Seminario di formazione per musicisti, educatori, insegnanti,
musicoterapisti
17 febbraio 2018
ore 10.00-14.00
Il
seminario è aperto a tutti coloro che sono interessati ad acquisire gli strumenti concettuali indispensabili per
comprendere il valore educativo della musica. Esso rappresenta un’occasione per
conoscere le potenzialità del linguaggio musicale e i benefici che un percorso
di educazione musicale può avere nella formazione globale della persona,
soprattutto nella prima infanzia. Il seminario consentirà, inoltre, di
acquisire consapevolezza circa le modalità di approccio alla musica che possono
essere messe in atto da ogni partecipante nel proprio ambito di azione
professionale, come quello della scuola, o entro il contesto familiare, per
migliorare il dialogo, la comunicazione e l’interazione con il bambino.
Obiettivi
- conoscere le principali teorie sull’apprendimento musicale
- acquisire le conoscenze di base per lo svolgimento di
attività musicali a scuola o in altre realtà educative
- conoscere le possibilità applicative della musica come
“linguaggio” e strumento di comunicazione con il bambino
Destinatari
Il laboratorio è destinato a musicisti, insegnanti,
musicoterapisti, educatori, animatori e a coloro che desiderino approfondire
gli aspetti educativi connessi alla pratica e all’ascolto della musica.
A conclusione del seminario, sarà rilasciato a ogni
partecipante un attestato di frequenza a firma del docente.
Sede
Le attività avranno luogo presso la sede dell’Associazione
Chiesa Anglicana, in Via delle Betulle n. 63, Roma.
Costi
Quota associativa e
iscrizione al seminario: € 35, da versare in loco.
Docente
Giovanna Carugno
Plurilaureata presso il Conservatorio Licinio Refice di
Frosinone (Pianoforte, Clavicembalo, Musica Antica, Musica da Camera), si è
perfezionata in Educazione musicale presso l’Università di Padova e in
Musicoterapia presso l’Università Roma Tre, nonché in Metodologia della Ricerca
Scientifica per l’Insegnamento musicale presso l’Accademia Filarmonica di
Bologna. Già docente del Master di Artiterapie presso l’Università Roma Tre, è Professore
di Discipline dello Spettacolo presso l’Università di Parma e Visiting
Professor presso la Tbilisi State University e il Conservatorio di Tbilisi.
Oltre a svolgere intensa attività concertistica, ha al suo attivo numerose
pubblicazioni in ambito musicale e partecipa regolarmente come relatore a
conferenze e simposi di rilievo internazionale.
O Dio,
che sai che ci troviamo in mezzo a molti e grandi pericoli e che per la
fragilità della nostra natura umana non possiamo neanche reggerci in piedi;
concedici forza e protezione, per trovare supporto in ogni avversità e superare
ogni tentazione. Amen.
Letture:
Rm 13,1-7; Mt 8,1-17
Prosegue nel ciclo liturgico anglicano la serie
delle domeniche denominate “dopo l’Epifania”. Alcune chiese occidentali, tra
cui quella cattolica romana, introducendo alcune modifiche nella seconda metà
del ventesimo secolo, hanno ridefinito questo periodo “Tempo ordinario”,
cambiando anche il lezionario; per tale motivo le letture della liturgia non
coincidono più tra loro tra le diverse chiese occidentali. Troviamo, però, un
certo “sentire comune”. Nelle scorse quattro settimane abbiamo ascoltato le
letture sulle quattro grandi manifestazioni di Gesù come Dio e Redentore
dell’umanità: la nascita a Betlemme, l’adorazione da parte dei Magi, il
battesimo al Giordano, la trasformazione dell’acqua in vino alle nozze di Cana.
Con la lettura di oggi entriamo in una dimensione un po’ più “quotidiana” e
“ordinaria”, dentro la quale irrompe la straordinarietà del Figlio di Dio, con
la sua predicazione e con diversi miracoli di guarigione e liberazione. Si
tratta di parole e gesti spesso sovversivi nei confronti di alcune prassi della
religiosità giudaica; a cominciare proprio dai due miracoli narrati nel Vangelo
di oggi: la guarigione del lebbroso e la guarigione, a distanza, del servo del
centurione.
Le due narrazioni si collocano subito dopo il
lungo discorso sul monte, ai capitoli 6 e 7 del Vangelo di Matteo; discorso che
dovrebbe costituire lo regola di vita di ogni cristiano. E sottolineo di ogni
cristiano, non dei preti, dei consacrati o dei monaci, ma di ogni cristiano che
voglia vivere seriamente la propria fede nella vita di ogni giorno. Quanto poi
sia possibile mettere in pratica, con le sole proprie forze, quella regola di
vita, è un altro discorso, che merita un approfondimento a sé. Dopo questo
lungo sermone, dunque, Gesù scende dalla montagna e comincia subito a mettere
in pratica quanto ha predicato. La prima persona in cui si imbatte è un
lebbroso; la religiosità giudaica, attenendosi al libro del Levitico, considerava
i lebbrosi impuri, e impuro diventava chiunque avesse avuto un contatto fisico
con loro. Quest’uomo vive, dunque, non solo uno stato di profonda sofferenza
fisica, ma anche morale, determinata dalla solitudine e dall’emarginazione, che
spesso anche oggi caratterizzano lo status
del malato. Ma il lebbroso è convinto che Gesù possa guarirlo. La sua fede
rappresenta la risposta dell’uomo sofferente alla predicazione di Gesù. La
fede, spesso definita un “dono”, che il Signore elargirebbe capricciosamente a
chi più a chi meno e a chi niente, diventa invece qui la risposta attiva
dell’uomo alla Parola di Dio. Il dono è la parola di Dio. La fede è ciò con cui
siamo chiamati a rispondere a questo dono. Gesù, di fronte alla fede del
lebbroso, che lo riconosce come Signore, adorandolo, e afferma “se vuoi, tu
puoi mondarmi” contravviene apertamente alle regole della propria religione; davanti
alle “grandi folle” che lo hanno seguito, “distesa la mano” (in segno di
benedizione) “lo toccò”. E in quell’istante egli fu guarito. Ecco un’altra
Epifania della potenza di Dio, nel quotidiano, nel tempo “ordinario”; Gesù
viene riconosciuto come Signore e ci manifesta la natura profonda di Dio: un
Dio che non ha timore di toccare con mano la nostra miseria, ma che la
raggiunge e la sana con la sua benedizione, con la sua grazia. Così dovremmo agire
anche noi con gli altri uomini, senza paura di “sporcarci le mani” per
annunciare il Vangelo. Non siamo chiamati a formare “combriccole” di bigotti,
ma a raggiungere e lasciarci raggiungere da ogni essere che condivide la nostra
natura umana, ferita dal peccato e da mille infermità.
La conferma arriva anche dall’episodio
immediatamente successivo, dove un centurione romano, considerato dai giudei un
impuro perché pagano, e un nemico perché rappresentante del potere politico e
militare che opprimeva la loro nazione, si presenta a Gesù per chiedere la
guarigione di un servo che “giace in casa paralizzato e soffre grandemente”. La
risposta di Gesù è ancora una volta sovversiva: “Io verrò e lo guarirò”. Gesù
propone di andare a casa stessa del centurione, una azione “scandalosa”, perché
contravveniva alle norme religiose che prevedevano il divieto di entrare in
casa di un pagano, per di più nemico della nazione. Ma non poteva agire
diversamente colui che aveva appena predicato l’amore per i propri nemici e che
aveva detto: “Qual è l'uomo tra di voi, il quale, se il figlio gli chiede un
pane, gli dia una pietra? Oppure se gli chiede un pesce, gli dia un serpente? Se
dunque voi, che siete malvagi, sapete dare buoni doni ai vostri figli, quanto
più il Padre vostro, che è nei cieli, darà cose buone a quelli che gliele
domandano!” (Mt 7,9-11). Un altro raggio della rivelazione evangelica squarcia
le nubi del timore per l’impurità rituale, manifestando il mistero della
paternità universale di Dio; questa, si allarga oltre i confini del popolo
eletto, all’intero genere umano, immerso, come ci ricorda la colletta di oggi,
“in molti e grandi pericoli”, alla ricerca di “forza, protezione e supporto in
ogni avversità e tentazione”.
Il centurione è pienamente consapevole di questo
stato di miseria e fragilità che caratterizza la condizione umana, e lo attesta
con le parole che ripetiamo ogni volta prima della comunione eucaristica
“Signore, io non son degno che tu entri sotto il mio tetto”. E la sua risposta
di fede nei confronti della Parola di Dio è altrettanto grande: “di’ soltanto
una parola, e il mio servo sarà guarito”. E così avverrà.
È la Parola di Dio che guarisce, quella parola che
la Lettera agli Ebrei (Eb 4,12) definisce “vivente ed efficace, più affilata di
qualunque spada a due tagli”, capace di penetrare “fino alla divisione
dell'anima e dello spirito, delle giunture e delle midolla”; quella parola con
cui Dio ha creato il mondo e guidato il suo popolo attraverso il deserto e
nella terra dell’esilio.
Dopo secoli in cui il popolo è stato tenuto
lontano dalla Bibbia, anche oggi, che disponiamo di eccellenti traduzioni in
ogni lingua, l’analfabetismo biblico è fortemente diffuso. Manca, persino tra i
protestanti a volte, l’abitudine a confrontari abitualmente con la Parola di
Dio, ad ascoltare cosa il Signore ha da dirci riguardo i nostri problemi, le
nostre paure, i nostri dubbi. Altre volte manca una risposta di fede forte alla
Parola, la fiducia nella sua efficacia, nella sua capacità di trasformare
realmente la nostra vita.
Impegnamoci a riscoprire la lettura delle Sacre
Scritture; non lasciamo la Bibbia a raccogliere polvere in uno scaffale.
Ascoltiamola, meditiamola, confrontiamoci con essa nelle cose ordinarie e
straordinarie di ogni giorno. La nostra vita personale, ma anche quella
collettiva, gli avvenimenti politici, la sottomissione all’autorità, cui ci
chiama San Paolo nella lettura di oggi, invitandoci a essere buoni cittadini,
devono avvenire mediante l’esercizio di un senso critico, alla luce della
Parola di Dio. Allora potranno essere sanate le nostre ferite, individuali e
collettive. Dice infatti il Signore, per bocca del profeta Isaia (Is 55,10-11):
“Come la pioggia e la neve scendono dal cielo e non vi ritornano senza avere
annaffiato la terra, senza averla fecondata e fatta germogliare, in modo da
dare il seme al seminatore e pane da mangiare, così sarà la mia parola, uscita
dalla mia bocca: essa non ritornerà a me a vuoto, senza avere compiuto ciò che
desidero e realizzato pienamente ciò per cui l'ho mandata”. E così sia.
Commento alla liturgia della II domenica dopo l'Epifania
Colletta
Dio Onnipotente
ed eterno, che governi tutte le cose nel Cielo e sulla terra; ascolta
misericordioso le suppliche del tuo popolo, e concedi la pace ai nostri giorni;
per Gesù Cristo nostro Signore. Amen.
Letture
Rm 12,6-16; Mc 1,1-11
Cari amici, oggi vorrei riflettere sulla bellezza
del lezionario anglicano tradizionale, come appare nel Book of Common Prayer del 1928, utilizzato dalla nostra chiesa.
Questo lezionario riprende il medesimo del Prayer
Book del 1662, che rappresenta la sintesi matura della liturgia anglicana.
È un lezionario il cui ciclo di letture si svolge in un solo anno, come era
quello della Chiesa Cattolica prima del Concilio Vaticano II, quando il lezionario
annuale è stato sostituito da quello compsoto da un ciclo di letture suddiviso
in tre anni. Il lezionario annuale è stato utilizzato dalle chiese occidentali
per circa dieci secoli, ed è stato mantenuto anche dopo la Riforma protestante.
È infatti ancora utilizzato da molte chiese luterane. Il suo vantaggio è quello
di essere composto da due sole letture per ogni domenica (anziché tre più un
salmo), consentendo di dare maggiore spazio alla predicazione. Inoltre, la
ripetizione dell’intero ciclo di letture durante un solo anno, consente di
approfondire e assimilare meglio la loro meditazione, senza che trascorra un
tempo eccessivamente lungo prima di ritornare sulla stessa lettura.
Anche la
collocazione delle letture nei diversi momenti dell’anno liturgico rispetta, in
questo lezionario, una tradizione molto antica. In queste settimane, dette
“dopo l’Epifania”, che ci separano dalla domenica di Septuagesima, la quale segnerà
l’inizio di un periodo pre-quaresimale, troviamo tre importanti episodi
evangelici, che rappresentano fin dall’antichità, i tre momenti più importanti
della manifestazione – “epifania”, appunto – del Signore all’umanità, al di
fuori dei confini di Israele, ovvero al di fuori dei confini del “popolo
eletto”. Il primo episodio è quello narrato nel Vangelo per la messa del 6
gennaio, ovvero l’arrivo dei magi a Betlemme. I magi erano appunto sacerdoti e
maghi giunti dall’Oriente, i quali scrutando il cielo avevano individuato la
nascita del Figlio di Dio, che si recarono ad adorare. Rappresentano i popoli
non israelitici, le altre religioni, che riconoscono - o riconosceranno - in
Gesù il Salvatore. Fin dai primi secoli cristiani però l’Epifania è stata
associata a due altri importanti eventi, narrati, rispettivamente, nel vangelo
di questa domenica e in quello che leggeremo domenica prossima. Questa domenica
il primo capitolo del Vangelo di Marco ci offre il racconto del battesimo di
Gesù al Giordano, da parte di Giovanni il Battista. Domenica prossima troveremo
invece il racconto del miracolo alle Nozze di Cana, dove Gesù trasforma l’acqua
in vino, manifestando la sua potenza mediante il suo primo “miracolo pubblico”.
Entrambi gli episodi sono una manifestazione della sua divinità. Al Giordano,
infatti, dove egli si sottopone al battesimo penitenziale di Giovanni - non
perché avesse peccato, ma per discendere nelle acque e santificarle - i cieli
si aprono e la voce del Padre risuona per attestare, anche mediante lo Spirito
che appare in forma di colomba, che Gesù è il Cristo, il Figlio prediletto, in
cui Dio si è compiaciuto. Abbiamo qui non solo una rivelazione della divinità
di Gesù, ma al contempo la manifestazione di Dio come Trinità, mistero alla cui
vita siamo chiamati a partecipare.
Se il battesimo di Giovanni, infatti,
rappresentava un rito sostanzialmente peniteziale, che serviva a rimettere i
peccati e a segnare una tappa importante di conversione a Dio in vista della nuova
èra messianica, il battesimo cristiano ha una natura diversa e rappresenta una
tappa più radicale: in esso veniamo incorporati a Cristo e riceviamo al contempo
il dono dello Spirito che ci consente di chiamare Dio “Padre”. Da qui
l’indissolubilità dei riti di iniziazione cristiana – battesimo, crismazione ed
eucaristia-, che nell’antichità – e ancora oggi nelle chiese orientali –
vengono amministrati insieme e considerati in stretta complemetarità. Questa
prassi risale alla tradizione evangelica attestata da Gv 3, al dialogo in cui
Gesù spiega al dotto israelita Nicodemo che è necessario “rinascere dall’alto”
per vedere il Regno di Dio, è necessario “nascere da acqua e dallo Spirito”. La
crismazione rappresenta proprio il sigillo dello Spirito. È inimmaginabile,
infatti, l’incorporazione al Figlio, senza il dono dello Spirito che il Padre
riversa su di lui e che il Figlio restituisce al Padre, nella circolarità dell’amore
divino. Al tempo stesso, una iniziazione cristiana senza eucaristia sarebbe
incompleta. Perché lo Spirito è Colui che ci consente di riconoscerci membra di
uno stesso corpo, nei diversi carismi che ci sono stati donati. È ciò che
afferma l’apostolo Paolo nel capitolo 12 della lettera ai Romani che abbiamo
letto oggi, ma anche nel capitolo 12 della prima lettera ai Corinzi che il
lezionario propone per il Mattutino di questa stessa domenica. L’eucaristia
realizza la comunione con il corpo di Cristo, che si manifesta nella stessa
Chiesa, e ci consente di partecipare del dono dello Spirito con tutte le altre
membra, di riceverlo e comunicarlo nella fede. In tal modo l’iniziazione
cristiana – il battesimo, la crismazione, l’eucaristia – non sono mai fatti privati,
che riguardano il singolo credente e la sua stretta cerchia di famigliari, che prendono
parte al rito. Sono il mistero unico e tripartito, attraverso il quale la Chiesa
ci è rivelata come realtà soprannaturale - molto di più della semplice somma dei
credenti -, Corpo mistico di Cristo, edificata con pietre vive e vivificata dallo
Spirito.
Nel cristianesimo non c’è spazio per una fede vissuta in maniera
puramente individualistica, seguendo la Messa in televisione o meditando in
privato qualche pagina della Bibbia. La fede autentica ci trasforma nella
nostra relazione con Dio e con il prossimo, perché attraverso di essa il
Signore ci rende causa efficiente ed efficace nell’edificazione del suo Regno,
per concedere all’umanità giorni di pace autentica, la sua pace, non la pace
come la dà il mondo, ma come soltanto lo Spirito di Dio può donare. Allora ogni
uomo riacquisterà dignità e l’umanità si scoprirà come qualcosa di più della
somma aritmetica dei singoli individui.