Il Rev. Dr. Luca Vona
Un evangelico nel Deserto

Ministro della Christian Universalist Association

venerdì 30 ottobre 2020

Fermati 1 minuto. Trovati dalla grazia

Lettura

Luca 14,1-6

1 Gesù entrò di sabato in casa di uno dei principali farisei per prendere cibo, ed essi lo stavano osservando, 2 quando si presentò davanti a lui un idropico. 3 Gesù prese a dire ai dottori della legge e ai farisei: «È lecito o no fare guarigioni in giorno di sabato?» Ma essi tacquero. 4 Allora egli lo prese per mano, lo guarì e lo congedò. 5 Poi disse loro: «Chi di voi, se gli cade nel pozzo un figlio o un bue, non lo tira subito fuori in giorno di sabato?» 6 Ed essi non potevano risponder nulla in contrario.

Commento

Gesù è invitato a casa di uno dei capi farisei per "prendere cibo", letteralmente "per prendere pane" (gr. arton). Il clima di austerità in cui si svolge il sabato ebraico è evidente dal fatto che non si tratta di un banchetto. I dottori della legge, ci dice Luca, "lo stavano osservando"; forse in attesa di qualche insegnamento o, forse, più malevolmente per coglierlo in errore su qualche cosa. E in effetti si presenta a Gesù un'occasione per rompere i loro schemi. 

Si tratta di un idropico, un uomo il cui corpo è rigonfio a causa di una patologica ritenzione idrica. Forse un famigliare dei farisei. L'uomo non chiede nulla, né i suoi amici chiedono nulla per lui. Gesù è probabilmente meravigliato dall'umiltà dell'idropico e dall'insensibilità dei suoi amici, i quali conoscono i suoi poteri di guarigione ma non chiedono alcun intervento. 

Così il Signore li interroga proprio sulla loro mancanza di misericordia, che li porta a porre la legge al di sopra della carità, quando invece dovrebbe essere al suo servizio. Questi uomini dotti rimangono senza parole, perché dovrebbero ammettere la propria ignoranza della legge o dovrebbero affermare qualcosa di inaccettabile. 

La guarigione dall'idropisia era lenta e difficoltosa, ma Gesù prende quest'uomo per mano e gli ridona la salute all'istante (v. 4). L'idropico non ha cercato la grazia di Dio, ma è stato trovato dalla grazia e liberato immediatamente dal suo male. Con un'altra domanda Gesù si rivolge ai farisei sottolineandone la cura che mostrano, anche in giorno di sabato, per i propri affetti («un figlio» - anche se alcuni manoscritti riportano «un asino») e i propri affari («un bue»). 

"Con la bocca dei bimbi e dei lattanti affermi la tua potenza contro i tuoi avversari, per ridurre al silenzio nemici e ribelli" (Sal 8,3) riconosce il salmista, parole che possiamo applicare a Gesù, il quale ha smontato i cavilli dei dottori della legge ("non potevano risponder nulla in contrario"; v. 6) con parole semplici e un efficace atto di misericordia.

Preghiera

Signore, che ci chiedi di non anteporre nulla al tuo amore e di trovarti nel nostro prossimo sofferente, donaci un cuore ricolmo della tua grazia, per accogliere e sanare a lode del tuo Nome. Amen.

- Rev. Dr. Luca Vona

giovedì 29 ottobre 2020

James Hannington. Protomartire anglicano in Uganda

 Il 29 ottobre la Chiesa anglicana ricorda James Hannington, primo vescovo anglicano dell'Africa equatoriale martire in Uganda.


James Hannington (1847-1885)

Tra le nuove nazioni dell'Africa, l'Uganda è prevalentemente cristiana. Il lavoro missionario iniziò nel 1870 con il favore del re Mutesa, che morì nel 1884. Tuttavia, suo figlio e successore, il re Mwanga, si oppose a tutte le presenze straniere, comprese le missioni cristiane.

James Hannington, nato nel 1847, fu inviato dall'Inghilterra nel 1884 dalla Chiesa anglicana come vescovo missionario dell'Africa equatoriale orientale. Mentre viaggiava verso l'Uganda, fu catturato dagli emissari del re Mwanga. Lui e i suoi compagni furono trattati con brutalità, una settimana dopo, il 29 ottobre 1885, molti di loro furono messi a morte. Le ultime parole di Hannington furono: "Vai a dire al tuo padrone che ho acquistato la strada per l'Uganda con il mio sangue".

Il primo martire nativo fu il cattolico romano Joseph Mkasa Balikuddembe, che fu decapitato dopo aver rimproverato il re per la sua dissolutezza e per l'omicidio del vescovo Hannington. Il 3 giugno 1886 un gruppo di 32 uomini e ragazzi, 22 cattolici romani e 10 anglicani, furono bruciati sul rogo. La maggior parte erano giovani paggi della casa di Mwanga, dal loro capo, Charles Lwanga, al tredicenne Kizito, che morì "ridendo e chiacchierando". Questi e molti altri cristiani ugandesi hanno sofferto per la loro fede allora e negli anni successivi.

Nel 1977 l'arcivescovo anglicano Janani Luwum ​​e molti altri cristiani subirono la morte per la loro fede sotto il tiranno Idi Amin.

Grazie in gran parte alla loro comune eredità di sofferenza per il loro Maestro, i cristiani di varie comunioni in Uganda sono sempre stati in ottimi rapporti tra loro.

Fermati 1 minuto. La maternità di Dio

Lettura

Luca 13,31-35

31 In quello stesso momento vennero alcuni farisei a dirgli: «Parti, e vattene di qui, perché Erode vuol farti morire». 32 Ed egli disse loro: «Andate a dire a quella volpe: "Ecco, io scaccio i demòni, compio guarigioni oggi e domani, e il terzo giorno avrò terminato". 33 Ma bisogna che io cammini oggi, domani e dopodomani, perché non può essere che un profeta muoia fuori di Gerusalemme.
34 Gerusalemme, Gerusalemme, che uccidi i profeti e lapidi coloro che ti sono mandati, quante volte ho voluto raccogliere i tuoi figli, come la chioccia raccoglie i suoi pulcini sotto le ali; e voi non avete voluto! 35 Ecco, la vostra casa sta per esservi lasciata deserta. Io vi dico che non mi vedrete più, fino al giorno in cui direte: "Benedetto colui che viene nel nome del Signore!"»

Commento

L'avvertimento dei farisei a Gesù può essere interpretato come una effettiva volontà di metterlo in guardia dal pericolo di essere ucciso e, in questo caso, sarebbe l'unica nota positiva su di loro nel vangelo di Luca; ma molti esegeti vedono nelle loro parole la volontà di allontanare Gesù dalla Galilea per mandarlo in Giudea, dove, realmente, avrebbe corso il pericolo di essere messo a morte dal sinedrio.

Quel che appare evidente è la risposta ferma di Gesù, che resta fedele nel portare a compimento la volontà di Dio, instaurando il Regno attraverso esorcismi e guarigioni. Con la sua autorità profetica e messianica Gesù definisce Erode una volpe, animale che nell'Antico testamento è associato alla devastazione della vigna del Signore, ma nella leteratura rabbinica, stante la sua limitata pericolosità, era utilizzata anche per simboleggiare una persona di scarso valore. 

Gesù si ostina a proseguire nel suo cammino, rifiutando di far disegnare il suo itinerario dalla paura. Egli è mosso da amore per Geruslamme, che dopo aver rifiutato tanti profeti si appresta a metterlo a  morte. Qui utilizza una immagine di grande originalità e bellezza nella letteratura biblica: quella di una chioccia che raccoglie i suoi pulcini sotto le ali. 

L'immagine dell'amore materno è ricorrente nella spiritualità cristiana. Sì, Dio è madre; e il suo amore, come quello di una madre, è sollecito, incondizionato. Spetta a noi farci trovare dalla sua grazia.

Preghiera

Infondi nei nostri cuori, Signore, il coraggio di desiderare quanto ci hai comandato e la grazia di portarlo a compimento. Amen.

- Rev. Dr. Luca Vona

mercoledì 28 ottobre 2020

Fermati 1 minuto. Li chiamò apostoli

Lettura

Lc 6,12-19

12 In quei giorni Gesù se ne andò sulla montagna a pregare e passò la notte in orazione. 13 Quando fu giorno, chiamò a sé i suoi discepoli e ne scelse dodici, ai quali diede il nome di apostoli: 14 Simone, che chiamò anche Pietro, Andrea suo fratello, Giacomo, Giovanni, Filippo, Bartolomeo, 15 Matteo, Tommaso, Giacomo d'Alfeo, Simone soprannominato Zelota, 16 Giuda di Giacomo e Giuda Iscariota, che fu il traditore. 17 Disceso con loro, si fermò in un luogo pianeggiante. C'era gran folla di suoi discepoli e gran moltitudine di gente da tutta la Giudea, da Gerusalemme e dal litorale di Tiro e di Sidone, 18 che erano venuti per ascoltarlo ed esser guariti dalle loro malattie; anche quelli che erano tormentati da spiriti immondi, venivano guariti. 19 Tutta la folla cercava di toccarlo, perché da lui usciva una forza che sanava tutti.

Commento

Gesù scelse come apostoli chi volle, ma non scelse arbitrariamente, né superficialmente. Scelse dopo aver a lungo pregato, tutta la notte. L'evangelista Luca presenta spesso Gesù in preghiera prima dei momenti importanti della sua vita. 

La Chiesa nasce dopo quella notte di preghiera di Gesù e mediante la nostra preghiera può crescere e prosperare. I Dodici ricevono una missione nella missione; non uno status di privilegiati, ma una speciale chiamata a servire con maggiore sollecitudine. Questo sarà il senso di un'altra chiamata da parte di Gesù, poco prima della sua passione: "Allora Gesù, chiamatili a sé, disse loro: «Voi sapete che coloro che sono ritenuti capi delle nazioni le dominano, e i loro grandi esercitano su di esse il potere. Fra voi però non è così; ma chi vuol essere grande tra voi si farà vostro servitore, e chi vuol essere il primo tra voi sarà il servo di tutti»" (Mc 10,42-43).

Gesù sceglie i suoi chiamandoli per nome. L'evangelista non aggiunge alcuna loro descrizione; ma il chiamare per nome è certamente testimonianza del fatto che egli si rivolse alla persona nelle sue qualità distintive, i suoi pregi e le sue debolezze, così come nelle differenze, spesso enormi, che incorrevano tra i chiamati. 

Diversi, ma tutti tenuti insieme, ad eccezione di Giuda "il traditore", dall'amore di Cristo. Il chiamare per nome, fin dalla Genesi - quando Dio invita Adamo a dare un nome a ogni creatura - indica l'autorità su di essi e un'intima relazione spirituale. Gesù li chiamò "apostoli", ovvero "inviati", perché erano destinati non a creare delle scuole rabbiniche o filosofiche ma a predicare il vangelo a tutte le nazioni. 

Dopo essere salito al monte per attirare a sé gli apostoli Gesù discende subito "in un luogo pianeggiante" (v. 17) e in questo abbassamento si fa loro maestro, non temendo di toccare e di farsi toccare dalle moltitudini bisognose di salvezza e di guarigione.

Eppure questo loro compito non inizierà prima di avere accompagnato Gesù nella sua missione terrena ed essere stati confermati dal Risorto. Allora diventano capaci di portare l'annuncio della grazia fino agli estremi confini della terra.

Preghiera

Signore Gesù Cristo, tu ci chiami per nome per salvarci e farci annunciatori della salvezza. Concedici di ricercare sempre la volontà del Padre nella preghiera fervente e prolungata. Amen.

- Rev. Dr. Luca Vona

martedì 27 ottobre 2020

Fermati 1 minuto. Vedere l'invisibile

Lettura

Luca 13,18-21

In quel tempo, diceva Gesù: «A che cosa è simile il regno di Dio, e a che cosa lo posso paragonare? È simile a un granello di senape, che un uomo prese e gettò nel suo giardino; crebbe, divenne un albero e gli uccelli del cielo vennero a fare il nido fra i suoi rami». E disse ancora: «A che cosa posso paragonare il regno di Dio? È simile al lievito, che una donna prese e mescolò in tre misure di farina, finché non fu tutta lievitata».

Commento

L'idea del regno di Dio che si estende come un maestoso albero, all'ombra del quale si radunano tutte le nazioni richiama alcuni passaggi messianici dell'Antico Testamento (Ez 17,23; 31,6). Le parole di Gesù sono un invito alla pazienza e alla speranza, al superamento dell'ossessione contabilizzatrice nel considerare la crescita della Chiesa e i nostri progressi spirituali. Gesù ci esorta a puntare sulla qualità, su quel lievito capace di far fermentare tutta la pasta.

Le parabole del granello di senapa e del lievito mettono in luce il sorprendente contrasto tra i piccoli inizi del Regno e la sua meravigliosa espansione. Le due immagini rappresentano l'azione di Dio, che si compie silenziosamente e nel segreto. L'opera della grazia nelle nostre anime e nel mondo non avviene in modo improvviso e "fragoroso", ma può essere scorta da orecchie capaci di ascoltare e occhi capaci di vedere ciò che opera nel segreto; necessita di un cuore capace dell'attesa, come il contadino che semina e come la donna che prepara il pane. 

Dai piccoli segni possiamo intuire un esito che sarà sorprendente, rappresentato in queste due parabole dalla maestosità del cespuglio di senape in cui si rifugiano gli uccelli e dalla quantità di farina - circa sessanta chilogrammi! - che poco lievito fa panificare. Il Regno di Dio potrà così accogliere uomini di ogni popolo e nazione e saziare tutti coloro che hanno fame e sete di giustizia.

Preghiera

Signore, accresci la nostra fede affinché i nostri occhi possano aprirsi all'opera che la tua grazia compie incessantemente nei nostri cuori. Amen.

- Rev. Dr. Luca Vona

lunedì 26 ottobre 2020

Fermati 1 minuto. La parola che scioglie i nostri lacci

Lettura

Luca 13,10-17

10 Una volta stava insegnando in una sinagoga il giorno di sabato. 11 C'era là una donna che aveva da diciotto anni uno spirito che la teneva inferma; era curva e non poteva drizzarsi in nessun modo. 12 Gesù la vide, la chiamò a sé e le disse: «Donna, sei libera dalla tua infermità», 13 e le impose le mani. Subito quella si raddrizzò e glorificava Dio. 14 Ma il capo della sinagoga, sdegnato perché Gesù aveva operato quella guarigione di sabato, rivolgendosi alla folla disse: «Ci sono sei giorni in cui si deve lavorare; in quelli dunque venite a farvi curare e non in giorno di sabato». 15 Il Signore replicò: «Ipocriti, non scioglie forse, di sabato, ciascuno di voi il bue o l'asino dalla mangiatoia, per condurlo ad abbeverarsi? 16 E questa figlia di Abramo, che satana ha tenuto legata diciott'anni, non doveva essere sciolta da questo legame in giorno di sabato?». 17 Quando egli diceva queste cose, tutti i suoi avversari si vergognavano, mentre la folla intera esultava per tutte le meraviglie da lui compiute.

Commento

Siamo nella sinagoga, in giorno di sabato. Gesù sta insegnando ma si interrompe. Ha notato una donna sofferente. Da diciotto anni è curva e non può raddrizzarsi in alcun modo. Eppure non ha smesso di comportarsi da "figlia di Abramo", recandosi alla sinagoga per osservare il giorno del Signore. Non chiede nulla. È Gesù a prendere l'iniziativa, e anche lui non chiede nulla alla donna. Luca ci informa che l'infermità è provocata da Satana ("posseduta da uno spirito di infermità", gr. pneuma echousa asthenias). Sappiamo dal libro di Giobbe che ciò è possibile perché anche questi patì una malattia causata dall'angelo accusatore. 

Gesù agisce in maniera diversa rispetto ai suoi esorcismi. Non sgrida alcun demone, ma si limita a imporre le mani e pronunciare la sua parola di liberazione. La parola di Dio, come afferma la Lettera agli ebrei, "è viva, efficace e più tagliente di ogni spada a doppio taglio; essa penetra fino al punto di divisione dell'anima e dello spirito, fino alle giunture e alle midolla" (Eb 4,12). Così la parola di Dio penetra nell'anima e nel corpo di questa donna e scioglie la sua schiena ricurva. 

Il miracolo compiuto da Gesù suscita la riprovazione da parte dei capi della sinagoga. Non hanno il coraggio di attaccarlo direttamente ma si rivolgono ai presenti. Il Signore, che conosce i cuori, li accusa di ipocrisia, perché le loro critiche non prendono le mosse dallo zelo per l'amore di Dio ma dall'invidia. Gesù evidenzia il modo in cui hanno pervertito la legge, piegandola al proprio egoismo. In giorno di sabato infatti, non trascurano di occuparsi del proprio bestiame, ma vorrebbero rifiutare a questa donna, sorella della loro stessa stirpe, figlia di Dio, creata a sua immagine e somiglianza, di riacquistare quella posizione eretta che distingue l'essere umano dagli animali. 

La chiamata di Gesù scioglie l'uomo dalla casistica delle norme religiose per collocarlo nel vero sabato di Dio, che è manifestazione della sua gloria e della sua azione salvifica.

Preghiera

Signore, tu rialzi dalla polvere il misero e  manifesti la tua gloria nella nostra debolezza. Ti benediciamo e ti glorifichiamo perché hai liberato le nostre anime dai lacci del peccato e ci hai donato la promessa della risurrezione. Amen.

- Rev. Dr. Luca Vona

domenica 25 ottobre 2020

Cristo si è "manifestato" nella carne? Si va al voto!

Poche ore fa mi è giunta via email la convocazione all'assemblea federale dell'Alleanza Evagelica Italiana che si svolgerà in maniera telematica - causa Covid-19 - il 31 ottobre 2020.

All'ordine del giorno troviamo anche alcune proposte di modifica dello Statuto, tra cui, relativamente al punto 3.c quella avanzata dal fratello Giancarlo Rinaldi, di sostituire l'espressione di fede in Cristo "manifestato nella carne" - ripresa da 1 Timoteo 3,16 - con "fattosi uomo".

Già nei giorni scorsi avevo riportato la querelle tra il Professore e l'AEI in merito alla questione.

Riassumendo, l'AEI ha risposto all'accusa di gnosticismo e docetismo mossa dal Prof. Rinaldi affermando che:

« 1. L’espressione Dio “manifestato nella carne” è la citazione di 1 Timoteo 3,16, tradotta così dalla Diodati, Luzzi/Riveduta, Nuova Riveduta e Nuova Diodati, praticamente tutte le traduzioni in uso nelle chiese evangeliche italiane. Non è una espressione introdotta o inventata dall’AEI: è un testo biblico. Inoltre, non corrisponde al vero che l’espressione “manifestato” debba necessariamente intendersi come mera apparenza, visto che nella Parola di Dio è utilizzata numerose volte per indicare un palesamento anche concreto, fisico e corporeo.

2. L’articolo di fede messo in discussione è stato citato mutilandolo. L’articolo nella sua totalità afferma quanto segue:

Art. 3) Noi crediamo nel nostro Signore Gesù Cristo, unico media­tore, Dio manifestato nella carne, nato da Maria vergine, vero uomo ma senza peccato, nei suoi miracoli divini, nella sua resurrezione corporale, e nel suo ritorno in potenza e gloria (Colossesi 2:18; Isaia 7:14; Ebrei 4:15; Atti 2:22; I Pietro 3:18; Marco 16:19: I Timoteo 2:5; Luca 21:27; Giovanni 14:30-31).

La confessione di Gesù “vero uomo” e risorto “corporalmente”, unita anche al precedente articolo 2 "Noi crediamo in Dio, uno, eternamente esistente in tre persone: Padre, Figlio e Spirito Santo", chiaramente assicura la dichiarazione al cristianesimo trinitario ortodosso e la mette al riparo dalle paventate deviazioni docete ».

Nell'Ordine del giorno pervenuto con la convocazione all'assemblea federale leggiamo:

« Una differenziazione tra i membri della Commissione si è riscontrata solo nell’opportunità di modificare l’Art. 3 della Dichiarazione di Fede. In particolare 2 membri su 5 (Rinaldi e Mazzeschi) hanno proposto di effettuare interventi alla dichiarazione di fede. Gli altri 3 membri, al contrario, hanno ritenuto inopportuno intervenire su una dichiarazione di fede stabile da molti anni.

Il CEF nel ricevere il lavoro della commissione:

- Ha acquisito il testo mantenendo la differenziazione delle due posizioni: sia quella maggioritaria del non intervento sulla dichiarazione di fede, sia quella minoritaria mirante ad apportarvi modifiche;

- Ha espresso unanimemente proprio parere, analogo a quello della maggioranza della Commissione, di considerare inopportuni e non condivisibili gli interventi di modifica alla Dichiarazione di Fede;

- Ha rinviato all’Assemblea Federale la prerogativa di decidere, con uno specifico voto, se acquisire o meno gli emendamenti all’Art. 3 sulla Dichiarazione di Fede proposti dai commissari Rinaldi/Mazzeschi.

I commissari Rinaldi/Mazzeschi hanno proposto le seguenti modifiche all’Art. 3:

(...)

- Il punto c) diventerebbe: “Noi crediamo nel nostro Signore Gesù Cristo, unico mediatore, Dio fattosi uomo, nato da Maria vergine, vero uomo ma senza peccato, nei Suoi miracoli divini, nella Sua resurrezione corporale, e nel Suo ritorno in potenza e gloria (Col 2:18; Is 7:14; Ebr 4:15; At 2:22; I Pt 3:18; Mc 16:19: I Tim 2:5; Lc 21:27; Gv 14:30-31).” »

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Personalmente sono contrario alla modifica del testo relativo alla Dichiarazione di fede presente nello Statuto dell'AEI.

Non è corretto affermare che l'espressione rivolta a Cristo come "manifestato nella carne" sia propria unicamente della Bibbia Diodati, redatta a partire dai testi originali nel Seicento. Questa espressione - "manifestato" - è propria anche della Vulgata Clementina, della King James Version (la più importante traduzione dai testi originali compiuta nel Seicento in Inghilterra e ancora oggi la versione più diffusa della Bibbia nel mondo anglosassone), ma anche delle migliori traduzioni italiane e internazionali della Bibbia, quali: la Nuova Diodati (redatta non come "aggiornamento della Diodati", ma seguendone il principio di base di traduzione dai testi originali; ultima revisione 2003); la Nuova riveduta (la più diffusa bibbia protestante in Italia); la Bibbia di Gerusalemme (versione approvata dalla Conferenza Episcopale Italiana); la Nuovissima versione dai testi originali (dove la traduzione della Prima lettera a Timoteo è stata compiuta da Settimio Ciprani), il Nuovo testamento interlineare la cui traduzione dal testo greco Nestle-Aland è stata compiuta da Flaminio Poggi (Professore alla Pontificia Università Gregoriana e al Pontificio Istituto Biblico), la Traduzione Interconfessionale in Lingua Corrente (TILC), approvata dalla Alleanza Biblica Universle.

Considero dunque privo di fondamento il timore di derive gnostiche o docete perché l'espressione "manifestato" - accolta dalle migliori commissioni bibliche nazionali e internazionali, protestanti, cattoliche e ortodosse - va compresa alla luce del contesto scritturistico in cui è usata e del complesso della teologia paolina. L'essere manifestazione di Dio non implica il non essere vero Dio incarnato, ma anzi è una caratteristica di questo evento. Tant'è che si parla di "epifania" - "manifestazione" - del Signore Gesù Cristo come Figlio di Dio, nel episodio dell'adorazione dei magi, nel battesimo al Giordano e nella trasfigurazione; e tale festa esiste nella cristianità orientale ed occidentale fin dai primi secoli (si pensi che è molto più antica della celebrazione della Natività).

Qui di seguito le diverse citazioni bibliche secondo le versioni sopra menzionate.

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DIODATI

E senza veruna contradizione, grande è il misterio della pietà: Iddio è stato manifestato in carne


KING JAMES VERSION

And without controversy great is the mystery of godliness: God was manifest in the flesh


VULGATA CLEMENTINA

Et manifeste magnum est pietatis sacramentum, quod manifestatum est in carne


NUOVA DIODATI (2003)

E, senza alcun dubbio, grande è il mistero della pietà: Dio è stato manifestato in carne


NUOVA RIVEDUTA

Senza dubbio, grande è il mistero della pietà: Colui che è stato manifestato in carne


BIBBIA DI GERUSALEMME (CEI)

Dobbiamo confessare che grande è il mistero della pietà: Egli si manifestò nella carne


NUOVO TESTAMENTO INTERLINEARE (DALLA VERSIONE GRECA DI NESTLE-ALAND)

E concordemente grande è il della pietà mistero: Colui che fu manifestato nella carne


TRADUZIONE INTERCONFESSIONALE IN LINGUA CORRENTE

Davvero grande è il mistero della nostra fede: Cristo. Si è manifestato come uomo

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Alla luce di quanto sopra penso che la sostituzione di "manifestato nella carne" con "fattosi uomo" non è aderente al testo originale dove la parola greca ἐφανερώθη (ephanerōthē -aoristo indicativo passivo) significa rendere visibile, mettere in chiaro, uscire allo scoperto, con un richiamo alla natura epifanica dell'incarnazione del Verbo.

- Rev. Dr. Luca Vona


Assemblea dell'Alleanza Evangelica Italiana

Un tempo eravate tenebre

COMMENTO ALLA LITURGIA DELLA VENTESIMA DOMENICA DOPO LA TRINITÀ

Colletta

O Dio onnipotente e misericordioso, per la tua tenera bontà preservaci, ti supplichiamo, da ogni pericolo; affinché possiamo essere pronti, nell'anima e nel corpo, a compiere diligentemente tutte le cose che hai comandato. Per Cristo nostro Signore. Amen.

Letture

Ef 5,15-21; Mt 22,1-14

Commento

La parabola degli invitati a nozze riportata da Matteo si divide in due parti: la prima richiama il giudizio di Israele, per il suo rifiuto del Messia promesso; la seconda, che fa da "chiosa", si riferisce al giudizio individuale, e non è presente negli altri Vangeli.

Troviamo un racconto analogo nel Vangelo di Luca: quello del "gran convito" (Lc 14,15-24), dove il banchetto è preparato da un uomo benestante, mentre in Matteo si narra di un re, che invita alle nozze del proprio figlio. La parabola assume in Matteo un maggiore significato messianico e prefigura le persecuzioni e gli oltraggi che non solo i profeti dell'Antico Testamento, ma anche i discepoli e gli apostoli del Signore, in ogni tempo, subiscono per il suo nome.

Anche la reazione di colui che ha trasmesso l'invito è differente tra i due vangeli. In Luca gli invitati vengono rimpiazzati da mendicanti, mutilati, zoppi e ciechi. In Matteo il re decide di distruggere interamente la città di coloro che hanno rifiutato l'invito: "il re allora si adirò e mando i suoi eserciti per sterminare quegli omicidi e per incendiare la loro città" (Mt 22,7). Gerusalemme, la città di Dio, è ormai diventata "la loro città" perché Dio l'ha abbandonata in mano al nemico (Gerusalemme verrà distrutta dai romani pochi decenni dopo la morte di Cristo).  Già nel libro dell'Esodo vediamo che, dopo che Israele si è costruito il vitello d'oro, Dio si rivolge a Mosè chiamando Israele "il tuo popolo" e non più "il mio popolo" (Es 32,7).

A questo punto della vicenda terrena di Gesù vi è un cambio di rotta decisivo, rappresentato dalle parole del re ai suoi servitori: "andate ora ai crocicchi delle strade e tutti quelli che troverete, chiamateli alle nozze". Mentre fino a prima Gesù aveva intimato ai discepoli "Non andate tra i Gentili e non entrate in alcuna città dei Samaritani" (Mt 10,5), tale divieto è ora abolito; lo stesso si può dire della distinzione tra popolo e popolo. Possiamo dire con Paolo che "qui non c'è più Greco e Giudeo, circonciso e incirconciso, barbaro e Scita, servo e libero" (Col 3,11), ma tutti sono del pari peccatori, ai quali viene fatta l'offerta della salvezza in Cristo. Adesso le porte della mensa sono aperte a tutti.

A ben vedere non viene fatta una discriminazione neanche a partire dalle opere: "radunarono tutti quelli che trovarono cattivi e buoni e la sala delle nozze si riempì di commensali" (Mt 22,10). Che la possibilità di presentarsi al banchetto sia data per grazia è chiaro nella descrizione dei nuovi invitati nel Vangelo di Luca: i "mendicanti, mutilati, zoppi e ciechi" (Lc 14,21) rappresentano la nostra natura umana, segnata dalle ferite e dalla cecità del peccato, che ci impediscono di pervenire da soli alla salvezza.

Nel seguito della parabola matteana, invece, "il re, entrato per vedere i commensali, vi trovò un uomo che non indossava l'abito di nozze" (Mt 22,11). L'ingresso del re è l'immagine del giudizio finale e della separazione degli ipocriti dalla Chiesa di Cristo. Egli entra quando tutti gli invitati sono seduti a tavola, come era d'uso nell'antico Oriente.

La fede necessaria per presentarsi al convito è simboleggiata dall'abito di nozze, di cui uno degli invitati è sprovvisto. Era abitudine in oriente, che i re distribuissero agli invitati gli abiti per presentarsi alla festa. Era infatti inammissibile che qualcuno si presentasse con vestiti logori. Risulta chiara in questa immagine l'idea della grazia rifiutata e, dunque, della libertà della coscienza umana, di accogliere il Figlio di Dio e la sua parola salvifica.

Questa immagine è utilizzata anche dal profeta Isaia: "Io mi rallegrerò grandemente nell'Eterno, la mia anima festeggerà nel mio Dio, perché mi ha rivestito con le vesti della salvezza, mi ha coperto col manto della giustizia, come uno sposo che si mette un diadema, come una sposa che si adorna dei suoi gioielli" (Is 61,10).

Benché i peccatori siano invitati ad andare a Cristo nella condizione in cui si trovano e benché la salvezza si ottenga "senza denari e senza prezzo" (Is 55,1), Paolo riconosce che Dio "ci ha grandemente favoriti nell'amato suo figlio" (Ef 1,6), del quale siamo chiamati a rivestirci.

- Rev. Dr. Luca Vona

           

venerdì 23 ottobre 2020

Fermati 1 minuto. Che tempo fa?

Lettura

Lc 12,54-59

In quel tempo, Gesù diceva alle folle: «Quando vedete una nuvola salire da ponente, subito dite: “Arriva la pioggia”, e così accade. E quando soffia lo scirocco, dite: “Farà caldo”, e così accade. Ipocriti! Sapete valutare l’aspetto della terra e del cielo; come mai questo tempo non sapete valutarlo? E perché non giudicate voi stessi ciò che è giusto? Quando vai con il tuo avversario davanti al magistrato, lungo la strada cerca di trovare un accordo con lui, per evitare che ti trascini davanti al giudice e il giudice ti consegni all’esattore dei debiti e costui ti getti in prigione. Io ti dico: non uscirai di là finché non avrai pagato fino all’ultimo spicciolo».

Commento

Abbiamo la capacità di giudicare, di valutare gli eventi. Gesù lo afferma rivolgendosi alle folle, non a una élite religiosa. Egli parla a uomini comuni: pescatori, agricoltori, commercianti. Si rivolge a noi. 

Siamo capaci di dare un'nterpretazione agli eventi terreni, senza il bisogno di un aiuto esterno. Allo stesso modo dovremmo interpretare le cose spirituali, perché la nostra anima è capace di farlo. Il mondo ci spinge a farci assorbire completamente dai suoi affari e i pochi momenti di riposo diventano spesso occasione per un ozio improduttivo, che ci impedisce di vedere l'azione di Dio nella storia umana e nella nostra personale storia. 

Le parole di Gesù spronano ogni discepolo ad applicarsi allo studio delle Scritture, alla preghiera, a un apostolato capace di cogliere profeticamente i segni dei tempi. Siamo chiamati a leggere in prima persona la nostra vita alla luce del vangelo; a camminare con Cristo - che in questo passo delle Scritture è in viaggio verso Gerusalemme, dove si compirà il suo destino terreno - finché siamo in tempo. 

Finché siamo in vita, infatti, siamo per strada, e questo è il tempo della conversione e della riconciliazione. Come afferma l'apostolo Paolo: "Ecco ora il momento favorevole, ecco ora il giorno della salvezza!" (2 Cor 6,2). Gesù, che si fa presente con la sua misericordia nella vita di ogni uomo, ci esorta a riconoscere il tempo della nostra visitazione (Lc 19,44), riconciliandoci con Dio e con gli uomini.

Preghiera

Signore, giudice e mediatore, noi ci affidiamo a te, che hai steso le braccia sulla croce per la nostra riconciliazione. Concedici di camminare sempre alla luce della tua parola. Amen.

- Rev. Dr. Luca Vona

Ambrogio di Optina. Un abisso di carità

Le chiese ortodosse ricordano oggi Ambrogio, forse il più grande degli starcy di Optina.

Uomo di vivo ingegno, Aleksandr Michajlovič Grenkov (nome di battesimo del futuro starec) era stato costretto fin dalla giovinezza a ridurre notevolmente le attività a cui pure si sentiva portato, a causa dell'estrema instabilità della sua salute. Indirizzato dal proprio padre spirituale alla vita monastica nell'eremo di Optina, Ambrogio fece conoscenza degli altri due grandi starcy di quel monastero: Leonida (1763-1841) e Macario (1788-1860), dei quali divenne discepolo. 

Inizialmente fu monaco addetto alla cucina e, in seguito, Lettore di sacre scritture. Pochi anni più tardi fu consacrato ierodiacono con il nome di Ambrosius, in onore di Sant'Ambrogio, vescovo di Milano. Successivamente alla sua consacrazione si ammalò gravemente, tanto che, anche una volta guarito, rimase infermo e impossibilitato per la debolezza che lo perseguitava a celebrare la liturgia. Da allora si dedicò alla preghiera interiore e alla traduzione dei testi patristici. Quando il reverendo Macario morì nel settembre del 1860 Ambrogio diventò monaco superiore del monastero.

Attraverso la sofferenza assunta nella preghiera, Ambrogio imparò a conoscere se stesso e a scoprire nel profondo del suo cuore i segreti della natura umana e il cammino verso la riconciliazione con Dio. Convinto che la potenza di Dio si rivela soprattutto nella debolezza, egli divenne un padre spirituale di grande dolcezza, e impiegò il proprio discernimento non per giudicare gli altri, ma per con-soffrire con loro. Amava ripetere, parafrasando l'apostolo Paolo: «È la bontà di Dio che ci spinge alla conversione».

Divenuto padre spirituale del monastero alla morte di Macario, Ambrogio si adoperò per promuovere l'impegno di tutti i cristiani a sostegno degli ultimi e degli emarginati del suo tempo. La sua figura ispirò ampiamente la letteratura russa, da Dostoevskij a Tolstoj, e di lui fu detto: «Da Ambrogio un insondabile abisso di carità si effonde su ogni uomo». Morì la sera del 10 ottobre 1891, e sulla sua lapide i discepoli posero a suggello della sua vita: «Mi sono fatto debole con i deboli per guadagnare i deboli. Mi sono fatto tutto a tutti, per salvare ogni uomo».

Tracce di lettura

Tu preghi sempre il Signore perché ti dia l'umiltà. Ma come si può ottenere l'umiltà conducendo una vita così comoda? Se nessuno ti toccasse e tu restassi tranquilla, come potresti riconoscere la tua cattiveria? Come potresti vedere i tuoi vizi? Ti affliggi perché, secondo te, tutti cercano di umiliarti. Se cercano di abbassarti, significa che vogliono renderti umile: e sei tu stessa che chiedi a Dio l'umiltà. Perché allora affliggerti per le persone? Ti lamenti per l'ingiustizia della gente che ti circonda, per il loro atteggiamento verso di te. Ma se aspiri a regnare con Gesù Cristo, allora guarda a lui, come si è comportato con i nemici che lo circondavano: Giuda, Anna, Caifa, gli scribi e i farisei che volevano la sua morte. Egli non si lamentò dei nemici che agivano ingiustamente verso di lui, ma in tutte le terribili sofferenze inflittegli vedeva solamente la volontà del Padre, che aveva deciso di seguire e che seguì fino all'ultimo respiro. Egli vedeva che questi agivano ciecamente, per ignoranza, e perciò non li odiava ma pregava: «Signore, perdonali perché non sanno quello che fanno».
(Ambrogio di Optina, Lettere)

- Dal Martirologio ecumenico della Comunità monastica di Bose

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Ambrogio di Optina (1812-1891)

giovedì 22 ottobre 2020

Fermati 1 minuto. Come fuoco sulla terra

Lettura

Luca 12,49-53

49 Sono venuto a portare il fuoco sulla terra; e come vorrei che fosse già acceso! 50 C'è un battesimo che devo ricevere; e come sono angosciato, finché non sia compiuto! 51 Pensate che io sia venuto a portare la pace sulla terra? No, vi dico, ma la divisione. 52 D'ora innanzi in una casa di cinque persone 53 si divideranno tre contro due e due contro tre; padre contro figlio e figlio contro padre, madre contro figlia e figlia contro madre, suocera contro nuora e nuora contro suocera».

Commento

Gesù, come uomo, è pienamente consapevole delle sofferenze che lo attendono nella sua passione, ma la sua volontà umana è intimamente unita a quella della sua natura divina e a quella del Padre, così l'attesa del "battesimo" che dovrà ricevere diviene angoscia finché non sia compiuto. 

Il baptismós, propriamente l'“immersione” nei dolori della passione, sarà segno di scandalo per molti (Rm 9,33) e gli stessi discepoli, in un primo momento, non coglieranno il significato profondo di quell'evento. In esso Gesù si rivela segno di contraddizione «per la rovina e la resurrezione di molti» (Lc 2,34). 

L'atteggiamento di accoglienza o di rifiuto verso il mistero pasquale determina il nostro essere o non essere partecipi della morte e resurrezione del Cristo. A stabilire l'appartenenza al suo "popolo" non è più una discendenza o comunanza di sangue, ma la fede nel suo sangue redentore. 

Adempimento del giudizio di Dio verso l'umanità, la croce, sulla quale sono stati inchiodati i nostri peccati, è il luogo di riconciliazione di tutte le cose, quelle nei cieli e quelle sulla terra (Col 1,20).

Le parole di Gesù, che vorrebbe già vedere il mondo bruciare della sua carità (v. 49) costituiscono un esempio per ogni discepolo, un invito ad aspirare ai carismi più grandi (1 Cor 12,31), a desiderare quella perfezione che si compie nell'adempimento della volontà di Dio, del suo progetto sulla nostra vita.

Preghiera

Signore Gesù Cristo, noi riconosciamo in te il Figlio di Dio, che si è fatto pietra di scandalo nella morte di croce. Concedici di essere edificati su di te come tempio del Dio vivente. Amen.

- Rev. Dr. Luca Vona

mercoledì 21 ottobre 2020

Fermati 1 minuto. L'amministratore fedele e saggio

Lettura

Luca 12,39-48

39 Sappiate bene questo: se il padrone di casa sapesse a che ora viene il ladro, non si lascerebbe scassinare la casa. 40 Anche voi tenetevi pronti, perché il Figlio dell'uomo verrà nell'ora che non pensate». 41 Allora Pietro disse: «Signore, questa parabola la dici per noi o anche per tutti?». 42 Il Signore rispose: «Qual è dunque l'amministratore fedele e saggio, che il Signore porrà a capo della sua servitù, per distribuire a tempo debito la razione di cibo? 43 Beato quel servo che il padrone, arrivando, troverà al suo lavoro. 44 In verità vi dico, lo metterà a capo di tutti i suoi averi. 45 Ma se quel servo dicesse in cuor suo: Il padrone tarda a venire, e cominciasse a percuotere i servi e le serve, a mangiare, a bere e a ubriacarsi, 46 il padrone di quel servo arriverà nel giorno in cui meno se l'aspetta e in un'ora che non sa, e lo punirà con rigore assegnandogli il posto fra gli infedeli. 47 Il servo che, conoscendo la volontà del padrone, non avrà disposto o agito secondo la sua volontà, riceverà molte percosse; 48 quello invece che, non conoscendola, avrà fatto cose meritevoli di percosse, ne riceverà poche. A chiunque fu dato molto, molto sarà chiesto; a chi fu affidato molto, sarà richiesto molto di più.

Meditazione

Tenersi pronti, ma in maniera operosa. Questo il senso dell'ammonizione di Gesù. A chi sono rivolte le sue parole? A noi, suoi servi, che abbiamo ricevuto ogni bene da lui, ma non per trattenerlo, quanto per amministrarlo e condividerlo con gli altri servi. 

L'attesa diventa allora un tendere all'altro da sé, un tempo di sollecitudine verso il nostro prossimo. Il servo fedele sarà beato e verrà chiamato a regnare con Cristo.

Il "ritardo del padrone" (v. 45) indica il mutare delle aspettative dei primi cristiani riguardo la venuta imminente di Gesù. Luca si serve della copia di termini greci pais e paidiske, servi e serve, non trascurando l'elemento femminile presente nella comunità cristiana. Luca diffida i suoi lettori dall'interpretare in maniera erronea questo ritardo, che rappresenta il tempo della paziente misericordia del Signore.

La ricompensa del Signore per il servo fedele è un lavoro maggiore, una maggiore responsabilità (v. 44). Infatti, chi è il più grande tra i discepoli si farà servitore (Mc 10,43): è in questa capacità di donarsi che si trova la vera beatitudine, perché "vi è più gioia nel dare che nel ricevere" (At 20,35).

Il servo che attende irresponsabilmente il ritardo del padrone sarà sorpreso come da un ladro nella notte e verrà spogliato di ogni bene: perché «Perché a chiunque ha sarà dato e sarà nell'abbondanza; ma a chi non ha sarà tolto anche quello che ha» (Mt 25,29). Ciascuno dovrà rendere conto a Dio in proporzione ai doni ricevuti (v. 48).

Gesù invita ogni discepolo a esercitare una speranza operosa, nel riconoscimento delle potenzialità che ogni vita, visitata dalla grazia, racchiude in sé. Ciascuno è chiamato a interrogare la propria coscienza, per ricercare nella quotidianità la volontà di Dio, Signore del tempo, e per offrire una risposta generosa verso di lui e verso l'umanità.

Preghiera

Noi invochiamo il tuo ritorno Signore, ti attendiamo come la sentinella attende l'aurora. Il tuo spirito ci renda operosi nella tua vigna, nella consapevoleza che sei esigente con gli amministratori dei tuoi beni.

- Rev. Dr. Luca Vona



lunedì 19 ottobre 2020

Fermati 1 minuto. Solo l'amore resta

Lettura

Luca 12,13-21

13 Uno della folla gli disse: «Maestro, di' a mio fratello che divida con me l'eredità». 14 Ma egli rispose: «O uomo, chi mi ha costituito giudice o mediatore sopra di voi?». 15 E disse loro: «Guardatevi e tenetevi lontano da ogni cupidigia, perché anche se uno è nell'abbondanza la sua vita non dipende dai suoi beni». 16 Disse poi una parabola: «La campagna di un uomo ricco aveva dato un buon raccolto. 17 Egli ragionava tra sé: Che farò, poiché non ho dove riporre i miei raccolti? 18 E disse: Farò così: demolirò i miei magazzini e ne costruirò di più grandi e vi raccoglierò tutto il grano e i miei beni. 19 Poi dirò a me stesso: Anima mia, hai a disposizione molti beni, per molti anni; riposati, mangia, bevi e datti alla gioia. 20 Ma Dio gli disse: Stolto, questa notte stessa ti sarà richiesta la tua vita. E quello che hai preparato di chi sarà? 21 Così è di chi accumula tesori per sé, e non arricchisce davanti a Dio».

Commento

Essendo considerato un "maestro" Gesù è chiamato a dirimere non solo questioni religiose, ma anche civili. Egli rifiuta questo ruolo, non perché non abbia il potere di giudicare - essendo, anzi, giudice dell'universo - ma perché rifiuta di essere arbitro di dispute meramente terrene. 

Gesù va alla radice del problema condannado la cupidigia e pressentando una parabola. Il protagonista di quest'ultima è un uomo il cui lavoro è stato benedetto da Dio con un abbondante raccolto. Il suo desiderio è un po' quello che abbiamo tutti: godersi il prorpio benessere con una vita gioiosa e tranquilla. Ciò che gli viene rimproverato non è il modo in cui si è arricchito, del tutto onesto, ma la totale assenza di Dio e dei bisogni del prossimo dalla sua prospettiva esistenziale. 

Ogni interesse dell'uomo della parabola è rivolto a sé e ai suoi beni; ha accumulato ricchezze in terra ma non è arricchito davanti a Dio. La povertà della sua vita interiore, incapace di innalzare uno sguardo di gratitudine al cielo e di gioire nella condivisione della sua ricchezza materiale, sarà palesata dal sopraggiungere improvviso della morte, che lo separerà definitivamente da quanto ha accumulato nel granaio. 

Gesù condanna ogni forma di cupidigia «perché anche se uno è nell'abbondanza la sua vita non dipende dai suoi beni» (v. 15). L'uomo descritto da Gesù fa dipendere la propria sicurezza e felicità dalle ricchezze terrene, ne diventa schiavo, incapace di arricchirle di senso nella condivisione. Ma la carità necessita di un "altro" come destinatario del proprio amore, mentre l'uomo arricchito è chiuso in un monologo con se stesso. Di lui possiamo dire con il salmista: "come ombra è l'uomo che passa; solo un soffio che si agita, accumula ricchezze e non sa chi le raccolga" (Sal 39,7). 

I nostri beni, di qualsiasi natura, possono diventare una barriera verso Dio e verso il prossimo, ma liberati dalla nostra cupidigia possono essere messi al servizio di ciò che è forte come la morte (Ct 8,6): l'amore.

Preghiera

Il tuo Spirito, Signore, riempia i nostri cuori di gratitudine per i beni che ci elargisci e ci renda generosi nel condividerli con il nostro prossimo. Amen.

- Rev. Dr. Luca Vona

domenica 18 ottobre 2020

Coraggio, alzati

COMMENTO ALLA LITURGIA DELLA DICIANNOVESIMA DOMENICA DOPO LA TRINITÀ

Colletta

O Dio, poiché senza di te non siamo capaci di compiacerti; concedi, misericordioso, ai nostri cuori, di essere guidati dal tuo Santo Spirito. Per Gesù Cristo nostro Signore. Amen.

Letture

Ef 4,17-32; Mt 9,1-8

La vita nella fede è una esperienza di rinascita e di guarigione radicale. L'aspetto di rinascita, predicato da Gesù nel dialogo notturno con Nicodemo è approfondito da Paolo nella sua lettera agli Efesini, nell'ottica di una esortazione che va oltre il senso semplicemente morale del discorso, facendosi descrizione di ciò che Dio opera nel credente.

Il passo del Vangelo di Matteo, che in maniera più sintetica dei paralleli di Marco e di Luca descrive la guarigione del paralitico, offre una lettura dell'esperienza cui conduce l'incontro con Cristo, il quale ha autorità di rimettere i peccati sulla terra, sanando radicalmente la nostra natura umana.

La sottolineatura della capacità di Gesù di rimettere i peccati in terra indica la chiara proclamazione della sua natura divina. Fino ad allora, infatti, i credenti israeliti avevano confidato in una remissione dei peccati in cielo, da parte di Dio, che solo poteva operarla efficacemente.

Mentre i profeti, i discepoli e gli apostoli operarono i miracoli nel nome e per l'autorità di Dio, Gesù non ha bisogno di chiedere a Dio il potere di farli; egli compie i miracoli nel suo proprio nome.

Il racconto ci fa intendere che molti dei presenti non mancano di individuare la potenza divina in questo miracolo, ma gli sfugge il fatto che Cristo stesso l'ha operato nel proprio nome: "Io ti dico" riferiscono i passi paralleli di Marco e Luca. È in questo "Io", in questa formula indicativa, che si esprime la novità radicale del messaggio evangelico. Gesù non è semplicemente un profeta, un riformatore religioso, un guaritore. Egli è il Dio con noi, l'Emmanuele annunciato dai profeti dell'Antico Testamento.

Gesù comanda al paralitico non solo di alzarsi in piedi ma anche di tornare a casa sua portando via il suo lettino. Il segno della malattia che lo ha costretto per lungo tempo all'immobilità, rimane come testimonianza della radicale svolta che l'incontro di Cristo ha determinato nella sua vita. Gesù rimette i nostri peccati ma non cancella in noi il ricordo di essi, affinché possiamo avere sempre davanti ai nostri occhi il prevalere della sua grazia sul peccato. 

Esaminando il racconto di questo miracolo non bisogna sorvolare sul ruolo importante degli amici, che intercedono per il paralitico (nel passo parallelo di Marco e Luca fino ad arrampicarsi sul tetto della casa in cui sta predicando Gesù, per aprire un varco e calare l'amico al centro della stanza). La carità fraterna ha un ruolo importante nel muovere a compassione Gesù.

Paolo esorta "nel nome del Signore" (Ef 4,17), ovvero con autorità, con l'autorità che deriva da Cristo stesso e dal suo vangelo, a non camminare nella vanità della propria mente; letteralmente "nella vacuità ed estranei alla vita di Dio". La vita "pagana" è vita che si aggrappa a ciò che è vuoto, impermanente e che offusca la ragione. L'estraneità alla vita di Dio non è semplicemente il non condurre una vita da "persone per bene", ma il privarsi di un'esistenza vissuta in pienezza.

La vita di Dio è la vita - come dice Teodoro di Beza - qua Deus vivit in suis (che Dio vive in se stesso); la vita spirituale accende nei credenti la vita stessa di Dio. La vita di Dio, insomma non è semplicemente la vita onesta e virtuosa, ma è la vita che viene dall'alto, la rinascita per opera dello Spirito Santo, che porta con sé il germe della pace, della gioia, dell'eternità.

Paolo ci esorta a essere rinnovati "per rivestire l'uomo nuovo, creato secondo Dio". Questa identità nuova, questo rinnovamento non solo della personalità ma dell'intera natura umana, non è opera dell'uomo: è una creazione, un'opera di Dio (Ef 4,24).

Gesù viene in nostro soccorso, e ci consente di levarci dal nostro giaciglio, di lasciarci guarire, rinnovare, creare a immagine di Dio.

- Rev. Dr. Luca Vona

venerdì 16 ottobre 2020

Nicholas Ridley e Hugh Latimer, riformatori della Chiesa d'Inghilterra

 Il 16 ottobre la Chiesa anglicana celebra la memoria di Nicholas Ridley e Hugh Latimer.

Nicholas Ridely (Newcastle-upon-Tyne 1500 circa - Oxford 1555) compì gli studi a Cambridge, a Parigi e a Lovanio. Favorevole alle idee della Riforma, nel 1537 venne nominato cappellano da Thomas Cranmer, arcivescovo di Canterbury, con il quale collaborò poi alla compilazione del Prayer Book e alla riforma del culto. Nominato master di Pembroke (1540), canonico di Canterbury (1541) e quindi vescovo di Rochester (1547), nel 1550 fece parte della commissione che giudicò i vescovi Stephen Gardiner e Edmund Bonner; a quest'ultimo succedette come vescovo di Londra. Sostenne apertamente la candidatura di lady Jane Grey alla successione; quando, alla morte di Edoardo VI (1553), salì al trono la cattolica Maria Tudor, Ridley fu imprigionato nella Torre di Londra e quindi processato a Oxford insieme con Cranmer e Hugh Latimer. Condannato per eresia, morì sul rogo.

Nicholas Ridley

Hugh Latimer (Thurcaston, Leicestershire, 1485 circa - Oxford 1555), Baccelliere in teologia nel 1524, presto si venne accostando alla Riforma attraverso la polemica contro gli abusi e la corruzione ecclesiastica. Colto e brillante, egli era nel 1525 già famoso e ricercato predicatore. Dal 1535 Latimer, nominato vescovo di Worcester, fu con Thomas Cranmer e Thomas Cromwell il principale consigliere del re in materia ecclesiastica, ma, accostatosi sempre più alla teologia luterana, nel 1539 si dimise dal vescovato. Nel 1546 fu imprigionato nella Torre di Londra; liberato all'ascesa al trono di Edoardo VI, nel 1548 era predicatore a corte. Intanto il suo protestantesimo diventava più rigoroso e la sua polemica contro la transustanziazione destò clamori nel clero. Insieme a Nicholas Ridley e Thomas Cranmer egli era ormai la personalità più eminente della Riforma inglese; e con essi, all'ascesa al trono di Maria Tudor, fu mandato a Oxford a discutere sulla Messa dinanzi ai teologi dell'università (1554). Per le sue posizioni in materia di teologia eucaristica fu dunque condannato come eretico e perì sul rogo il 16 ottobre 1555, insieme a Nicholas Ridley.

Hugh Latimer

- Fonte: Enciclopedia Treccani


Fermati 1 minuto. Ditelo sui tetti

Lettura

Luca 12,1-7

1 Nel frattempo, radunatesi migliaia di persone che si calpestavano a vicenda, Gesù cominciò a dire anzitutto ai discepoli: «Guardatevi dal lievito dei farisei, che è l'ipocrisia. 2 Non c'è nulla di nascosto che non sarà svelato, né di segreto che non sarà conosciuto. 3 Pertanto ciò che avrete detto nelle tenebre, sarà udito in piena luce; e ciò che avrete detto all'orecchio nelle stanze più interne, sarà annunziato sui tetti. 4 A voi miei amici, dico: Non temete coloro che uccidono il corpo e dopo non possono far più nulla. 5 Vi mostrerò invece chi dovete temere: temete Colui che, dopo aver ucciso, ha il potere di gettare nella Geenna. Sì, ve lo dico, temete Costui. 6 Cinque passeri non si vendono forse per due soldi? Eppure nemmeno uno di essi è dimenticato davanti a Dio. 7 Anche i capelli del vostro capo sono tutti contati. Non temete, voi valete più di molti passeri.

Commento

Migliaia di persone attorniano Gesù e fanno da sfondo a questa pagina evangelica, contrapposte ai discepoli, ai quali anzitutto (v. 1) egli si rivolge; discepoli che egli chiama amici (v. 4), un termine che comprare quest'unica volta nei vangeli sinottici, ma che è frequente nel vangelo di Giovanni. Il Signore li invita a vigilare, per mettersi al riparo dall'ipocrisia, che qui è paragonata a un lievito, per la sua capacità di diffondersi e moltiplicarsi nella comunità. 

Nel Nuovo Testamento troviamo associazioni sia positive che negative all'immagine del lievito. Ad esempio, nei vangeli sinottici (Mt 13,33 e Lc 13,20-21) il lievito, mescolato da una donna con tre misture di farina, è paragonato al regno di Dio. Nella prima lettera ai Corinzi (1 Cor 5,6-7) Paolo contrappone il lievito vecchio al lievito nuovo, ovvero l'immoralità in cui vivevano i destinatari dell'epistola prima di conoscere il vangelo e la rettitudine cui li richiama la conversione. 

Il lievito dell'ipocrisia è la tendenza ad agire con doppiezza e a trarre in inganno il proprio interlocutore, un atteggiamento che troviamo sovente descritto nei Salmi: "Con la bocca benedicono, e maledicono nel loro cuore" (Sal 61,5); "Suscitano contese e tendono insidie, osservano i miei passi, per attentare alla mia vita" (Sal 55,7). Proprio l'evangelista Luca, subito prima di questo passaggio evangelico, aveva concluso il brano sulle invettive di Gesù contro i farisei, riportando che questi "cominciarono a farlo parlare su molti argomenti, tendendogli insidie" (Lc 11,53-54). 

L'immagine esteriore di irreprensibilità dei farisei è in contrasto con le reali intenzioni del cuore. Ogni credente è chiamato alla coerenza tra essere e apparire: ne va della sopravvivenza della propria integrità (v. 5).

All'atteggiamento dei capi religiosi Gesù contrappone quello che dovrà essere l'agire dei suoi discepoli: una schiettezza nel parlare, al riparo da qualsiasi deriva "esoterica". Non vi è nulla, infatti, dell'annuncio evangelico, che debba essere tenuto nel segreto delle stanze di una casta sacerdotale, anziché essere rivelato in modo aperto e comprensibile. Il dovere della verità è tale che va adempiuto anche laddove la nostra stessa vita potrebbe risultare in pericolo, con piena fiducia nella provvidenza divina. 

L'esempio dei cinque passeri venduti per due soldi, l'equivalente di due ore di salario, attesta che Colui che è nei cieli si preoccupa dei minimi dettagli ed eventi della sua creazione. Gesù ci invita a non temere, a essere testimoni coraggiosi della verità, a far risplendere la sua luce e a fare risuonare la sua voce.

Preghiera

Poni, Signore, nei nostri cuori e nelle nostre comunità, il lievito buono della tua parola, affinché fedeli ad essa possiamo crescere in santità e giustizia davanti ai tuoi occhi. Amen.

- Rev. Dr. Luca Vona

giovedì 15 ottobre 2020

Il Prof. Rinaldi e l'Alleanza Evangelica se le danno di santa ragione

È di qualche giorno fa la "lettera aperta" di Giancarlo Rinaldi, Professore di Storia del Cristianesimo, all'Alleanza Evangelica Italiana, di cui Rinaldi è membro, nonostante non sia intezionato a rinnovare l'iscrizione. Il Prof. aveva più volte richiesto la revisione dello Statuto, ma in particolare in quest'ultimo appello, apparso su Facebook anche come videomessaggio, si riferisce a un articolo cristologico dello stesso, a suo parere da considerare di tentenze gnostiche e docetiste, in definitiva "eretiche". L'AEI risponde pan per focaccia nel suo bollettino "Ideaitalia", chiarendo la natura biblica dell'articolo e l'ortodossia della propria confessione di fede. Ripropongo qui di seguito la lettera aperta del Prof. Rinaldi e la risposta dell'AEI. 

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Lettera aperta ai fratelli dell’Alleanza Evangelica Italiana

Pubblicato il 9 Ottobre 2020 da Giancarlo Rinaldi Blog

L’Alleanza Evangelica Italiana, nel panorama dell’evangelismo nostrano, può paragonarsi a una elogiabile formica che trasporta un peso di gran lunga più oneroso del suo corpicino. Belle battaglie sull’etica pubblica, sulla libertà di religione, sui cristiani perseguitati, sul rapporto con il cattolicesimo romano. Però è formica che, per quanto abbia io sperimentato, si mostra poco proclive a ricevere sinergie e collaborazioni. Io stesso dell’AEI ho fatto parte per un lustro, credo, ma senza mai riuscire a dar sul serio una mano. Valga la mia esperienza di consigliere per vari anni del Distretto dell’Italia Centrale, mai riunitosi per affrontare quelle che sarebbero state le sue funzioni nell’economia dell’organizzazione associativa generale. Forse sarà perché i vertici hanno le idee già chiare e distinte sui punti di partenza, di arrivo e di percorso. Mi piace pensare che forse è così, anche se gradirei che talvolta fossero ascoltati anche i comuni mortali.

Fioccano invece dichiarazioni a nome dell’associazione tutta, firmate con sigle ermetiche di due o tre (più spesso) lettere siglanti. Ma l’attivazione dei Comitati, come prevede da lunghi anni lo Statuto associativo, pur se votata favorevolmente dall’Assemblea dei soci, su mia proposta, già tre anni or sono, rimane ancora oggi un pio desiderio. Peccato! Lo Statuto dell’AEI, infatti, prescrive in più parti che questi Comitati, distinti per materie diverse, siano eletti dall’Assemblea (organo sovrano) e non nominati tra i pochissimi medesimi, visto il clima dottrinale, ‘predestinati’.

Vi prego, fratelli cari, attivate finalmente i Comitati per libera elezione o, per lo meno, non criticate il Vaticano in quanto gerarchia ingessata fino a quando, in attuazione del vostro stesso Statuto, non sostituiate l’istituto dell’elezione al posto della prassi della nomina.

Ho tentato di essere utile anche nella modifica dello Statuto. Invano. All’articolo 3.2c di quello vigente leggiamo: “Noi crediamo nel nostro Signore Gesù Cristo, unico mediatore, Dio manifestato nella carne”. Questa è un’eresia grande come un palazzo! Si tratta di docetismo gnostico puro e semplice. La Bibbia, la costante tradizione della Chiesa, il pensiero della Riforma insegna che Dio non si è manifestato ma si è incarnato in Gesù! Si ritorni a Gv. 1,14 “la Parola è fatta carne”. L’eresia secondo la quale Dio si sarebbe manifestato in Gesù, ma non sarebbe “venuto in carne (= incarnato”) è addirittura qualificata come il segno dell’anticristo in 1 Gv. 4,2-3. Vi supplico: cancellate la blasfemia e sostituitela con le parole di Giovanni: “Dio fattosi carne”!

E non mi si dica che: 1. altri articoli di fede attestano da parte dell’AEI la credenza nell’incarnazione, poiché mille buone frasi non ci autorizzano a pronunciare una bestemmia; 2. Gli articoli di fede dello Statuto non possono essere cambiati: no! È la Bibbia che non può essere cambiata, non le nostre umane dichiarazioni di fede: equiparare di fatto queste ultime alla Scrittura è altra grande blasfemia; 3. in 1 Tim. 3,16, così come tradotto nella Diodati, si dice che Dio si è manifestato in carne: questa traduzione è inaccettabile poiché si basa su una interpolazione del Codex Cantabrigensis laddove tutti i più antichi manoscritti (che Diodati non poteva ancora conoscere) affermano che Cristo si manifestò in carne, non Dio; leggete il Nuovo Testamento in greco (o fatevelo spiegare).

All’assemblea del 31 non ci sarò. L’esperienza di anni mi ha insegnato che le possibilità di contribuire intervenendo concretamente alla gestione associativa sono pressoché nulle. Affido la mia riflessione ai vertici e, principalmente, alla base associativa tutta. Liberi di fare come crederanno. Io a uno strisciante gnosticismo preferisco il prologo giovanneo; agli amori non corrisposti non credo più. Il tempo, quando non si è più giovani, come nel mio caso, è prezioso: va amministrato oculatamente.

Giancarlo Rinaldi

P.S.: Soltanto se richiesta e, principalmente, se utile mi riservo di fornire documentazione analitica ed esaustiva di quanto sopra rilevato.

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La dichiarazione di fede dell’AEI è ortodossa, non doceta

Una risposta alla lettera aperta di Giancarlo Rinaldi

Roma (AEI), 15 ottobre 2020 – Il Consiglio Esecutivo Federale dell’Alleanza Evangelica Italiana, avendo letto la Lettera aperta all’AEI (9 ottobre 2020) di Giancarlo Rinaldi in cui si sostiene che la dichiarazione di fede dell’AEI sarebbe doceta (l’idea secondo cui Gesù Cristo non si sia corporalmente incarnato ma solo apparentemente), ribadisce quanto segue:

1. L’espressione Dio “manifestato nella carne” è la citazione di 1 Timoteo 3,16, tradotta così dalla Diodati, Luzzi/Riveduta, Nuova Riveduta e Nuova Diodati, praticamente tutte le traduzioni in uso nelle chiese evangeliche italiane. Non è una espressione introdotta o inventata dall’AEI: è un testo biblico. Inoltre, non corrisponde al vero che l’espressione “manifestato” debba necessariamente intendersi come mera apparenza, visto che nella Parola di Dio è utilizzata numerose volte per indicare un palesamento anche concreto, fisico e corporeo.

2. L’articolo di fede messo in discussione è stato citato mutilandolo.L’articolo nella sua totalità afferma quanto segue:

Art. 3) Noi crediamo nel nostro Signore Gesù Cristo, unico media­tore, Dio manifestato nella carne, nato da Maria vergine, vero uomo ma senza peccato, nei suoi miracoli divini, nella sua resurrezione corporale, e nel suo ritorno in potenza e gloria (Colossesi 2:18; Isaia 7:14; Ebrei 4:15; Atti 2:22; I Pietro 3:18; Marco 16:19: I Timoteo 2:5; Luca 21:27; Giovanni 14:30-31).

La confessione di Gesù “vero uomo” e risorto “corporalmente”, unita anche al precedente articolo 2 "Noi crediamo in Dio, uno, eternamente esistente in tre persone: Padre, Figlio e Spirito Santo", chiaramente assicura la dichiarazione al cristianesimo trinitario ortodosso e la mette al riparo dalle paventate deviazioni docete.

3. Come ogni altro documento umano, anche la dichiarazione di fede dell’AEI non è immodificabile, tanto è vero che nella prossima assemblea del 31/10/2020, nell’ambito della presa in esame del nuovo Statuto dell’AEI, è previsto un voto anche sul punto in questione (si veda la nota a p. 4). Nonostante la maggioranza della Commissione Statuto e l’intero Consiglio Esecutivo Federale siano contrari al cambiamento, il punto sarà oggetto di voto da parte dell’Assemblea (come i soci AEI sanno avendo ricevuto la convocazione il 16/9/2020). E’ dunque fuori luogo accusare l’Alleanza Evangelica di considerare la propria dichiarazione di fede come immodificabile.

In conclusione, le illazioni contenute nella “lettera aperta” sono smentite dai fatti. Infatti, guardando all’intera Scrittura e prendendo in esame l’intera dichiarazione di fede dell’Alleanza Evangelica, possiamo concludere che quest’ultima è biblica, trinitaria ed ortodossa, non certamente “doceta”

Assemblea dell'Alleanza Evangelica Italiana

il Prof. Giancarlo Rinaldi



Teresa d'Avila e il castello interiore

Oggi la chiesa cattolica e quella anglicana ricordano Teresa di Gesù, monaca e riformatrice del Carmelo. Teresa de Cepeda y Ahumeda nacque nel 1515 ad Avila, in una famiglia della nobiltà spagnola. Donna di temperamento ardente, grande sognatrice, a vent'anni entrò nel Carmelo locale, affrontando la viva opposizione del padre. 


Teresa d'Avila (1515-1582)

Trasferita ogni passione nella vita interiore, Teresa conobbe una profonda intimità con il Signore, ma conobbe anche l'aridità, la «notte dei sensi». A quarant'anni, grazie a quelle che descriverà nei suoi scritti come esperienze mistiche, essa trovò una certa stabilità spirituale, pur nella malferma salute del suo fisico, segnato in modo indelebile dalle precarie condizioni di vita dei monasteri del suo tempo. Sotto la guida di Francesco Borgia e Pietro di Alcántara, e poi di Giovanni della Croce, Teresa cominciò a fondare piccole comunità carmelitane in tutta la Spagna per consentire alle monache un'intensa vita di preghiera. È l'inizio della riforma del Carmelo, che coinvolgerà di lì a poco anche il ramo maschile.

Giunta a una profonda conoscenza di se stessa e della presenza di Dio nella propria anima, Teresa lasciò ai posteri, su indicazione del proprio padre spirituale, trattati sulla preghiera e sulla vita interiore che le hanno valso il titolo di dottore della chiesa, conferitole da Paolo VI nel 1970.

Teresa morì il 4 ottobre 1582, ma è ricordata il 15 perché proprio in quel giorno la chiesa d'occidente passò dal calendario giuliano a quello gregoriano.

Tracce di lettura

Possiamo considerare la nostra anima come un castello, fatto di un sol diamante o di un tersissimo cristallo, nel quale vi sono molte dimore, come molte ve ne sono in cielo. Alcune sono in alto, altre in basso, altre ancora laterali; e nel centro, al cuore di tutte, si trova la stanza più importante, dove si svolgono le cose di grande segretezza tra Dio e l'anima.

Non dovete immaginarvi queste dimore una dopo l'altra, come un'infilata di stanze, ma fissate lo sguardo sul centro che è la stanza o il palazzo del Re. Per quanto io ne capisca, la porta per entrare in questo castello è l'orazione e la meditazione.

Le cose dell'anima devono sempre esser considerate con larghezza, vastità e grandezza, senza paura di esagerare, perché l'anima è molto più capace di quanto possiamo immaginare e in tutte le sue parti si espande la luce del Sole che risiede nel mezzo.

(Teresa di Gesù, Castello interiore, Prime mansioni 1 e 2)

Fermati 1 minuto. Cristo, parola attuale

ùLettura

Luca 11,47-54

47 Guai a voi, che costruite i sepolcri dei profeti, e i vostri padri li hanno uccisi. 48 Così voi date testimonianza e approvazione alle opere dei vostri padri: essi li uccisero e voi costruite loro i sepolcri. 49 Per questo la sapienza di Dio ha detto: Manderò a loro profeti e apostoli ed essi li uccideranno e perseguiteranno; 50 perché sia chiesto conto a questa generazione del sangue di tutti i profeti, versato fin dall'inizio del mondo, 51 dal sangue di Abele fino al sangue di Zaccaria, che fu ucciso tra l'altare e il santuario. Sì, vi dico, ne sarà chiesto conto a questa generazione. 52 Guai a voi, dottori della legge, che avete tolto la chiave della scienza. Voi non siete entrati, e a quelli che volevano entrare l'avete impedito». 53 Quando fu uscito di là, gli scribi e i farisei cominciarono a trattarlo ostilmente e a farlo parlare su molti argomenti, 54 tendendogli insidie, per sorprenderlo in qualche parola uscita dalla sua stessa bocca.

Commento

L'incapacità di accogliere la parola profetica, rende responsabili "in solido" i farisei con i loro padri che perseguitarono e uccisero gli inviati di Dio. Anziché aprirsi all'appello alla conversione i farisei si chiudono nella celebrazione "monumentale" del passato: costruendo tombe ai profeti, attestano una religiosità esteriore, che non sa riconoscere il rendersi attuale del loro messaggio nella predicazione e nella vita di Cristo.

Anche nella storia del cristianesimo, in alcuni momenti, l'"autorità ecclesiastica", non solo ha trascurato lo spirito profetico del vangelo, ma ha impedito al popolo di comprendere le Scritture e di coltivare attraverso di esse una relazione diretta con Dio. 

Cristo è la Sapienza stessa, che mette le proprie parole sulla bocca dei profeti di ogni tempo e che è venuta nel mondo per illuminare ogni uomo. Quella "lucerna che illumina con il suo bagliore" (Lc 11,36) di cui parla Gesù proprio subito prima di questa invettiva contro i farisei e i dottori della legge. 

Considerare attuale la parola dei profeti e la voce del Cristo-Sapienza, significa innanzitutto considerarle rivolte a noi. È facile, infatti, sentirsi "giusti" lodando Dio e i suoi messaggeri con le parole, ma è più difficile lasciarsi trasformare da Dio e dalla sua Parola. Quest'ultimo è il fine della vera religione, il superamento (non il rinnegamento) della religione stessa - intesa come insieme di norme e di riti - nell'incontro con Dio che ci interpella personalmente e ci chiama ad essere simili a lui. 

Tale incontro si realizza anche nel riconoscimento dei poveri, dei sofferenti, degli ultimi, essi stessi segno profetico di Dio, immagine del volto di Cristo, il quale afferma: «ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l'avete fatto a me» (Mt 25,40).

Preghiera

Signore, la tua grazia ci conceda non solo di celebrarti ma anche di accoglierti come luce capace di trasformare le nostre vite e di risplendere nel mondo. Amen.

- Rev. Dr. Luca Vona

martedì 13 ottobre 2020

Fermati 1 minuto. Purificati dall'amore

Lettura

Luca 11,37-41

37 Dopo che ebbe finito di parlare, un fariseo lo invitò a pranzo. Egli entrò e si mise a tavola. 38 Il fariseo si meravigliò che non avesse fatto le abluzioni prima del pranzo. 39 Allora il Signore gli disse: «Voi farisei purificate l'esterno della coppa e del piatto, ma il vostro interno è pieno di rapina e di iniquità. 40 Stolti! Colui che ha fatto l'esterno non ha forse fatto anche l'interno? 41 Piuttosto date in elemosina quel che c'è dentro, ed ecco, tutto per voi sarà mondo.

Commento

In questo brano di Luca vediamo Gesù rompere l'osservanza delle regole religiose giudaiche, provocando una reazione di meraviglia, probabilmente di sdegno, nel fariseo che lo ha invitato a pranzo. Il Signore - così è chiamato qui Gesù, forse a sottolineare la sua signoria sulla stessa Legge - si siede direttamente a tavola, senza fare le abluzioni rituali. 

La reazione del fariseo diventa occasione per una dura accusa di Gesù verso un'intera classe religiosa, alla quale egli rimprovera di essere tanto attenta alla "norma" quanto vuota spiritualmente. L'appellativo di "stolti" richiama la letteratura sapienziale, in cui ricorre frequentemente per indicare l'uomo che si rifiuta di orientare la propria vita a Dio e che assume un atteggiamento di presunzione e di disprezzo. Un atteggiamento che ricorre spesso nei farisei descritti dai Vangeli ma che può costituire una tentazione anche per i cristiani. 

Quando il diritto canonico, le rubriche liturgiche, il catechismo, diventano fine a se stessi, viene a mancare l'essenziale, ovvero la carità che muove a misericordia verso il prossimo e dà senso a ogni norma religiosa. Nello specifico è qui raccomandata l'elemosina, pratica del tutto estranea al mondo pagano e ritenuta capace di esporre all'impurità - nel contatto con la gente bisognosa - in quello giudaico. 

"Tutto sarà mondo" (v. 41) per chi si apre alle necessità del prossimo. Un'affermazione del genere è rivoluzionaria. In un ambiente religioso sovraccarico di leggi e prescrizioni - spesso di natura puramente umana - e ossessionato dal timore per l'impurità, Gesù proclama la capacità dell'amore e della generosità di purificare il cuore dell'uomo e ogni cosa che lo circonda. 

L'affermazione di Gesù è ribadita da Paolo, la cui influenza è rilevante sul corpus degli scritti di Luca (Vangelo e Atti degli apostoli): "Tutto è puro per i puri; ma per i contaminati e gli infedeli nulla è puro; sono contaminate la loro mente e la loro coscienza" (Tt 1,15). Solo attraverso la carità potremo custodire l'integrità del nostro corpo e del nostro spirito.

Preghiera

Crea in noi, Signore, un cuore puro; liberaci dal cuore di pietra e donaci un cuore di carne. Affinché animati dalla tua carità possiamo essere solleciti verso i bisogni del nostro prossimo. Amen.

- Rev. Dr. Luca Vona

lunedì 12 ottobre 2020

Fermati 1 minuto. Segni

Lettura

Luca 11,29-32

29 Mentre le folle si accalcavano, Gesù cominciò a dire: «Questa generazione è una generazione malvagia; essa cerca un segno, ma non le sarà dato nessun segno fuorché il segno di Giona. 30 Poiché come Giona fu un segno per quelli di Nìnive, così anche il Figlio dell'uomo lo sarà per questa generazione. 31 La regina del sud sorgerà nel giudizio insieme con gli uomini di questa generazione e li condannerà; perché essa venne dalle estremità della terra per ascoltare la sapienza di Salomone. Ed ecco, ben più di Salomone c'è qui. 32 Quelli di Nìnive sorgeranno nel giudizio insieme con questa generazione e la condanneranno; perché essi alla predicazione di Giona si convertirono. Ed ecco, ben più di Giona c'è qui.

Commento

La folla pretende di vedere continuamente dei "segni" da parte di Gesù: prodigi, guarigioni, esorcismi. Ma la sua risposta spazza via ogni falsa attesa, richiamando la gente che lo segue al senso profondo di ciò che sente e ascolta. Non sono, in realtà, dei "segni" che essa deve aspettare, perché il "segno" vero è lui stesso: la sua persona, la sua parola e la sua testimonianza. Questo "segno" va accolto attraverso un impegno di conversione, l'unico capace di far riconoscere la grandezza di Gesù e del suo insegnamento, che si innalza ben sopra quella di Salomone. 

Il "segno di Giona" è interpretato da Gesù in relazione alla sua morte e risurrezione. Come Giona fu gettato dalla barca per salvare la vita dell'equipaggio minacciato dalla tempesta così Gesù è stato gettato fuori da questo mondo nella sua passione per salvarci dalla tempesta del peccato; e come Giona riemerse dal ventre del pesce dopo tre giorni e tre notti, così Gesù risorge il terzo giorno, liberandoci dal potere della morte. 

Gli abitanti di Ninive risposero alla predicazione di Giona, che minacciava la distruzione della città da parte di Dio, cospargendosi di cenere e facendo quaranta giorni di penitenza. Anche noi siamo chiamati al ravvedimento, dalla persona di Gesù, che è molto più grande di Giona. Ma mentre quest'ultimo predicava l'imminente castigo di Dio, Gesù annuncia la buona notizia della salvezza, che ci spinge a conformarci alla volontà di Dio non per timore, ma in risposta al suo gratuito atto di amore. 

Il sorgere (v. 31) della regina del sud, insieme agli abitanti di Ninive, nel giorno del giudizio, indica la loro risurrezione, ma anche la loro accusa contro la generazione incredula. La sapienza di cui Dio aveva rivestito Salomone diventa fulgida manifestazione della misericordia divina nel volto di Gesù, disprezzato, flagellato, crocifisso per essersi fatto carico dei nostri peccati: "Ecco l'uomo!" (Gv 19,5); ecco Dio che viene a visitarci come amore disarmato e come tale ci chiede di accoglierlo.

Preghiera

Signore Gesù Cristo, che ti sei fatto peccato in nostro favore, perché diventassimo giusti davanti a Dio, concedici di conformarci sempre più a te, segno vivente dell'amore del Padre. Amen.

- Rev. Dr. Luca Vona