Il Rev. Dr. Luca Vona
Un evangelico nel Deserto

Ministro della Christian Universalist Association

domenica 31 gennaio 2021

Ciò che la sola legge non può dare

COMMENTO ALLA LITURGIA DELLA QUARTA DOMENICA DOPO L'EPIFANIA


Colletta

O Dio, che sai che siamo posti nel mezzo di tanti e grandi pericoli, cui non possiamo far fronte per la fragilità della nostra natura; concedici forza e protezione e liberaci da ogni tentazione. Per Gesù Cristo, nostro Signore. Amen.

Letture

Rm 13,1-7; Mt 8,1-13

Commento

L'evangelista Matteo fa seguire al "discorso della montagna" una serie di miracoli compiuti da Gesù, nel quadro più generale di una sezione narrativa sulla predicazione del regno dei cieli. Dopo essersi manifestato come sommo legislatore, Gesù si presenta nella sua qualità di medico delle anime e dei corpi. 

Uno dei mali che la cultura giudaica riteneva un segno eminente della riprovazione divina era la lebbra. Il primo uomo che Gesù guarisce è proprio un lebbroso, dimostrando che egli può allontanare qualsiasi genere di peccato. Considerata la massima espressione di impurità rituale, la lebbra - per la quale non si conoscevano trattamenti medici - doveva essere diagnosticata da un sacerdote, il quale verificava  anche l'eventuale guarigione del malato. Al sacerdote spettava dunque la diagnosi, ma non la cura. Sanando un lebbroso Gesù dimostra di essere colui che offre ciò che la legge non può dare: la guarigione e la restituzione al servizio di Dio. 

La chiesa deve guardarsi dallo scadere in uno sterile legalismo, zelante nel condannare il peccato e minacciare le sue conseguenze, ma incapace di suscitare conversione e guarigione. Toccando il lebbroso Gesù contravviene alla legge giudaica, ma in questo modo dimostra la sua superiorità ad essa e la sua completa separazione dal peccato, pur dimorando tra i peccatori. Non teme di toccare le nostre piaghe colui che ha sanato la nostra umanità assumendola su di sé. 

Il tocco e la parola di autorità di Gesù - "Lo voglio, sii sanato" (v. 3) - sono sufficienti per suscitare una immediata guarigione. Il miracolo di guarigione del lebbroso mette in guardia da ogni forma di purismo religioso, dalla tentazione di stabilire una barriera tra la santità di Dio e le miserie dell'uomo, di fuggire non solo il peccato ma anche il peccatore. Siamo chiamati invece a pregare per la guarigione dei nostri mali, ma anche di quelli del nostro prossimo, come attesta l'umiltà e la carità del protagonista del successivo racconto di guarigione. 

Con il miracolo compiuto a favore del servo del centurione cominciano ad avverarsi le parole profetiche pronunciate da Simeone alla presentazione di Gesù al tempio, riconosciuto come gloria di Israele ma anche come "luce per illuminare le genti" (Lc 2,32). Le parole del centurione tradiscono infatti la sua appartenenza pagana, dal momento che egli non si ritiene degno di una visita di Gesù, il quale, entrando nella sua casa, si sarebbe esposto all'impurità rituale secondo la legge ebraica. 

Abituato al comando e consapevole dell'autorità di un ordine, al centurione basta la semplice parola di Gesù per avere la certezza della guarigione del suo servo. Con tale attestazione di fede e con l'utilizzo dell'appellativo "Signore" il soldato romano dimostra di riconoscere la sovranità di Cristo e per questa ragione viene annoverato tra i figli di Abramo, padre di coloro che credono. 

Gesù rimprovera l'incredulità di coloro, tra i figli naturali del patriarca, che rifiutano il suo insegnamento di fronte ai prodigi di cui sono stati testimoni. Chi cerca il miracolo per credere non avrà mai "prove" a sufficienza, ma a chi crede e chiede con umiltà nulla sarà negato per la salvezza propria e di quelli che egli ama.

- Rev. Dr. Luca Vona

venerdì 29 gennaio 2021

Fermati 1 minuto. Hai mai colto l'attimo in cui una pianta cresce?

Lettura

Marco 4,26-34

26 Diceva: «Il regno di Dio è come un uomo che getta il seme nella terra; 27 dorma o vegli, di notte o di giorno, il seme germoglia e cresce; come, egli stesso non lo sa. 28 Poiché la terra produce spontaneamente, prima lo stelo, poi la spiga, poi il chicco pieno nella spiga. 29 Quando il frutto è pronto, subito si mette mano alla falce, perché è venuta la mietitura».
30 Diceva: «A che cosa possiamo paragonare il regno di Dio o con quale parabola possiamo descriverlo? 31 Esso è come un granellino di senapa che, quando viene seminato per terra, è il più piccolo di tutti semi che sono sulla terra; 32 ma appena seminato cresce e diviene più grande di tutti gli ortaggi e fa rami tanto grandi che gli uccelli del cielo possono ripararsi alla sua ombra».
33 Con molte parabole di questo genere annunziava loro la parola secondo quello che potevano intendere. 34 Senza parabole non parlava loro; ma in privato, ai suoi discepoli, spiegava ogni cosa.

Commento

Il parlare in parabole di Gesù indica un metodo pedagogico che stimola il coinvolgimento degli uditori e richiede una partecipazione attiva del loro intelletto. A coloro che vogliono intendere offre la possibilità di una spiegazione ulteriore, innalzando la loro conoscenza, ma a coloro che non lo accolgono resta oscuro il senso delle sue parole. 

Nella parabola del seme che cresce il seminatore e il mietitore sono la stessa persona. Il seme cresce da solo, senza alcun intervento umano, come il regno di Dio, iniziato da Gesù con la proclamazione del vangelo. Esso si sviluppa fino al tempo della mietitura, il giudizio finale stabilito da Dio. Questa crescita e questa raccolta richiamano sia la vita del cristiano che l'instaurarsi del regno nella storia. 

La progressione nella crescita del seme (stelo, spiga, chicco) indica che, la grazia, così come la natura, hanno bisogno di fare il loro corso, richiedono uno sviluppo graduale. I tempi di Dio non sono i tempi frettolosi dell'uomo "urbano", ma piuttosto i tempi del contadino, la cui pazienza, nell'operosa preparazione del terreno e nell'attesa da una stagione all'altra, sono premiate con un raccolto favorevole.

Nella parabola sul grano di senapa, le dimensioni esigue di questo seme rimandano all'azione invisibile della grazia che opera in noi e nel mondo, mentre la grandezza della pianta rappresenta l'universalità del regno di Dio. 

Non dobbiamo scoraggiarci se non vediamo risultati immediati nel nostro percorso di crescita spirituale; è necessario che discendiamo nelle profondità dell'humus, che diventiamo umili attraverso le prove e i fallimenti della nostra vita. Solo quando ci saremo totalmente spogliati della "scorza" del nostro ego potremo diventare come un albero piantato lungo corsi d'acqua, che darà frutto a suo tempo (Sal 1,3). 

Quando incontra un terreno buono la parola di Dio produce, in modo inesplicabile e senza far rumore, frutti di grazia. Qualcuno ha mai colto l'attimo in cui una pianta cresce? Ma quando giunge a piena maturazione, come l'arbusto di senape che offre riparo alla sua ombra, il cristiano diviene una benedizione per il mondo. 

La parabola del seme e quella del granello di senapa ci insegnano che la natura e la grazia non solo non fanno "salti" (natura non facit saltus) ma neanche operano con violenza. La storia terrena di Gesù ci mostra che egli non si impone e neanche si contrappone a coloro che lo rifiutano mettendolo in croce. 

Non sarebbe insensato un contadino che cercasse di far crescere il seme con la forza? L'agricoltura è attività per uomini miti come Abele e Giacobbe. Prendiamo esempio dalle parole di Gesù affinché uno zelo eccessivo non rischi di farci rovinare la delicata opera della grazia nel nostro cuore e in ogni uomo.

Preghiera

Signore, sia che vegliamo, sia che dormiamo, la tua grazia opera misteriosamente in noi; il tuo Spirito ci conceda un'attesa fiduciosa, nella certezza che ti prendi cura del tuo campo. Amen.

- Rev. Dr. Luca Vona

giovedì 28 gennaio 2021

Gli evangelici svizzeri contro la nuova legge su matrimonio e tecnologie riproduttive per coppie LGBT

Il parlamento svizzero ha approvato a dicembre la legge sul "matrimonio per tutti", che consente alle persone LGBT di adottare e utilizzare la tecnologia riproduttiva. Ora due iniziative cercano di raccogliere 50.000 firme per chiedere alla popolazione un referendum abrogativo.


L'Alleanza evangelica svizzera chiede un referendum per assicurarsi che la popolazione sostenga la legge sul "matrimonio per tutti" approvata dal parlamento del paese nel dicembre 2020.

IL referendum potrebbe essere indetto solo se 50.000 persone lo chiedessero nei primi tre mesi dopo l'approvazione della legge. Due iniziative sostenute da un certo numero di membri del Parlamento (compresi i due gruppi evangelici, Unione Democratica Federale e Partito popolare evangelico) hanno avviato lo sforzo per trovare firme sufficienti prima della scadenza di aprile.

La legge approvata dall'Assemblea federale della Svizzera (136 voti favorevoli, 48 contrari) e dal Consiglio degli Stati (24-11) consente alle coppie LGBT di accedere al matrimonio civile, all'adozione congiunta e alla donazione di sperma per le coppie lesbiche sposate.

Coloro che si battono per un referendum per fermare la legge avvertono che "cambiando le condizioni che consentono la riproduzione assistita dalla 'sterilità' al 'desiderio insoddisfatto di avere figli', la legge apre lo spazio per future richieste nel campo della medicina riproduttiva".

Gli evangelici spiegano perché sostengono il referendum

L'Alleanza Evangelica Svizzera ha incoraggiato i cristiani del Paese a rendere possibile il referendum. Respinge la legge “per diversi motivi, comprese le conseguenze negative per il bambino che cresce senza madre o senza padre”.

Inoltre, "non vi è alcuna ragione convincente per la parità di trattamento assoluta delle unioni eterosessuali e omosessuali perché differiscono in un punto centrale: la capacità di riprodursi naturalmente".

L'ente evangelico, che ha tra i suoi membri sia cristiani di chiese evangeliche libere che di chiese protestanti principali, afferma che "l'offerta di medicina riproduttiva alle coppie di donne prima o poi porterà alla richiesta di maternità surrogata per le coppie maschili e quindi alla strumentalizzazione del corpo umano".

L'Alleanza Evangelica Svizzera ha già spiegato questa posizione sia ai politici che alla società, aprendo attivamente conversazioni con le persone LGBT.

- Evangelical Focus, 27 gennaio 2021

Fermati 1 minuto. Gli abbagli del mondo e la luce di Cristo

Lettura

Marco 4,21-25

21 Diceva loro: «Si porta forse la lampada per metterla sotto il moggio o sotto il letto? O piuttosto per metterla sul lucerniere? 22 Non c'è nulla infatti di nascosto che non debba essere manifestato e nulla di segreto che non debba essere messo in luce. 23 Se uno ha orecchi per intendere, intenda!».
24 Diceva loro: «Fate attenzione a quello che udite: Con la stessa misura con la quale misurate, sarete misurati anche voi; anzi vi sarà dato di più. 25 Poiché a chi ha, sarà dato e a chi non ha, sarà tolto anche quello che ha».

Commento

Gesù non ha mai considerato il suo insegnamento in modo elitario; è invece responsabilità dei discepoli annunciare il vangelo del regno al mondo intero. Anche quando le parabole sono spiegate in privato, il fine è di consentire di svelarne il senso pubblicamente. 

"La tua parola nel rivelarsi illumina, dona saggezza ai semplici" afferma il salmista (Sal 118,130); e nelle parole di Gesù riecheggia ciò che Dio dice al suo popolo nel libro del Deuteronomio: "Questo comando che oggi ti ordino non è troppo alto per te, né troppo lontano da te. Non è nel cielo, perché tu dica: Chi salirà per noi in cielo, per prendercelo e farcelo udire e lo possiamo eseguire? Non è di là dal mare, perché tu dica: Chi attraverserà per noi il mare per prendercelo e farcelo udire e lo possiamo eseguire? Anzi, questa parola è molto vicina a te, è nella tua bocca e nel tuo cuore, perché tu la metta in pratica" (Dt 30,11-14). 

Anche il vangelo è una parola che può essere compresa e messa in pratica da ogni uomo. Compresa perché non destinata a un circolo di intellettuali, ma anzi può essere accolta solo da una ragione umile. Messa in pratica perché parola efficace, che lo Spirito porta a compimento in chi la accoglie con fede. Coloro che ascoltano la parola di verità e la adempiono riceveranno una comprensione ancora maggiore delle cose di Dio. 

Come rappresentato nella parabola del seminatore, Dio si aspetta un generoso ritorno dalla grazia che ci ha elargito. Se saremo servi fedeli egli sarà un maestro fedele e ci donerà una misura di grazia ancora più grande. I doni di Dio si moltiplicano nella misura in cui vengono impiegati. Ma chi seppellirà il talento ricevuto gli sarà tolto anche quello (Mt 25,14-30), perché ha tradito la fiducia accordatagli dal Signore. 

Cristo è il sole di giustizia, ma noi cosa siamo chiamati a essere? Lampade che attingono alla sua luce e bruciano per quanto ci è dato di restare in questo mondo. Un mondo dove tante parole futili si accavallano e tanti abbagli ci seducono, ma il Verbo incarnato è parola affidabile, lampada per i nostri passi e luce sul nostro cammino (Sal 118,105). Gesù ci chiede di non bruciare per noi stessi, come una lampada sotto il letto, ma di essere luce che si dona al mondo (Mt 5,14).

Preghiera

Alla tua luce, Signore, vediamo la luce; concedici di vincere  le seduzioni del mondo e di donarci generosamente ai nostri fratelli e alle nostre sorelle. Amen.

- Rev. Dr. Luca Vona

Tommaso d'Aquino. Rendere ragione della speranza

Nel 1274, mentre si sta recando al concilio di Lione, muore nei pressi dell'abbazia di Fossanova Tommaso d'Aquino, frate domenicano.

Nato nei pressi di Aquino, vicino a Napoli, Tommaso entrò a circa diciotto anni nell'Ordine dei predicatori. Discepolo di Alberto Magno a Colonia e a Parigi, egli insegnò in queste città e poi a Roma, Bologna e Napoli. Tommaso fu autore di una considerevolissima opera teologica, che lasciò incompiuta, e fu con Bonaventura il più grande pensatore cristiano d'occidente del XIII secolo.

La sua originalità sta soprattutto nel modo in cui seppe esprimere la fede della chiesa nella cultura del suo tempo, specie per ciò che concerne la teologia della creazione e della libertà dell'uomo, partendo dalla Scrittura e dai padri della chiesa, e accogliendo la riscoperta del pensiero aristotelico che si era attuata a quei tempi.

Umile e sapiente, egli seppe unire uno spirito speculativo alla prudenza di uno spirito pratico, il dominio di un temperamento violento alla tenera devozione per Cristo crocifisso e al dialogo continuo con Dio.

Tommaso fu proclamato dottore della chiesa da papa Pio V nel 1567, e la sua teologia ebbe un ruolo di primissimo piano nei secoli successivi, soprattutto al concilio di Trento, dove alla sua Somma teologica fu accordato un onore senza precedenti nella storia della chiesa d'Occidente.

San tommaso d'aquino con la summa, angelico san marco.jpg
San Tommaso d'Aquino (1224/25-1274), affresco del beato Angelico, Museo nazionale di San Marco, Firenze

Tracce di lettura

L'insegnamento cristiano fa uso anche della ragione umana, non però per dimostrare la fede - in tal modo si disconoscerebbe il merito proprio della fede -, ma per chiarire alcuni punti che si tramandano nell'insegnamento stesso. Poiché infatti la grazia non distrugge la natura, ma anzi la porta a compimento, è bene che la ragione si ponga al servizio della fede, allo stesso modo in cui l'inclinazione naturale della volontà asseconda la carità. Per questo l'Apostolo afferma: «Rendete ogni intelligenza soggetta all'obbedienza di Cristo».
(Tommaso d'Aquino, Somma teologica I, q.1, a.8)

Dal Martirologio ecumenico della Comunità monastica di Bose

mercoledì 27 gennaio 2021

Fermati 1 minuto. Gesù, parola che si è fatta seme

Lettura

Marco 4,1-20

1 Di nuovo si mise a insegnare lungo il mare. E si riunì attorno a lui una folla enorme, tanto che egli salì su una barca e là restò seduto, stando in mare, mentre la folla era a terra lungo la riva. 2 Insegnava loro molte cose in parabole e diceva loro nel suo insegnamento: 3 «Ascoltate. Ecco, uscì il seminatore a seminare. 4 Mentre seminava, una parte cadde lungo la strada e vennero gli uccelli e la divorarono. 5 Un'altra cadde fra i sassi, dove non c'era molta terra, e subito spuntò perché non c'era un terreno profondo; 6 ma quando si levò il sole, restò bruciata e, non avendo radice, si seccò. 7 Un'altra cadde tra le spine; le spine crebbero, la soffocarono e non diede frutto. 8 E un'altra cadde sulla terra buona, diede frutto che venne su e crebbe, e rese ora il trenta, ora il sessanta e ora il cento per uno». 9 E diceva: «Chi ha orecchi per intendere intenda!».
10 Quando poi fu solo, i suoi insieme ai Dodici lo interrogavano sulle parabole. Ed egli disse loro: 11 «A voi è stato confidato il mistero del regno di Dio; a quelli di fuori invece tutto viene esposto in parabole, 12 perché:
guardino, ma non vedano, ascoltino, ma non intendano,
perché non si convertano e venga loro perdonato».
13 Continuò dicendo loro: «Se non comprendete questa parabola, come potrete capire tutte le altre parabole? 14 Il seminatore semina la parola. 15 Quelli lungo la strada sono coloro nei quali viene seminata la parola; ma quando l'ascoltano, subito viene satana, e porta via la parola seminata in loro. 16 Similmente quelli che ricevono il seme sulle pietre sono coloro che, quando ascoltano la parola, subito l'accolgono con gioia, 17 ma non hanno radice in se stessi, sono incostanti e quindi, al sopraggiungere di qualche tribolazione o persecuzione a causa della parola, subito si abbattono. 18 Altri sono quelli che ricevono il seme tra le spine: sono coloro che hanno ascoltato la parola, 19 ma sopraggiungono le preoccupazioni del mondo e l'inganno della ricchezza e tutte le altre bramosie, soffocano la parola e questa rimane senza frutto. 20 Quelli poi che ricevono il seme su un terreno buono, sono coloro che ascoltano la parola, l'accolgono e portano frutto nella misura chi del trenta, chi del sessanta, chi del cento per uno».

Commento

Con la parabola del seminatore Gesù esemplifica il modo in cui la parola di Dio viene respinta, incontra ostacoli e resistenze, ma anche viene accolta e porta frutto, diffondendosi ovunque. Mentre il monte è il luogo privilegiato da Gesù per la preghiera e la formazione dei discepoli, la costa del mare di Galilea, ovvero il lago di Gennesaret, è il luogo in cui Marco presenta il Signore intento ad ammaestrare le folle.

Il verbo greco usato per indicare il riunirsi delle persone intorno a lui è synago, con un richiamo alla sinagoga; forse perché gli ascoltatori sono ebrei, o perché quella che Gesù forma con la sua predicazione è la nuova sinagoga dei credenti nel vangelo. 

Mentre il capitolo precedente si apriva con l'ingresso di Gesù nella sinagoga per insegnare, in questo lo vediamo uscire dagli ambienti tradizionali di predicazione, che gli sono ostili, per rivolgersi alle moltitudini. 

Gesù predica su una barca, quasi a significare che il suo messaggio è rivolto a Israele, ma questi guarda verso il mare, da dove il vangelo prenderà il largo verso le terre dei gentili. L'uso di parabole - comune nel giudaismo del tempo - serve a Gesù per coinvolgere e provocare chi ascolta, facendogli applicare ciò che dice alla realtà della propria vita spirituale. Attraverso esempi e paragoni così vicini all'esperienza quotidiana di ciascuno, Gesù scuote e invita a cambiare mentalità e comportamenti, perché la parola di Dio penetri e diventi lievito della vita. 

L'esortazione "Ascoltate" con cui si apre la parabola, come invito a interiorizzare la parola, richiama l'"Ascolta, Israele" del libro del Deuteronomio (Dt 6,4-9). L'ascolto che ci chiede Cristo implica una piena partecipazione della nostra mente e della nostra volontà alla sua parola. Non la curiosità con cui Erode si dilettava nell'ascoltare Giovanni il Battista, che poi mise a morte (Mc 6,20); non la superbia e l'ipocrisia con cui gli scribi e i farisei ascoltavano Gesù per cercare di coglierlo in errore; ma l'attenzione con cui i due discepoli sulla via di Emmaus ascolteranno il Risorto, che li apre all'intelligenza delle Scritture (Lc 24,13-27). 

L'ascolto che porta frutto è incontro spirituale con la persona di Gesù. Ma la parola necessita di cuore umile, di un humus, un terreno morbido, dove il seme può trovare riparo e nutrimento. Il rendimento di una semina era solitamente di otto a uno, dieci a uno in casi eccezionali; la crescita fino al cento per uno che Gesù descrive è incredibilmente grande. 

Sebbene questa parabola sia riportata in tutti e tre i vangeli sinottici, solo Luca e Matteo spiegano che il seme è la parola di Dio. Ma la parola di Dio non è solo aria che risuona, è Gesù stesso, Verbo generato dal padre e incarnato nel seno di Maria. Gesù è la parola fattasi "seme", che incontra la durezza di chi lo disprezza tra quelli della sua patria, tra i suoi parenti e in casa sua (Mc 6,4); è il seme che incontra i rovi di chi flagellerà il suo corpo e gli coronerà il capo di spine; il seme che dovrà morire ed essere sepolto per generare frutti di vita eterna. Un frutto così grande da sfamare tutti coloro che hanno fame non di pane, ma d'ascoltare la parola del Signore (Am 8,11).

Preghiera

Crea in noi, Signore, un cuore umile e pronto a ricevere la tua parola; irriga i solchi, spiana le zolle, effondi la pioggia del tuo Spirito; affinché possano abbondare i frutti della tua grazia. Amen.

- Rev. Dr. Luca Vona

martedì 26 gennaio 2021

Fermati 1 minuto. Una Chiesa missionaria e con un bagaglio leggero

Lettura

Luca 10,1-9

1 Dopo questi fatti il Signore designò altri settantadue discepoli e li inviò a due a due avanti a sé in ogni città e luogo dove stava per recarsi. 2 Diceva loro: «La messe è molta, ma gli operai sono pochi. Pregate dunque il padrone della messe perché mandi operai per la sua messe. 3 Andate: ecco io vi mando come agnelli in mezzo a lupi; 4 non portate borsa, né bisaccia, né sandali e non salutate nessuno lungo la strada. 5 In qualunque casa entriate, prima dite: Pace a questa casa. 6 Se vi sarà un figlio della pace, la vostra pace scenderà su di lui, altrimenti ritornerà su di voi. 7 Restate in quella casa, mangiando e bevendo di quello che hanno, perché l'operaio è degno della sua mercede. Non passate di casa in casa. 8 Quando entrerete in una città e vi accoglieranno, mangiate quello che vi sarà messo dinanzi, 9 curate i malati che vi si trovano, e dite loro: Si è avvicinato a voi il regno di Dio.

Commento

L'invito di Gesù a pregare affinché Dio mandi operai nella sua messe (v. 2) sta a indicare che Dio solo è qualificato a conferire questo mandato, proprio come nella sua veste regale e messianica Gesù lo conferisce ai settantadue inviati. In alcuni manoscritti il numero dei discepoli è di settanta, forse a indicare i settanta anziani nominati da Mosè. 

L'immagine degli agnelli in mezzo ai lupi si riferisce all'ostilità e ai pericoli che i discepoli troveranno durante la loro missione. Viaggiando in coppia potranno sostenersi l'un l'altro. Data l'urgenza del compito e l'impegno richiesto ai missionari, l'invito è di evitare di perdersi dietro i beni materiali e le formalità dei saluti "lungo la strada" (v. 4). Nella cultura del tempo il saluto di una persona prevedeva un elaborato cerimoniale, con molte formalità, come la condivisione di un pasto o una lunga sosta. Il discepolo deve evitare l'attaccamento alle cose e agli intrattenimenti terreni, dando sempre la priorità all'attività di missionaria. 

Le parole di Gesù sono pervase di un senso escatologico, attestando la scarsità del tempo a disposizione. Coloro che portano l'annuncio di salvezza viaggiano con passo spedito. I discepoli dovranno entrare nelle case (v. 5) e non  predicare nelle sinagoghe. Il messaggio che portano non è rinchiuso negli steccati della religiosità formalizzata e sedentaria del giudaismo farisaico. La Chiesa di Cristo, come attestano anche gli Atti degli apostoli (cfr. At 20,42; 5,20) muove i suoi primi passi come assemblea profetica e domestica. Il vangelo entra nella vita quotidiana e familiare di coloro che lo ricevono, i "figli della pace" (v. 6). 

Il comando ai discepoli di mangiare quello che sarà loro messo davanti indica che è abrogata ogni distinzione tra cibi puri e impuri. Condividere il pasto è nel mondo antico un'espressione di intima amicizia. Cibandosi di quel che gli sarà offerto il vero discepolo "si fa tutto a tutti" proprio come testimonierà successivamente l'apostolo Paolo: "mi sono fatto greco con i greci, giudeo con i giudei, mi sono adattato a tutte le situazioni, per salvare ad ogni costo qualcuno" (1 Cor 9,19-22). 

Senza il timore di scontrarsi con le forze contrarie del mondo, il messaggio evangelico è capace di adattarsi, "mettendosi a tavola" con l'uomo di ogni luogo e di ogni tempo.

Preghiera

Ti preghiamo Signore, di suscitare nella tua Chiesa operai volenterosi, per portare la benedizione del tuo messaggio di salvezza ad ogni uomo. Amen.

- Rev Dr. Luca Vona

lunedì 25 gennaio 2021

La conversione di Paolo, afferrato dalla misericordia

Oggi le chiese d'occidente ricordano la rivelazione di Gesù Cristo a Saulo di Tarso, ebreo della Cilicia, zelante fariseo educato alla scuola di Rabbi Gamaliele, chiamato a riconoscere in Gesù di Nazaret il Messia atteso da Israele e ad annunciarlo ai suoi fratelli ebrei e a tutte le genti. Mentre si recava a Damasco per condurre in catene a Gerusalemme i seguaci della "via" (At 9,2) di Cristo, Saulo si sentì interpellato dal Signore risorto, quel Gesù che egli perseguitava nei suoi discepoli. 
Accecato dalla rivelazione ricevuta, fu condotto nella comunità cristiana di Damasco e qui Anania gli impose le mani perchè recuperasse la vista e fosse colmato dallo Spirito santo. Ricevuto il battesimo, Saulo o Paolo, come viene chiamato in seguito, cominciò ad annunciare dapprima ai Giudei e poi ai pagani "la parola della croce" (1Cor 1,18), il mistero della salvezza donata in Cristo attraverso l'abbassamento fino alla morte in croce (cf. Fil 2,8). Rivendicando la sua autorità apostolica, Paolo affermò di non aver ricevuto il vangelo da uomini ma "per rivelazione di Gesù Cristo" (Gal 1,12). La sua infaticabile attività di predicazione lo portò a viaggiare per tutto il Mediterraneo; si rivolse soprattutto ai pagani ricevendo il titolo di "apostolo delle genti".
La festa odierna, sorta in Gallia già nel VI secolo, fu estesa a tutto l'occidente a partire dall'XI secolo.

Tracce di Lettura

Se la memoria della conversione di Paolo è così solenne, questo accade perché è utile a quelli che ne celebrano il ricordo. Perché da questa celebrazione il peccatore attinge la speranza del perdono che l'invita alla penitenza; e chi si è già pentito vi trova il modello di una perfetta conversione.
Come è possibile cedere alla disperazione, per quanto grandi siano le nostre colpe, quando si sente che quel Saulo che sempre fremente minacciava strage contro i discepoli del Signore, fu all'improvviso trasformato in vaso d'elezione? Chi potrebbe dire: «Non posso rialzarmi e condurre una vita migliore» se sulla strada su cui il suo cuore era pieno di veleno, l'accanito persecutore divenne subito il predicatore più fedele?
(Bernardo di Clairvaux, Sermone per la conversione di san Paolo 1)

- Dal Martirologio ecumenico della Comunità monastica di Bose

Caravaggio. La conversione di San Paolo (particolare)

Fermati 1 minuto. Il dovere e la grazia dell'annuncio

Lettura

Marco 16,15-18

15 Gesù disse loro: «Andate in tutto il mondo e predicate il vangelo ad ogni creatura. 16 Chi crederà e sarà battezzato sarà salvo, ma chi non crederà sarà condannato. 17 E questi saranno i segni che accompagneranno quelli che credono: nel mio nome scacceranno i demòni, parleranno lingue nuove, 18 prenderanno in mano i serpenti e, se berranno qualche veleno, non recherà loro danno, imporranno le mani ai malati e questi guariranno».

Commento

Gesù, che in precedenza aveva chiesto agli apostoli di predicare il vangelo della salvezza alle pecore perdute della casa di Israele (Mt 10,5-6; 15,24), estende ora questa missione nei confronti del mondo intero (v. 15). Undici apostoli non potranno da soli adempiere a un compito così grande, ma insieme ai settandadue discepoli e ad altri che si aggiungeranno loro di generazione in generazione, getteranno il seme del vangelo verso i quattro angoli della terra. 

Il "grande mandato" è simile nei Vangeli di Matteo e Marco. Attraverso il battesimo si entra nella Chiesa, la comunità di Gesù-risorto, e la funzione della Chiesa è di evangelizzare "ogni creatura" (v. 15).

I miracoli, che all'inizio della predicazione di Gesù sono stati "segni" per suscitare la fede, divengono ora espressione del regno di Dio che si fa strada nella storia. Quella che viene delineata da Gesù e un'umanità riconciliata: la pacifica convivenza con i serpenti velenosi, la capacità di affrancare dagli influssi del male, la ritrovata comprensione senza che si perda la ricchezza delle differenze, sono i segni di un cielo nuovo e di una terra nuova (Ap 21,1), promessi dal Risorto nel nuovo patto siglato sulla croce.

Pur coltivando il dialogo tra fedi e culture differenti, nella solidarietà suscitata dalla comune natura umana e nel riconoscimento della diversità come benedizione, non può essere trascurata l'urgenza e la responsabilità dell'annuncio evangelico: "guai a me se non predicassi il vangelo!" eslama l'apostolo Paolo (1 Cor 9,16), afferrato dalla misericordia del Risorto. 

Annunciare Cristo significa partecipare alla sua missione sacerdotale, per liberare l'uomo da ciò che lo rende schiavo, non lasciarsi danneggiare dalla malvagità di questo mondo ma saperne curare e guarire le ferite. 

Preghiera

Rinnova in noi, Signore, il fervore per l'annuncio della tua Parola; affinché possiamo essere dispensatori della tua grazia che salva e guarisce. Amen.

- Rev. Dr. Luca Vona

domenica 24 gennaio 2021

Il ministero della felicità

COMMENTO ALLA LITURGIA DELLA TERZA DOMENICA DOPO L'EPIFANIA

Colletta

Dio Onnipotente ed eterno, guarda con misericordia le nostre infermità e in ogni nostro pericolo e necessità stendi la tua mano destra per aiutarci e difenderci. Per Gesù Cristo nostro Signore. Amen.

Letture

Rm 12,16-21; Gv 2,1-11

Commento

Il Vangelo di oggi ci presenta il primo miracolo pubblico di Gesù, la trasformazione dell’acqua in vino alle nozze di Cana. Fin dai più antichi lezionari questo evento è collegato all’Epifania, ovvero alla manifestazione di Gesù come il Signore, insieme agli episodi della nascita a Betlemme, dell’arrivo dei Magi e del battesimo al fiume Giordano. 

Giovanni utilizza la parola "segni" (gr. semèion) per indicare otto miracoli pubblici compitui da Gesù per manifestare la sua potenza divina, che può essere riconosciuta con gli occhi della fede. È significativo che il primo di questi segni non sia una guarigione o una liberazione dai demòni, ma sia compiuto in occasione di un evento conviviale. 

La narrazione del miracolo a Cana dovrebbe portarci a riconsiderare il nostro rapporto, come credenti, con il mondo. Noi, come Gesù, non apparteniamo al mondo (Gv 17,16), ma il nostro atteggiamento verso di esso, con tutto ciò che lo caratterizza, compresa la nostra umanità, le nostre aspirazioni, la ricerca stessa del piacere, non può essere di puro diprezzo. 

Le Scritture condannano l'ubriachezza, ma non il consumo di vino (Sal 104,15; Prov 20,1; Ef 5,18). Ciò che è riprovevole è l'abuso, non l'uso. Il messaggio che ci comunica Gesù con questo primo miracolo è molto chiaro: l’uomo ha il pieno diritto di godere anche le gioie di questa vita. 

La felicità, il piacere, nelle loro diverse espressioni, come l’arte, il buon cibo, la sessualità, diventano un peccato solo quando vengono assolutizzati a discapito di altri aspetti altrettanto importanti della vita; quando rompono l’armonia con l'ordine delle cose stabilito da Dio, l'equilibrio con l’altrettanto necessaria coltivazione dei propri doveri, verso la famiglia, il prossimo, se stessi; quando vengono gettati in un meccanismo di produzione e consumo. 

Ponendo ogni cosa nella giusta gerarchia del regno di Dio, saremo liberi dalla schiavitù e regneremo con lui, fonte di ogni bene. Mentre cercheremo la sua gloria realizzeremo uno dei più alti scopi della nostra vita; perché Dio ci vuole felici, e vuole che la nostra gioia sia piena (Gv 15,11).

- Rev. Dr. Luca Vona

sabato 23 gennaio 2021

L'Osservatore Romano ricorda Valdo Vinay

Figura eminente del protestantesimo italiano, Valdo Vinay, la cui vita ha attraversato praticamente tutto il secolo passato, è stato ricordato nei giorni scorsi, a ridosso della Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani, in un convegno promosso dalla Facoltà teologica valdese in occasione del trentesimo anniversario della sua scomparsa. All’incontro, introdotto dalla moderatora della Tavola valdese Alessandra Trotta e dalla nipote Manuela Vinay, hanno partecipato tra gli altri monsignor Ambrogio Spreafico, vescovo di Frosinone-Veroli-Ferentino, il professor Paolo Ricca e Andrea Riccardi, fondatore della Comunità di Sant’Egidio.

Valdo Vinay

Valdo Vinay, nato nel 1906, è stato teologo, professore, ma soprattutto infaticabile pastore, dedicando la gran parte della sua vita all’annuncio della Parola, anche fuori dei confini della confessione valdese. D’altronde fin dall’inizio della pratica pastorale la sua tendenza era stata quella, oltre gli steccati, «di un cristianesimo aconfessionale orientato ai problemi pratici della vita individuale e sociale, con intenzioni culturali». Da giovane fu tra i protagonisti di «Gioventù cristiana», rivista promossa da giovani intellettuali protestanti fortemente ispirati dal pensiero e dagli scritti di Karl Barth. Quella di Vinay per Barth fu un’autentica passione: nei primi anni Trenta aveva frequentato tutti i suoi seminari all’università di Bonn, e alla teologia cristologica di Karl Barth aveva dedicato la tesi di licenza. Negli anni successivi «Gioventù cristiana» diverrà anche autorevole voce di dissidenza e opposizione al fascismo.

Il bagaglio barthiano accompagnò Vinay dieci anni più tardi nell’assunzione della cattedra di Storia della teologia alla Facoltà valdese di Roma; impegno accademico che comunque andava sempre in parallelo all’attività pastorale e che, subito dopo la guerra, svolse intensamente in Ciociaria e nel Basso Lazio. Molti degli evangelici di quelle terre furono costretti, in quegli anni duri, all’emigrazione al di là delle Alpi, e Vinay si occupò appassionatamente delle loro condizioni sociali, favorendone la riambientazione e visitandoli spesso oltre confine. Gli anni successivi, dai Cinquanta fino al pensionamento nel 1976, furono senz’altro i più costruttivi e creativi della sua vita, tanto come teologo che come scrittore, professore universitario, pastore, predicatore e, non ultimo, come principale divulgatore del pensiero di Karl Barth.

Avendo seguito come giornalista accreditato il concilio Vaticano II , ne colse immediatamente la grande portata innovativa sul piano del dialogo ecumenico. Intuizione che, com’era nel suo stile, seppe immediatamente tradurre in esperienza pratica di relazione e confronto. È del 1973 infatti il suo primo incontro con i giovani della Comunità di Sant’ Egidio, come ha ricordato nel suo intervento Andrea Riccardi: «La Comunità di Sant’ Egidio, agli inizi, ha avuto dei maestri, attraverso degli incontri: uno di questi, e di certo non il minore, Valdo Vinay. Divenne un nostro amico nella condivisione della Parola: ci regalò una copia del suo libro Riforma protestante con questa dedica: “Ai giovani amici della Comunità di Sant’Egidio, i quali mi chiedono ancora di spiegare loro la Parola di Dio. E qui l’amicizia non finisce mai”». Ugualmente, negli stessi anni inizierà a insegnare anche nell’università benedettina di Roma, il Pontificio ateneo Sant’Anselmo. È grazie al combinato disposto del suo spirito, insieme libero e unitario, e dell’ecumenismo postconciliare, che si avvia una consapevole trasformazione di ruolo della comunità protestante italiana: non più minoranza resistente all’egemonia della Chiesa cattolica, ma lievito per la crescita spirituale di tutti i battezzati in Cristo. In effetti Vinay ha sempre compreso il termine “evangelico” preliminarmente come un aggettivo, e solo scrivendo di storia come un sostantivo identitario. Diceva in un incontro del 1975: «Nessuno esalti la propria tradizione, divenendone servo. Perché tutto è vostro: Giovanni Crisostomo e Giovanni Damasceno, Aurelio Agostino e Anselmo di Canterbury, Tommaso d’Aquino, Francesco d’Assisi e Valdo, Lutero, Calvino e il cardinale Gaspare Contarini, Blaise Pascal e Karl Barth. Potete rimeditare con gratitudine il pensiero di questi dottori e riformatori della Chiesa, potete servirvi liberamente dei loro scritti e del loro esempio. Ma a una condizione: che voi non diveniate agostiniani o tomisti, valdesi o francescani, luterani o calvinisti o barthiani. L’apostolo si esprime chiaramente: a condizione che voi siate di Cristo. Questa vostra appartenenza totale a Cristo vi renderà veramente liberi, signori di tutte le cose, anche delle tradizioni, non strumenti e servi di esse».

La cifra che definisce l’intera vita di Valdo Vinay è dunque il Vangelo, quel Vangelo che produce frutti solo se è proclamato, ascoltato, letto, sminuzzato, metabolizzato, non come esercizio intellettuale ma insieme ai fratelli, in un regime di amore. A cominciare dai pastori, perché, come amava dire e praticare, «non si può predicare senza amare il popolo che ti ascolta».

- Roberto Cetera. L'Osservatore Romano, 23 gennaio 2021

venerdì 22 gennaio 2021

Fermati 1 minuto. Plasmati secondo la sua volontà

Lettura

Marco 3,13-19

13 Salì poi sul monte, chiamò a sé quelli che egli volle ed essi andarono da lui. 14 Ne costituì Dodici che stessero con lui 15 e anche per mandarli a predicare e perché avessero il potere di scacciare i demòni.
16 Costituì dunque i Dodici: Simone, al quale impose il nome di Pietro; 17 poi Giacomo di Zebedèo e Giovanni fratello di Giacomo, ai quali diede il nome di Boanèrghes, cioè figli del tuono; 18 e Andrea, Filippo, Bartolomeo, Matteo, Tommaso, Giacomo di Alfeo, Taddeo, Simone il Cananèo 19 e Giuda Iscariota, quello che poi lo tradì.

Commento

Il monte è più volte associato nei vangeli a momenti e atti solenni della missione di Gesù (il "discorso della montagna" e la proclamazione delle beatitudini; la moltiplicazione dei pani e dei pesci; la trasfigurazione). 

La scelta dei dodici apostoli da parte di Gesù è esercitata con piena sovranità, e l'utilizzo del verbo greco ételen, che ci porta a tradurre il passo come "quelli che voleva", fa pensare a una scelta meditata. Gli uomini che sceglie sono persone comuni, pescatori, esattori delle tasse, sovversivi zeloti, peccatori riconciliati e anche colui che sarà il traditore. 

Secondo un esplicito atto della propria volontà Cristo forma un gruppo distinto di dodici uomini tra i suoi seguaci. Letteralmente Gesù "fa" i dodici, questo il significato del verbo greco epòiesen. La stessa espressione semitica è utilizzata nella Bibbia greca dei Settanta per indicare la scelta dei sacerdoti (1 Re 12,31; 13,33; 2 Cr 2,18). Quando Dio ci sceglie, il suo Spirito ci dona la capacità di diventare quello che la sua misericordia ha progettato; proprio come afferma il salmista: "Le tue mani mi hanno fatto e plasmato" (Sal 119,73). Eppure si tratta di un'azione di grazia che non fa violenza alla nostra volontà, non mortifica la nostra natura, né ci obbliga a diventare quello che egli vuole, come mostrerà la tragica vicenda di Giuda Iscariota. 

Il nuovo gruppo costituito da Gesù rappresenta le fondamenta della Chiesa. Insieme al compito principale di predicare, ai dodici è conferito il mandato di scacciare i demòni. 

Gli apostoli sono nominati in modo simile in tutti e tre i vangeli sinottici. Pietro è sempre nominato per primo; questo nome, che significa "roccia" sostituisce il nome originario Simone e descrive il suo carattere e la sua attività, che sarà quella di confermare i fratelli nella fede, come pietra fondativa nella costruzione della Chiesa. 

Gli apostoli vengono presentati in tre gruppi di quattro. Il primo gruppo di apostoli, Pietro, Andrea, Giacomo e Giovanni, tutti pescatori, è rappresentato nei vangeli particolarmente vicino a Gesù. Giacomo e Giovanni sono definiti "figli del tuono" (boanèrghes in aramaico) probabilmente in riferimento alla loro fervente personalità o alla loro predicazione apocalittica. 

Ogni apostolo presenta una specifica identità; è la tessera di un mosaico, la cui bellezza risplende in se stessa, ma ancor di più se guardata nell'insieme della composizione.

Preghiera

Concedici, Signore, di essere nella costruzione della Chiesa una piccola pietra intagliata secondo la tua volontà. Amen.

- Rev. Dr. Luca Vona

La proposta del Pastore Paolo Ricca: un concilio per tutti i cristiani

È la via che intravede l’autorevole teologo valdese per una «diversità riconciliata». Le Chiese dovrebbero uscire dal monologo dell’«io basto a me stessa» per stare come in un mosaico, tutte intorno al Signore. Ne parla in un'intervista rilasciata a Vittoria Prisciandaro sul mensile Jesus (1/2021) che riproponiamo integralmente qui. 

Il Pastore e teologo Paolo Ricca

Festeggerà i suoi 85 anni il 19 gennaio, proprio nel mezzo della Settimana ecumenica per l’unità dei cristiani. Paolo Ricca, teologo e pastore valdese, è una delle voci più autorevoli e brillanti del panorama ecumenico. Testimone del cammino che le Chiese hanno fatto in questi decenni, ha partecipato in prima persona al lavoro di diversi organismi internazionali. È stato per 15 anni membro della commissione “Fede e Costituzione” del Consiglio ecumenico delle Chiese di Ginevra. Per conto dell’Alleanza riformata mondiale ha seguito il concilio Vaticano II come giornalista accreditato; ha insegnato teologia alla Facoltà valdese di Roma; è stato per due mandati presidente della Società biblica in Italia. È stato a lungo professore ospite presso il Pontificio ateneo Sant’Anselmo; collabora con il Segretariato attività ecumeniche (Sae) e dirige per la casa editrice Claudiana la collana Lutero. Opere scelte. 

Professor Ricca, quali sono a suo parere i passi più importanti compiuti finora nel cammino ecumenico tra le Chiese cristiane? E qual è il compito più significativo che abbiamo davanti a noi? 

«La cosa più importante è che, seppur lentamente, si sta diffondendo nel cristianesimo in generale la consapevolezza che oggi non si può essere cristiani se non si è ecumenici. L’impostazione in modo ecumenico della vita cristiana sia dei singoli che delle parrocchie, comunque della Chiesa nel suo insieme, è imprescindibile. Se, come fino a un secolo fa, si è cristiani solo in maniera confessionale, cioè ciascuno all’interno della propria confessione, nella migliore delle ipotesi si è cristiani a metà. L’ecumenismo è in fondo un fenomeno recente, iniziato solo nella seconda metà dell’Ottocento: è un processo che avanza lentamente, ma progressivamente in quasi tutte le Chiese cristiane. Il cattolicesimo è entrato in ritardo nel movimento, solo negli anni Sessanta del secolo scorso, ma con la volontà e capacità di strutturare immediatamente l’idea ecumenica, già a partire dal concilio Vaticano II, dando così una continuità e una solidità alla svolta ecumenica in casa cattolica dalla quale non si torna indietro». 

Quali sono, invece, gli ostacoli maggiori nel dialogo? 

«L’ostacolo maggiore è la lentezza che le Chiese tutte hanno a uscire dalla mentalità del monologo ed entrare in quella del dialogo. Cioè ad abbandonare l’idea dell’autosufficienza, che la propria Chiesa basta a realizzare il cristianesimo. La scoperta ecumenica è proprio questa: una Chiesa, piccola o grande che sia, non basta, c’è sempre un deficit. La mia identità confessionale, qualunque essa sia, è deficitaria rispetto alla realizzazione della pienezza dell’essere cristiano. Siamo vissuti per secoli nella convinzione che ciascuno avesse la pienezza cristiana, oggi la difficoltà maggiore è uscire da questa gabbia e capire che tu hai bisogno dell’altro cristiano per essere cristiano». 

Una consapevolezza più che mai urgente, oggi che i cristiani sono chiamati a dialogare con fedeli di religioni diverse in società sempre più pluraliste. Qual è a suo parere il giusto approccio al dialogo interreligioso? 

«È evidente che è urgente, ma attenzione, perché se si sovrappone il problema interreligioso a quello ecumenico si crea una grande confusione. L’unità cristiana si fa intorno a Cristo e non intorno a un’idea di unità generale o a un Dio che non ha più il profilo cristiano perché deve essere accettevole a tutti gli altri. Nella logica spirituale il dialogo interreligioso è un momento ulteriore, che va coltivato anche parallelamente a quello intercristiano, ma senza sovrapporre il primo al secondo». 

In Italia come è andato il cammino ecumenico? 

«In Italia c’era un problema ulteriore: la sproporzione, non solo numerica, tra protestantesimo, cattolicesimo e ortodossia rendeva molto difficile il dialogo ecumenico. Ma devo dire a onore del cattolicesimo italiano nel suo insieme, che questa difficoltà, che era notevole, è stata superata. Ed è una cosa bella che merita di essere detta. Senza dimenticare che qui c’è anche il Vaticano. In altri Paesi si sono fatti più progressi, ma in generale possiamo essere soddisfatti della qualità attuale del dialogo ecumenico, dell’incontro, della fiducia reciproca. In Italia direi che siamo a livelli europei». 

Il dialogo talvolta è difficile anche all’interno della stessa Chiesa o famiglia ecclesiale. Quali sono, in proposito, i nodi nel mondo protestante? Cosa spera per il futuro? 

«Nella storia del protestantesimo è successo che la pluralità, che era in generale suggerita dalla diversità interna al messaggio cristiano complessivo, è sfociata sovente in divisione. Non si è stati cioè capaci di convivere in armonia senza un Papa, senza un’autorità centrale. Il papato è il modo cattolico di temperare diversità e unità, per cui il cattolicesimo romano ha al suo interno enormi diversità, al prezzo di un’unità centralizzata e ferrea nella sua struttura. Cosa che nel protestantesimo non è mai esistita e non esisterà mai. Il prezzo è stato che la diversità è sfociata in divisione, in una perdita di cattolicità. Paradossalmente questo si abbina al fatto che ciascuna confessione, anche quelle relativamente piccole dal punto di vista numerico, come può essere la Chiesa avventista del settimo giorno, è Chiesa mondiale, ha conservato al suo interno una cattolicità non cattolica. Il recupero della cattolicità è per me un compito ecumenico, una priorità del protestantesimo. Quindi, in sintesi, direi che sono due gli obiettivi: mantenere saldamente l’ancoraggio alla Sacra Scrittura, perché il protestantesimo è nato da lì, come momento di profetismo biblico. E poi, mantenere la diversità liberandosi dalla divisione, inventando un modo storicamente realizzabile, per avere questa “diversità riconciliata”. Probabilmente la soluzione è la conciliarità». 

Che cosa significa concretamente? Come immagina questa “conciliarità”? 

«La immagino come unità conciliare dell’unica Chiesa cristiana, come nella Chiesa cristiana antica. Il Concilio è stata la prima e fondamentale forma dell’unità cristiana, fin dal cosiddetto Concilio di Gerusalemme, del libro degli Atti, capitolo 15. Le Chiese ortodosse, giustamente, identificano la storia dell’unità cristiana con la storia dei Concili veramente ecumenici, nei quali cioè tutta la Chiesa era rappresentata. Così dovrà essere nel futuro, anche se sono tante le difficoltà per realizzare oggi un Concilio veramente ecumenico. Probabilmente bisognerà partire dalle Chiese locali e da lì, lentamente e pazientemente, costruire o ricostruire una coscienza conciliare della Chiesa andata smarrita nei secoli passati». 

Come interpreta il magistero di papa Francesco sotto l’aspetto del dialogo ecumenico? 

«Ambivalente. Ha compiuto dei gesti nuovi importantissimi, si è fatto quasi luterano con i luterani, quando è andato ad aprire le commemorazioni dei 500 anni della Riforma nella cattedrale di Lund, con i leader della Federazione luterana mondiale. Cosa che i suoi predecessori non avrebbero mai fatto. Sono cose che resteranno nella memoria della Chiesa. Questo è l’aspetto nuovo, positivo, estremamente promettente. Quello che però mi lascia un po’ perplesso è il fatto che non ha modificato in nulla la dottrina. Il Concilio, ad esempio, parla di “fratelli separati”. Collocato nel suo tempo era un passo avanti enorme. Ma oggi quella formula non va più, non descrive più la realtà, non si può più parlare così. Così come l’espressione delle Chiese protestanti chiamate “comunità ecclesiali”, che non vuol dire nulla o peggio significa Chiese a metà… Come si fa, con Chiese che hanno avuto centinaia di martiri… Oggi queste espressioni andrebbero cambiate, erano cose che a quel tempo erano un passo avanti; ma oggi, che abbiamo fatto altri passi, vanno superate. Bisogna descrivere la situazione attuale. Il Papa stesso non pensa in termini di “fratelli separati”, non agisce così. Allora lo dica. Per questo dò un giudizio ambivalente. Anche perché potrebbe venire un altro Papa e dire che nulla è cambiato: così resteremmo al Vaticano II, che sarebbe un tornare indietro». 

Si parla spesso del cosiddetto «ecumenismo del sangue». Le persecuzioni di oggi che interrogativi pongono alle Chiese? 

 «È un ecumenismo involontario che testimonia che cristiani di diverse Chiese, dal cattolico al pentecostale, vivono la loro fede come cristiani, sono martiri della Chiesa di Dio, non di quella battista, riformata o cattolica o copta. Questo è l’ecumenismo. Meravigliosa e tragica testimonianza della coscienza cristiana fondamentale, per la quale è in gioco Cristo, non una confessione o una Chiesa. È la fede cristiana la posta in gioco, e per Cristo vale anche la pena di sacrificare la propria esistenza». 

Esiste poi l’ecumenismo della vita, nella carità. Le grandi migrazioni di massa, la giustizia sociale, le povertà materiali e spirituali di interi popoli… Fenomeni del genere che tipo di testimonianza chiedono alle Chiese? 

«Sono cose molto belle da incoraggiare, moltiplicare. È un tipo di unità, anche se non è totale. L’unità cristiana si svolge a due livelli fondamentali, di azione e di dottrina. Nella prima ci si intende facilmente, il raggio di cooperazione è molto ampio. E, da un certo punto di vista, è più “facile”, perché pone meno problemi della seconda». 

Oggi la salvaguardia dell’ambiente e di un’ecologia integrale, al centro della Laudato si’ e del magistero del patriarca Bartolomeo, è una nuova frontiera ecumenica? 

«Certo. E le Chiese, come sempre, arrivano tardi. Ricordo che il tema ecologico era posto dal movimento ecumenico fin dagli anni Settanta, con il famoso programma, intorno al quale si sono fatte assemblee mondiali, “Pace, giustizia e salvaguardia del creato”. È una trinità che deve essere mantenuta. Io stesso a quel tempo mi sono stupito di sentir parlare, a livello ecumenico, del problema dell’acqua. Non esisteva ancora a livello di coscienza, né cristiana né civile, la consapevolezza del grande problema dell’acqua per l’umanità. Il problema ecologico per l’intera umanità, a livello ecumenico, è stato posto da tempo. Le Chiese sono state avvertite. E speriamo che finalmente queste cose divengano patrimonio della vita». 

La vita delle Chiese si intreccia con la storia del mondo. E oggi numerosi sono gli episodi di “cronaca”, i temi cosiddetti sensibili, che creano frizione nel mondo delle Chiese. Quali i nodi più grandi? 

«Sui temi cosiddetti sensibili, che sono effettivamente difficili e complessi, rientra il discorso che facevo sull’insufficienza delle Chiese a essere Chiese da sole. La Chiesa cattolica affronta il problema dell’eutanasia: perché non interroga la altre prima di pronunciarsi? Quella protestante approva l’aborto come diritto della donna. Perché non si confronta prima con Chiese che, su questo punto, la pensano diversamente? È questo il problema. Le Chiese dovrebbero uscire dal monologo, dall’ “io basto a me stessa”, per dare una risposta cristiana all’eutanasia, all’aborto… Non basti a te stessa, confrontati con le altre che su questo punto la pensano diversamente, non per assumere il loro punto di vista, ma per dire almeno che la tua è una posizione tra le altre. Ma nessuna Chiesa lo dice, perché tutte, essendo ancora malate di autosufficienza, dicono che la loro è “la” posizione cristiana». 

Nella sua vita quali sono stati i momenti in cui ha sentito più forte questa unità? 

«Appartengo a una piccola Chiesa, quella valdese, e man mano che ho scoperto le altre Chiese, le altre tradizioni, mi è venuta la nostalgia dell’unità. Grazie a Dio ho fatto tante esperienze: la liturgia ortodossa partecipando a Mosca a certi riti, addirittura a un pontificale, una liturgia presieduta dal patriarca; o a culti luterani vecchia maniera, o pentecostali in cui mi chiedevano di predicare… Ho partecipato a diversi modi di rendere culto a Dio. È una ricchezza, una cosa bella questa varietà, questo pregare con la stessa tensione verso Dio. Man mano che conosci gli altri cristiani diventi un nostalgico dell’unità, intesa non alla vecchia maniera, ma come pluralità condivisa, accettata, gradita. La si desidera. Non è un momento, è un processo, quello di conoscere l’altro cristiano. E non si finisce mai. La Chiesa è un mosaico, tante tessere, tante storie, tante vicende. Tutte intorno al Signore».

(Ripreso dal sito "Alzo gli occhi verso il cielo")

Santa Damiana e le quaranta martiri

Agli inizi del IV secolo, nella provincia egiziana di Parallos, a nord del delta del Nilo, muoiono decapitate l'igumena Damiana e le quaranta monache del suo monastero. Figlia di Marco, governatore locale, Damiana era stata educata alla fede dal padre. All'età di quindici anni, desiderosa di dedicarsi totalmente alla preghiera e alla meditazione delle Scritture, chiese il permesso di ritirarsi con alcune compagne in un luogo adatto alla vita monastica. Marco, che era un uomo di grande generosità, fece allora costruire per loro un monastero ben protetto. 

Santa Damiana, mosaico.

Sopraggiunta la persecuzione di Diocleziano, Marco fu tra i primi, per la sua posizione, a essere invitato ad apostatare. E così avvenne, almeno in un primo tempo; più tardi Damiana, donna di grande coraggio e fermezza, convinse il padre a rinnegare l'apostasia. Questi confessò pubblicamente la propria fede e fu decapitato. L'imperatore, saputo il ruolo di Damiana e delle sue compagne in ciò che era accaduto, tentò inutilmente di farle apostatare. Morirono tutte martiri, e sul luogo del loro martirio esiste tuttora un monastero femminile che porta il loro nome.

- Dal Martirologio ecumenico della Comunità monastica di Bose

giovedì 21 gennaio 2021

Predicazione, cura pastorale e salute mentale

Sii consapevole del fatto che in mezzo ai nostri fedeli, spettatori e lettori ci sono persone che stanno affrontando problemi di salute mentale, in uno spettro da moderato a cronico.

Un articolo di Hebert Palomino O.

20 gennaio 2021




"Carissimo, io prego che in ogni cosa tu prosperi e goda buona salute, come prospera l'anima tua" (3 Gv1,2).

In questa epistola l'apostolo Giovanni, sta scrivendo una lettera personale di sollecitudine, amore e benessere al suo amato amico Gaio: una lettera è un messaggio di auguri e un incoraggiamento alla coerenza nella verità.

La versione greca di "io prego che in ogni cosa" (peri pantōn euchomai) può essere letteralmente tradotta con "desidero soprattutto" e ha qui la connotazione di prosperità e buona salute. Giovanni non si riferisce alla pratica dottrinale, ma a un profondo desiderio di completezza nella vita quotidiana.

Nel nostro mondo contemporaneo, la predicazione è un potente strumento per esprimere desiderio, amore e preoccupazione. La predicazione dovrebbe e deve avere un grande impatto sul benessere, presente e futuro, della razza umana. Nell'Antico e nel Nuovo Testamento, il proclamatore/predicatore /profeta svolge un ruolo chiave e notevole nel benessere olistico delle persone.

Breve fondamento biblico della proclamazione e ruolo del proclamatore

Nell'Antico Testamento

I profeti erano i rappresentanti della proclamazione nell'Antico Testamento. Letteralmente servirono da mediatori tra Dio e il suo popolo. I loro messaggi sono presentati come un'affermazione, un rimprovero o una consolazione.

I messaggi dei profeti erano legati alla storia del popolo, alla loro cultura, costumi e influenze politiche e sociali. Erano una parte sempre presente della realtà quotidiana.

Mentre guardo al loro ruolo, trovo un senso di "alleanza" in una relazione polifunzionale: Dio, il profeta e il popolo. Hanno agito come una "coscienza" che cammina, in contatto e in sintonia con Dio e, allo stesso tempo, in sintonia con la gente.

Erano profeti di quel giorno e non profeti del giorno dopo. Allo stesso modo, i predicatori oggi hanno bisogno di comprendere e affrontare i molti e complessi problemi affrontati dal mondo.

I profeti in quanto proclamatori erano legati alla cultura a cui appartenevano. Il dialogo tra cultura e messaggio è dinamico e contestuale. In altre parole, il messaggio colpisce e influenza la cultura delle persone plasmando, sfidando o confrontando il loro sistema di credenze, per il benessere delle persone.
 
Nel ministero e nel messaggio di Gesù

Il valore fondamentale del ministero e del messaggio di Gesù era olistico. Il "benessere" o la "buona notizia" del messaggio era inclusivo. Nelle parole di Matteo, "Gesù ha viaggiato attraverso tutte le città e i villaggi della Palestina, insegnando nelle sinagoghe e annunciando la Buona Novella sul Regno. E ha guarito ogni tipo di malattia e infermità"(Mr 9,35).

È evidente che Gesù ha un approccio integrato e naturale alla cura delle persone. Secoli dopo, la dicotomia tra "annunciare la buona notizia" e "guarigione" continua, sebbene un approccio sempre più nuovo sia in atto nei circoli religiosi e scientifici.1

Gesù era consapevole del contesto culturale in cui svolgeva il ministero e il suo messaggio era contestualizzato alle persone e alle circostanze.2 La predicazione di Gesù ha avuto un'influenza profonda, sana e potente nel benessere olistico dei suoi ascoltatori.

Oggi, la predicazione di Gesù deve essere rivista, soprattutto quando c'è una vasta gamma di interpretazioni e metodi nella nostra predicazione.

Il modello di predicazione nei confronti della salute mentale deve provenire dal nostro Signore e Maestro, Gesù.

Il suo impatto sulla salute mentale delle persone era evidente nei suoi incontri con persone come la donna samaritana, Nicodemo, Zaccheo, Bartimeo e i suoi 12 discepoli. Li incontrò dov'erano, ad esempio sulle rive si un lago perché erano pescatori.

Allo stesso modo, i predicatori oggi devono incontrare le persone con il messaggio di Dio dove sono, nel momento del bisogno. È fondamentale esplorare, profondamente ed ermeneuticamente, la composizione teologica del messaggio.

L'Imago Dei, l'immagine di Dio, va riletta e proclamata. Uomini e donne sono stati creati a immagine e somiglianza di Dio. Tale affermazione dà all'umanità un posto, una posizione, un valore, uno scopo creativo, una ragione di esistenza, una verità che afferma l'identità degli esseri umani come "lil coronamento della creazione" e "il suo tesoro speciale".

Resta inteso che la presenza del peccato denigra il piano originario. Tuttavia, quando l'enfasi principale è sul peccato piuttosto che sul piano divino originale, il messaggio è limitato, incompleto o mutilato e, di conseguenza, non terapeutico per gli ascoltatori.

Gesù enfatizzava intenzionalmente il valore degli uomini e delle donne. Sempre ha fatto sapere ai suoi discepoli che la vita è un processo continuo in cui fede, amore, compassione, speranza, gioia, prove, malattia e resistenza facevano tutti parte del pellegrinaggio terreno sulla via verso un destinazione eterna. Gesù, con il suo messaggio, è un modello per tutti noi.

Una riflessione e un viaggio personali

Secondo il National Institute of Mental Health, circa 1 adulto su 5 negli Stati Uniti (43,8 milioni) soffre di malattie mentali in un dato anno. Allo stesso modo, circa 1 adulto su 25 negli Stati Uniti (9,8 milioni) soffre di una grave malattia mentale che interferisce sostanzialmente o limita una o più delle principali attività della vita. 3

Personalmente, come professionista della salute mentale e professore di Pastoral Care & Counseling, questo argomento mi preoccupa profondamente. Essere un membro di una facoltà interdisciplinare presso una scuola di teologia 4 mi sfida a vedere la realtà che viviamo in America e in altre parti del mondo.

Noi, come chiesa, svolgiamo un ruolo cruciale nel benessere delle persone. Abbiamo l'obbligo divino di rappresentare bene il messaggio di Dio e di essere messaggeri sani.

Ogni giorno, quando entriamo in contatto con le persone in chiesa, al lavoro o nell'ambiente scolastico, ascolteremo molte storie complesse.
 
Quelle storie, di per sé, sono piene di dolore, ferite, tristezza, delusione, frustrazione, o forse di speranza, gioia e celebrazione. Ogni storia è uno specchio di come le circostanze della vita hanno toccato qualcuno in una fase particolare della sua vita.

Se coloro che celebrano i loro successi e le loro gioie hanno spazio per essere ascoltati, per lo stesso motivo quanto sarebbe bello se coloro che affrontano i loro problemi interiori potessero avere lo stesso spazio, ambiente e opportunità per condividere le proprie esperienze.

Forse questa potrebbe essere la nostra sfida: creare un nuovo modo di fare comunità e proclamazione.

Nel nostro mondo contemporaneo il nostro "pulpito" deve essere "dinamico". La conclusione è che un pulpito mobile è un santuario sacro in cui teologia e cura pastorale si incontrano.

L'unico scopo è portare le storie delle persone nella storia di Dio. Se non lo facciamo, il messaggio per la stragrande maggioranza degli ascoltatori continuerà a essere irrilevante per la loro realtà.

Sono cresciuto come figlio e nipote di predicatori. Ho risposto a una chiamata all'obbedienza come ministro e come missionario.

Come teologo e consulente clinico per la salute mentale sono stato sfidato nel mio pellegrinaggio a pormi domande che mi hanno portato a comprendere il potere, la validità e la rilevanza della buona notizia nel mezzo dei vari momenti della vita delle persone.

Questo esercizio intenzionale mi ha portato ad esplorare più profondamente i miei pregiudizi, i miei presupposti teologici e persino alcune affermazioni dottrinali di credenze che, in nome della `` buona ermeneutica '', hanno alienato gli altri in quanto non apprezzati e degni davanti a Dio.

È stato un percorso lungo, ma divertente e significativo. Durante il mio viaggio ho incontrato il dolore di persone che, in nome del credo o della dottrina "giusta", sono state ostracizzate, non incluse o semplicemente ignorate.

Ho cercato di rendere mobile il mio pulpito, interpretando ciò che ha fatto il Signore, ascoltando le storie e imparando da esse. Questo è stato terapeutico, non solo per il narratore, ma anche per gli ascoltatori.

Mentre trasmettiamo un messaggio con regole precise di omiletica, non dobbiamo dimenticare di trovare un messaggio sano e salutare sotto il fondamento delle Scritture e dell'ermeneutica.

La mia enfasi sulla "salute" è perché credo che questa sia una delle sfide principali, ma allo stesso tempo un'opportunità che dobbiamo affrontare oggi.

Alcuni consigli pratici

In qualità di pastore che vuole avere un impatto sulle persone con il messaggio predicato mi permetto di condividere alcune intuizioni che potrebbero essere utili:

  1. Tieni presente che le persone vogliono sperimentare come la Parola di Dio ha rilevanza in tutti i passaggi della loro storia personale. Alcune storie di vita sono piene di vergogna, frustrazione, paura, rabbia, tristezza, sogni non realizzati, relazioni interrotte, angoscia e simili. Man mano che il messaggero si avvicina alla loro realtà, il suo impatto diventa un sano spazio di consapevolezza, speranza, significato, scopo e crescita. Pertanto, fai spazio per entrare in contatto con le esigenze delle persone.
  2. Mostra alle persone come l'amore incondizionato di Dio è sempre presente. A volte comunichiamo e articoliamo molto bene le verità bibliche, ma i concetti sembrano molto freddi e distanti da ciò che le persone stanno vivendo nella propria realtà. Pertanto, si alienano da Dio. Dalla Genesi all'Apocalisse, vediamo l'amore e la presenza incondizionati di Dio. Egli ha mostrato costantemente una vicinanza all'umanità. Ci ricorda ripetutamente che non è distante dalla nostra storia personale.
  3. Assicurati che il messaggio presenti un uomo e una donna che sono ancora in un processo, non un prodotto finito. Paolo lo ha visualizzato nella sua sana esperienza personale: "Non che io abbia già ottenuto tutto questo o sia già arrivato alla perfezione; ma proseguo il cammino per cercare di afferrare ciò per cui sono anche stato afferrato da Cristo Gesù" (Fil 3,12)
  4. In qualità di messaggero, sii realistico con il messaggio. Una delle responsabilità chiave per chi si occupa di cura pastorale non è generare false aspettative o promesse, ma gettare le basi di salute, amore e cura. Non ci sono risposte facili per i problemi complessi della vita. Tuttavia, non evitarli o ignorarli. Possiamo ascoltare e accompagnare coloro a cui teniamo nel loro pellegrinaggio e confidare in Dio che nel tempo che ci è stato dato possa rispondere.
  5. Siate consapevoli che tra i nostri fedeli, spettatori e lettori ci sono persone che stanno affrontando problemi di salute mentale, in uno spettro da moderato a cronico.5 C'è speranza anche per loro. È stato rilevato che "la maggior parte dei pastori, dei familiari e delle persone con malattie mentali acute concordano sul fatto che i cristiani con malattie mentali acute possono prosperare spiritualmente". 6 Nonostante la loro situazione personale o familiare, è possibile un cambiamento o una guarigione strutturale o funzionale. Una parola di incoraggiamento, speranza, presenza di Dio e amore incondizionato durante il loro trattamento e cura è come acqua nel deserto.

Conclusione

La predicazione è un'arte. L'uso degli strumenti giusti nelle mani di Dio è un veicolo di guarigione, affermazione, sano ammonimento, cambiamento e speranza. Le parole dell'apostolo Giovanni hanno ancora validità nel nostro mondo contemporaneo: "Carissimo, io prego che in ogni cosa tu prosperi e goda buona salute, come prospera l'anima tua" (3 Gv1,2).

Hebert Palomino O è originario della Colombia, Sud America, PhD, BCCC, BCPC ha servito come missionario battista per 25 anni in Perù e Paraguay. È Professore di Pastoral Care & Counseling presso la School of Divinity della Gardner Webb University, Boiling Springs, North Carolina, USA.

Questo articolo è apparso originariamente nel numero di novembre 2020 della Lausanne Global Analysis ed è pubblicato qui con il suo permesso. Per ricevere questa pubblicazione bimestrale gratuita dal Movimento di Losanna, iscriviti online su www.lausanne.org/analysis.

Note

1. Per ulteriori informazioni in quest'area, si veda: Cobb, M.R., C.M. Puchalski e B. Rumbold, eds., Oxford Textbook on Spirituality in Healthcare (Oxford: Oxford University Press, 2012); Koenig, H.G., D.E. King e V.B. Carson, a cura di, Handbook of Religion and Health (Oxford: Oxford University Press, 2012); Puchalski, C.M. e R.N. Ferrel, Making Health Care Whole. Integrare la spiritualità nella cura del paziente (West Conshohocken: Templeton Press, 2010).

2. Per approfondire questo concetto si veda : D.A. Carson, Christ & Culture Revisited (Grand Rapids: Wm B.Eerdmans Publishing, 2008). Inoltre, H.Richard Niebuhr, The Responsibility of the Church for Society and Other Essays (Westminster John Knox Press, 2008).

3. Si vedano statistiche più dettagliate su www.nami.org/learn-more/mental-health-by-the-numbers

4. School of Divinity, Gardner-Webb University, Boiling Springs, NC (USA)

5. Si veda l'articolo di Gladys Mwiti e Bradford Smith, intitolato "Turning the Church's Attention to Mental Health", nel numero di novembre 2018 di Lausanne Global Analysis.


- Traduzione a cura di Luca Vona

Fermati 1 minuto. Lasciare spazio per comprendere

Lettura

Marco 3,7-12

7 Gesù intanto si ritirò presso il mare con i suoi discepoli e lo seguì molta folla dalla Galilea. 8 Dalla Giudea e da Gerusalemme e dall'Idumea e dalla Transgiordania e dalle parti di Tiro e Sidone una gran folla, sentendo ciò che faceva, si recò da lui. 9 Allora egli pregò i suoi discepoli che gli mettessero a disposizione una barca, a causa della folla, perché non lo schiacciassero. 10 Infatti ne aveva guariti molti, così che quanti avevano qualche male gli si gettavano addosso per toccarlo. 11 Gli spiriti immondi, quando lo vedevano, gli si gettavano ai piedi gridando: «Tu sei il Figlio di Dio!». 12 Ma egli li sgridava severamente perché non lo manifestassero.

Commento

Il ritirarsi di Gesù presso il lago di Gennesaret, che segna il confine con i territori pagani, indica la sua definitiva rottura con la sinagoga e l'apertura del suo messaggio a tutti i popoli. Le folle che lo seguono testimoniano la sua grande fama, nonostante l'ostilità dei farisei e degli erodiani. 

La folla è tale che rischia di schiacciare Gesù, le persone si gettano addosso a lui, come indica il verbo greco thlibo, il cui significato è stringere creando un senso di oppressione. Gesù "si difende" salendo su una barca. A volte anche chi ha fede costringe Dio dentro categorie che ne fanno quasi un "idolo", con una devozione che guarda solo alla ricerca del miracolo. 

Gesù ha pietà anche di queste folle di uomini "semplici" e afflitti. I mali da cui cercano la guarigione coloro che si gettano addosso a lui sono letteralmente "piaghe" (gr. mastigas), termine con il quale si indicavano diverse patologie, ma che può essere inteso anche con il significato di "correzione, castigo". Come le piaghe inviate agli egiziani e quelle descritte nel libro dell'Apocalisse, si tratta di mali inviati da Dio per sollecitare il ravvedimento. 

I demòni riconoscono l'identità di Gesù, ma pur temendola, non si sottomettono ad essa. Dio ci chiama a stabilire una relazione con lui, a crescere nella carità e non solo nella conoscenza intellettuale del suo mistero. Per quanto ricca possa essere la nostra cultura teologica non varrà a niente se l'ortoprassi non sarà all'altezza dell'ortodossia. 

Gesù riprende i demòni, intimandogli di non rivelare la sua identità; egli vuole essere accolto dagli uomini non per la testimonianza degli spiriti maligni ma per le proprie opere e per le proprie parole, che proclamano chiaramente chi egli è. Per questo ristabilisce una distanza dalle moltitudini; una distanza piena di sollecitudine, ma in grado di lasciare spazio a una considerazione più attenta e meditata, meno "istintiva", sulla sua persona.

Preghiera

Donaci, Signore, di cercarti con cuore puro; affinché possiamo accoglierti come colui che con le proprie piaghe è venuto a sanare le ferite prodotte in noi dal peccato. Amen.

- Rev. Dr. Luca Vona

Agnese. La mitezza che confonde le potenze del mondo

Nella seconda metà del III secolo, il 21 gennaio di un anno a noi ignoto, muore martire a Roma Agnese, appena tredicenne. La sua grande forza d'animo, che le derivava secondo gli agiografi da una fede incrollabile a dispetto della sua fragilità di adolescente e della sua esile figura, ne fecero una delle martiri più famose di tutta la cristianità. La sua Passio, giunta a noi nelle versioni greca, latina e siriaca del V secolo, era già conosciuta da tutti i grandi padri della chiesa. Ambrogio, Agostino, papa Damaso, Girolamo, Massimo di Torino, Gregorio Magno, Beda il Venerabile, Prudenzio, e poi i poeti carolingi, e infine Jacopo da Varagine, offriranno dei ritratti toccanti della giovane Agnese, fondati tutti su una tradizione orale di antichissima memoria.

Sant'Agnese (III sec.), mosaico, Roma

Anche l'iconografia della santa ebbe uno sviluppo enorme. Nelle immagini, soprattutto medievali, Agnese appare con a fianco un agnello, a ricordo del suo nome e del sogno avuto, secondo la leggenda otto giorni dopo la sua morte, dai suoi genitori che la videro insieme ad altre martiri sfilare accanto a un agnello senza macchia (cf. 1 Pt 1,19). Sul luogo della sua deposizione fu edificata, una basilica che, più volte rimaneggiata, fu in seguito ricostruita in stile bizantino e che ancor oggi è una delle principali chiese di Roma. Il nome di Agnese è ricordato nel Canone romano, la principale preghiera eucaristica della chiesa latina.

- Dal Martirologio ecumenico della Comunità monastica di Bose

mercoledì 20 gennaio 2021

Fermati 1 minuto. Non un pugno chiuso ma una mano tesa

Lettura

Marco 3,1-6

1 Entrò di nuovo nella sinagoga. C'era un uomo che aveva una mano inaridita, 2 e lo osservavano per vedere se lo guariva in giorno di sabato per poi accusarlo. 3 Egli disse all'uomo che aveva la mano inaridita: «Mettiti nel mezzo!». 4 Poi domandò loro: «È lecito in giorno di sabato fare il bene o il male, salvare una vita o toglierla?». 5 Ma essi tacevano. E guardandoli tutt'intorno con indignazione, rattristato per la durezza dei loro cuori, disse a quell'uomo: «Stendi la mano!». La stese e la sua mano fu risanata. 6 E i farisei uscirono subito con gli erodiani e tennero consiglio contro di lui per farlo morire.

Commento

Gesù entra nella sinagoga di Cafarnao. Qui trova l'occasione per chiarire ulteriormente il senso del sabato, contro la polemica dei farisei appena avvenuta per le spighe strappate dai discepoli per sfamarsi. La sua predicazione avviene più con le opere che con le parole. Vi è un uomo con una mano paralizzata ed egli lo invita a mettersi nel centro della sala di culto. Quest'uomo è posto di fronte ai farisei quasi come simbolo della loro paralisi dottrinale e del legalismo cui hanno reso soggetto il popolo di Dio. 

I dottori della legge non hanno né pietà per il malato, né devozione per colui che può guarirlo, così anziché intercedere stanno a guardare, con occhio malevolo, per accusare Gesù di aver violato il riposo sabbatico. 

La domanda di Gesù se sia lecito in giorno di sabato fare il bene o il male, salvare una vita o toglierla (v. 4) non può che avere un'unica risposta per colui che è realmente guidato dalla pietà religiosa. Ma nessuno parla, e quel silenzio che spesso è complice dell'ingiustizia, suscita in Gesù indignazione e tristezza. In controluce c'è la durezza di cuore dei farisei (v. 5), il rigore della dottrina che anestetizza ogni emozione. 

Gesù guarisce l'uomo dalla mano inaridita con un comando semplice e diretto "Stendi la mano!"; e l'uomo "la stese e la sua mano fu risanata" (v. 5). Il Figlio di Dio, il Logos incarnato, la Parola e la Sapienza con cui il Padre ha creato il mondo, è parola che non ritorna mai a Dio senza effetto (Is 55,11). 

Le mani tenute legate dalla Legge, vengono sciolte per poter compiere il bene e coltivare il seme della grazia. I farisei - rappresentanti dell'ortodossia religiosa - e gli erodiani - difensori del potere statale - pur divisi in opposte fazioni, trovano un comune interesse nella volontà di far morire Gesù (v. 6), avvertito come un elemento di sovversione della loro "volontà di potenza" politica e religiosa.  

Ma il potere sovversivo di Gesù passa attraverso un "depotenziamento", una spoliazione del Figlio di Dio, fino alla morte di croce (Fil 2,8), in modo da aprire, lungo le vie oscure della nostra umanità sofferente, assunta su di sé, la via per la risurrezione.

Preghiera

Insegnaci, Signore, a non anteporre nulla a te; la nostra fede possa essere non un pugno chiuso per ferire, ma una mano aperta per ricevere la tua grazia e tesa per donare al nostro prossimo. Amen.

- Rev. Dr. Luca Vona