conversione e per questo non può essere perdonata "in eterno" (in reatà il termine greco aion indica un lunghissimo lasso di tempo). Dio perdona sempre, ma chi non trova il perdono è colui che sceglie un accecamento volontario. Questi, pur riconoscendo l'opera di liberazione compiuta da Gesù e dai suoi discepoli ne dà un'interpretazione distorta, cercando di disinnescarne la forza.

Gesù esprime la sua condanna con autorità, come attestato dalle parole "In verità vi dico" (gr. amèn légo umin). Siamo chiamati a esercitare un accurato discernimento prima di giudicare il prossimo secondo i nostri schemi mentali. In particolare dobbiamo guardarci dall'invidia - da cui erano mossi gli scribi che accusavano Gesù - che genera divisioni; perché le divisioni sono opera del Maligno. Mentre accusano Gesù di operare per mezzo di Satana gli scribi si comportano proprio come Satana, l'accusatore, che si oppone alla comunione dell'uomo con Dio e dell'uomo con l'uomo.

Solo l'accoglienza di Gesù con cuore puro rende capaci di chiamare male il male e bene il bene. La disobbedienza e la mancanza di fiducia verso Dio accecarono l'uomo e la donna nel giardino di Eden, impedendogli di ottenere proprio ciò che cercavano mangiando il frutto dell'albero: la conoscenza del bene e del male. Quest'ultima è data nell'opera di redenzione attuata da Cristo, parola viva, efficace e fonte di liberazione per coloro che l'accolgono.

Preghiera

Purifica il nostro cuore, Signore, affinché possiamo riconoscere le tue opere meravigliose, glorificando il tuo nome con la voce dello Spirito che ci hai inviato. Amen.

- Rev. Dr. Luca Vona