Il Rev. Dr. Luca Vona
Un evangelico nel Deserto

Ministro della Christian Universalist Association

domenica 30 aprile 2023

La vostra tristezza si muterà in gioia

 COMMENTO ALLA LITURGIA DELLA TERZA DOMENICA DOPO PASQUA


Colletta

Dio Onnipotente, che mostri a coloro che sono nell’errore la luce della tua verità, affinché possano tornare sulla via della giustizia; concedi a tutti coloro che sono ammessi alla sequela di Cristo, di evitare quelle cose contrarie alla loro professione, e di seguire tutte le cose a lui gradite. Per Gesù Cristo nostro Signore. Amen.

Letture

1 Pt 2,11-17; Gv 16,16-23

Commento

La fede nella risurrezione, che è al centro della vita di ogni cristiano, ci dona la certezza che la verità e la giustizia, in Cristo, hanno vinto il mondo. E questa fede, lungi dal rappresentare un sogno consolatorio, ci porta a diventare noi stessi, in Cristo, protagonisti della vittoria sulla menzogna, sull’ingiustizia, sulla morte e sul peccato. 

Dio, però, non ci tratta come pedine su uno scacchiere. Egli ci mostra la luce, ma non ci obbliga a riceverla. La natura umana è immersa nelle tenebre e il Signore visita e illumina le nostre tenebre. C’è una scintilla divina in ciascuno di noi; e siamo liberi di alimentarla e trasmetterla, di trasformarla in un focolare o in un incendio che divampa; così come possiamo stoltamente soffocarla, metterla sotto il moggio (Mt 5,14-15). Un giorno ci verrà chiesto conto del dono che abbiamo ricevuto e dell’uso che ne abbiamo fatto.

Il Risorto, nel suo discorso di commiato, parla di un breve momento in cui i suoi discepoli non lo vedranno più, e allora piangeranno e si lamenteranno, mentre il mondo si rallegrerà; ma poi lo ritroveranno e la loro tristezza si muterà in gioia.

Il vero cristiano sente di non appartenere completamente a questo mondo, ha nostalgia di Dio, cerca la comunione con lui. Le gioie del mondo per lui non sono abbastanza e con il salmista esclama “l’anima mia è assetata di Dio, del Dio vivente. Quando verrò e comparirò davanti a Dio?” (Sal 42,2). 

La nostra fede ci rende Dio presente, ma la Verità si fa strada in maniera sofferta tra le tenebre, come se dovesse venire alla luce tra i dolori del parto (Gv 16,21). Questo è stato vero per la vicenda terrena di Gesù, dalla sua predicazione, accolta con entusiasmo - ma anche oggetto di aspre contestazioni - alla condanna della croce, fino alla vittoria della risurrezione, che ha prevalso sulla morte e sul peccato.

Anche la storia della Chiesa, così come la nostra personale vicenda di fede, ripercorrono queste tappe obbligate: la gioiosa rivelazione del Verbo incarnato, di una presenza divina che abita la creazione e che ha posto nel cuore dell’uomo la sua dimora; il faticoso ritorno dell’uomo dal suo esilio alla comunione con il Creatore, e da qui il richiamo di Pietro a comportarci come pellegrini, astenendoci dai "desideri della carne".

Ma cosa sono i desideri della carne? Lungi dall'esprimere una visione sessuofobica, la parola "carne", (gr. sarx) rappresenta la componente mortale della nostra natura umana. L'astensione dai suoi desideri significa la capacità di non renderci schiavi delle cose finite, caduche, transitorie. Se ci ripieghiamo su di esse, ricercando lì la salvezza, ciò che troveremo sarà soltanto tenebra.

Se tratteremo le cose buone che sono nel mondo per quello che sono, come mezzi e non come il fine, potremo attraversarle indenni, guidati dalla luce divina e trasfigurando esse stesse in luce. Allora la nostra tristezza si muterà in gioia.

- Rev. Dr. Luca Vona

venerdì 28 aprile 2023

Fermati 1 minuto. Reciproca assimilazione

Lettura

Giovanni 6,52-59

52 Allora i Giudei si misero a discutere tra di loro: «Come può costui darci la sua carne da mangiare?». 53 Gesù disse: «In verità, in verità vi dico: se non mangiate la carne del Figlio dell'uomo e non bevete il suo sangue, non avrete in voi la vita. 54 Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò nell'ultimo giorno. 55 Perché la mia carne è vero cibo e il mio sangue vera bevanda. 56 Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue dimora in me e io in lui. 57 Come il Padre, che ha la vita, ha mandato me e io vivo per il Padre, così anche colui che mangia di me vivrà per me. 58 Questo è il pane disceso dal cielo, non come quello che mangiarono i padri vostri e morirono. Chi mangia questo pane vivrà in eterno».
59 Queste cose disse Gesù, insegnando nella sinagoga a Cafarnao.

Commento

Solo gli adulti competenti nelle Sacre Scritture potevano prendere la parola nella sinagoga e il discorso di Gesù a Cafarnao, quando dal "pane di vita" passa a parlare della necessità di mangiare la sua carne e il suo sangue si fa davvero duro da comprendere. "Allora i giudei si misero a discutere tra di loro " (v. 52). Il verbo greco machomai indica una discussione molto accesa. Le parole di Gesù non suscitano più perplessità ma alimentano una vera e propria lite.

La legge mosaica proibiva di bere sangue o assumere cibo contenente sangue (Gen 9,4; Lev 17,10-14; Dt 12,16). Gli interlocutori di Gesù si mostrano incapaci di andare oltre la prospettiva fisica nell'interpretare le sue parole.

La nostra anima ha bisogno di nutrirsi di Cristo tanto quanto il nostro corpo ha bisogno del cibo ordinario per vivere e restare in salute.

Il passaggio dalla metafora del pane a quella del cibarsi della carne e del sangue di Gesù racchiude la dimensione sacrificale del suo donarsi per noi. Non c'è pane se prima non c'è il chicco di grano che discende nel terreno, muore e fruttifica nella spiga (Gv 12,24).

Nutrirsi della sua carne e bere il suo sangue significa partecipare spiritualmente al sacrificio della croce. Per i giudei l'idea di un Messia crocifisso era inaccettabile (At 17,1-3).

Le parole di Gesù preludono anche alla celebrazione dell'eucaristia, che verrà istituita poco prima della sua passione e mediante la quale il credente può rimanere (gr. meno) in lui: "Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue dimora in me e io in lui" (v. 56); è il realizzarsi di un vincolo di comunione e di reciproca "assimilazione".

La chiave della fede ci apre la porta per dimorare in Cristo (v. 56); in lui possiamo trovare una "casa" dove riposarci dal peregrinare tra le tribolazioni del mondo, rifugiarci quando fuori infuria la tempesta, accogliere i nostri fratelli e sorelle, per condividere la gioia del vangelo.

Preghiera

Tu sei la nostra casa, Signore; aiutaci a ritornare a te ogni volta che ci affatichiamo sulle vie del mondo; affinché possiamo partecipare alla comunione del tuo mistero di salvezza. Amen.

- Rev. Dr. Luca Vona

giovedì 27 aprile 2023

Fermati 1 minuto. Attiraci a te

Lettura

Giovanni 6,44-51

44 Nessuno può venire a me, se non lo attira il Padre che mi ha mandato; e io lo risusciterò nell'ultimo giorno. 45 Sta scritto nei profeti: E tutti saranno ammaestrati da Dio. Chiunque ha udito il Padre e ha imparato da lui, viene a me. 46 Non che alcuno abbia visto il Padre, ma solo colui che viene da Dio ha visto il Padre. 47 In verità, in verità vi dico: chi crede ha la vita eterna.
48 Io sono il pane della vita. 49 I vostri padri hanno mangiato la manna nel deserto e sono morti; 50 questo è il pane che discende dal cielo, perché chi ne mangia non muoia. 51 Io sono il pane vivo, disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo».

Commento

L'iniziativa di andare a Gesù non è nostra ma è suscitata in noi dal Padre. Il verbo "attirare" con cui Gesù indica la chiamata del Padre rievoca la mistica sponsale del libro del profeta Osea e del Cantico dei Cantici: "la attirerò a me, la condurrò nel deserto e parlerò al suo cuore" (Os 2,16); "Attirami dietro a te, corriamo! M'introduca il re nelle sue stanze" (Ct 1,4).

Dio suscita la fede nell'anima non facendole violenza e trascinandola in catene, ma affascinandola come un amante gentile; e poiché non può esservi amore dove non c'è libertà, egli lascia libera l'anima di accoglierlo o di rifiutarlo.

La chiamata universale alla salvezza è annunciata da Gesù con l'affermazione che tutti saranno ammaestrati da Dio, che parafrasa le parole del libro di Isaia "Tutti i tuoi figli saranno discepoli del Signore" (Is 54,13).

Gesù - "colui che viene da Dio" (v. 46) è l'unico che ha visto il Padre (Gv 14,9) e a lui possiamo essere condotti ascoltando il Figlio, sua immagine visibile. Attraverso l'incarnazione, il Logos non solo si rende presente all'uomo ma si fa suo nutrimento. Nel suo donarsi come "pane" Gesù esprime la sua volontà di essere accolto in una comunione totale con noi.

Gesù mostra la differenza tra la manna e il pane di vita che è dispensato nella sua persona. La prima, sebbene venisse dal cielo serviva solo per il sostegno del corpo e non poteva impartire la vita eterna né offrire un nutrimento spirituale. Infatti tutti i padri che mangiarono la manna furono comunque soggetti alla morte. Il pane di vita che è Gesù rappresenta invece il pegno della risurrezione.

L'identificazione da parte di Gesù con il pane vivo disceso dal cielo, e di questo pane con la sua carne allude all'eucaristia. Sebbene il termine usato qui, sarx, carne, sia diverso da quello adoperato nell'ultima cena, soma, corpo, gli equivale nel lessico giovanneo. Il termine "carne" sottolinea maggiormente la realtà concreta del corpo di Gesù, la sua uguaglianza con il nostro corpo, e nel farsi "pane" la possibilità di essere assimilato da noi e, per noi, di essere assimilati da lui nella fede, partecipando della sua eternità.

Preghiera

Attiraci a te, o Dio, facci correre verso le alture della conosceza dei tuoi divini misteri; e ristoraci con il pane di vita, che nutre l'anima e rende incorrutibile il corpo. Amen.

- Rev. Dr. Luca Vona

Mechitar di Sebaste e il monachesimo come promotore di pace

La mattina del 27 aprile 1749, al termine di una vita totalmente spesa per Dio e per la formazione religiosa dei fratelli, si spegne a Venezia Mechitar (Mxit'ar) di Sebaste, monaco e fondatore della congregazione armena di San Lazzaro. 
Mechitar, che al battesimo aveva ricevuto il nome di Manuk, era nato a Sebaste nel 1676. Entrato giovanissimo nel locale monastero della Santa Croce, egli desiderava unire un'intensa vita interiore a un'insaziabile ricerca intellettuale. 
In quegli anni l'Armenia era scossa da divisioni interne alla chiesa, causate dagli strascichi delle controversie cristologiche del primo millennio. Mechitar decise allora di studiare a fondo tali controversie, per cercare vie di pace all'interno della chiesa armena e con la sede apostolica di Roma. 
Trasferitosi a Sebaste, entrò in relazione con diversi uomini di chiesa d'oriente e d'occidente, e maturò l'idea di fondare un centro monastico dove lo studio della tradizione potesse formare una nuova generazione di uomini aperti al dialogo e iniziati alla mitezza evangelica. 
Quando il vescovo di Erzurum, ostile al dialogo con Roma, divenne patriarca, Mechitar dovette fuggire con i suoi compagni e si rifugiò nel Peloponneso; costretto a un nuovo esilio per l'avanzata ottomana, egli finì per stabilirsi a Venezia, sull'isola di San Lazzaro. 
Nella laguna veneta fu accolto molto bene, e la sua congregazione monastica, che aveva fondato già nel 1711, crebbe rapidamente. A San Lazzaro Mechitar portò a termine il suo progetto di un monachesimo promotore del dialogo e della pace attraverso lo studio e la preghiera, nella convinzione che una verità che non tenesse conto del fratello non si sarebbe mai potuta dire veramente cristiana.

Mechitar di Sebaste (1676-1749)

- Dal Martirologio ecumenico della Comunità monastica di Bose

Avvakum e tutti i martiri vecchi credenti

Il 14 aprile del 1682 sale sul rogo l'arciprete Avvakum, leader storico di quei cristiani russi passati alla storia come i Vecchi Credenti. Nella chiesa russa del XVII secolo, scossa dalla grave decadenza morale del clero e animata dal profondo desiderio religioso del popolo, diversi furono i tentativi di riforma spirituale che si succedettero, provocando scontri a volte violenti nella popolazione sia nella gerarchia. Con l'elezione del patriarca Nikon, che poi sarà condannato dal concilio di Mosca del 1666, vennero introdotte in Russia riforme liturgiche e disciplinari ispirate alla tradizione greca, che tuttavia sconvolsero la vita quotidiana dei cristiani.
Avvakum e i suoi compagni organizzarono una reazione molto tenace alle riforme, giungendo a forme di vero e proprio fanatismo religioso. Per questa loro ostinazione essi vennero condannati dal medesimo concilio del 1666. Da quel momento ebbe origine un corposo scisma in seno alla Chiesa ortodossa russa. Ancor oggi i seguaci della «vecchia fede» sono numerosissimi in tutta la Russia. Dal 1667 al 1971, quando il Santo Sinodo di Mosca toglierà le condanne contro gli usi dei Vecchi Credenti, questi ultimi subirono a più riprese feroci persecuzioni da parte delle autorità pubbliche, a volte appoggiate nelle loro repressioni dalla gerarchia moscovita. Avvakum ci ha lasciato nella sua Vita un eccezionale documento che permette di comprendere le grandezze e le miserie di uomini che hanno comunque offerto nel corso della storia una grande testimonianza, disposti a morire per quella che credevano essere la genuina fede cristiana. Per questo motivo è doveroso ricordare nella preghiera tutti i Vecchi Credenti morti perché perseguitati in odio alla loro espressione religiosa.

Il rogo dell'arciprete Avvakum, Myasoyedov, 1897
L'arciprete Avvakum condannato al rogo (1897)

Tracce di lettura

Ora chiedo perdono a tutti i veri credenti. Ci sono state delle cose che riguardavano la mia vita di cui non avrei dovuto parlare affatto. Non a noi, ma al nostro Dio la gloria. Ma io non sono niente. L'ho detto e lo ripeto: sono un fornicatore e un predone, ladro e assassino, amico di pubblicani e peccatori. Nel giorno del giudizio tutti riconosceranno i miei atti, se buoni o cattivi. Ma se anche sono ignorante nelle parole, non lo sono nell'intendimento; non ho studiato né dialettica né retorica né filosofia, ma ho in me l'intendimento di Cristo, come dice l'Apostolo: «Sono un ignorante nell'arte del parlare, ma non nella dottrina».
(Avvakum, Vita scritta da lui stesso)

- Dal Martirologio ecumenico della Comunità monastica di Bose

mercoledì 26 aprile 2023

Fermati 1 minuto. Non solo spettatori

Lettura

Giovanni 6,35-40

35 Gesù rispose: «Io sono il pane della vita; chi viene a me non avrà più fame e chi crede in me non avrà più sete. 36 Vi ho detto però che voi mi avete visto e non credete. 37 Tutto ciò che il Padre mi dà, verrà a me; colui che viene a me, non lo respingerò, 38 perché sono disceso dal cielo non per fare la mia volontà, ma la volontà di colui che mi ha mandato. 39 E questa è la volontà di colui che mi ha mandato, che io non perda nulla di quanto egli mi ha dato, ma lo risusciti nell'ultimo giorno. 40 Questa infatti è la volontà del Padre mio, che chiunque vede il Figlio e crede in lui abbia la vita eterna; io lo risusciterò nell'ultimo giorno».

Commento

Vincere per sempre la fame e la sete è quanto ci promette Gesù presentandosi come il pane di vita donato per noi. Non allude solo ai nostri bisogni corporali, ma all'estinzione di quella brama che infebbra la nostra anima dal primo istante di vita e ci accompagna fino alla morte.

Si tratta della condizione dell'uomo prima della perdita dello stato di vita primigenio, quando poteva pascersi liberamente di ogni frutto del giardino di Eden.

Ma dopo la caduta tutto è sudore della fronte e travaglio del parto; ogni cosa va guadagnata con fatica e sofferenza.

Gesù è disceso dal cielo per riconciliare con il Padre l'uomo e l'intera creazione, deturpata dalla nostra disobedienza. Con lui si inaugura il tempo escatologico, quando gli uomini "Non avranno più fame, né sete, e saranno protetti dal sole cocente e dallʼarsura. Perché lʼAgnello, che sta davanti al trono, sarà il loro pastore e li condurrà alle sorgenti dellʼacqua che dà la vita. E Dio asciugherà dai loro occhi tutte le lacrime" (Ap 7,16-17).

L'agnello che si fa pastore: un paradosso che non riuscirono a comprendere molti di coloro che pure avevano Gesù davanti agli occhi.

Il verbo theoreo non indica il vedere in senso fisico, ma è l'aprire gli occhi interiori al bisogno di Dio, disporsi a "vedere" per credere. 

Sebbene la salvezza sia un dono gratuito di Dio vi è dunque una responsabilità umana nel passare dal vedere al credere, dall'essere semplici "spettatori" del piano di salvezza di Dio al diventare agenti del suo operare mediante la fede.

Siamo stati dati in dono dal Padre al Figlio, per essere risuscitati nell'ultimo giorno. La nostra fiducia nella salvezza, il nostro conforto, trovano il proprio fondamento in Gesù stesso, che si prende cura di quanto il Padre gli ha donato e porta pienamente a compimento la sua volontà.

Credere in Gesù significa credere nella sua promessa di salvezza e ritrovare così anche la fiducia in noi stessi, nonostante i nostri fallimenti e i tentativi di svalutazione del mondo nei nostri confronti. Non importa quante volte siamo caduti. Il vero miracolo è riscoprirci ogni volta di nuovo in piedi. Mite come un agnello è il nostro pastore. Geloso di noi come di un dono prezioso che custodisce con cura. Pane che ci rafforza lungo il cammino.

Preghiera

Rinfranca le nostre anime, Signore, tu che sei pane di vita e sorgente inesauribile di grazia; affinché possiamo camminare verso la mèta della risurrezione. Amen.

- Rev. Dr. Luca Vona

lunedì 24 aprile 2023

San Giorgio. Patrono della Chiesa d'Inghilterra

Il 23 di aprile nei calendari di tutte le chiese cristiane si celebra la memoria di Giorgio di Lidda, il martire più venerato di tutta la cristianità. Egli nacque probabilmente in Cappadocia. Suo padre, Geronzio, era un pagano di origine persiana, mentre la madre Policronia era cristiana. Avviato alla carriera militare, Giorgio si fece discepolo convinto del Signore, abbandonando le armi e dando ogni suo bene ai poveri. Quanto al suo martirio, i racconti sono talmente intrisi di dati leggendari da rendere difficile una ricostruzione dell'accaduto. Anche la data della sua morte è incerta, mentre sicuro è il luogo della sua sepoltura, nella città palestinese di Lidda, dove già nel 350 era sorta una basilica in suo onore. 
La sua antica Passio conobbe traduzioni e arricchimenti in ogni lingua d'oriente e d'occidente. Si tratta di un racconto traboccante di miracoli, alcuni dei quali davvero eclatanti. Famoso è l'episodio, immortalato in numerosissime varianti iconografiche e narrato da Jacopo da Varagine nella sua Leggenda aurea, in cui Giorgio uccide il drago che terrorizzava la città di Silene in Libia. Simbolo della lotta contro le potenze del male, Giorgio è patrono dell'Inghilterra, e il numero di chiese a lui dedicate in tutto il mondo è pressoché incalcolabile.

- Dal Martirologio ecumenico della Comunità monastica di Bose

File:Saint George and the Dragon by August Kiss in Berlin.jpg ...
Statua di San Giorgio a Berlino, nel quartiere Nikolaviertel (1853)

Fermati 1 minuto. Perché lo cerchiamo?

Lettura

Giovanni 6,22-29

22 Il giorno dopo, la folla, rimasta dall'altra parte del mare, notò che c'era una barca sola e che Gesù non era salito con i suoi discepoli sulla barca, ma soltanto i suoi discepoli erano partiti. 23 Altre barche erano giunte nel frattempo da Tiberìade, presso il luogo dove avevano mangiato il pane dopo che il Signore aveva reso grazie. 24 Quando dunque la folla vide che Gesù non era più là e nemmeno i suoi discepoli, salì sulle barche e si diresse alla volta di Cafarnao alla ricerca di Gesù. 25 Trovatolo di là dal mare, gli dissero: «Rabbì, quando sei venuto qua?».
26 Gesù rispose: «In verità, in verità vi dico, voi mi cercate non perché avete visto dei segni, ma perché avete mangiato di quei pani e vi siete saziati. 27 Procuratevi non il cibo che perisce, ma quello che dura per la vita eterna, e che il Figlio dell'uomo vi darà. Perché su di lui il Padre, Dio, ha messo il suo sigillo». 28 Gli dissero allora: «Che cosa dobbiamo fare per compiere le opere di Dio?». 29 Gesù rispose: «Questa è l'opera di Dio: credere in colui che egli ha mandato».

Commento

Dopo la moltiplicazione dei pani per i cinquemila e il desiderio della folla di farlo re, Gesù era fuggito in un luogo solitario sul monte; ora passa dall'altra perte del mare, seguito dai sui discepoli. Le folle lo raggiungono poco dopo. Il passaggio all'altra riva del mare segna anche la necessità di un cambio di mentalità nella folla. Alla domanda di come sia giunto lì, Gesù risponde "Voi mi cercate non perché avete visto dei segni, ma perché avete mangiato di quei pani e vi siete saziati" (v. 26). Gesù non soddisfa la curiosità della gente, ma corregge le motivazioni errate di questa ricerca. Le folle vedono ancora in lui il Messia al quale chiedere la soluzione dei propri problemi materiali.

Nel movimento della folla alla ricerca di Gesù vediamo la rappresentazione dei nostri bisogni primari più superficiali. Egli, che poco prima si è preso cura di dispensare il nutrimento corporale, spinge ora a guardare a quella fame dell'anima che è molto più difficile da saziare, ma per la quale si è fatto pane vivo e vivificante.

Comprendere la ragione autentica per cui cerchiamo Gesù è il primo passo per liberarci dall'attaccamento a quel cibo che non sazia il nostro corpo o il nostro ego, per volgerci a Colui che ci sfama per la vita eterna. Non di rado questo cibo perituro è fatto di "sostanza spirituale": la ricerca del prodigio miracoloso, dei carismi straordinari, di suggestive rivelazioni private. Gesù ci richiama alla sobrietà, nutrendoci del pane solido e nutriente della sua parola e del suo dono sacramentale.

Gesù è il cibo che nutre e non deperisce come qualunque altro alimento della terra, ma per trovarlo bisogna imparare a comprendere il significato spirituale della sua persona e della sua missione, il cui sigillo è stato messo dal Padre mediante lo Spirito Santo (v. 27).

La domanda posta da questo episodio del Vangelo di Giovanni è semplice e diretta: "Per quale ragione cerchiamo Gesù?" Se cerchiamo in lui semplicemente un taumaturgo, o un dispensatore di benesse o il leader carismatico di un movimento rivoluzionario egli continuerà a sfuggirci.

L'"opera di Dio" che ci chiede di compiere Gesù, e che porta l'uomo alla salvezza è la fede  (v. 28). Essa presuppone la sua accoglienza da parte nostra come Figlio di Dio e l'assunzione del vangelo come regola di vita. La fede è l'atto che precede ogni opera buona, ma al tempo stesso anche il fine dell'annuncio e della testimonianza: che tutti gli uomini credano in Cristo. 

Preghiera

Nutrici Signore, con il pane solido e soave della tua parola di vita; affinché fortificati nella fede possiamo dedicarci incessantemente all'opera di Dio. Amen.

- Rev. Dr. Luca Vona

domenica 23 aprile 2023

Fuori dal recinto

COMMENTO ALLA LITURGIA DELLA SECONDA DOMENICA DOPO PASQUA

Colletta

Dio Onnipotente, che hai donato il tuo unico Figlio affinché fosse per noi un sacrificio e un esempio di retta vita; concedici la grazia di poter ricevere sempre con gratitudine questo inestimabile beneficio e dedicare quotidianamente noi stessi alla sequela dei beati passi della sua vita. Per lo stesso tuo Figlio Gesù Cristo nostro Signore. Amen.

Letture

1 Pt 2,19-25; Gv 10,11-16

Commento

L'aggettivo "buono", kalòs, non indica solo una persona abile a far qualcosa, ma una persona nobile. Diversamente dai "mercenari" che fuggono davanti al pericolo, Gesù è il pastore che dà la vita per le sue pecore: "offrire la vita", "dare la vita", sono espressioni tipicamente giovannee (Gv 15,13; 1 Gv 3,16).

Nell'Antico Testamento il pastore è immagine del leader ideale e del re giusto. Conoscere le pecore significa qui curarsi di loro, amarle. Gesù come pastore legittimo entra nell'ovile dalla porta. Egli conduce fuori le pecore perché possano nutrirsi. La fede in Cristo non è "una gabbia"; egli guida le sue pecore per pascoli erbosi e ad acque tranquille (Sal 23,2), affinché possano pascersi della libertà, custodite dal pericolo dei predatori. Condotti fuori dal recinto di una religiosità legalistica, siamo introdotti da Cristo nella libertà dei figli di Dio, guidati dalla sua voce, dalla sua Parola.

Il mercenario, invece, è interessato solo al suo salario, non lavora per amore del gregge, e quando viene il pericolo fugge. Queste parole dovrebbero fare riflettere ciascuno di noi su come mettiamo in pratica lo specifico ministero che lo Spirito Santo, distribuendo i suoi carismi, ci ha affidato nella Chiesa. Il monito è rivolto soprattutto a coloro che rivestono una carica pastorale, i quali devono essere mossi dalla cura dei fedeli e non dalla ricerca di benefici terreni.

Le "altre pecore" (v. Gv 10,16) di cui si fa menzione sono i pagani, ma anche i "figli di Dio che erano dispersi" (Gv 11,52), le "pecore perdute della casa d'Israele" (Mt 10,6; 15,24). Queste ascolteranno la sua voce, il suo vangelo che giungerà fino ai confini della terra (At 1,8), perché chiunque è dalla verità ascolta la sua voce (Gv 18,37). Gesù riunirà in un unico corpo i giudei e i pagani, "uomini di ogni tribù, lingua, popolo e nazione" (Ap 5,9), e questi formeranno la sua Chiesa.

Il pastore pronto alla morte per salvare le sue pecore (v. Gv 10,15) è una immagine davvero paradossale, ma esprime efficacemente il sacrificio del Cristo per noi, l'infinta distanza tra la sua natura divina e la nostra natura umana, che pure viene a cercare, mentre siamo erranti e feriti (1 Pt 2,25). Con la sua passione e risurrezione egli si fa "porta della vita" attraverso la quale possiamo passare per essere rinnovati come figli adottivi di Dio.

- Rev. Dr. Luca Vona

venerdì 21 aprile 2023

Fermati 1 minuto. La primavera del nuovo popolo di Dio

Lettura

Giovanni 6,1-15

1 Dopo questi fatti, Gesù andò all'altra riva del mare di Galilea, cioè di Tiberìade, 2 e una grande folla lo seguiva, vedendo i segni che faceva sugli infermi. 3 Gesù salì sulla montagna e là si pose a sedere con i suoi discepoli. 4 Era vicina la Pasqua, la festa dei Giudei. 5 Alzati quindi gli occhi, Gesù vide che una grande folla veniva da lui e disse a Filippo: «Dove possiamo comprare il pane perché costoro abbiano da mangiare?». 6 Diceva così per metterlo alla prova; egli infatti sapeva bene quello che stava per fare. 7 Gli rispose Filippo: «Duecento denari di pane non sono sufficienti neppure perché ognuno possa riceverne un pezzo». 8 Gli disse allora uno dei discepoli, Andrea, fratello di Simon Pietro: 9 «C'è qui un ragazzo che ha cinque pani d'orzo e due pesci; ma che cos'è questo per tanta gente?». 10 Rispose Gesù: «Fateli sedere». C'era molta erba in quel luogo. Si sedettero dunque ed erano circa cinquemila uomini. 11 Allora Gesù prese i pani e, dopo aver reso grazie, li distribuì a quelli che si erano seduti, e lo stesso fece dei pesci, finché ne vollero. 12 E quando furono saziati, disse ai discepoli: «Raccogliete i pezzi avanzati, perché nulla vada perduto». 13 Li raccolsero e riempirono dodici canestri con i pezzi dei cinque pani d'orzo, avanzati a coloro che avevano mangiato.
14 Allora la gente, visto il segno che egli aveva compiuto, cominciò a dire: «Questi è davvero il profeta che deve venire nel mondo!». 15 Ma Gesù, sapendo che stavano per venire a prenderlo per farlo re, si ritirò di nuovo sulla montagna, tutto solo.

Commento

Il miracolo della moltiplicazione dei pani per i cinquemila uomini è l'unico riportato da tutti e quattro i vangeli e precede nel Vangelo di Giovanni il discorso di Gesù sul pane di vita.

Il pane moltiplicato miracolosamente ricorda il miracolo della manna nel deserto (oggetto di riflessione durante la pasqua ebraica) e, oltrepassandolo, indica, allo stesso tempo che il vero cibo dell’uomo è il Logos, la Parola eterna, il senso ultimo dal quale veniamo "sfamati".

La folla segue Gesù per i suoi segni miracolosi (v. 2); nonostante sia mossa da curiosità egli ne ha compassione e si preoccupa di procurare il cibo necessario. Gesù non respinge una fede ancora debole e immatura, ma la educa e la nutre affinché possa crescere e rafforzarsi.

Il monte in cui avviene questa moltiplicazione dei pani è associato nei Vangeli ad altri importanti eventi: il "discorso della montagna" e la proclamazione delle beatitudini (Mt 5-7); la chiamata dei Dodici (Mc 3,13); l'apparizione di Gesù risorto e il mandato alla missione universale (Mt 28,16).

Filippo era di Betsaida, cittadina di quella regione, e forse per questo Gesù chiede a lui dove poter comprare del cibo per la folla. La domanda che Gesù rivolge a Filippo è una messa alla prova della sua fede. Il discepolo confessa la scarsità delle risorse a disposizione, di fronte a quelle che sarebbero necessarie per sfamare la folla. Un denaro (una moneta d'argento) era normalmente la paga giornaliera di un lavoratore. Duecento denari corrispondevano a circa otto mesi di salario.

Nel brano evangelico viene indicato il numero degli uomini - cinquemila - ma aggiungendo le donne e i bambini la folla doveva essere composta di circa ventimila persone. Una distesa enorme che, seduta su quel prato verdeggiante, preannunciava la primavera del nuovo popolo di Dio.

Gesù avrebbe potuto produrre i pani e i pesci necessari dal nulla, ma sceglie di moltiplicare i cinque pani e i due pesci che possiede un ragazzino (gr. paidarion). La grazia di Dio non disprezza la nostra povertà ma la trasforma in ricchezza sovrabbondante. Di qui le dodici ceste di pani avanzati dopo che tutta la folla fu saziata.

Nell'esercizio della carità - che non è solo l'elemosina, ma il sapersi donare al prossimo - Gesù ci chiede dunque fiducia e anche un po' l'ingenuità di quel ragazzino, che mise a disposizione la sua merenda per sfamare tutte quelle persone.

Il verbo eucharisteo (esser grato, ringraziare) è lo stesso usato dai Vangeli sinottici nell'ultima cena (che Giovanni non includerà nel suo Vangelo). La gratitudine verso il Padre moltiplica a dismisura gli stessi beni che ci ha donato, in modo da farci ricevere "grazia su grazia" (Gv 1,16).

Di fronte al prodigio compiuto da Gesù la folla non ha dubbi nel riconoscerlo come "il profeta che doveva venire nel mondo" (v. 14), ma non comprende che egli è venuto per dispensare se stesso per la nostra fame.

La folla desidera un Messia politico che liberi il popolo di Israele dall'oppressione romana. Rappresenta così il tipo di coloro che cercano un Cristo che non domandi nulla, ma possa soddisfare le proprie egoistiche richieste. Gesù si sottrae a chi vuole "farlo re" con queste intenzioni. Il suo ritirarsi sulla montagna, "tutto solo" (v. 15) esige che lo raggiungiamo su quelle altezze interiori con un disinteressato atto di fede e di amore.

Preghiera

La nostra anima ha fame, Signore, finché non si sazia di te. Nutrici con la tua parola di vita e soccorrici con la tua misericordia. Amen.

- Rev. Dr. Luca Vona

Anselmo d'Aosta e le ragioni della fede

La Chiesa cattolica d'occidente, la Chiesa luterana e la Chiesa anglicana celebrano oggi la memoria di Anselmo di Aosta, monaco e Arcivescovo di Canterbury.

Anselmo nacque ad Aosta attorno al 1033. Poco dopo i vent'anni, egli lasciò la sua città e viaggiò per conoscere i monasteri e i centri spirituali del suo tempo. Giunto all'abbazia di Bec, in Normandia, fu profondamente colpito dall'incontro con l'abate Lanfranco, uomo di grande erudizione, che lo convinse a rimanere a Bec per farsi monaco. 
Anselmo, già da tempo cultore appassionato delle discipline filosofiche e teologiche, trovò nell'austera quiete della Normandia l'humus ideale per approfondire i propri studi. Alla ricerca di una migliore intelligenza della fede, Anselmo affrontò le questioni teologiche con un metodo nuovo, che troverà pieno sviluppo nella scolastica medievale.
Divenuto priore e abate di Bec, egli fu chiamato nel 1093 a succedere a Lanfranco anche come arcivescovo di Canterbury. Come primate della chiesa inglese, nonostante l'amicizia personale con il re d'Inghilterra, Anselmo si batté per la libertà della chiesa dalle ingerenze del potere politico e fu costretto due volte all'esilio. Malgrado le contraddizioni patite, la vita e l'insegnamento di Anselmo sono permeati di una pace e una gioia profonde, frutto della contemplazione di Dio e del suo mistero, e sono animati da quella dolce compassione per le sofferenze di Cristo che, diffusa in seguito dai cistercensi, darà vita a un nuovo e ricco filone nella storia della spiritualità occidentale. Anselmo morì a Canterbury il 21 aprile 1109.
ANSELMO DI AOSTA, cattedrale di Canterbury
Anselmo d'Aosta (ca 1033-1109)

Tracce di lettura

Veramente, o Signore, è inaccessibile questa luce in cui tu abiti; veramente non c'è altro che possa penetrare questa luce, allo scopo di investigarti. Proprio perciò io non la vedo, perché è eccessiva per me. Tuttavia, per mezzo suo vedo tutto quel che vedo, così come il debole occhio vede quel che vede per mezzo della luce del sole, luce che non può vedere nel sole stesso. Il mio intelletto non ha potere nei suoi confronti - troppo risplende -, non l'afferra, e l'occhio dell'anima mia non riesce a fissarsi in lei troppo a lungo. Ne è colpito dal fulgore, ne è sconfitto dall'ampiezza, ne è soffocato dall'immensità, ne è schiacciato dalla capacità.
O luce somma e inaccessibile! O completa e beata verità, quanto sei lontana da me, che ti sono tanto vicino! Quanto sei remota dalla mia vista, mentre io sono così presente alla tua! Dovunque sia, sei tutta presente, e io non ti vedo. In te mi muovo e sono in te, e non posso avvicinarmi a te. Tu sei dentro e attorno a me, e io non ti sento.
(Anselmo di Aosta, Proslogion 16)

- Dal martirologio ecumenico della Comunità monstica di Bose

giovedì 20 aprile 2023

Fermati 1 minuto. La grazia è l'inizio della gloria

Lettura

Giovanni 3,31-36

31 Chi viene dall'alto è al di sopra di tutti; ma chi viene dalla terra, appartiene alla terra e parla della terra. Chi viene dal cielo è al di sopra di tutti. 32 Egli attesta ciò che ha visto e udito, eppure nessuno accetta la sua testimonianza; 33 chi però ne accetta la testimonianza, certifica che Dio è veritiero. 34 Infatti colui che Dio ha mandato proferisce le parole di Dio e dà lo Spirito senza misura. 35 Il Padre ama il Figlio e gli ha dato in mano ogni cosa. 36 Chi crede nel Figlio ha la vita eterna; chi non obbedisce al Figlio non vedrà la vita, ma l'ira di Dio incombe su di lui».

Commento

Non si sa a chi riferire le parole di questo brano evangelico: se a Giovanni Battista, a Gesù o al suo stesso autore. Il loro significato è un profondo richiamo a orientare correttamente la nostra vita.

Gesù aveva parlato a Nicodemo della necessità di "rinascere dall'alto" (Gv 3,3); questa rinascita può realizzarsi proprio mediante l'incontro con colui che "viene dall'alto" (v. 31), il quale "è al di sopra di tutti" e la cui natura è diversa da chi "viene dalla terra". Il termine per riferirsi alla terra non è qui kosmos, "il mondo", che ha un'accezione fortemente negativa nel Vangelo di Giovanni, ma ges e indica la differenza sostanziale tra la natura divina di Cristo e i profeti che lo hanno preceduto, uomini terreni, sebbene ispirati.

Mentre i profeti dell'Antico Testamento hanno ricevuto lo Spirito secondo l'importanza dei compiti loro assegnati "colui che Dio ha mandato", Cristo, "dà lo Spirito senza misura" (v. 34). Le sue parole sono parole di vita eterna (Gv 6,68) e colui che si abbevera ad esse non avrà più sete, anzi quell'acqua diventerà in lui una sorgente che zampilla per la vita eterna (Gv 4,14).

Chi crede in Cristo certifica, "pone il sigillo" (gr. sphragizo), sulla sua testimonianza e permette ad altri di avvicinarsi alla vita. Non si tratta soltanto di mettere un sigillo con le labbra, pronunciando una formula di fede, ma di testimoniare con tutto il nostro essere colui che ha sigillato con il sangue le sue parole.

Attestando da dove proviene Gesù il vangelo ci indica anche il nostro destino. Siamo dunque invitati a cercare "le cose di lassù" (Col 3,1), coltivando un misurato distacco dalle cose terrene. Queste, infatti, non solo non placano la nostra sete ma la accrescono nella misura in cui ce ne attacchiamo.

L'ultimo versetto costituisce il culmine di tutto il capitolo, ponendo due alternative: la fede genuina e la disobbedienza, aprirsi o chiudersi alla verità e alla vita. I veri credenti pregustano fin d'ora la vita eterna. La grazia è l'inizio della gloria.

Preghiera

Concedici, Signore, di camminare con lo sguardo rivolto a te, che hai ricevuto dal Padre ogni bene e desideri condividerlo con noi. Amen.

- Rev. Dr. Luca Vona

martedì 18 aprile 2023

Fermati 1 minuto. Sospeso tra cielo e terra

Lettura

Giovanni 3,7-15

7 Non ti meravigliare se t'ho detto: dovete rinascere dall'alto. 8 Il vento soffia dove vuole e ne senti la voce, ma non sai di dove viene e dove va: così è di chiunque è nato dallo Spirito». 9 Replicò Nicodèmo: «Come può accadere questo?». 10 Gli rispose Gesù: «Tu sei maestro in Israele e non sai queste cose? 11 In verità, in verità ti dico, noi parliamo di quel che sappiamo e testimoniamo quel che abbiamo veduto; ma voi non accogliete la nostra testimonianza. 12 Se vi ho parlato di cose della terra e non credete, come crederete se vi parlerò di cose del cielo? 13 Eppure nessuno è mai salito al cielo, fuorché il Figlio dell'uomo che è disceso dal cielo. 14 E come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che sia innalzato il Figlio dell'uomo, 15 perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna».

Commento

Gesù ha parlato a Nicodemo della necessità di "rinascere dall'alto" e questi è curioso di sapere come ciò possa avvenire (v. 9). Pur essendo un erudito in Israele non ha compreso infatti il senso profondo delle Scritture e degli eventi dell'antica dispensazione di salvezza, che prefigurano quella che si realizzerà in Cristo.

Mosè, su indicazione di Dio, mise un serpente di rame sopra un'asta per guarire gli ebrei dai morsi dei serpenti velenosi (Nm 21,5-9); in questa pagina del Vangelo di Giovanni il verbo greco hypsoo, "sollevare", richiama l'esaltazione di Gesù nella sua morte e risurrezione. Come chi guardava il serpente di rame aveva salva la vita così chi "guarderà" con fede al sacrificio di Cristo sarà salvato dal veleno del peccato e avrà la vita eterna (v. 15). L'immagine dell'animale mortale divenne mezzo di salvezza per il corpo, così la croce, strumento di supplizio e di morte, otterrà la salvezza delle anime.

Per comprendere le verità celesti occorre essere saliti al cielo, ma nessuno lo ha mai fatto (v. 13), oppure essere discesi dal Cielo, e l'unico che lo ha fatto è il Figlio dell'uomo, il Logos incarnato. Mosè infatti era asceso sul Monte Sinai per ricevere la Legge, ma non fino al cielo; gli antichi profeti avevano parlato per ispirazione divina ma continuando a camminare sulla terra. Nessun uomo ha ottenuto una conoscenza di Dio pari a quella di Cristo, sebbene egli debba presentarcela per immagini e similitudini, a causa della nostra debolezza spirituale.

Nel dialogo con Nicodemo Gesù prefigura la sua crocifissione, quando sarà sospeso tra cielo e terra, separato da entrambi, perché fattosi peccato pur essendo senza peccato, respinto dunque dagli uomini e da Dio. Eppure proteso verso entrambi, per riconciliarli, con il pieno dono di sé. Guardiamo a lui e saremo guariti dalle ferite che il male ha prodotto nella nostra anima. Guardiamo a lui e saremo raggianti (Sal 34,5).

Preghiera

Attiraci a te, Signore, lontano dalle tribolazioni del mondo; affinché possiamo ritrovare la piena salute dell'anima e del corpo e contemplare la tua gloria. Amen.

- Rev. Dr. Luca Vona

lunedì 17 aprile 2023

Fermati 1 minuto. Dialogo nella notte

Lettura

Giovanni 3,1-8

1 C'era tra i farisei un uomo chiamato Nicodèmo, un capo dei Giudei. 2 Egli andò da Gesù, di notte, e gli disse: «Rabbì, sappiamo che sei un maestro venuto da Dio; nessuno infatti può fare i segni che tu fai, se Dio non è con lui». 3 Gli rispose Gesù: «In verità, in verità ti dico, se uno non rinasce dall'alto, non può vedere il regno di Dio». 4 Gli disse Nicodèmo: «Come può un uomo nascere quando è vecchio? Può forse entrare una seconda volta nel grembo di sua madre e rinascere?». 5 Gli rispose Gesù: «In verità, in verità ti dico, se uno non nasce da acqua e da Spirito, non può entrare nel regno di Dio. 6 Quel che è nato dalla carne è carne e quel che è nato dallo Spirito è Spirito. 7 Non ti meravigliare se t'ho detto: dovete rinascere dall'alto. 8 Il vento soffia dove vuole e ne senti la voce, ma non sai di dove viene e dove va: così è di chiunque è nato dallo Spirito».

Commento

Nicodemo era un membro del sinedrio (il consiglio composto da anziani, sommi sacerdoti e scribi) e rappresenta, in questo episodio del Vangelo di Giovanni, il "tipo" dei giudei disponibili a incontrare Gesù. Presso i farisei Gesù non era particolarmente popolare e forse per questa ostilità Nicodemo si reca da lui di notte.

Nicodemo si allontana dalle tenebre di una religiosità puramente esteriore per accogliere la luce di una autentica esperienza spirituale. Ciò si realizza attraverso l'incontro personale con Cristo; Nicodemo non si accontenta di ascoltare la predicazione pubblica di Gesù, ma lo va a cercare per poter discorrere con lui. La notte diventa così momento di pace, al riparo dai clamori del mondo, per crescere nella conoscenza del Signore, nell'attesa escatologica del "nuovo giorno", che vedrà l'instaurazione del regno di Dio.

Il "rinascere dall'alto" (v. 3) può essere tradotto anche come "nascere di nuovo"; questo il significato dell'avverbio greco anòthen. L'espressione "vedere il regno di Dio" (v. 3) utilizza il verbo horaò, che significa "sperimentare, partecipare". La rinascita avviene attraverso l'acqua, simbolo di purificazione ed elemento battesimale, ma anche mediante lo Spirito, il solo che "vivifica" (2 Cor 3,6).

Nascere di nuovo significa accogliere la radicale novità del vangelo; non costruire semplicemente su un edificio vecchio, ma gettare le fondamenta per una costruzione nuova. Questa rinascita è "dall'alto" perché ll modello dell'uomo nuovo è nei cieli, è infatti Cristo stesso, il Logos generato dal Padre.

Le parole di Gesù a Nicodemo ci rammentano da dove veniamo: le mani di Dio ci hanno fatto e plasmato (Sal 119,73) e sebbene la nostra carne, segnata dal peccato, sia soggetta alla debolezza e alla caducità, l'uomo che partecipa dello Spirito viene rigenerato per l'incorruttibilità.

Come non dubitiamo dell'esistenza del vento, nonostante sia invisibile agli occhi, così non possiamo dubitare dall'azione misteriosa dello Spirito, che può essere riconosciuta dalle sue opere. Siamo chiamati dalla parola del vangelo a liberarci da quelle zavorre che ci impediscono di spiccare il largo, guidati dal soffio dello Spirito.

Preghiera

Il tuo Spirito, Signore, ci rigeneri a vita nuova e ci conduca alla verità tutta intera; affinché crescendo nella conoscenza di te possiamo lodarti e professarti senza timore. Amen.

- Rev. Dr. Luca Vona

domenica 16 aprile 2023

Il vostro cuore non sia turbato

COMMENTO ALLA LITURGIA DELLA PRIMA DOMENICA DOPO PASQUA

Colletta

Padre Onnipotente, che hai donato il tuo unico Figlio affinché morisse per i nostri peccati e risorgesse per la nostra giustificazione; concedici di essere liberi dal lievito della malizia e del peccato, per servirti sempre in verità e con cuore puro. Per i meriti del tuo stesso Figlio Gesù Cristo nostro Signore. Amen.

Letture

1 Gv 5,4-12; Gv 20,19-23

Commento

Il mondo è nei vangeli quella forza che si oppone a Cristo e alla sua azione di salvezza. È una forza che risiede non solo fuori di noi, ma anche dentro di noi. È un ostacolo all'avvento del Regno di giustizia e di pace. La paura del mondo, la paura delle forze ostili che hanno messo a morte l'autore della vita è ben rappresentata dalle porte serrate, dietro le quali i discepoli si sono trincerati dopo il terribile epilogo della vicenda terrena di Gesù.

Ma il Risorto, che "si presentò là in mezzo" (Gv 20,19), è capace di entrare nei nostri cuori anche a porte chiuse, per donarci la sua pace; non come la dà il mondo, ma come dono dello Spirito, quella pace che è Dio stesso. Gesù ci invita a diventare noi stessi portatori di pace, innanzitutto attraverso il perdono: "a chi rimetterete i peccati saranno perdonati e a chi li riterrete saranno ritenuti" (Gv 20,23).

Dio è pace. Per questo Gesù ci esorta: "il vostro cuore non sia turbato e non si spaventi" (Gv 14,27). Tutto ciò che porta turbamento, in noi e fuori di noi, non è da Dio, anche se dovesse ammantarsi delle vestigia della pietà religiosa.

Il mondo ci fa versare in un continuo stato di agitazione con impegni, scadenze, sollecitazioni di ogni genere. Il più delle volte si tratta di cose distanti dalle necessità del Regno di Dio. Ma noi dobbiamo essere capaci di prenderne consapevolezza e di spostare il centro della nostra attenzione sulla quiete che Dio pone nelle profondità del nostro cuore.

Per contro, il mondo non deve turbarci al punto da voltargli le spalle chiudendo dietro di noi la porta della nostra stanza. Ad esso siamo stati inviati, per annunciare la buona notizia di Gesù Cristo (Gv 17,18). Non può essere considerato evangelico un atteggiamento di semplice “disprezzo del mondo”.

Il cristiano non appartiene al mondo ma è mandato nel mondo. Avere il Figlio, possedere Gesù, farlo nostro nell'ascolto della sua Parola e nella sequela del suo esempio, significa possedere la vita, vivere in pienezza, gustare il senso profondo della nostra esistenza. E noi siamo chiamati dal Risorto a condividere questa pienezza di vita, saldi nella nostra fede. Perchè "questa è la vittoria che ha vinto il mondo: la nostra fede" (1 Gv 5,4).

- Rev. Dr. Luca Vona

venerdì 14 aprile 2023

Fermati 1 minuto. Gettare le reti secondo la parola del Signore

Lettura

Giovanni 21,1-14

1 Dopo questi fatti, Gesù si manifestò di nuovo ai discepoli sul mare di Tiberìade. E si manifestò così: 2 si trovavano insieme Simon Pietro, Tommaso detto Dìdimo, Natanaèle di Cana di Galilea, i figli di Zebedèo e altri due discepoli. 3 Disse loro Simon Pietro: «Io vado a pescare». Gli dissero: «Veniamo anche noi con te». Allora uscirono e salirono sulla barca; ma in quella notte non presero nulla.
4 Quando già era l'alba Gesù si presentò sulla riva, ma i discepoli non si erano accorti che era Gesù. 5 Gesù disse loro: «Figlioli, non avete nulla da mangiare?». Gli risposero: «No». 6 Allora disse loro: «Gettate la rete dalla parte destra della barca e troverete». La gettarono e non potevano più tirarla su per la gran quantità di pesci. 7 Allora quel discepolo che Gesù amava disse a Pietro: «È il Signore!». Simon Pietro appena udì che era il Signore, si cinse ai fianchi la sopravveste, poiché era spogliato, e si gettò in mare. 8 Gli altri discepoli invece vennero con la barca, trascinando la rete piena di pesci: infatti non erano lontani da terra se non un centinaio di metri.
9 Appena scesi a terra, videro un fuoco di brace con del pesce sopra, e del pane. 10 Disse loro Gesù: «Portate un po' del pesce che avete preso or ora». 11 Allora Simon Pietro salì nella barca e trasse a terra la rete piena di centocinquantatré grossi pesci. E benché fossero tanti, la rete non si spezzò. 12 Gesù disse loro: «Venite a mangiare». E nessuno dei discepoli osava domandargli: «Chi sei?», poiché sapevano bene che era il Signore.
13 Allora Gesù si avvicinò, prese il pane e lo diede a loro, e così pure il pesce. 14 Questa era la terza volta che Gesù si manifestava ai discepoli, dopo essere risuscitato dai morti.

Commento

L'epilogo del Vangelo di Giovanni, che descrive la terza apparizione di Gesù risorto, rappresenta un incoraggiamento al lettore che ha creduto a intraprendere la missione di annunciare Cristo al mondo. L'episodio narrato mostra Pietro che ritorna alla sua vita di pescatore. I tragici eventi della passione e la tomba vuota, di cui è stato testimone con Giovanni, hanno generato in lui dubbi e sconcerto. 

Il manifestarsi di Gesù sulle sponde del lago di Tiberiade è espresso con il verbo greco phaneroo, che indica il venire alla luce; si tratta di una vera e propria epifania del Risorto, che emerge dalle tenebre del dubbio, della delusione e del timore che avvolgono i discepoli. La notte durante la quale i Sette si affaticano a pescare rappresenta un richiamo simbolico all'assenza di Gesù, luce del mondo (Gv 8,12).

Ai discepoli manca ancora la capacità di capire dove gettare le reti: è Gesù che indica loro il luogo più adatto alla pesca. Senza Gesù che li illumina e li guida lo sforzo dei discepoli è destinato a rimanere infecondo. Con lui, invece, tutto porta frutto in abbondanza. 

Giovanni, il discepolo che ha assistito da vicino alla passione di Gesù è colui che ha gli occhi più pronti a riconoscerlo; Pietro, che subito si getta in acqua per poter raggiungere più in fretta il Signore, dimostra che nonostante le sue debolezze non si è spento il suo amore per lui.

La precisazione del numero di pesci tirati su con le reti dagli apostoli sembra tesa a rafforzare il carattere di testimonianza oculare, ma potrebbe anche avere un valore simbolico indicando un mandato missionario universale. Tutto l'episodio viene così a simboleggiare il successo che otterrano gli apostoli come "pescatori di uomini" (Lc 5,10).

L'atteggiamento premuroso di Gesù, espresso dall'appellativo di "figlioli" (gr. paidia) che rivolge ai discepoli si manifesta anche nel fatto che quando questi giungono a riva egli ha già del pesce sul fuoco. Egli viene incontro alle necessità dei suoi, rinfrancandoli per le loro fatiche. Il tradimento di Pietro si era consumato mentre si scaldava intorno al fuoco nel cortile del sommo sacerdote, ora intorno al fuoco di un pasto preparato da Gesù si compie il ritorno alla piena comunione con lui. Gesù risorto non ha bisogno di cibo eppure sceglie di partecipare alla nostra quotidianità per renderla viva.

La pesca miracolosa che si realizza nel terzo incontro con il Risorto mostra il potere dell'obbedienza alla parola di Cristo. Pietro e i suoi compagni erano pescatori esperti e sapevano dove gettare le reti. Ma solo seguendo il consiglio di Gesù riescono nel loro intento, oltre ogni aspettativa. Solo sull'obbedienza al vangelo può fondarsi l'efficacia della nostra azione apostolica. Se getteremo le reti seguendo la parola del Signore il nostro sforzo non sarà invano e nulla andrà perduto.

Preghiera

Possano, Signore, tutte le genti essere radunate fra le trame della tua parola di salvezza; guida l'azione apostolica della tua Chiesa e benedici i nostri sforzi di evangelizzazione. Amen.

- Rev. Dr. Luca Vona

giovedì 13 aprile 2023

Fermati 1 minuto. «Sono proprio io!»

Lettura

Luca 24,35-48

35 Essi poi riferirono ciò che era accaduto lungo la via e come l'avevano riconosciuto nello spezzare il pane.
36 Mentre essi parlavano di queste cose, Gesù in persona apparve in mezzo a loro e disse: «Pace a voi!». 37 Stupiti e spaventati credevano di vedere un fantasma. 38 Ma egli disse: «Perché siete turbati, e perché sorgono dubbi nel vostro cuore? 39 Guardate le mie mani e i miei piedi: sono proprio io! Toccatemi e guardate; un fantasma non ha carne e ossa come vedete che io ho». 40 Dicendo questo, mostrò loro le mani e i piedi. 41 Ma poiché per la grande gioia ancora non credevano ed erano stupefatti, disse: «Avete qui qualche cosa da mangiare?». 42 Gli offrirono una porzione di pesce arrostito; 43 egli lo prese e lo mangiò davanti a loro.
44 Poi disse: «Sono queste le parole che vi dicevo quando ero ancora con voi: bisogna che si compiano tutte le cose scritte su di me nella Legge di Mosè, nei Profeti e nei Salmi». 45 Allora aprì loro la mente all'intelligenza delle Scritture e disse: 46 «Così sta scritto: il Cristo dovrà patire e risuscitare dai morti il terzo giorno 47 e nel suo nome saranno predicati a tutte le genti la conversione e il perdono dei peccati, cominciando da Gerusalemme. 48 Di questo voi siete testimoni.

Commento

I discepoli di Emmaus e gli apostoli stanno riportando gli uni agli altri la testimonianza dell'incontro con Gesù risorto, ma quando egli improvvisamente appare in mezzo a loro sono sorpresi e spaventati, credendo di vedere un fantasma. 

"Pace a voi!" (v. 36) sono le parole con cui Gesù saluta i discepoli, per dissipare i loro dubbi e le loro paure, per perdonare la loro debolezza, che li ha fatti fuggire nell'ora della sua passione. Nel descrivere Gesù che mostra i segni dei chiodi sulle mani e sui piedi e nell'atto di mangiare del pesce Luca enfatizza il carattere corporale del Risorto, sebbene questi mostri di avere un corpo capace di attraversare una porta chiusa o di apparire quasi simultaneamente in due luoghi differenti (mentre Gesù discorreva con i discepoli di Emmaus appariva anche a Simone a Gerusalemme). 

Nonostante queste prove i discepoli sono ancora increduli, finché il Signore non aprirà in maniera soprannaturale la loro mente, affinché comprendano la verità nascosta nelle Scritture. La Legge, i Profeti e i Salmi indicano le tre parti in cui viene tradizionalmente divisa la Bibbia ebraica. "Salmi" può indicare tutta la terza parte, cioé gli "Scritti" (tra cui Giobbe, Proverbi, Daniele) o solo i Salmi. La piena comprensione delle Scritture avviene mediante la fede che si fa esperienza dell'incontro con il Risorto. Solo così potremo sentire dietro quelle pagine la voce di Gesù che esclama "Sono proprio io!" (v. 39). 

La predicazione a tutte le genti della conversione e del perdono dei peccati (v. 47) corrisponde al grande mandato: "Andate dunque e ammaestrate tutte le nazioni, battezzandole nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro ad osservare tutto ciò che vi ho comandato" (Mt 28,19-20) e "Andate in tutto il mondo e predicate il vangelo ad ogni creatura" (Mc 16,15). La predicazione è dunque annuncio di salvezza, ma anche esortazione alla conversione. Gesù non solo rimette i nostri peccati ma ci invita a rinnovarci interiormente per diventare immagine della sua gloria. 

La predicazione è innanzitutto testimoniare in noi stessi la capacità del vangelo di trasfigurare la nostra esistenza. Quando parleremo con convinzione di Gesù egli verrà in mezzo a noi, per far toccare con mano la sua presenza. La predicazione non sarà allora proselitismo ma narrazione della nostra storia d'amore con Dio, capace di infiammare il cuore di chi ci ascolta, di chi vede la nostra vita trasformata dall'incontro con Cristo.

Preghiera

Donaci la tua pace, Signore, affinché il timore sia dissipato dall'amore e le nostre vite possano testimoniare il potere trasformante dell'incontro con te. Amen.

- Rev. Dr. Luca Vona

mercoledì 12 aprile 2023

Fermati 1 minuto. Egli entrò per rimanere con loro

Lettura

Luca 24,13-35

13 Ed ecco in quello stesso giorno due di loro erano in cammino per un villaggio distante circa sette miglia da Gerusalemme, di nome Emmaus, 14 e conversavano di tutto quello che era accaduto. 15 Mentre discorrevano e discutevano insieme, Gesù in persona si accostò e camminava con loro. 16 Ma i loro occhi erano incapaci di riconoscerlo. 17 Ed egli disse loro: «Che sono questi discorsi che state facendo fra voi durante il cammino?». Si fermarono, col volto triste; 18 uno di loro, di nome Clèopa, gli disse: «Tu solo sei così forestiero in Gerusalemme da non sapere ciò che vi è accaduto in questi giorni?». 19 Domandò: «Che cosa?». Gli risposero: «Tutto ciò che riguarda Gesù Nazareno, che fu profeta potente in opere e in parole, davanti a Dio e a tutto il popolo; 20 come i sommi sacerdoti e i nostri capi lo hanno consegnato per farlo condannare a morte e poi l'hanno crocifisso. 21 Noi speravamo che fosse lui a liberare Israele; con tutto ciò son passati tre giorni da quando queste cose sono accadute. 22 Ma alcune donne, delle nostre, ci hanno sconvolti; recatesi al mattino al sepolcro 23 e non avendo trovato il suo corpo, son venute a dirci di aver avuto anche una visione di angeli, i quali affermano che egli è vivo. 24 Alcuni dei nostri sono andati al sepolcro e hanno trovato come avevan detto le donne, ma lui non l'hanno visto».
25 Ed egli disse loro: «Sciocchi e tardi di cuore nel credere alla parola dei profeti! 26 Non bisognava che il Cristo sopportasse queste sofferenze per entrare nella sua gloria?». 27 E cominciando da Mosè e da tutti i profeti spiegò loro in tutte le Scritture ciò che si riferiva a lui. 28 Quando furon vicini al villaggio dove erano diretti, egli fece come se dovesse andare più lontano. 29 Ma essi insistettero: «Resta con noi perché si fa sera e il giorno già volge al declino». Egli entrò per rimanere con loro. 30 Quando fu a tavola con loro, prese il pane, disse la benedizione, lo spezzò e lo diede loro. 31 Allora si aprirono loro gli occhi e lo riconobbero. Ma lui sparì dalla loro vista. 32 Ed essi si dissero l'un l'altro: «Non ci ardeva forse il cuore nel petto mentre conversava con noi lungo il cammino, quando ci spiegava le Scritture?». 33 E partirono senz'indugio e fecero ritorno a Gerusalemme, dove trovarono riuniti gli Undici e gli altri che erano con loro, 34 i quali dicevano: «Davvero il Signore è risorto ed è apparso a Simone». 35 Essi poi riferirono ciò che era accaduto lungo la via e come l'avevano riconosciuto nello spezzare il pane.

Commento

Pietro ha appena constatato che come gli avevano riferito Maria di Magdala e le altre donne il sepolcro di Gesù è vuoto. In quello stesso giorno (v. 13) due discepoli, che non fanno parte degli Undici, si stanno allontanando da Gerusalemme pieni di sconforto, quando vengono avvicinati da un uomo: Gesù è lì in carne e ossa, non è un fantasma, eppure i due discepoli non sono in grado di riconoscerlo perché il Risorto non ha ancora aperto i loro occhi mostrandogli il significato autentico del piano divino.

Rendendosi presente ai due discepoli che conversano sui tragici eventi recentemente accaduti Gesù mantiene la sua parola di essere là dove due o tre sono radunati nel suo nome (Mt 18,20). La risposta di Cleopa attesta la risonanza che la crocifissione di Gesù ebbe a Gerusalemme e nei suoi dintorni. Nelle sue parole c'è la delusione per la mancata instaurazione di un regno messianico di natura terrena ("Noi speravamo che fosse lui a liberare Israele"; v. 21), sebbene le sue parole attestino la fede in Gesù come "profeta potente in opere e parole" (v. 19). 

Gli eventi accaduti al sepolcro e riportati dalle donne hanno suscitato la speranza nella risurrezione ma i discepoli, andati a verificare, non hanno visto Gesù (v 24). Riprendendo la loro incredulità Gesù si mostra come il perfetto esegeta, capace di dischiudere il senso profondo di tutte le Scritture alla luce dell'evento pasquale: il suo sacrificio diventa la chiave ermeneutica per comprendere gli eventi dell'Antico Testamento, la realtà ultima raffigurata dal culto levitico, la voce che parla nei Salmi, le profezie sul servo sofferente. 

I discepoli intanto giungono a destinazione e invitano "il forestiero" a condividere la cena con loro. Non si parla chiaramente della consacrazione eucaristica, ma il linguaggio utilizzato la richiama. Proprio quando Gesù spezza il pane sono resi capaci di riconoscerlo. Subito dopo Gesù scompare, ma da "tardi di cuore" (v. 25) i discepoli hanno adesso un cuore ardente (v. 32), pieno di fede. la gioia è tale che i due discepoli non restano a pernottare a Emmaus ma "partirono senz'indugio" (v. 33) per riferire agli Undici del loro incontro con Gesù risorto. Coloro ai quali Cristo si manifesta sono chiamati a confermare i propri fratelli. 

A Gerusalemme i due discepoli scoprono che Gesù è apparso lo stesso giorno a Simone e riferiscono ciò che è accaduto "lungo la via" e come avevano riconosciuto Gesù "nello spezzare del pane" (v. 35). La rivelazione del Risorto a Cleopa e al suo compagno di viaggio comprende due momenti, uno dinamico, mentre sono in cammino, e l'altro di riposo, mentre condividono il pasto; azione e contemplazione. 

Anche noi incontreremo Gesù se permetteremo alla sua parola di essere lampada per i nostri passi (Sal 118,105) e se condivideremo con lui il pane quotidiano dei nostri timori, delle nostre delusioni, delle nostre speranze. "Egli entrò per rimanere con loro" (v. 29). Allo stesso modo entrerà nella nostra esistenza per rimanere come fuoco che arde nel petto.

Preghiera

Raggiungici, Signore, nelle difficoltà della nostra vita, per illuminarci con la tua parola e confortarci con la tua presenza. Amen.

- Rev. Dr. Luca Vona


martedì 11 aprile 2023

Calinic di Cernica, padre dell'ortodossia rumena

Nel 1868 si spegne nel monastero di cui era stato a lungo igumeno Calinic di Cernica, vescovo di Rimnicul Valcea in Romania. Costantino Antonescu, questo il suo nome di battesimo, era nato a Bucarest nel 1787, e aveva ricevuto una notevole formazione accademica e spirituale nei migliori collegi della città. Destinato a una brillante carriera, Costantino all'età di vent'anni decise invece di ritirarsi nel monastero di Cernica, cui spesso aveva fatto visita fin da bambino.
Assunto il nome monastico di Calinic, egli si mostrò ben presto un uomo umile, amante della preghiera e dotato di una spiritualità integrale. Per questo fu incaricato di importanti missioni per la comunità, ebbe modo di conoscere i grandi monasteri moldavi dell'epoca, e fu nominato a soli 26 anni confessore e padre spirituale del proprio monastero, di cui divenne igumeno attorno ai trent'anni. Nei trentuno anni del suo igumenato il monastero di Cernica conobbe un tempo di straordinaria vitalità, nel quale Calinic guidò la sua comunità seguendo soprattutto gli insegnamenti di Basilio il Grande, che era il padre a lui più caro. Divenuto vescovo di Rimnicul Valcea nel 1850, Calinic si adoperò per risollevare una situazione ecclesiale decadente, riuscendo in pochi anni in un'impresa che pareva disperata. Rientrato a Cernica perché ormai si sentiva molto debole, egli visse nell'attesa dell'incontro definitivo con quel Signore che aveva costituito il centro di tutta la sua vita. Calinic è il santo più amato della Chiesa ortodossa romena.

Tracce di lettura

Non ho accumulato né oro né argento. Non ho voluto avere alcunché di superfluo: né abiti, né una qualsivoglia proprietà.
Non lascio nulla, né per la mia sepoltura, né per essere ricordato: così si vedrà che è in Dio che ho creduto.
Credo infatti che il non lasciare nulla da distribuire alla mia morte, piacerà a Dio più che se dopo che me ne fossi andato si distribuisse grazie a me elemosina su elemosina.
(Calinic di Cernica, Testamento spirituale)

- Dal Martirologio ecumenico della Comunità monastica di Bose

Calinic di Cernica (1787-1868)

Fermati 1 minuto. L'incontro che si fa annuncio

Lettura

Giovanni 20,11-18

11 Maria invece stava all'esterno vicino al sepolcro e piangeva. Mentre piangeva, si chinò verso il sepolcro 12 e vide due angeli in bianche vesti, seduti l'uno dalla parte del capo e l'altro dei piedi, dove era stato posto il corpo di Gesù. 13 Ed essi le dissero: «Donna, perché piangi?». Rispose loro: «Hanno portato via il mio Signore e non so dove lo hanno posto». 14 Detto questo, si voltò indietro e vide Gesù che stava lì in piedi; ma non sapeva che era Gesù. 15 Le disse Gesù: «Donna, perché piangi? Chi cerchi?». Essa, pensando che fosse il custode del giardino, gli disse: «Signore, se l'hai portato via tu, dimmi dove lo hai posto e io andrò a prenderlo». 16 Gesù le disse: «Maria!». Essa allora, voltatasi verso di lui, gli disse in ebraico: «Rabbunì!», che significa: Maestro! 17 Gesù le disse: «Non mi trattenere, perché non sono ancora salito al Padre; ma va' dai miei fratelli e di' loro: Io salgo al Padre mio e Padre vostro, Dio mio e Dio vostro». 18 Maria di Màgdala andò subito ad annunziare ai discepoli: «Ho visto il Signore» e anche ciò che le aveva detto.

Commento

Dopo aver constatato l'assenza del corpo di Gesù nella tomba i discepoli tornano a casa (Gv 20,10) ma Maria di Màgdala rimane lì a piangere il suo Maestro. Mentre piange si china verso il sepolcro, cercando con lo sguardo colui che le è stato strappato via dalla morte. Due angeli sono seduti uno dalla parte del capo l'altro dalla parte dei piedi, dove era stato posto il corpo di Gesù (v. 12), come i due cherubini scolpiti erano posti uno di fronte all'altro sull'Arca dell'alleanza (Es 25,18). Gesù è la nuova alleanza tra Dio e gli uomini, suggellata nel suo sacrificio sulla croce. 

I messaggeri di Dio chiedono a Maria Maddalena le ragioni della sua afflizione e mentre lei spiega che le è stato sottratto il corpo del suo Signore, questi appare in piedi alle sue spalle. Così in un primo momento Maria non vede Gesù ma sente la sua voce. Poi si volta ma non lo riconosce. Egli è vivo, ma lei "non sapeva che era Gesù" (v. 14). Anche gli apostoli sul lago di Tiberiade (Gv 21,1-6) e i due discepoli sulla strada di Emmaus (Lc 24,31-35) non riconoscono immediatamente Gesù risorto. 

Gli apostoli che pescano sulle rive del lago di Tiberiade riconoscono Gesù dalle sue opere, nel momento in cui gli dice di gettare le reti e queste si riempiono di pesci; i discepoli di Emmaus lo riconoscono mentre egli spezza il pane; Maria Maddalena lo riconosce quando viene da lui chiamata per nome. Gesù, d'altra parte, aveva affermato "Le mie pecore ascoltano la mia voce e io le conosco ed esse mi seguono" (Gv 10,27). 

Maria di Màgdala cerca Cristo e si scopre essa stessa cercata da Cristo, sotto l'umile aspetto di una persona qualsiasi (un giardiniere). Anche noi lo cerchiamo nei vuoti che non possono riempire le creature. Il Signore mantiene la sua parola "mi cercherete e mi troverete, perché mi cercherete con tutto il cuore" (Ger 29,13) e non solo si fa trovare ma viene a cercarci per primo. 

Maria vorrebbe trattenere Gesù per paura di perderlo un'altra volta, ma egli resterà solo per quaranta giorni, prima della sua ascensione (At 1,3-11). Quando se ne sarà andato manderà però il Consolatore, a insegnare ogni cosa e rammentare tutto ciò che egli ha detto (Gv 14,26). 

Per Giovanni la glorificazione di Gesù avviene con la sua risurrezione, ma si compie con il dono dello Spirito Santo e la sua ascensione. Gesù aveva chiamato i suoi discepoli "servi" e "amici" (Gv 15,15) ma qui li chiama "fratelli" e si riferisce a Dio come "Padre mio e Padre vostro" (v. 17) perché il sacrificio della croce ha creato una nuova relazione con loro e il dono dello Spirito li fa rinascere come figli di Dio. Gesù è figlio del Padre per generazione, noi lo diventiamo per adozione, in virtù della grazia che giustifica e santifica. 

Nella parole di Gesù, che definisce il Padre "Dio mio e Dio vostro" (v. 17) c'è la promessa della vita eterna: come egli è stato risuscitato anche noi abbiamo vinto la morte in lui. L'esempio di Maria Maddalena, apostola degli apostoli, dimostra che Gesù risorto si manifesta per costituire i suoi testimoni come annunciatori di salvezza. L'incontro con il Risorto non è un'esperienza destinata a rimanere privata, né una contemplazione infruttuosa ("non mi trattenere"; v. 17), ma come avverrà per Paolo sulla via di Damasco, rappresenta l'investitura di un mandato apostolico. Cristo cerca i nostri fratelli anche mediante la nostra testimonianza e il nostro annuncio.

Preghiera

Signore, tu ci cerchi chiamandoci per nome; le nostre orecchie riconoscano la tua voce, affinché possiamo essere consolati nelle nostre afflizioni diventando testimoni della tua salvezza. Amen.

- Rev. Dr. Luca Vona

domenica 9 aprile 2023

Il destino ultimo dell'uomo

COMMENTO ALLA LITURGIA DELLA DOMENICA DI PASQUA

Colletta

Dio Onnipotente, che attraverso il tuo Figlio unigenito Gesù Cristo hai vinto la morte, e hai aperto per noi la porta della vita eterna, ti chiediamo umilmente, così come la tua grazia speciale ci preserva, infondi nelle nostre menti buoni desideri, affinché mediante il tuo aiuto continuo possiamo portarli a buon effetto. Per lo stesso Gesù Cristo, nostro Signore, che vive e regna con te, e con lo Spirito Santo, sempre, unico Dio, per tutti i secoli dei secoli. Amen.

Letture

Col 3,1-3; Gv 20,1-9

Commento

Dopo la sepoltura di Gesù l'attenzione del Vangelo di Giovanni si sposta sul giorno che segue il sabato, quello che successivamente i cristiani eleggeranno come il giorno in cui fare memoria della risurrezione del Signore. Maria di Magdala si reca al mattino presto alla tomba, e fa una scoperta emozionante: la pietra che la chiudeva è ribaltata e sono rimasti solo i lini che avvolgevano il cadavere e il sudario che ne copriva il volto. Subito ne dà comunicazione a Pietro e al discepolo amato da Gesù, lo stesso evangelista Giovanni.

Maria di Magdala, una donna, colei alla quale molto è stato perdonato e per questo ha molto amato, è la prima annunciatrice del mistero della tomba vuota. Amata da Gesù con una particolare predilezione, la Maddalena diviene apostola degli apostoli. Lei che si reca alla tomba per cospargere di profumi il corpo del Signore, proprio come aveva fatto durante l'ultima cena, dimostrando che il suo amore va oltre la stessa morte.

Mentre Pietro e il discepolo che Gesù amava corrono verso la tomba il secondo arriva per primo. "L'amore di Cristo ci spinge" affermerà l'apostolo Paolo nella sua Seconda Lettera ai Corinti. Ma il discepolo che corre più veloce si ferma davanti alla tomba vuota, forse per la paura di una contaminazione rituale - i più grandi sentimenti non sempre sono accompagnati da una grande risoluzione. Pietro, invece, di cui i Vangeli rappresentano a più riprese il carattere impulsivo, non è preso da una simile esitazione. Due forme diverse di amore: Il secondo discepolo si affretta nella corsa, ma poi si arresta davanti alla tomba, dentro cui entrerà solo dopo aver superato le razionalizzazioni legalistiche. Pietro si affatica nella corsa, ma il suo sentimento impulsivo gli fa superare ogni timore di violare le "leggi prestabilite".

Si ha una certa tensione tra fede e incomprensione nel racconto che riguarda i due apostoli. Entrato nel sepolcro dopo di Pietro, il discepolo che Gesù amava "vide e credette": è posta una relazione diretta e consequenziale tra i due verbi. Tuttavia, riferisce il testo, i due discepoli "non avevano ancora compreso la Scrittura". Nelle successive apparizioni del Risorto, egli aprirà gli occhi dei discepoli alla piena comprensione del mistero racchiuso nell'Antico Testamento: solo l'esperienza diretta dell'incontro con Cristo rende capaci di accogliere un evento così oltre la portata della nostra ragione, come la vittoria sulla morte, ciò che più spaventa l'uomo e che attende implacabilmente ogni creatura. La tomba vuota e il lenzuolo ordinatamente ripiegato sono indizi sufficienti a Giovanni per credere. All'amore bastano piccoli segni per captare ciò che gli altri non colgono.

Gesù, il Messia promesso, ha voluto che la sua morte fosse pubblica, alla luce del sole, che si oscura davanti a lui; ma la sua risurrezione è riservata ai più intimi amici. Accostiamoci a lui, nella consapevolezza che oggi Gesù Cristo ha vinto la morte, il peccato, la tristezza; e ci ha aperto le porte della vita nuova, colma della pace e della gioia che lo Spirito Santo ci dona per grazia e che non ci sarà mai tolta. Risorgendo, Cristo svela il destino ultimo dell'uomo, la sua vocazione, la sua intima natura. Lasciandoci guidare dall'amore entreremo nel mistero dell'immensità divina.

- Rev. Dr. Luca Vona