Il Rev. Dr. Luca Vona
Un evangelico nel Deserto

Ministro della Christian Universalist Association

mercoledì 30 novembre 2022

Andrea apostolo. Il primo dei chiamati

Oggi le chiese d'oriente e d'occidente ricordano Andrea, apostolo del Signore. Figlio di Giona e fratello di Simon Pietro, Andrea era originario di Betsaida ed esercitava il mestiere di pescatore. Discepolo del Battista, egli comprese in profondità la testimonianza resa da Giovanni a Gesù di Nazaret e si mise subito alla sequela dell'Agnello di Dio. Andrea fu il «primo chiamato», e si prodigò per portare a Gesù quanti attendevano il Messia. Secondo la tradizione, dopo la morte e resurrezione di Gesù egli annunciò il vangelo in Siria, in Asia Minore e in Grecia. Divenuto pescatore di uomini attraverso l'annuncio della stoltezza della croce, Andrea morì a Patrasso, crocifisso come il suo Maestro. Nel IV secolo, le sue reliquie furono trasferite a Costantinopoli. Finite poi in occidente, esse sono state restituite alla chiesa di Patrasso da papa Paolo VI nel 1974, in segno d'amore verso l'ortodossia, che venera in Andrea il primo arcivescovo della chiesa di Costantinopoli.

ANDREA APOSTOLO, dipinto su tela copia di affresco bizantino
(Andrea apostolo, 6-60 d.C.)

Andrea, dopo essere rimasto con Gesù e aver imparato tutto ciò che Gesù gli aveva insegnato, non tenne chiuso per sé il tesoro, ma si affrettò a correre da suo fratello per comunicargli la ricchezza che aveva ricevuto. Ascolta bene cosa gli disse: «Abbiamo trovato il Messia, che significa Cristo». Questa è la parola di un'anima che con grande ansietà prepara la venuta di lui e attende la sua discesa dai cielo, ed è piena di gioia sovrabbondante quando l'Atteso si è manifestato, e si affretta ad annunziare agli altri la grande novità. L'aiutarsi reciprocamente nella vita spirituale è proprio segno di benevolenza, di amore fraterno, di sincerità d'animo. Guarda anche Pietro: Andrea «lo condusse da Gesù», affidandolo a lui perché imparasse tutto da lui direttamente.
(Giovanni Crisostomo, Omelie sul Vangelo di Giovanni 19,1)


- Dal Martirologio ecumenico della Comunità monastica di Bose

1 Minute Gospel. Set sail

Reading

Matthew 4:18-22

18 As Jesus was walking beside the Sea of Galilee, he saw two brothers, Simon called Peter and his brother Andrew. They were casting a net into the lake, for they were fishermen. 19 “Come, follow me,” Jesus said, “and I will send you out to fish for people.” 20 At once they left their nets and followed him.
21 Going on from there, he saw two other brothers, James son of Zebedee and his brother John. They were in a boat with their father Zebedee, preparing their nets. Jesus called them, 22 and immediately they left the boat and their father and followed him.

Comment

Andrew, as reported in the Gospel of John (Jn 1:40-41), had already met Jesus during the preaching of John the Baptist, recognizing him as the Lamb of God and promptly announcing to his brother Peter that he had found the Messiah awaited by Israel. After having followed Christ as ordinary disciples, the two brothers are now called to serve the cause of the gospel with greater radicality.

Unlike the disciples of Jewish masters who choose their master, it is Jesus who chooses those he wants to follow him. There is a mysterious strength and authority in him if this simple invitation to follow him is enough to obtain a prompt response from the disciples and the immediate renunciation of everything.

The instruments Jesus chooses to establish his kingdom are humble and considered of little worth by the world. Even the way in which he wishes to establish his kingdom is humble: he could have set up a school of theology, and certainly numerous students would have gone to him; he could have raised an army to fight Israel's oppressors; but he chooses common men, to establish the kingdom by preaching.

Thus he chooses his apostles not among the learned of the Sanhedrin, but among the fishermen on the shores of the lake of Gennesaret (which the Jews called the "Sea of ​​Galilee"). At the moment of their call, these men leave everything: family, work, and companions; a radically new life begins for them. Yet they will not go "empty-handed"; Jesus will promise them: «everyone who has left houses or brothers or sisters or father or mother or wife or children or fields for my sake will receive a hundred times as much and will inherit eternal life» (Mt 19:29).

There is a certain continuity between what the apostles are before their call and their function in the service of Jesus: they were fishers of fish, and now they will be fishers of men. Following Christ does not mortify our nature, our talents, or what distinguishes our personality. He rather enhances all these aspects bringing them to full maturity.

Jesus calls us to keep nothing for ourselves, to sacrifice everything to his grace, to find that freedom that alone can allow us to "set sail" and to cast the net of his love upon humanity, gathering it together in his presence.

Prayer

Give us a generous heart, o Lord, to follow you without hesitation and work for the glory of your name and at the service of our neighbor. Amen.

- Rev. Dr. Luca Vona



Fermati 1 minuto. Prendere il largo

Lettura

Matteo 4,18-22

18 Mentre camminava lungo il mare di Galilea vide due fratelli, Simone, chiamato Pietro, e Andrea suo fratello, che gettavano la rete in mare, poiché erano pescatori.
19 E disse loro: «Seguitemi, vi farò pescatori di uomini». 20 Ed essi subito, lasciate le reti, lo seguirono. 21 Andando oltre, vide altri due fratelli, Giacomo di Zebedèo e Giovanni suo fratello, che nella barca insieme con Zebedèo, loro padre, riassettavano le reti; e li chiamò. 22 Ed essi subito, lasciata la barca e il padre, lo seguirono.

Commento

Andrea, come riporta il Vangelo di Giovanni (Gv 1,40-41), aveva già incontrato Gesù durante la predicazione di Giovanni Battista, riconoscendo in lui l'Agnello di Dio e annunciando prontamente a suo fratello Pietro di avere trovato il Messia atteso da Israele. Dopo aver seguito Cristo come discepoli ordinari i due fratelli sono ora chiamati a servire la causa del vangelo con  maggiore radicalità.

A differenza dei discepoli dei maestri ebrei che scelgono il loro maestro è Gesù che sceglie quelli che vuole che lo seguano. C'è una forza e un'autorità misteriosa in lui se basta questo semplice invito a seguirlo per ottenere da parte dei discepoli una risposta pronta e l'altrettanto immediata rinuncia a tutto.

Gli strumenti che Gesù sceglie per stabilire il suo regno sono umili e considerati di poco conto dal mondo. Anche la modalità con cui desidera instaurare il suo regno è umile: avrebbe potuto costituire una scuola di teologia, e senz'altro sarebbero andati da lui allievi numerosi; avrebbe potuto formare un esercito per combattere gli oppressori di Israele; invece sceglie uomini comuni, per stabilire il regno mediante la predicazione. 

Così sceglie i suoi apostoli non tra i dotti del sinedrio, ma tra i pescatori sulle rive del lago di Gennesaret (che gli ebrei chiamavano "mare di Galilea"). Al momento della loro chiamata questi uomini lasciano tutto: la  famiglia, il  lavoro, i compagni; comincia per loro una vita radicalmente nuova. Eppure non resteranno "a  mani vuote"; Gesù prometterà loro: "Chiunque avrà lasciato case, o fratelli, o sorelle, o padre, o madre, o figli, o campi per il mio nome, riceverà cento volte tanto e avrà in eredità la vita eterna" (Mt 19,29). 

Vi è poi una certa continuità tra quello che gli apostoli sono prima della loro chiamata e la loro funzione al servizio di Gesù: erano pescatori di pesci, ora saranno pescatori di uomini. La sequela di Cristo non mortifica la nostra natura, le nostre doti, quel che contraddistingue la nostra personalità. Piuttosto valorizza tutti questi aspetti portandoli a piena maturazione.

Gesù ci chiama a non tenere nulla per noi stessi, a tutto sacrificare alla sua grazia, per trovare quella libertà che sola può consentirci di "prendere il largo" e di gettare la rete del suo amore sull'umanità, radunandola alla sua presenza.

Preghiera

Donaci un cuore generoso, Signore, per seguirti senza esitazioni e lavorare per la gloria del tuo nome e al servizio del nostro prossimo. Amen.

- Rev. Dr. Luca Vona

martedì 29 novembre 2022

1 Minute Gospel. The learned ignorance of the Christian

Reading

Luke 10:21-24

21 At that time Jesus, full of joy through the Holy Spirit, said, “I praise you, Father, Lord of heaven and earth, because you have hidden these things from the wise and learned, and revealed them to little children. Yes, Father, for this is what you were pleased to do.
22 “All things have been committed to me by my Father. No one knows who the Son is except the Father, and no one knows who the Father is except the Son and those to whom the Son chooses to reveal him.”
23 Then he turned to his disciples and said privately, “Blessed are the eyes that see what you see. 24 For I tell you that many prophets and kings wanted to see what you see but did not see it, and to hear what you hear but did not hear it.”

Comment

Jesus' prayer introduces us to a purely Trinitarian dimension. He praises the Father, with joy inspired by the Holy Spirit. The reason for this joy is the Father's love for "the little ones", to whom he was pleased to reveal "these things".

What are these things? It is the same mystery of the Trinity: of the Son who can be known only through the Father and of the Father who can only be known through the Son. It is a celestial bliss already anticipated on this earth, through faith, which brings us closer to the intimate nature of God as none of the ancient prophets was given the opportunity.

Blessed are those who discover that they are children incorporated by the Holy Spirit in the Son of God and who understand that they are loved by a Father of infinite mercy. Blessed are those who know the Father by contemplating and listening to the Son, who speaks to us through the scriptures and through the Spirit. Blessed are those who do not consider themselves full of the doctrine and wisdom of this world, but whose highest wisdom, as Paul affirms, resides in the knowledge of Jesus Christ and of him crucified (1 Cor 2:4). Because it is in the mystery of the cross that God's descent among the humblest and most despised things is revealed to us, to redeem them in the light of the resurrection.

Prayer

O Lord, grant us to welcome you with the simplicity of heart; to be introduced into your mystery of salvation, and to grow continuously in your love. Amen.

- Rev. Dr. Luca Vona

Fermati 1 minuto. La dotta ignoranza del cristiano

Lettura

Luca 10,21-24

21 In quello stesso istante Gesù esultò nello Spirito Santo e disse: «Io ti rendo lode, Padre, Signore del cielo e della terra, che hai nascosto queste cose ai dotti e ai sapienti e le hai rivelate ai piccoli. Sì, Padre, perché così a te è piaciuto. 22 Ogni cosa mi è stata affidata dal Padre mio e nessuno sa chi è il Figlio se non il Padre, né chi è il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio lo voglia rivelare».
23 E volgendosi ai discepoli, in disparte, disse: «Beati gli occhi che vedono ciò che voi vedete. 24 Vi dico che molti profeti e re hanno desiderato vedere ciò che voi vedete, ma non lo videro, e udire ciò che voi udite, ma non l'udirono».

Commento

La preghiera con cui Gesù ringrazia il Padre e proclama la beatitudine dei discepoli ci introduce in una dimensione prettamente trinitaria. Egli rende lode al Padre con una gioia ispirata dallo Spirito Santo. La ragione di questa gioia è l'amore del Padre per "i piccoli", ai quali egli si è compiaciuto di rivelare "queste cose". 

Di quali cose si tratta? Si tratta dello stesso mistero della Trinità: del Figlio che può essere conosciuto solo per mezzo del Padre e del del Padre che può essere conosciuto solo per mezzo del Figlio. Si tratta di una beatitudine celeste già anticipata su questa terra, mediante la fede, che ci avvicina alla natura intima di Dio come a nessuno degli antichi profeti fu data l'opportunità. 

Beati coloro che si scoprono figli incorporati dallo Spirito Santo nel Figlio di Dio e che si comprendono amati da un Padre di infinita misericordia. Beati coloro che conoscono il Padre contemplando e ascoltando il Figlio, che ci parla attraverso le Scritture e per mezzo dello Spirito. Beati coloro che non si considerano pieni della dottrina e della sapienza di questo mondo, ma la cui sapienza più alta, come afferma Paolo, risiede nella conoscenza di Gesù Cristo e di questi crocifisso (1 Cor 2,4). Perché è nel mistero della croce che ci è rivelata la discesa di Dio tra ciò che è più umile e disprezzato, affinché possa essere redento nella luce della risurrezione.

Preghiera

Signore, concedici di accoglierti con semplicità di cuore; per essere introdotti nel tuo mistero di salvezza e crescere continuamente nel tuo amore. Amen.

- Rev. Dr. Luca Vona

lunedì 28 novembre 2022

1 Minute Gospel. At the center of charity

Reading

Matthew 8:5-11

5 When Jesus had entered Capernaum, a centurion came to him, asking for help. 6 “Lord,” he said, “my servant lies at home paralyzed, suffering terribly.”
7 Jesus said to him, “Shall I come and heal him?”
8 The centurion replied, “Lord, I do not deserve to have you come under my roof. But just say the word, and my servant will be healed. 9 For I myself am a man under authority, with soldiers under me. I tell this one, ‘Go,’ and he goes; and that one, ‘Come,’ and he comes. I say to my servant, ‘Do this,’ and he does it.”
10 When Jesus heard this, he was amazed and said to those following him, “Truly I tell you, I have not found anyone in Israel with such great faith. 11 I say to you that many will come from the east and the west, and will take their places at the feast with Abraham, Isaac and Jacob in the kingdom of heaven.

Comment

The universalist message of Matthew's Gospel shows that Christ's mercy is without barriers, because he does not look at the social background, language or nation, but only at the heart of man and his faith.

At the time of Jesus, Capernaum was a town located on the north-western shore of the Lake of Gennesaret, prosperous and of a certain importance, being close to the great road traveled by caravans from Syria.

The centurion was a ranked soldier in the Roman army, commanding a centuria (one hundred men), not necessarily Roman, in the service of Herod Antipas. The pagan origin of the protagonist of this evangelical story is attested by his proclaiming himself not worthy for Jesus to enter under his roof: according to Jewish tradition, if a Jew entered the house of a pagan he was to be considered ceremonially impure. The centurion wants to avoid this inconvenience for Jesus, but he is also an example of humility: in fact, he does not say to Jesus "My servant is not worthy that you come under my roof" but "I am not worthy".

Accustomed to command and aware of the authority of an order, the simple word of Christ is enough for the centurion. His faith - which makes him the son of Abraham, father of believers - becomes exemplary and Jesus recognizes its greatness, above that of the Israelites.

If the world separates man from man like the spokes of a wheel, love is the center in which the charity that cancels all distinctions converges: here the centurion, his servant and the saving word of Christ meet.

Prayer

May the meeting with you, o Lord, be a source of salvation for us and for those who recommend themselves to our prayers; that through humility and faith we may sit at the table where your grace is dispensed. Amen.

- Rev. Dr. Luca Vona

Paisij Veličkovskij, la preghiera esicasta e lo studio dei Padri

Le chiese ortodosse ricordano oggi lo starec Paisij Veličkovskij, maestro di intere generazioni di monaci. Paisij nacque nel 1722 a Poltava, in Ucraina. Desideroso di una profonda vita spirituale, egli entrò nell'Accademia teologica di Kiev. Deluso dai sistemi troppo ispirati alla teologia delle scuole occidentali e poco radicati nella tradizione patristica, egli partì alla volta dell'Athos, dove giunse all'età di 24 anni. Uomo di grande dolcezza, amante della sapienza e capace di utilizzare i moderni metodi scientifici per esplorare il pensiero dei padri, Paisij trovò presto riunita attorno a sé una folta schiera di monaci romeni e slavi. Cominciò allora a organizzare comunità cenobitiche, che strutturava attorno al duplice polo della preghiera di Gesù, da lui appresa al Monte Athos, e dello studio dei padri. Grazie a Paisij e ai suoi compagni furono tradotte per la prima volta in lingua romena e slava moltissime opere patristiche. È a lui che si deve l'edizione in slavone della Filocalia, cioè dell'antologia composta da Nicodemo Aghiorita di testi dei padri orientali sulla preghiera del cuore. Per il suo discernimento e l'enorme numero di discepoli di diverse nazionalità che aveva accolto e saputo riconciliare attorno a sé, Paisij esercitò un profondo influsso sulla vita spirituale di generazioni di cristiani e di monaci. Paisij morì il 15 novembre del 1793 nel monastero romeno di Neamţ, di cui nel 1779 era divenuto starec.

Tracce di lettura

Così si edifica la vita comunitaria dei cenobi: per prima cosa, figli miei occorre che chi presiede sia molto versato in tutte le divine Scritture, in pieno possesso del dono di un vero e retto discernimento, capace di istruire e di guidare i suoi discepoli secondo la potenza delle sante Scritttire. Abbia amore vero e sincero per tutti. Sia mite e molto umile, molto paziente. Sia assolutamente libero dalla collera. In secondo luogo, i discepoli siano nelle sue mani come utensili nelle mani dell'artista, come argilla nelle mani del vasaio, come la pecora nelle mani del pastore. Non posseggano beni particolari, nulla di nulla, nemmeno un ago. Non confidino in se stessi a proposito di nulla, ma solo nel loro padre spirititale.
(P.Veličkovskij, Lettere)

La vera obbedienza consiste in questo: nel non pensare che si servono gli uomini, bensì il Signore. Dall'obbedienza nasce l'umiltà e l'umiltà è il fondamento di tutti i comandamenti, così come l'amore ne è la sommità. Perciò sforzatevi, nei limiti delle vostre possibilità, di compiere tutti i comandamenti del Signore. Umiliatevi l'uno davanti all'altro; preferite l'altro a voi stessi e abbiate amore secondo Dio tra di voi. Allora ci sarà in voi un'unica anima e un unico cuore nella grazia di Cristo.
(P. Veličkovskij, Istruzioni ai monaci)

- Dal Martirologio ecumenico della Comunità monastica di Bose

Fermati 1 minuto. Al centro della carità

Lettura

Matteo 8,5-11

5 Entrato in Cafarnao, gli venne incontro un centurione che lo scongiurava: 6 «Signore, il mio servo giace in casa paralizzato e soffre terribilmente». 7 Gesù gli rispose: «Io verrò e lo curerò». 8 Ma il centurione riprese: «Signore, io non son degno che tu entri sotto il mio tetto, di' soltanto una parola e il mio servo sarà guarito. 9 Perché anch'io, che sono un subalterno, ho soldati sotto di me e dico a uno: Va', ed egli va; e a un altro: Vieni, ed egli viene; e al mio servo: Fa' questo, ed egli lo fa».
10 All'udire ciò, Gesù ne fu ammirato e disse a quelli che lo seguivano: «In verità vi dico, presso nessuno in Israele ho trovato una fede così grande. 11 Ora vi dico che molti verranno dall'oriente e dall'occidente e siederanno a mensa con Abramo, Isacco e Giacobbe nel regno dei cieli»

Commento

Il messaggio universalista del Vangelo di Matteo mostra che la misericordia di Cristo è senza barriere, perché egli non guarda all'estrazione sociale, alla lingua o alla nazione, ma soltanto al cuore dell'uomo e alla sua fede.

Ai tempi di Gesù, Cafarnao era una cittadina posta sulla riva nord-occidentale del lago di Gennesaret, prosperosa e di una certa importanza, trovandosi vicina alla grande strada percorsa dalle carovane provenienti dalla Siria.

Il centurione era un soldato di grado dell'esercito romano, a comando di una centuria (cento uomini), non necessariamente romano, al servizio di Erode Antipa. L'origine pagana del protagonista di questo racconto evangelico è attestata dal suo proclamarsi non degno che Gesù entri sotto il suo tetto: secondo la tradizione giudaica se un ebreo entrava in casa di un pagano era da considerarsi cerimonialmente impuro. Il centurione vuole evitare a Gesù questo inconveniente, ma è anche un esempio di umiltà: egli infatti non dice a Gesù "Il mio servo non è degno che tu entri sotto il mio tetto" ma "io non son degno".

Abituato al comando e consapevole dell'autorità di un ordine, al centurione basta la semplice parola di Cristo. La sua fede - che lo rende figlio di Abramo, padre dei credenti - diventa esemplare e Gesù ne riconosce la grandezza, al di sopra di quella degli israeliti.

Se il mondo separa uomo e uomo come i raggi di una ruota, l'amore è il centro in cui converge la carità che annulla ogni distinzione: qui si incontrano il centurione, il suo servo e la parola salvifica di Cristo.

Preghiera

L'incontro con te, Signore, sia fonte di salvezza per noi e per coloro che si raccomandano alle nostre preghiere; affinché mediante l'umiltà e la fede possiamo sedere alla mensa in cui viene dispensata la tua grazia. Amen.

- Rev. Dr. Luca Vona

domenica 27 novembre 2022

Wake up from your slumber

COMMENT ON THE LITURGY OF THE FIRST SUNDAY OF ADVENT

Collect

Almighty God, give us grace that we may cast away the works of darkness, and put upon us the armour of light, now in the time of this mortal life, in which thy Son Jesus Christ came to visit us in great humility; that in the last day, when he shall come again in his glorious majesty to judge both the quick and [the]* dead, we may rise to the life immortal, through him who liveth and reigneth with thee and the Holy Ghost, now and ever. Amen.

Readings

Rm 13:8-14; Mt 21:1-11

Comment

"The hour has already come for you to wake up from your slumber" exhorts the apostle Paul. Advent time is the liturgical moment that calls us to a profound spiritual awakening. Because waiting for the Savior, and the incarnation of the Word represents a fundamental watershed in the history of humanity: Christ is the rising sun, in the darkness that envelops the world and our lives.

Our awakening must be characterized by a radical change of clothes: stripped of the works of darkness, we must put on the weapons of light, which means that we are called to engage in battle against all that is contrary to the commandment of love; this, as Paul recalls - on the basis of Jesus' preaching - sums up the entire Decalogue. He who loves does not harm the honor, life, reputation, or property of others, nor does he show envy of what God has given to others.

The Apostle invites us to walk honestly as by day. The day here is the symbol of good works, inspired and guided by the Spirit; while the night is a place of hiding, in which evil is done.

The model to follow is the conduct of Christ, as exemplified by the gospel: "clothe yourselves with the Lord Jesus Christ".

To dispel the darkness of sin in a definitive way will be the very light of the Lord, which he gives us in measure of our faith. The believer's perspective is not the unknown or even the dread of Judgment; but the definitive disappearance of suffering, death, and despair.

However, let us not expect a coming of Christ into our lives expressed in a spectacular way: he was born in a humble place and presents his kingship on the back of a mule. This shows that the light of grace radiates and acts where we are, and with the tools we have, in our daily lives: "See, your king comes to you, gentle and riding on a donkey" (Mt 21:5).

- Rev. Dr. Luca Vona

Rivestitevi del Signore Gesù

COMMENTO ALLA LITURGIA DELLA PRIMA DOMENICA DI AVVENTO

Colletta

Dio Onnipotente, donaci la grazia di allontanare da noi le opere delle tenebre e rivestirci dell’armatura della luce, ora nel tempo di questa vita mortale, in cui il tuo figlio Gesù Cristo è venuto a visitarci in grande umiltà; affinché nell’ultimo giorno, quando ritornerà nella sua gloriosa maestà, per giudicare i vivi e i morti, possiamo risorgere alla vita immortale, per lui che vive e regna, con te e con lo Spirito Santo, nei secoli dei secoli. Amen.

Letture

Rm 13,8-14; Mt 21,1-11

Commento

"È ora di svegliarvi dal sonno", esorta l'apostolo Paolo. Il tempo di Avvento è il momento liturgico che ci richiama a un profondo risveglio spirituale. Perché l'attesa del Salvatore, e l'incarnazione del Verbo rappresentano uno spartiacque fondamentale nella storia dell'umanità: Cristo è il sole che sorge, nelle tenebre che avvolgono il mondo e la nostra vita.

Questo nostro risveglio deve essere caratterizzato anche da un radicale cambio d'abiti: svestiti delle opere delle tenebre, dobbiamo indossare le armi della luce, il che significa che siamo chiamati a ingaggiare una battaglia, contro tutto ciò che è contrario al comandamento dell'amore; questo, come ricorda Paolo - sulla scorta della predicazione di Gesù - riassume tutto il Decalogo. Chi ama, non attenta né all'onore, né alla vita, né alla reputazione, né alla proprietà altrui, né si mostra invidioso di quel che Dio ha dato agli altri.

"Camminiamo onestamente come di giorno" afferma l'Apostolo: il giorno diviene qui simbolo delle opere buone, ispirate e guidate dallo Spirito, nella fede; mentre la notte è luogo del nascondimento, in cui si opera il male.

Il modello da seguire è la condotta di Cristo, come esemplificata dal vangelo: "rivestitevi del Signore Gesù".

A fugare le tenebre del peccato in maniera definitiva sarà la luce stessa del Signore, che egli ci dona in misura della nostra fede. La prospettiva del credente non è l'ignoto e nemmeno il terrore del Giudizio; bensì la scomparsa definitiva della sofferenza, della morte, della disperazione.

Non aspettiamoci però una venuta di Cristo nelle nostre vite espressa in maniera spettacolare: egli nasce in un umile luogo e presenta la propria regalità a dorso di un mulo. Ciò dimostra che la luce della grazia si irradia e agisce lì dove siamo e con gli strumenti che abbiamo, nella nostra quotidianità: "Ecco, il tuo re viene a te" (Mt 21,5).

- Rev. Dr. Luca Vona

La nostra cittadinanza è nei cieli

 COMMENTO ALLA LITURGIA DELLA VENTITREESIMA DOMENICA DOPO LA TRINITÀ

Colletta

O Dio, nostro rifugio e forza, che sei l’autore di ogni cosa buona; sii pronto, ti supplichiamo, ad ascoltare le devote preghiere della tua Chiesa; e concedici che le cose che chiediamo con fede possiamo ottenerle con efficacia. Per Gesù Cristo nostro Signore. Amen.

Letture

Fil 3,17-21; Mt 22,15-22

Commento

Era una convinzione rabbinica che colui che coniava la moneta di un paese ne fosse il dominatore. Secondo questa teoria, null'altro occorreva che di accertare quale fosse la moneta corrente in Giudea a quel tempo, per ottenere una risposta concludente alla domanda che era stata posta a Gesù: "è lecito o no pagare il tributo a Cesare?" (Mt 22,17).

La moneta romana circolava liberamente nel paese e i giudei non esitavano ad usarla in ogni affare e contrattazione. Se, come nazione si fossero astenuti dall'impiegarla ci sarebbe potuto essere almeno un pretesto per mettere in dubbio la legittimità del tributo richiesto dal governo romano; ma vivendo, come facevano, sotto la protezione delle leggi dell'imperatore, e facendo ogni giorno uso della moneta di Roma, lo riconoscevano di fatto come l'autorità sovrana del Paese. La legge sacra consentiva, infatti, ad Israele, di scegliersi il proprio governo, vincolandolo unicamente a continuare a corrispondere il tributo al tempio.

Come "le cose di Cesare" implicavano, nei fatti, più del semplice testatico (il tributo all'imperatore), "le cose di Dio", cui fa riferimento Gesù, significano di più che non semplicemente il tributo del tempio: includono il cuore con le sue affezioni, la coscienza, la volontà, le ricchezze individuali, in una parola la consacrazione a Dio di tutto intero l'uomo, del corpo non meno che dello spirito.

La risposta di Gesù non separa, ma unisce i doveri politici e quelli religiosi dei cristiani. Colui che è interamente votato a Dio, infatti, non può disinteressarsi della polis, del consesso umano in cui vive e nel quale è chiamato a esprimere la carità cristiana. Diversamente, il cristianesimo si ridurrebbe a sterile devozionalismo più che a quell'opera di trasformazione radicale e sostanziale del credente di cui parla Paolo nel capitolo terzo della sua lettera ai Filippesi.

Paolo afferma che "la nostra cittadinanza è nei cieli" (Fil 3,20), ma è qui sulla terra che già si misura il progresso nella santificazione che Cristo stesso compie in noi, "secondo la sua potenza che lo rende in grado di sottoporre a sé tutte le cose" (Fil 3,21).

Se il dominio di Cesare, il cui volto era impresso nel denaro, è infatti puramente convenzionale e soggetto alla volontà di Dio, il dominio di Cristo sulle nostre vite, in virtù del segno impresso nelle anime dalla fede battesimale, è l'esercizio di una sovranità reale. A ben vedere, non vi è cosa, nel cosmo, che non rechi impressa in sé il marchio del suo Creatore e che, dunque, non vada a lui ricondotta. Tutto è da Dio e tutto è per la lode e gloria di Dio.

Cristo, dimorando in noi, riproduce nella nostra vita la propria fisionomia morale; questa conformità sarà completata nei cieli dove "il nostro umile corpo sarà reso conforme al suo corpo glorioso" (Fil 3,21).

La garanzia che rende certa questa trasformazione è la sua potenza illimitata, il suo impero universale. Egli non ha coniato una moneta: era con il Padre quando, come Logos eterno, creava l'uomo a sua immagine e somiglianza; quando ha assunto la nostra natura umana, elevandola e unendola alla propria natura divina; quando ci ha purificati con le acque battesimali e segnati con il sangue della sua passione. Egli è il nostro Dio e noi siamo il popolo del suo pascolo (Sal 95,7). Siamo suoi. E nostra è la sua grazia; nostra la sua carità, che deve passare in abbondanza come moneta corrente tra le nostre mani.

- Rev. Dr. Luca Vona

venerdì 25 novembre 2022

1 Minute Gospel. Being able to observe

Reading

Luke 21:29-33

29 He told them this parable: “Look at the fig tree and all the trees. 30 When they sprout leaves, you can see for yourselves and know that summer is near. 31 Even so, when you see these things happening, you know that the kingdom of God is near.
32 “Truly I tell you, this generation will certainly not pass away until all these things have happened. 33 Heaven and earth will pass away, but my words will never pass away.

Comment

With the parable of the fig tree, Jesus teaches that just as there is a mechanism of causality in nature, so it is also in human history, through the supernatural action of God who guides it.

There is a time that "devours" our days, like the ancient deity Chrons, but there is a Kyrios, a Lord of time, Christ, who implements in history - in our personal history and in that of humanity - a plan of salvation.

We are therefore not at the mercy of events and even when everything appears doomed to failure, spring is approaching right at the end of winter and the first shoots appear on the plants. As such is the word of the Gospel for "this generation" (v. 32) visited by grace: a sign and a promise of hope, which will bear fruit in his time.

Prayer

Give us, o Lord, a gaze capable of grasping the signs of the times, to magnify the action of your grace in our lives and in history, in which you carry out your plan of salvation. Amen.

- Rev. Dr. Luca Vona

Fermati 1 minuto. Sapere osservare

Lettura

Luca 21,29-33

29 E disse loro una parabola: «Guardate il fico e tutte le piante; 30 quando già germogliano, guardandoli capite da voi stessi che ormai l'estate è vicina. 31 Così pure, quando voi vedrete accadere queste cose, sappiate che il regno di Dio è vicino. 32 In verità vi dico: non passerà questa generazione finché tutto ciò sia avvenuto. 33 Il cielo e la terra passeranno, ma le mie parole non passeranno.

Commento

Con la parabola del fico Gesù insegna che come c'è un meccanismo di causalità nella natura, così è anche nella storia umana, mediante l'azione soprannaturale di Dio che la guida. 

Vi è un tempo che "divora" i nostri giorni, come l'antica divinità Chrons, ma vi è un Kyrios, un Signore del tempo, Cristo, che attua nella storia - nella nostra storia personale e in quella dell'umanità - un piano di salvezza. 

L'ultima  parola sulla fine dei tempi non è una visione trionfalistica che nega o fagocita la storia, ma un invito alla riflessione, all'attenzione nel presente. I cristiani guardano alla storia per decifrarne i segni che fanno presagire già ora il passaggio dalla morte alla vita, dalla schiavitù alla libertà. La loro attesa non teme smentite, perché è sostenuta da una solidità che ha la certezza della promessa di Dio. Ma essi non possiedono neppure un calendario apocalittico segreto che li metta al riparo dai rischi dell'imprevedibile; hanno ricevuto soltanto la libertà di guardare al futuro con fiducia.

Non siamo dunque in balìa degli eventi e anche quando tutto appare destinato al fallimento, proprio al termine dell'inverno si approssima la primavera e spuntano i primi germogli sulle piante (vv. 29-30). Così è la parola del vangelo per "questa generazione" (v. 32) visitata dalla grazia: un segno e una promessa di speranza che darà frutto a suo tempo.

Preghiera

Donaci, Signore, uno sguardo capace di cogliere i segni dei tempi, per magnificare l'azione della tua grazia nelle nostre vite e nella storia, in cui realizzi il tuo piano di salvezza. Amen.

- Rev. Dr. Luca Vona

giovedì 24 novembre 2022

Per la prima volta nella storia, un pastore valdese parla nella Basilica di san Pietro

Lo scorso 22 novembre, invitato dal cardinale Gianfranco Ravasi, il teologo valdese Paolo Ricca ha partecipato a una Lectio Petri, insieme al teologo ortodosso laico, Dimitrios Keramidas e al cattolico Dario Vitali.

Di Elena Ribet, NEV.it Notizie evangeliche, 24 Novembre 2022


Un fatto storico. Un pastore valdese ha avuto libertà di parola a san Pietro, per la prima volta nella storia della Basilica. È il teologo Paolo Ricca, invitato dal cardinale Gianfranco Ravasi in occasione di una Lectio Petri. Con Ricca, anche il teologo ortodosso laico, Dimitrios Keramidas e il cattolico Dario Vitali. La teologa Cettina Militello ha moderato l’incontro, che si è tenuto lo scorso 22 novembre.

Paolo Ricca ha parlato dell’interpretazione del versetto biblico: “su questa pietra edificherò la mia chiesa”. Il “Tu es Petrus”, afferma il teologo, è insieme al “Tu es Christus” del versetto 16.Tu es Petrus è l’eco del Tu es Christus che Pietro ha appena pronunciato nei confronti di Gesù. Queste due dichiarazioni, sostiene Paolo Ricca, sono inseparabili.

“Il Tu es Christus è la madre del Tu es Petrus. Pietro si chiamava in realtà Simone. Gesù gli cambia nome (come Giacobbe, a cui Dio cambia nome in Israele). Gesù dice: ‘ora ti chiamerai Pietro, perché sei roccia e su questa roccia voglio costruire la mia chiesa’. Roccia? Pietro? – si chiede Ricca – Ma conoscete Pietro? Era tutto, fuorché una roccia. Generoso, sì. Impulsivo, ma uno che dovrà piangere su sé stesso amaramente, perché proprio lui rinnegherà per tre volte il suo maestro che amava tanto. Roccia? Sì, roccia, con le sue contraddizioni, come noi, con le nostre contraddizioni siamo stati chiamati a un compito più grande di noi, come quello di Pietro. Gesù trasforma in una roccia questo giovane, che non era una roccia. E perché? Perché è il primo fra tutti, di fatti Matteo lo chiama protos, in greco. Il primo in che senso?”

In che senso, dunque, Pietro è il primo? Risponde Ricca: “è il primo che dice Tu es Christus. Nessuno lo aveva detto. Nessuno se ne era accorto, nessuno forse aveva il coraggio di dirlo. È questo il primato, se vogliamo chiamarlo così”. E conclude dicendo:

“Pietro è il primo, ma non è l’unico. Gesù risorto chiamerà Paolo, il quale fonderà molte chiese sullo stesso fondamento di Pietro, cioè sul Tu es Christus. E io mi chiedo se Gesù non voglia fare anche di noi dei tanti piccoli ‘Pietro’. Gesù ha bisogno di molti ‘Pietro’, non basta uno. E forse questa sera vuole fare anche di noi dei piccoli ‘Pietro’, delle piccole rocce domestiche, sulle quali lui, Gesù, vuole costruire la sua chiesa.

La chiesa cristiana non è nata nelle basiliche, è nata nelle case, la prima forma della chiesa cristiana è la chiesa domestica. E allora questa potrebbe essere la Lectio Petri. Un insegnamento. Gesù ha bisogno di molti piccoli ‘Pietro’ per la sua chiesa in una Europa largamente secolarizzata, e anche in questa città”.

Queste le parole del teologo, che ha parlato “Di fronte all’altare che porta le reliquie di Pietro, che con una certa prepotenza architettonica ci ricorda il primato” ha detto Militello introducendo Ricca. Il quale ha esordito con un solenne ringraziamento, le cui parole sono state: “Cari fratelli e sorelle, non posso iniziare questo intervento se non ringraziando dal profondo del cuore la fondazione Fratres Omnes per l’invito a partecipare a questa Lectio Petri. È sicuramente la prima volta nella storia millenaria di questa Basilica che un pastore della chiesa valdese, quale io sono, parla qui, gli viene data la parola, in libertà e fraternità. Non era mai successo nella storia. È un fatto assolutamente nuovo, una di quelle cose nuove, di cui parla il profeta Isaia, che Dio crea nella storia del suo popolo. Una di quelle primizie dello Spirito di cui parla l’apostolo Paolo. E quello che non vediamo qui oggi. E che cos’è questa cosa nuova?  È la chiesa ecumenica che avanza e oggi prende corpo, anche qui, proprio qui in questa Basilica molto significativa da tutti i punti di vista per tutta la cristianità. Proprio qui la chiesa ecumenica, cioè la chiesa di tutti i cristiani, prende corpo. Diventa visibile. È una cosa straordinaria, una cosa per la quale possiamo solo ringraziare Dio che non si stanca di creare cose nuove, anche e proprio nel nostro tempo. È proprio la chiesa dei fratres omnes anzi tutto cristiani. Lo siamo sempre stati, fratres omnes, ma solo nel nostro tempo ce ne stiamo accorgendo, lentamente, e alcuni non se ne sono ancora accorti”.

Fermati 1 minuto. Levate il capo

Lettura

Luca 21,20-28

20 Ma quando vedrete Gerusalemme circondata da eserciti, sappiate allora che la sua devastazione è vicina. 21 Allora coloro che si trovano nella Giudea fuggano ai monti, coloro che sono dentro la città se ne allontanino, e quelli in campagna non tornino in città; 22 saranno infatti giorni di vendetta, perché tutto ciò che è stato scritto si compia.
23 Guai alle donne che sono incinte e allattano in quei giorni, perché vi sarà grande calamità nel paese e ira contro questo popolo. 24 Cadranno a fil di spada e saranno condotti prigionieri tra tutti i popoli; Gerusalemme sarà calpestata dai pagani finché i tempi dei pagani siano compiuti.
25 Vi saranno segni nel sole, nella luna e nelle stelle, e sulla terra angoscia di popoli in ansia per il fragore del mare e dei flutti, 26 mentre gli uomini moriranno per la paura e per l'attesa di ciò che dovrà accadere sulla terra. Le potenze dei cieli infatti saranno sconvolte.
27 Allora vedranno il Figlio dell'uomo venire su una nube con potenza e gloria grande.
28 Quando cominceranno ad accadere queste cose, alzatevi e levate il capo, perché la vostra liberazione è vicina».

Commento

La descrizione della venuta gloriosa del Figlio dell'uomo è collocata all'interno di uno scenario apocalittico. La distruzione di Gerusalemme, per opera dei romani, è una prova del fatto che come si è avverata, nel tempo in cui scrive Luca, la predizione di Gesù su di essa, così si avvererà anche il suo annuncio della redenzione finale. 

Grande fu la rovina della città, nel cui assedio perirono oltre un milione di ebrei e quasi centomila furono deportati (secondo quanto riferisce lo storico Giuseppe Flavio). La sordità ai ripetuti richiami alla conversione ha fatto avverare le profezie degli antichi profeti portando alla distruzione delle istituzioni giudaiche e del culto sacrificale levitico. 

Non vi sarà più tempio, perché Cristo stesso è sacerdote, altare e sacrificio (Eb 4,14). Egli, che ha camminato nel mondo senza essere riconosciuto dai suoi (Gv 1,10), ritorna nascosto sulle nubi, fino alla sua manifestazione alla fine dei tempi. 

Come la città santa fu sconvolta dalle potenze nemiche così l'intero cosmo - il sole, la luna, le stelle, il mare - è sovvertito dalla potenza distruttiva del peccato dell'uomo. Ma il Signore ci libera dalla paura e dall'oppressione, che tengono l'uomo a testa bassa.

A consentirci di levare il capo è Dio stesso - "Ma tu, Signore, sei uno scudo attorno a me, tu sei la mia gloria e sollevi il mio capo" (Sal 3,4) -, restituendoci dignità e consentendoci di vedere l'orizzonte ultimo della storia.

Preghiera

Vieni, Signore Gesù! Noi ti attendiamo come giudice della storia e liberatore degli oppressi. Non tardare. Amen.

- Rev. Dr. Luca Vona

mercoledì 23 novembre 2022

Columba (Colombano) di Iona, santo della chiesa celtica

Il 9 giugno dell'anno 597, poco dopo la mezzanotte, si spegne nella chiesa del suo monastero Columba di Iona, monaco, uomo di cultura e pellegrino per Cristo.
Egli nacque in una potente famiglia irlandese della contea di Donegal, ma riconobbe presto di essere chiamato alla vita monastica piuttosto che a quella di capo e condottiero del suo clan.
Educato alla scuola di alcuni tra i più celebri monaci irlandesi, egli fu presto soprannominato Columcille, «colomba della chiesa», da cui il nome latino di Columba. Columba fu un uomo di grande cultura, molto versato nelle arti monastiche celtiche: egli fondò infatti i monasteri di Derry e Durrow, forse anche quello di Kells, dai quali ci sono giunti i più grandi capolavori della miniatura irlandese; ma seppe apprezzare anche le arti profane, e difese i bardi e i musici del suo tempo da quei monaci che volevano sopprimerne l'attività.
Columba, come molti monaci irlandesi, a un certo punto della sua vita si fece pellegrino per Cristo e divenne un predicatore itinerante assieme ad alcuni compagni. Ovunque lasciò un ricordo straordinario, e il suo ruolo di paciere nelle controversie politiche ed ecclesiali fu unanimemente apprezzato.
Egli finì la sua vita sull'isola di Iona, di fronte alla costa sudoccidentale della Scozia, dove dedicò gran parte del suo tempo alla guida del monastero da lui stesso fondato e alla composizione di inni e carmi di notevole qualità poetica e spirituale.
Columba è considerato assieme a Patrizio di Armagh e a Brigida di Kildare il più importante santo della chiesa celtica.
Columba di Iona (+597)

Tracce di lettura

Columba diede le ultime disposizioni ai suoi discepoli: «Amatevi gli uni gli altri senza finzioni. Siate nella pace. Se seguirete questa via sull'esempio dei santi padri, Dio, che dà forza al buono, vi aiuterà, e io intercederò per voi mentre dimorerò con lui».
La campana suonò per l'ufficio di mezzanotte. Il santo si alzò di corsa e si recò per primo in chiesa, inginocchiandosi in preghiera nei pressi dell'altare. Il fedele servo Diarmait lo seguiva da vicino, e vide l'intera chiesa ricolma di luce che irradiava dal santo. Quando i fratelli raggiunsero la soglia della chiesa, la luce svanì. Camminando nel buio, Diarmait trovò Columba che giaceva davanti all'altare. I monaci gli vennero intorno con le lampade, e cominciarono il lamento sul loro padre morente. Il santo, allora, aprì gli occhi e si guardò intorno. Vi era una meravigliosa gioia sul suo volto. Diarmait gli sostenne la destra per aiutarlo a benedire il coro dei fratelli, ed egli consegnò lo spirito.
(Adomnan, Vita di Columba 3,23).

- Dal Martirologio ecumenico della Comunità monastica di Bose

Fermati 1 minuto. L'occasione della testimonianza

Lettura

Luca 21,12-19

12 Ma prima di tutto questo metteranno le mani su di voi e vi perseguiteranno, consegnandovi alle sinagoghe e alle prigioni, trascinandovi davanti a re e a governatori, a causa del mio nome. 13 Questo vi darà occasione di render testimonianza. 14 Mettetevi bene in mente di non preparare prima la vostra difesa; 15 io vi darò lingua e sapienza, a cui tutti i vostri avversari non potranno resistere, né controbattere. 16 Sarete traditi perfino dai genitori, dai fratelli, dai parenti e dagli amici, e metteranno a morte alcuni di voi; 17 sarete odiati da tutti per causa del mio nome. 18 Ma nemmeno un capello del vostro capo perirà. 19 Con la vostra perseveranza salverete le vostre anime.

Commento

Gli ultimi tempi saranno un periodo di persecuzione per i credenti; ma non dobbiamo pensare a un momento lontano nella storia. Sono proprio quelli che viviamo: tutto l'arco temporale che separa l'instaurazione della Chiesa dalla seconda venuta del Signore. 

"Se il mondo vi odia, sappiate che prima di voi ha odiato me" (Gv 15,18). Vi è una potenza nel mondo avversa al vangelo, una forma di resistenza alla penetrazione del suo messaggio. Ma lungi dal far soccombere i cristiani, diventa per essi occasione di testimonianza (v. 13), di martyrion

Non si tratta qui solo della morte cruenta, ma di una intera vita che si lascia guidare dalla fede, in mezzo alle avversità, all'ostilità degli increduli e alla possibilità della solitudine nell'esperienza del tradimento da parte degli affetti più cari. 

Una tale prova può essere affrontata solo non confidando in se stessi, nelle proprie capacità e nei propri  meriti, ma abbandonandosi fiduciosamente a Dio e allo Spirito che Cristo ci ha lasciato affinché sia con noi fino alla fine del mondo (Gv 14,16-17). Da lui proviene quella pace che dimora nel più profondo del cuore del credente e che nessuna tribolazione può togliere. Nulla di quel che siamo perirà, ma tutto verrà trasfigurato nella gloria futura.

Preghiera 

Donaci, Signore, la forza della coerenza nella fede; affinché possiamo testimoniare con coraggio il tuo Nome, fino all'incontro con te nella gloria. Amen.

- Rev. Dr. Luca Vona

martedì 22 novembre 2022

1 Minute Gospel. The end and purpose of history

Reading

Lk 21:5-11

5 Some of his disciples were remarking about how the temple was adorned with beautiful stones and with gifts dedicated to God. But Jesus said, 6 “As for what you see here, the time will come when not one stone will be left on another; every one of them will be thrown down.”
7 “Teacher,” they asked, “when will these things happen? And what will be the sign that they are about to take place?”
8 He replied: “Watch out that you are not deceived. For many will come in my name, claiming, ‘I am he,’ and, ‘The time is near.’ Do not follow them. 9 When you hear of wars and uprisings, do not be frightened. These things must happen first, but the end will not come right away.”
10 Then he said to them: “Nation will rise against nation, and kingdom against kingdom. 11 There will be great earthquakes, famines and pestilences in various places, and fearful events and great signs from heaven.

Comment

Jesus' discourse on the end times (eschatological discourse) begins with these verses from the Gospel of Luke. The events narrated concern the destruction of the Temple and of Jerusalem, but they are also teaching for the Church, how it will have to await the return of Christ.

Israel has not accepted the message of spiritual liberation preached by Jesus and will forever lose its freedom and splendor. This is the risk for us if we do not let the gospel free us from the "nostalgia" of the temple and from false prophets.

The nostalgia of the temple is typical of a religiosity that thinks we can enclose God within the majesty of the buildings of worship and in the apparent solidity of the clerical institution. It is an attitude that extinguishes the spirit of prophecy, the ability of faith to be leaven in the world.

False prophets, on the other hand, draw the pretext from the painful events that cyclically cross life on this earth to announce the imminence of the end, proposing easy escape routes, through a disembodied and sectarian religiosity.

There are many tribulations that men of all times will have to face, but "the end will not right away" (v. 9). The trials that we are called to undergo, individually and as a community, represent an opportunity to test our perseverance and our solidarity with men while waiting for that ultimate end of history in which Christ awaits us.

Prayer

O Lord, who through the events of history guide us towards liberation and resurrection, help us to wait for you with hope and industriousness. Amen.

- Rev. Dr. Luca Vona

Fermati 1 minuto. La fine e il fine della storia

Lettura

Luca 21,5-11

5 Mentre alcuni parlavano del tempio e delle belle pietre e dei doni votivi che lo adornavano, disse: 6 «Verranno giorni in cui, di tutto quello che ammirate, non resterà pietra su pietra che non venga distrutta». 7 Gli domandarono: «Maestro, quando accadrà questo e quale sarà il segno che ciò sta per compiersi?». 8 Rispose: «Guardate di non lasciarvi ingannare. Molti verranno sotto il mio nome dicendo: "Sono io" e: "Il tempo è prossimo"; non seguiteli. 9 Quando sentirete parlare di guerre e di rivoluzioni, non vi terrorizzate. Devono infatti accadere prima queste cose, ma non sarà subito la fine». 10 Poi disse loro: «Si solleverà popolo contro popolo e regno contro regno, 11 e vi saranno di luogo in luogo terremoti, carestie e pestilenze; vi saranno anche fatti terrificanti e segni grandi dal cielo.

Commento

Comincia con questi versetti del Vangelo di Luca il discorso di Gesù sugli ultimi tempi (discorso escatologico). Gli avvenimenti narrati riguardano la distruzione del Tempio e di Gerusalemme, ma sono di insegnamento anche per la Chiesa, su come dovrà attendere il ritorno di Cristo. 

Israele non ha accolto il messaggio di liberazione spirituale predicato da Gesù e perderà per sempre la propria libertà e i propri fasti. Questo è il rischio che corriamo anche noi se non lasciamo che il vangelo ci liberi dalla "nostalgia" del tempio e dai falsi profeti. 

La nostalgia del tempio è propria di una religiosità che pensa di poter racchiudere Dio dentro la maestosità degli edifici di culto e nell'apparente solidità dell'istituzione clericale. Si tratta di un atteggiamento che spegne lo spirito di profezia, la capacità della fede di essere lievito nel mondo. 

I falsi profeti, per contro, traggono il pretesto dagli eventi dolorosi che attraversano ciclicamente la vita su questa terra per annunciare l'imminenza della fine, prospettando facili vie di fuga, mediante una religiosità disincarnata e settaria.

Molte sono le tribolazioni che gli uomini di ogni tempo dovranno affrontare, ma "non sarà subito la fine" (v. 9). Le prove che siamo chiamati ad attraversare, individualmente e come comunità, rappresentano l'occasione per testare la nostra perseveranza e la nostra solidarietà con gli uomini, nell'attesa di quel fine ultimo della storia in cui Cristo ci attende.

Preghiera

Signore, che attraverso gli avvenimenti della storia ci guidi verso la liberazione e la risurrezione, aiutaci ad attenderti con speranza e operosità. Amen.

- Rev. Dr. Luca Vona

lunedì 21 novembre 2022

1 Minute Gospel. What we have and what we are

Reading

Luke 21:1-4

1 As Jesus looked up, he saw the rich putting their gifts into the temple treasury. 2 He also saw a poor widow put in two very small copper coins. 3 “Truly I tell you,” he said, “this poor widow has put in more than all the others. 4 All these people gave their gifts out of their wealth; but she out of her poverty put in all she had to live on.”

Comment

The Lord raises his eyes; he scrutinizes us and knows us (Ps 139:1) and observes how much we are willing to give. We have not all received the same goods on this earth. Our finances may be limited, and some of us are in a state of extreme need, such as this woman without a husband who, by giving everything has, effectively put "her whole life" (gr. ton bion on eiken) back into the hands of God.

The widow of this evangelical episode, by giving the only two coins she possesses, forgets about her own needs. Our physical or inner resources may also be in short supply. Yet the eyes of the Lord, which do not look superficially but deeply into the heart of man, evaluate how much we are capable of giving not of the superfluous but of the necessary. What appears small and of little importance is often what makes the difference.

A gift that can go completely unnoticed by "religious leaders" and great benefactors, who often mask their human poverty behind reassuringly imposing constructions.

In her absolute gift, the widow shows that she has assumed poverty and the insecurity of her own status as an occasion for voluntary abandonment to God, the one who dresses the lilies of the field (Mt 6:28), just as she dresses the poor of all sorts with his blessing. This is the poverty that Jesus calls blessed (Lk 6:20), not the social injustice and misery that must be fought. Extraordinary confidence often hides behind the gift of two coins, which go unnoticed in the eyes of men.

Prayer

Make us courageous, o Lord, to give generously what we have and what we are; in the trust that your blessing can produce fruits of grace for our neighbor and for us. Amen.

- Rev. Dr. Luca Vona

Fermati 1 minuto. Tutto quel che abbiamo. Tutto quel che siamo

Lettura

Luca 21,1-4

1 Alzati gli occhi, vide alcuni ricchi che gettavano le loro offerte nel tesoro. 2 Vide anche una vedova povera che vi gettava due spiccioli 3 e disse: «In verità vi dico: questa vedova, povera, ha messo più di tutti. 4 Tutti costoro, infatti, han deposto come offerta del loro superfluo, questa invece nella sua miseria ha dato tutto quanto aveva per vivere».

Commento

Il Signore alza gli occhi; egli, che ci scruta e ci conosce (Sal 138,1), osserva quanto siamo disposti a donare. Non tutti abbiamo ricevuto gli stessi beni su questa terra. Le nostre finanze possono essere limitate, alcuni sono in uno stato di estrema necessità, come questa donna senza marito, che donando tutto quello che ha, rimette di fatto "tutta la propria vita" (gr. ton bion on eiken) nelle mai di Dio. 

La vedova di questo episodio evangelico donando gli unici due spiccioli che possiede si dimentica della proprie necessità. Anche le nostre risorse fisiche o interiori possono essere scarse. Eppure gli occhi del Signore, che non guardano in modo superficiale, ma in profondità, nel cuore dell'uomo, valutano quanto siamo capaci di dare non del superfluo, ma del necessario. Ciò che appare piccolo e di poca importanza è spesso ciò che fa la differenza.

Un dono che può passare del tutto inosservato ai "capi religiosi" e ai grandi benefattori, che spesso mascherano la propria povertà umana dietro a costruzioni rassicuranti nella loro imponenza.  

Nel suo dono assoluto la vedova dimostra di avere assunto la povertà e l'insicurezza del proprio status come occasione di abbandono volontario a Dio, colui che riveste i gigli del campo (Mt 6,28), così come riveste i poveri di ogni sorta con la sua benedizione. È questa la povertà che Gesù chiama beata (Lc 6,20), non l'ingiustizia sociale e la miseria che sono da combattere. Una fiducia straordinaria si nasconde spesso dietro il dono di due monete, che passano inosservate agli occhi degli uomini.

Preghiera

Rendici coraggiosi, Signore, di donare e di donarci generosamente; nella fiducia che la tua benedizione possa produrre frutti di grazia per noi e per il nostro prossimo. Amen.

- Rev. Dr. Luca Vona

domenica 20 novembre 2022

Il perdono come frutto di giustizia

COMMENTO ALLA LITURGIA DELLA VENTIDUESIMA DOMENICA DOPO LA TRINITÀ

Colletta

Signore, ti supplichiamo di mantenere la tua casa, la Chiesa, nella tua bontà; affinché mediante la tua protezione possa essere libera da ogni avversità e servirti con devozione in ogni buona opera, per la gloria del tuo Nome. Per Gesù Cristo nostro Signore. Amen.

Letture

Fil 1,3-11; Mt 18,21-35

Commento

Vi è un profondo legame tra i "frutti di giustizia" (Fil 1,11) con cui si chiude l'odierna pericope paolina dalla lettera ai Filippesi e la natura del perdono cristiano.

La giustizia, ovvero la nostra giustificazione e santificazione, ma anche la nostra capacità di agire con rettitudine, matura da un cuore che ha saputo aprirsi al dono della misericordia di Dio, che ci condona ogni colpa. I frutti di giustizia, infatti, "si hanno per mezzo di Gesù Cristo, alla gloria e lode di Dio" (Fil 1,11), dipendono, cioè non dai nostri sforzi, ma dalla misura in cui aderiamo a Cristo, nella comunione che si realizza attraverso la fede. E a loro volta, questi frutti, hanno il fine di manifestare la gloria di Dio, cioè la sua bontà, e di suscitare nell'uomo quella lode che scaturisce dalla gratitudine.

Ciò non viene compreso dal protagonista della parabola del creditore spietato. L'occasione di questo racconto è suscitata da una domanda posta da Pietro a Gesù. Pietro aveva compreso che il Signore era molto esigente in materia di perdono e, infatti, gli chiede se si debba perdonare sette volte, andando ben oltre le tre volte menzionate dal Talmud, il grande testo di esegesi delle Scritture ebraiche. Gesù si mostra ancora più esigente del previsto, affermando che occorre perdonare il nostro nemico fino a settanta volte sette (quattrocentonovanta volte); ovvero un numero di volte pressoché illimitato.

L'immagine del re che vuole fare i conti è di tipo escatologico, richiama cioè il giudizio alla fine dei tempi e quello individuale alla fine della vita. È un rendiconto cui nessuno può sottrarsi.

Il debito del servitore - forse un ministro di stato - è enorme: diecimila talenti. Di fronte a una insolvenza di questa grandezza poteva essere venduto lui con tutti i suoi beni e tutta la sua famiglia. L'enormità del debito da saldare rende temeraria la promessa del servitore di restituire tutto il dovuto (Mt 18,26). Ma oltre ogni aspettativa, il suo padrone gli offre un condono completo.

Nella scena immediatamente successiva, il debitore incontra uno dei suoi creditori, ma ha già rimosso il ricordo dell'azione di misericordia di cui è stato destinatario, non è riuscito a coglierne il senso profondo. Si mostra privo di compassione con il suo creditore, facendolo gettare in prigione. Che il creditore spietato non avesse mai sentito né pentimento profondo né gratitudine vera è anche posto in evidenza dalla somma esigua del debito che gli deve il suo creditore: appena cento denari.

È evidente che la sola paura della punizione non può suscitare vera conversione. Il debitore perdonato non perdona perché passato il momento in cui l'anima sua è scossa dal terrore del giudizio, sospeso il castigo, il suo timore svanisce rapidamente. Probabilmente egli avrebbe tremato se avesse potuto udire le preghiere dei conservi che giungevano alle orecchie del suo padrone, a favore del perseguitato. Ma a quel punto è troppo tardi: "il suo signore lo chiamò a sé". 

Il creditore incapace di rimettere i debiti viene dunque consegnato agli aguzzini, letteralmente "tormentatori". Sia nell'antica Roma che nell'Oriente antico era prassi comune torturare i debitori affinché rivelassero dove avevano nascosto i propri beni o per muovere a pietà parenti e amici, affinché questi pagassero al posto loro. 

La parabola del debitore spietato insegna che il condono dei nostri grandi debiti da parte di Dio deve suscitare il perdono dei piccoli debiti che gli uomini hanno nei nostri confronti. Quando ci poniamo sotto la potenza dell'amore di Cristo che ci perdona, siamo spinti a perdonarci gli uni gli altri.

Preghiamo anche noi, come Paolo, "perché il nostro amore abbondi sempre più in conoscenza e discernimento" (Fil 1,9), soprattutto nella conoscenza della misericordia di Dio, e affinché possiamo "essere puri e senza macchia per il giorno di Cristo" (Fil 1,10). Puri di quella purezza e di quella santità che egli stesso ci comunica.

- Rev. Dr. Luca Vona

venerdì 18 novembre 2022

1 Minute Gospel. The necessary purification

Reading

Luke 19:45-48

45 When Jesus entered the temple courts, he began to drive out those who were selling. 46 “It is written,” he said to them, “‘My house will be a house of prayer’; but you have made it ‘a den of robbers.’”
47 Every day he was teaching at the temple. But the chief priests, the teachers of the law and the leaders among the people were trying to kill him. 48 Yet they could not find any way to do it, because all the people hung on his words.

Comment

Once in Jerusalem, Jesus no longer performs miracles and healings but dedicates himself to teaching in the temple, engaging in various disputes, and teaching about the last things. But before making his word resonate, he carries out a work of purification, driving away the sellers.

The preaching takes place between the admiration of the people, who "hung on his words" (v. 48), and the hostility of the political and religious leaders, who will be his antagonists in the drama of the Passion.

Even in our hearts, there is a trade with the things of this world - often reduced to trade goods - and there are conflicting reactions to the words of the Gospel. But the Lord comes to purify it, sometimes vehemently, but for the sake of his holy place, created in the image and likeness of God.

Prayer

Create in us, o Lord, a pure heart; so that we may worship you in spirit and in truth, listening to your word. Amen.

- Rev. Dr. Luca Vona

Fermati 1 minuto. La purificazione necessaria

Lettura

Luca 19,45-48

45 Entrato poi nel tempio, cominciò a cacciare i venditori, 46 dicendo: «Sta scritto: La mia casa sarà casa di preghiera. Ma voi ne avete fatto una spelonca di ladri!». 47 Ogni giorno insegnava nel tempio. I sommi sacerdoti e gli scribi cercavano di farlo perire e così anche i notabili del popolo; 48 ma non sapevano come fare, perché tutto il popolo pendeva dalle sue parole.

Commento

Giunto a Gerusalemme Gesù non compie più miracoli e guarigioni ma si dedica all'insegnamento nel tempio, impegnandosi in varie dispute e dando ammaestramenti sulle cose ultime. Ma prima di far risuonare la sua parola svolge un'opera di purificazione, allontanando i venditori. 

La predicazione si svolge tra l'ammirazione del popolo, che "pendeva dalle sue parole" (v. 48) e l'ostilità dei capi politici e religiosi, che saranno i suoi antagonisti nel dramma della passione. 

Anche nel nostro cuore si svolge un commercio con le cose di questo mondo - spesso ridotte a beni di scambio - e si manifestano reazioni contrastanti alle parole del vangelo. Ma il Signore viene a purificarlo, a volte in maniera veemente, ma sempre per amore del suo luogo santo, creato a immagine e somiglianza di Dio.

Non fare del Tempio una "spelonca di ladri" significa anche recarsi in esso senza la presunzione di avere diritto a ottenere qualcosa da Dio, piegandolo alla nostra volontà spesso prigioniera di dinamiche del tutto umane. Gesù ci invita a rivolgerci a lui per trovare nella relazione con lui il senso di ogni cosa, che si esprime in un amore gratuito e sovrabbondante.

Preghiera

Crea in noi Signore un cuore puro; affinché possiamo adorarti in spirito e verità, mettendoci in ascolto della tua parola. Amen.

- Rev. Dr. Luca Vona

giovedì 17 novembre 2022

1 Minute Gospel. The siege of the heart

Reading

Luke 19:41-44

41 As he approached Jerusalem and saw the city, he wept over it 42 and said, “If you, even you, had only known on this day what would bring you peace—but now it is hidden from your eyes. 43 The days will come upon you when your enemies will build an embankment against you and encircle you and hem you in on every side. 44 They will dash you to the ground, you and the children within your walls. They will not leave one stone on another, because you did not recognize the time of God’s coming to you.”

Comment

Jesus is descending from the Mount of Olives towards Jerusalem and admiring the city and its Temple he breaks down in tears. The Greek verb used here by Luke - klaio - is different from the one used to describe the weeping in front of the tomb of Lazarus - dakryo. It is not simply a question of emotion, but of a true prophetic lament.

By not accepting the one who brings peace, Jerusalem will not be able to find peace and will be the victim of devastation. Yet Jesus will soon be welcomed triumphally on his entry into the city. But he sees the superficiality of the hearts of the crowds and the denial that will be consumed in the hours of passion.

Jerusalem will be destroyed in AD 70 by Tito Flavio Vespasiano, during the first Jewish revolt. After a long siege, the city will be put to the sword and razed to the ground; also the Temple, which the Jews trusted, as the place of the presence of God, and who would ensure protection to him, will be destroyed.

Jesus' words are not only a sad testimony of the tragic consequences for Jerusalem for rejecting him as Christ. We too are called to recognize the time when the grace of God comes to visit us, the one who has come to "to guide our feet into the path of peace" (Lk 1:79); the only one that can guarantee the truce to our hearts, surrounded by siege by the inner turmoil and by the powers of this world.

Prayer

O Lord, give us peace, not as the world gives it, but as your Spirit gives it; that we may be faithful to you in every tribulation. Amen.

- Rev. Dr. Luca Vona