Il Rev. Dr. Luca Vona
Un evangelico nel Deserto

Ministro della Christian Universalist Association

venerdì 29 settembre 2023

Fermati 1 minuto. Un ordine meraviglioso

Lettura

Giovanni 1,47-51

47 Gesù intanto, visto Natanaèle che gli veniva incontro, disse di lui: «Ecco davvero un Israelita in cui non c'è falsità». 48 Natanaèle gli domandò: «Come mi conosci?». Gli rispose Gesù: «Prima che Filippo ti chiamasse, io ti ho visto quando eri sotto il fico». 49 Gli replicò Natanaèle: «Rabbì, tu sei il Figlio di Dio, tu sei il re d'Israele!». 50 Gli rispose Gesù: «Perché ti ho detto che ti avevo visto sotto il fico, credi? Vedrai cose maggiori di queste!». 51 Poi gli disse: «In verità, in verità vi dico: vedrete il cielo aperto e gli angeli di Dio salire e scendere sul Figlio dell'uomo».

Commento

Gli angeli, "messaggeri" (gr. anghelos; ebr. malak) celesti, sono presenti in diverse pagine dell'Antico testamento e li troviamo anche in alcuni momenti cruciali della vita di Gesù; in particolare, nel deserto, dopo che egli ha vinto le tentazioni del demonio - "gli angeli lo servivano" (Mc 1,13) - e prima della sua passione, durante la preghiera nell'orto degli ulivi - "gli apparve un angelo dal cielo a confortarlo"(Lc 22,43). Successivamente, fanno da custodi alla sua tomba, annunciando alle donne del seguito di Gesù la sua risurrezione. 

Nel passo evangelico in cui Giovanni riporta il dialogo tra Gesù e Natanaèle viene richiamata la visione della scala di Giacobbe (Gen 28,10-22). In quel frangente il patriarca stava fuggendo dal fratello Esaù, per andarsi a rifugiare dallo zio Labano; Giacobbe sognò una scala che dalla terra si protendeva fino al cielo e gli angeli salivano e scendevano sopra di essa; Dio gli parlava, promettendogli la terra sulla quale stava dormendo, una discendenza numerosa come la sabbia del mare, la benedizione in lui di tutte le famiglie della terra. Tale benedizione si realizza in Cristo, il quale è il vero mediatore tra Dio e gli uomini, egli stesso "scala" attraverso la quale gli angeli discendono ad amministrare la grazia di Dio sulla terra e risalgono a Dio, portando le suppliche della Chiesa. 

Gli angeli nelle Scritture sono esseri spirituali creati da Dio, posti al suo servizio e a servizio dell'uomo. La loro azione di messaggeri è attestata nel Nuovo testamento nel racconto dell'annunciazione a Maria, nell'invito ai pastori ad andare ad adorare il Messia appena nato a Betlemme, nell'avvertimento in sogno a Giuseppe di fuggire in Egitto per salvare il bambino Gesù da Erode. Negli Atti degli apostoli assistiamo alla liberazione di Pietro dalla prigione per opera di un angelo. 

Il culto ebraico e quello cristiano della chiesa primitiva non prevede l'adorazione degli angeli, come leggiamo nel libro dell'Apocalisse: "Udite e vedute che le ebbi, mi prostrai in adorazione ai piedi dell'angelo che me le aveva mostrate. Ma egli mi disse: «Guardati dal farlo! Io sono un servo di Dio come te e i tuoi fratelli, i profeti, e come coloro che custodiscono le parole di questo libro. È Dio che devi adorare»" (Ap 22,8-9). Ma nel momento in cui ci affidiamo a Dio siamo certi che egli ci assiste mediante intelligenze e potenze spirituali, che lo servono e gli danno lode in cielo e ci soccorrono e difendono sulla terra, nel nome di Gesù Cristo. Per questo, con il salmista, innalziamo a lui la nostra lode: "Lodatelo, voi tutti, suoi angeli, lodatelo, voi tutte, sue schiere" (Sal 148, 2).

Preghiera

Dio onnipotente, che hai ordinato e stabilito il servizio degli angeli e degli uomini in un ordine meraviglioso; concedi misericordioso che così come gli angeli ti servono sempre in Cielo, possano, per tuo incarico, soccorrerci e difenderci sulla terra. Per Gesù Cristo, nostro Signore. Amen.

- Rev. Dr. Luca Vona

Festa di San Michele arcangelo e di tutti gli angeli

Le chiese d'occidente fanno oggi memoria di Michele arcangelo e di tutti gli angeli, messaggeri del Signore.
Gli angeli, secondo tutta la tradizione biblica, riassunta nella Lettera agli Ebrei, «sono spiriti inviati da Dio al servizio di coloro che devono ereditare la salvezza» (Eb 1,14). A loro, nella prima come nella nuova alleanza, Dio affida il compito di trasmettere la sua volontà al popolo d'Israele o a uomini da lui prescelti per una missione particolare. Certo, Paolo ricorda che «uno solo è Dio e uno solo il mediatore fra Dio e gli uomini: l'uomo Cristo Gesù» (1Tm 2,5), tuttavia le chiese cristiane hanno fin da principio riconosciuto un ruolo ai messaggeri di Dio nell'economia del Verbo: nel Nuovo Testamento è agli angeli che viene affidato l'incarico di annunciare l'incarnazione del Figlio di Dio, di custodirne il cammino terreno, di proclamarne la resurrezione, di spiegame l'ascensione, di accompagnarne il ritorno glorioso. Secondo la testimonianza degli antichi testi eucaristici d'oriente e d'occidente, i messaggeri di Dio celebrano alla presenza del Signore un'ininterrotta liturgia celeste, alla quale la liturgia della chiesa sulla terra non fa che unirsi per proclamare Dio tre volte Santo.

Tracce di lettura

La mediazione non è sostanzialmente più necessaria, là dove il Figlio ha il Padre presso di sé e dimora anzi nel seno del Padre e agisce a partire dal proprio vedere, ascoltare e toccare il Padre, in forza della propria potestà ricevuta direttamente dal Padre. E tuttavia gli angeli non possono mancare, in primo luogo perché fanno parte della gloria celeste del Figlio dell'uomo, ma in secondo luogo e soprattutto perché devono rendere visibile il carattere sociale del regno dei cieli, nel quale il cosmo dev'essere trasformato. Non deve sorgere l'impressione che il regno che il Figlio è venuto a fondare e che certamente incarna nella sua totalità (come autobasileía), sia un luogo solitario nell'assoluto. Piuttosto questo luogo in Dio, al quale devono essere condotti i redenti della terra, è fin dall'inizio «la città del Dio vivente, la Gerusalemme celeste», con le sue innumerevoli schiere di angeli, la comunità festosa dei primi nati. (H. U. von Balthasar,  Gloria I. La percezione della forma)

- Dal Martirologio ecumenico della Comunità monastica di Bose

Preghiera

Dio onnipotente ed eterno che hai e costituito il servizio degli angeli e degli uomini in un ordine meraviglioso, concedici, ti supplichiamo, che come gli Angeli santi ti offrono un perpetuo servizio nei cieli, allo stesso, modo, secondo l'incarico che gli hai affidato, possano soccorrerci e difenderci sulla terra. Per Gesù Cristo, nostro Signore. (The Book of Common prayer)




Chiesa di San Michele arcangelo, Amburgo

giovedì 28 settembre 2023

Fermati 1 minuto. Vediamo quel che cerchiamo

Lettura

Luca 9,7-9

7 Intanto il tetrarca Erode sentì parlare di tutti questi avvenimenti e non sapeva che cosa pensare, perché alcuni dicevano: «Giovanni è risuscitato dai morti», 8 altri: «È apparso Elia», e altri ancora: «È risorto uno degli antichi profeti». 9 Ma Erode diceva: «Giovanni l'ho fatto decapitare io; chi è dunque costui, del quale sento dire tali cose?». E cercava di vederlo.

Commento

La fama di Gesù si è diffusa dai suoi giorni terreni a oggi fino a ogni angolo della terra, ma quanti riescono davvero a riconoscerlo per quello che egli è? L'interesse di Erode verso Gesù narrato dall'evangelista Luca prepara quello che il tetrarca mostrerà durante la passione. Egli, che ha ucciso Giovanni il Battista, cercherà in seguito di uccidere anche Gesù (Lc 31,33), e quando questi verrà a lui inviato da Pilato per essere giudicato, Erode si rallegrerà "perché da molto tempo desiderava vederlo per averne sentito parlare e sperava di vedere qualche miracolo fatto da lui" (Lc 23,8). 

Di fronte al silenzio di Gesù, che non accondiscende a tale richiesta, Erode reagirà facendolo insultare e schernire dai suoi soldati e rimandandolo da Pilato. Erode è confuso in merito all'identità di Gesù, perché la sua curiosità lo fa restare a un livello superficiale di comprensione; cerca di vederlo, ma unicamente per appagare il desiderio di assistere a qualche prodigio. 

A Erode non interessa niente della ricerca della verità, della bontà, della giustizia di Dio. Per questo la verità incarnata si sottrae a lui, non disvelando la propria natura e la propria potenza. Il rapporto tra Gesù ed Erode attesta il fatto che ciò che troveremo in Gesù dipende da ciò che stiamo cercando. 

Così Nicodemo trova in lui la verità che cercava nelle Scritture; gli scribi e i farisei che gli sono ostili credono di avere di fronte un impostore e un bestemmiatore; Pilato vede in lui un uomo innocente ma non riesce ad andare oltre; mentre il centurione che assiste alla sua morte escalama «Davvero costui era Figlio di Dio!» (Mt 27,54). 

L'idea che abbiamo di Gesù è fondamentale nella relazione che stabiliamo con lui, per questo egli domanda rivolto ai Dodici: «Ma voi chi dite che io sia?»; «Il Cristo di Dio» (Lc 9,20), risponde Pietro, prendendo la parola a nome dei discepoli, e di tutti coloro i cui occhi si aprono alla comprensione mediante la fede.

Preghiera

La conoscenza di te, Signore, possa appagare il nostro desiderio di verità e giustizia, per essere tuoi discepoli nel mondo, testimoniando il Figlio di Dio che si è incarnato, è morto e risorto per noi. Amen.

- Rev. Dr. Luca Vona

mercoledì 27 settembre 2023

Fermati 1 minuto. Come riconoscere il vero apostolo di Cristo

Lettura

Luca 9,1-6

1 Egli allora chiamò a sé i Dodici e diede loro potere e autorità su tutti i demòni e di curare le malattie. 2 E li mandò ad annunziare il regno di Dio e a guarire gli infermi. 3 Disse loro: «Non prendete nulla per il viaggio, né bastone, né bisaccia, né pane, né denaro, né due tuniche per ciascuno. 4 In qualunque casa entriate, là rimanete e di là poi riprendete il cammino. 5 Quanto a coloro che non vi accolgono, nell'uscire dalla loro città, scuotete la polvere dai vostri piedi, a testimonianza contro di essi». 6 Allora essi partirono e giravano di villaggio in villaggio, annunziando dovunque la buona novella e operando guarigioni.

Commento

Gesù comunica la sua stessa potenza ai dodici apostoli che si è scelto e li manda - questo il significato del termine apostoli: "inviati" - ad annunciare il regno di Dio, a cacciare i demòni e a curare tutte le malattie. Non c'è altro di cui debba occuparsi un apostolo: annunciare il vangelo e confortare gli infermi nell'anima e nel corpo. L'instaurazione del regno di Dio non è opera umana, per questo Gesù chiede ai Dodici di non preoccuparsi di nulla, neanche di ciò che sembra indispensabile, come il pane o un cambio di vestiti.

All'apostolo è richiesta una radicale semplicità di vita e un totale affidamento alla provvidenza di Dio. Da ciò deriva anche il dovere della "stabilità": lungi dal girare di casa in casa, magari per cercare beni e ricompense, gli apostoli dovranno stabilirsi presso una sola casa in ogni città; ma tale stabilità non deve portare a un attaccamento contrario al dovere della predicazione itinerante. 

Essi, dunque, ripartiranno di là, dopo aver proclamato il vangelo a quella città, e andranno altrove a portare il lieto annuncio, liberare e sanare. Se non saranno accolti andranno oltre, rifiutando di portare con sé persino la polvere di quella città; non pronunceranno maledizioni ma compiranno il gesto di una rottura completa con coloro che non credono. 

Da tutti questi segni riconosceremo il vero apostolo: l'annuncio fedele del vangelo, la sobrietà di vita, il disinteresse verso qualsiasi ricompensa per il suo ministero, il sedersi alla mensa di chiunque lo accolga (come fece Gesù anche con i pubblicani e i peccatori), la capacità di un distacco per andare oltre ad annunciare la parola di Dio, la mitezza e al contempo la radicalità di fronte al rifiuto della sua missione.

Preghiera

Donaci, Signore, la gioia dell'anuncio del vangelo, la coerenza espressa nella semplicità di vita e una salda fiducia nella tua misericordia. Amen.

- Rev. Dr. Luca Vona

Vincenzo de Paoli. Trasmettere il fuoco al cuore degli uomini

La Chiesa Cattolica, i Luterani e gli Anglicani celebrano oggi la memoria di Vincenzo de Paoli.

Il 27 settembre del 1660 si spegne serenamente a Parigi Vincenzo de Paoli (Vincent Depaul), fondatore della Congregazione della Missione e di una miriade di attività caritative a favore dei poveri e degli emarginati. Vincent era nato nel 1581 nel borgo rurale di Pouy, nei pressi di Dax (sud-ovest della Francia). L'infanzia di povero contadino, alla quale pure egli sembrò ribellarsi a un certo punto della sua vita, ebbe una profonda influenza sulla sua spiritualità. Avviato al sacerdozio per consentirgli di migliorare la propria condizione sociale, il giovane Vincent, ordinato presbitero a soli 19 anni, attraversò diverse peripezie prima di approdare a Parigi nel 1608. Nella capitale francese egli fu segnato dall'incontro con il cardinale de Bérulle, che lo aiutò a riscoprire la gioia profonda che deriva dalla povertà materiale e spirituale. Ritrovata la pace, Vincent fu nominato cappellano generale delle galere francesi, e soprattutto incontrò il disperato bisogno di misericordia dei poveri delle campagne. Da quel momento egli farà di tutto per recare ai poveri il lieto annuncio dell'amore senza limiti del Dio rivelato da Gesù Cristo. Per promuovere l'evangelizzazione delle campagne Vincent diede vita a «confraternite di carità» e a numerose missioni popolari. A questo scopo egli favorì la creazione di seminari maggiori per la formazione di presbiteri preparati e maturi.
Nel 1625, anche grazie all'incontro che Vincent ebbe con François de Sales, fu ufficialmente fondata la Congregazione della Missione, detta dei Vincenziani o dei Lazzaristi perché sorta attorno al priorato parigino di Saint-Lazare. Alla morte di Vincent Depaul, i lazzaristi, che per statuto continuavano a rimanere presbiteri diocesani, erano ormai più di 130, con 25 case in tutta l'Europa.

Tracce di lettura

La nostra vocazione è di andare non in una parrocchia, e neppure soltanto di visitare il territorio di una diocesi, ma di percorrere tutta la terra. E che dobbiamo fare? Trasmettere il fuoco ai cuori degli uomini, fare ciò che ha fatto il Figlio di Dio, lui che è venuto a portare il fuoco sulla terra per infiammarla con il suo amore. Che altro potremo perciò desiderare, se non che arda sino a consumarsi?
Dunque è ben vero che io sono inviato non solo per amare Dio, ma per farlo amare. Non mi basta amare Dio se il mio prossimo non è preso anch'egli dal suo amore.
(Vincenzo de Paoli, Ai preti della missione)

- Dal Martirologio ecumenico della Comunità monastica di Bose

Vincenzo de Paoli (1581-1660)

martedì 26 settembre 2023

Fermati 1 minuto. Quale famiglia cristiana?

Lettura

Luca 8,19-21

19 Un giorno andarono a trovarlo la madre e i fratelli, ma non potevano avvicinarlo a causa della folla. 20 Gli fu annunziato: «Tua madre e i tuoi fratelli sono qui fuori e desiderano vederti». 21 Ma egli rispose: «Mia madre e miei fratelli sono coloro che ascoltano la parola di Dio e la mettono in pratica».

Commento

Non sappiamo se i "fratelli" di Gesù menzionati in questo brano fossero figli di Maria o, come accadeva secondo una usanza semitica, il termine greco adelphos (f. adelphe) va inteso come "cugini", "nipoti", "fratellastri" (vedi ad es. Gn 14,16; 29,15; Lv 10,4). Una antica e diffusa tradizione patristica afferma la verginità di Maria anche dopo aver partorito Gesù. 

Tutto ciò poco conta ai fini dell'interpretazione del racconto di Luca. Ciò che esso ci trasmette è che, senza disprezzare la famiglia naturale, Gesù pone al di sopra di essa la famiglia che egli "si è scelto", quella di coloro che ascoltano la parola di Dio e la mettono in pratica (v. 21). Il passo evangelico, "ingentilito" rispetto al parallelo di Marco (Mc 3,31-35) - in cui Gesù afferma «Chi è mia madre e chi sono i miei fratelli?». (Mc 3,33) - riferisce che "non potevano avvicinarlo", "stavano fuori" e "desideravano vederlo", ma tutto ciò gli era impedito dalla folla. 

Vi è una distanza, una barriera impenetrabile che si frappone tra Gesù e i suoi familiari. In un passo ancor più "duro" di Marco ci viene riferito che i familiari di Gesù, in altra occasione "uscirono per andare a prenderlo; poiché dicevano: «È fuori di sé» (Mc 3,21)". Altrove Gesù afferma: «Un profeta non è disprezzato che nella sua patria, tra i suoi parenti e in casa sua» (Mc 6,4). 

Gesù relativiza l'istituto familiare; non ne fa "una gabbia", un contesto chiuso e autoreferenziale, ma lo pone in secondo piano rispetto al senso di appartenenza alla famiglia dei credenti. In questo senso, «chiunque avrà lasciato case, o fratelli, o sorelle, o padre, o madre, o figli, o campi per il mio nome, riceverà cento volte tanto e avrà in eredità la vita eterna» (Mt 19,29). Altrove Gesù afferma: «Non crediate che io sia venuto a portare pace sulla terra; non sono venuto a portare pace, ma una spada. Sono venuto infatti a separare il figlio dal padre, la figlia dalla madre, la nuora dalla suocera. (Mt 10,34-35)». 

Ma se la parola di Dio è una spada che può recidere i legami familiari è anche un vincolo che può rafforzarli, arricchirli di una forza di unione soprannaturale. Allora la famiglia diventa qualcosa di più di una sorta di "clan"; diviene il focolare della Parola di Dio, laddove due o tre riuniti nel nome di Gesù lo rendono presente in mezzo a loro; diventa nucleo fecondo per l'evangelizzazione al di fuori di essa.

Preghiera

Custodisci le nostre famiglie Signore, affinché la tua parola possa rendersi presente in mezzo a noi, per vivificare le nostre relazioni e renderci apostoli del vangelo. Amen.

- Rev. Dr. Luca Vona

lunedì 25 settembre 2023

Lancelot Andrewes. Chiudi la tua porta dietro di te e prega nel segreto della tua camera

Il 25 settembre 1626 muore all'età di 71 anni, nella pace e nella preghiera, Lancelot Andrewes, vescovo anglicano di Winchester.

Andrewes era nato a Londra nel 1555, ed era il primogenito di una ricca famiglia di mercanti. Egli mostrò presto una tale propensione allo studio e alla vita interiore che i suoi genitori gli consentirono di proseguire la formazione fino a diventare professore a Cambridge e a Oxford.

Uomo di enorme erudizione, Andrewes fu ordinato diacono e poi presbitero, e col passare degli anni seppe essere anche un notevole uomo di azione, capace di rimanere all'altezza dei numerosi incarichi affidatigli dalla chiesa e poi dal re d'Inghilterra, che lo volle come suo confessore personale.

Andrewes prese parte alla nuova traduzione inglese della Bibbia e, suo malgrado, alle controversie teologiche del tempo fra Roma e Canterbury; ma fu un accanito oppositore di ogni interpretazione dei canoni ecclesiastici non rispettosa delle persone coinvolte in giudizio dalla chiesa.

Eletto vescovo di Chichester nel 1605, e più tardi trasferito alla sede di Winchester, egli fu per tal motivo membro di diritto del Parlamento inglese. Andrewes in qualità di parlamentare cooperò con il governo ogni volta che all'ordine del giorno vi erano questioni inerenti alla chiesa ma si rifiutò sempre di compiere ingerenze in campi non strettamente collegati alla fede cristiana.

Alla sua morte, nel 1626, venne alla luce, grazie alla pubblicazione postuma dei suoi sermoni e delle sue Preces privatae, l'enorme ricchezza della sua vita spirituale; egli fu infatti, seppur nel nascondimento, uno dei più grandi uomini di preghiera della chiesa di ogni tempo.

Tracce di lettura

La mia preghiera sgorghi,

salga fino a te, entri,

compaia al tuo cospetto, trovi grazia,

si faccia prossima a te;

e non lasciare che torni a me sterile, ma,

poiché tue sono la scienza, la forza e la volontà,

ascolta, porgi l'orecchio,

sii attento e guarda,

comprendi,

ascolta,

esaudisci e agisci.

(L. Andrewes, Preces privatae)

- Dal Martirologio ecumenico della Comunità monastica di Bose

Lancelot Andrewes (1555-1626)

Fermati 1 minuto. La luce che si fa dono

Lettura

Luca 8,16-18

16 Nessuno accende una lampada e la copre con un vaso o la pone sotto un letto; la pone invece su un lampadario, perché chi entra veda la luce. 17 Non c'è nulla di nascosto che non debba essere manifestato, nulla di segreto che non debba essere conosciuto e venire in piena luce. 18 Fate attenzione dunque a come ascoltate; perché a chi ha sarà dato, ma a chi non ha sarà tolto anche ciò che crede di avere».

Commento

La conoscenza dei misteri del regno non è esoterica o gnostica, riservata cioé solo ad una setta, ma dev'essere condivisa con gli altri. Cristo, infatti, è venuto nel mondo per far conoscere la verità, non per nasconderla.

Il fine per cui la luce deve farsi dono è spiegato nel passo parallelo del Vangelo di Matteo: "risplenda la vostra luce davanti agli uomini, perché vedano le vostre opere buone e rendano gloria al vostro Padre che è nei cieli" (Mt 5,16).

L'efficacia della Parola non dipende esclusivamente dal suo valore intrinseco, ma anche dal modo in cui viene accolta. Dio dà maggiore intelligenza a chi accetta il mistero rivelato; mentre la toglie a quelli che non l'accolgono.

Proiettare la luce del vangelo sul mondo significa superare la distinzione fra "temporale" e "spirituale", consentire all'amore di Cristo di incarnarsi nella società. In questi termini, e non secondo la crescita meramente economica o tecnologica, si può parlare di reale sviluppo dell'umanità.

Preghiera

Illumina, Signore, l'umanità in attesa dell'alba del tuo regno, portatore di giustizia e di verità. Amen.

domenica 24 settembre 2023

Silvano del Monte Athos e la docilità all'azione dello Spirito

Nel 1938 muore al monte Athos lo starec Silvano. Semën (Simeone) Ivanovič Antonov era nato nel 1866 a Šovsk, in Russia, da una famiglia di poveri contadini, ed era entrato nel 1892 nel monastero athonita di San Panteleimon. La sua parabola monastica fu una straordinaria ricerca di docilità all'azione dello Spirito santo. Silvano aveva infatti cominciato ad avvertire da giovane la presenza dello Spirito nel suo cuore, e aveva deciso di dedicarsi interamente a custodire mediante la preghiera il dono ricevuto. Nominato economo del monastero, egli continuò a riservare ogni giorno un tempo ragguardevole per la preghiera, pur avendo ormai più di 200 monaci a cui provvedere. Ammaestrato dallo Spirito a riconoscere Gesù e in Gesù la misericordia del Padre, Silvano intraprese un cammino di assimilazione al suo Signore. Egli capì che solo nell'umiltà, nel riconoscersi «terra desolata», «carne di peccato», avrebbe potuto raggiungere la piena comunione con Cristo disceso agli inferi per amore di tutti gli uomini. Ebbe la grazia della preghiera continua ed ebbe la visione del Cristo oltre a soffrire molto da parte di demoni. Ma l'esperienza mistica che più lo marcò, avvenne attorno all'anno 1906, quando in preda a grande sconforto per non riuscire a estirpare i suoi sentimenti di orgoglio, così si rivolse a Dio: «Signore, tu vedi che cerco di pregarti con spirito puro, ma il demonio me lo impedisce.» Ricevette allora nel suo cuore questa risposta: «Gli orgogliosi devono sempre soffrire da parte dei demoni.» Silvano rispose: «Allora, Signore, dimmi cosa devo fare perché la mia anima diventi pura.» Di nuovo ricevette la risposta: «Tieni il tuo spirito in inferno e non disperare mai». In realtà, proprio per essersi accusato, lui stesso di essere un orgoglioso, e aver pregato Dio di estirpargli questo sentimento, ha mostrato un grande spirito di umiltà. Nonostante non avesse ricevuto una istruzione superiore, assunse grande fama presso i pellegrini che lo cercavano per i suoi utili consigli, tra essi anche altri prelati, vescovi e cattedratici. Passò gli ultimi anni della sua vita a ricevere migliaia di persone che venivano dai luoghi più lontani per chiedere una parola o una preghiera : colui che ormai era noto a tutti semplicemente come lo «starec Silvano».

Tracce di lettura

Spirito santo, non abbandonarci! Quando tu sei in noi, l'anima avverte la tua presenza, trova in Dio la sua beatitudine: tu ci doni l'amore ardente per Dio. Spirito santo, non mi abbandonare! Quando ti allontani da me, i pensieri malvagi assalgono il mio cuore: l'anima mia piange lacrime amare. 

(dagli Scritti di Silvano dell'Athos).

Abba Paisio pregava per un proprio discepolo che aveva rinnegato Cristo. Mentre pregava, gli apparve Cristo e gli disse: « Paisio, per chi stai pregando? Non mi ha forse rinnegato?». Ma il santo continuò ad aver compassione del proprio discepolo. Allora il Signore gli disse: «Paisio, tu mi sei divenuto simile mediante l'amore»

(Detto dei padri che Silvano amava ripetere)

- Fonti: Martirologio ecumenico della Comunità monstica di Bose; Wikipedia

Silvano del Monte Athos (1866-1938)

Per mezzo della fede, radicati nell'amore

COMMENTO ALLA LITURGIA DELLA SEDICESIMA DOMENICA DOPO LA TRINITÀ

Colletta

Signore, ti supplichiamo, possa la tua continua pietà purificare e difendere la tua Chiesa; e poiché essa non può essere al sicuro senza il tuo soccorso, preservala sempre con il tuo aiuto e la tua bontà. Per Gesù Cristo nostro Signore. Amen.

Letture

Ef 3,13-21; Lc 7,11-17

Commento

Due folle si incontrano: l'una è quella dei discepoli di Gesù e del suo vasto seguito, l'altra quella del funerale dell'unico figlio di una vedova. Nella società patriarcale di quel contesto storico-geografico le vedove erano una categoria particolarmente vulnerabile; possiamo immaginare, dunque, la tragedia per questa donna, di aver perso l'unico figlio maschio. 

Gesù "ne ebbe compassione"; con una traduzione più accurata del verbo greco splanchnizomai, possiamo dire "ne fu commosso nelle viscere". Lo stesso verbo è utilizzato da Luca nella parabola del buon samaritano e in quella del figliol prodigo. Gesù, che si commosse fino a prorompere in pianto davanti alla tomba dell'amico Lazzaro, comprende la nostra miseria di creature soggette alla morte a causa del peccato (cfr. Rm 5,12-14) e compie in questa occasione un gesto che per la legge ebraica rendeva impuri. 

Egli non solo non contrae alcuna impurità ma è anche in grado di ridonare la vita a ciò che si è avviato verso la corruzione. Un gesto semplice e una parola efficace: "Giovinetto, dico a te, alzati!" - quell'"alzati" che nel verbo originale greco egheiro descriverà nello stesso Vangelo di Luca il mistero pasquale. 

Gesù non teme di toccare con mano la nostra miseria. Troppe volte la religione inculca un senso di impurità in chi vorrebbe avvicinarsi ad essa, provocandone il rifiuto. Per paura di perdere consensi, d'altra parte, alcune chiese rimuovono la parola "peccato" dal proprio lessico, disconoscendo che nell'uomo vi è una tendenza al male, all'egoismo, alla prevaricazione. 

Il vangelo ci istruisce sul fatto che tutti abbiamo peccato ma la fede in Cristo ci consente di morire al peccato per risorgere nella grazia. Come i testimoni del giovane riportato in vita possiamo veramente dire "Dio ha visitato il suo popolo". 

"Per mezzo della fede... radicati nell'amore" conosceremo, afferma Paolo (Ef 3,17-19), la misura dell'amore di Cristo, e saremo "ripieni della pienezza di Dio". Dio che può fare molto di più di quel che possiamo immaginare (Ef 3,20) ha mandato il suo Figlio a restaurare l'immagine divina nell'uomo. Non ci concede solo di vincere la morte, ma di partecipare alla sua vita trinitaria.

- Rev. Dr. Luca Vona

venerdì 22 settembre 2023

Fermati 1 minuto. Gesù non ha paura delle donne

Lettura

Luca 8,1-3

1 In seguito egli se ne andava per le città e i villaggi, predicando e annunziando la buona novella del regno di Dio. 2 C'erano con lui i Dodici e alcune donne che erano state guarite da spiriti cattivi e da infermità: Maria di Màgdala, dalla quale erano usciti sette demòni, 3 Giovanna, moglie di Cusa, amministratore di Erode, Susanna e molte altre, che li assistevano con i loro beni.

Commento

La predicazione del regno di Dio è un'attività itinerante, che Gesù non compie da solo, ma insieme ai suoi discepoli. Egli si sposta di città in città, perché «Le volpi hanno le loro tane e gli uccelli del cielo i loro nidi, ma il Figlio dell'uomo non ha dove posare il capo» (Mt 8,20). Insieme a lui troviamo i Dodici, ma anche un piccolo gruppo di donne, cosa del tutto inconsueta per la cultura religiosa dell'epoca. I rabbini, infatti, non avevano donne come discepoli. Questa ritrosia è evidente nel racconto giovanneo dell'incontro tra Gesù e la samaritana, dove appunto i discepoli di Gesù si stupirono nel vederlo discorrere con una donna presso il pozzo (Gv 4,27). 

«Signore, gli disse la donna, dammi di quest'acqua, perché non abbia più sete» (Gv 4,15) esclama la samaritana al pozzo; e di quell'acqua sembrano essersi dissetate le tre discepole che seguono Gesù nel suo ministero. Maria, proveniente dalla città di Màgdala, è identificata da una tradizione senza alcun riscontro oggettivo con la donna che in un passo precedente versa il profumo sui piedi di Gesù e ne versa sul suo capo prima della passione; qui si dice semplicemente che fu liberata da sette demòni, ma un'altra tradizione, sempre senza alcun fondamento, ne fa una prostituta. Giovanna e Susanna sono menzionate solo qui. 

Saranno delle donne a seguire Gesù nella sua passione e a sostare sotto la croce, con Maria, la madre di Gesù e Giovanni, il discepolo che egli amava. E sempre delle donne sono le prime testimoni della risurrezione, annunciatrici della lieta notizia ai Dodici stessi. 

Le Scritture presentano un atteggiamento ambivalente sulla donna, a partire dalla progenitrice Eva, mediante la quale il peccato è entrato nel mondo, ai numerosi ammonimenti contenuti nel libro dei Proverbi, in cui l'uomo viene messo in guardia dalla capacità femminile di circuire e far cadere nel peccato. 

Eppure, tutta la storia della salvezza è costellata da figure di donne esemplari e benedette da Dio, a partire da Sara, che concepisce Isacco nella sua vecchiaia e diviene partecipe della promessa, fatta da Dio ad Abramo, di una discendenza più numerosa della sabbia del mare e, dunque, di una redenzione che si estende oltre i confini stessi di Israele; e poi Rachele, sposa di Giacobbe e madre di Giuseppe, che "piange i suoi figli", figura di colei che per Israele intercede presso Dio (Ger 31,15, ripreso da Mt 2,18). Per mezzo di una donna il Verbo incarnato decide di venire in mezzo a noi: Maria, nuova Eva, è lo strumento mediante il quale giungono a compimento le promesse messianiche. 

Sono figure per lo più silenziose le donne dell'Antico e del Nuovo testamento, ma significative nella storia della salvezza. Il loro silenzio è sempre fecondo.

Preghiera

Concedicci Signore, di essere associati a te nella predicazione della salvezza e il nostro agire, guidato dal tuo Spirito, sia sempre più eloquente delle nostre parole. Amen.

giovedì 21 settembre 2023

Fermati 1 minuto. Gesù, medico e medicina per le nostre anime

Lettura

Matteo 9,9-13

9 Andando via di là, Gesù vide un uomo, seduto al banco delle imposte, chiamato Matteo, e gli disse: «Seguimi». Ed egli si alzò e lo seguì. 10 Mentre Gesù sedeva a mensa in casa, sopraggiunsero molti pubblicani e peccatori e si misero a tavola con lui e con i discepoli. 11 Vedendo ciò, i farisei dicevano ai suoi discepoli: «Perché il vostro maestro mangia insieme ai pubblicani e ai peccatori?». 12 Gesù li udì e disse: «Non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati. 13 Andate dunque e imparate che cosa significhi: Misericordia io voglio e non sacrificio. Infatti non sono venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori».

Commento

Tra le persone più disprezzate nella società ebraica ai tempi di Gesù vi erano gli esattori delle imposte, perché non solo trattenevano per sé parte delle somme riscosse, ma lavoravano direttamente per i dominatori romani. 

Gesù chiama Matteo (Marco e Luca si riferiscono a questo pubblicano con il nome Levi) mentre egli è ancora nel peccato. Quella pronunciata da Gesù è un'unica parola, declinata all'imperativo: «Seguimi». La risposta di Matteo è istantanea, "si alzò e lo seguì". Non c'è alcun artificio retorico nella chiamata di Gesù: una sola parola è capace di persuadere e di trasformare la realtà, come vediamo in molte sue guarigioni, liberazioni da demoni e nei miracoli di risurrezione (Lazzaro e la figlia di Giairo). 

La sua parola è parola efficace. La risposta del vero discepolo è altresì incondizionata: Matteo non discute né se ne va rattristato come il giovane che aveva chiesto a Gesù cosa avrebbe dovuto fare per ottenere la vita eterna ma non se la sentiva di dare via le proprie ricchezze (Mt 19,22). Forse Matteo aveva ascoltato la predicazione del Battista o aveva sentito parlare di Gesù, ma quando questi passa di persona davanti a lui e lo chiama egli resta immediatamente affascinato. 

Segue nel Vangelo l'immagine del banchetto, probabilmente preparato a casa di Matteo stesso, insieme ad altri pubblicani. Il banchetto nell'antico oriente era simbolo di una condivisione d'animi profonda tra i commensali. Per questo i farisei mormorano e si scandalizzano per la familiarità che Gesù mostra verso i peccatori. E qui il Signore definisce il peccato come una malattia, una realtà che non può essere semplicemente condannata ma che va guarita; e implicitamente presenta se stesso come medico e medicina. 

A noi chiede un atteggimento simile, richiamando le parole del profeta Osea: "misericordia io voglio e non sacrificio" (Os 6,6). Il banchetto che segue la conversione di Matteo rammenta quello che segue il ritorno del figliol prodigo nella parabola a lui dedicata. Gesù ha promesso per chi lo ama di cenare con lui (Ap 3,20) e prendere dimora presso di lui (Gv 14,23); la sua parola catturerà il nostro cuore oppure lo troverà chiuso alla sua misericordia?

Preghiera

Signore Gesù Cristo che ci hai chiamato dalla morte del peccato alla vita nella grazia, concedici di gioire con te e di condividere con ogni uomo il dono della tua salvezza. Amen

- Rev. Dr. Luca Vona

Matteo evangelista e Gesù come nuovo Mosè

Oggi le chiese d'oriente e d'occidente ricordano Matteo, apostolo ed evangelista.
Levi-Matteo, figlio di Alfeo, era un esattore delle tasse a Cafarnao. Chiamato da Gesù alla sua sequela, egli fu tra coloro che lasciarono tutto - casa, fratelli e sorelle, padre e madre, amici, lavoro e beni - per andare dietro al Signore. Gli evangeli raccontano che Matteo il pubblicano diede un banchetto d'addio per i suoi amici, pubblicani e peccatori come lui, e che Gesù si recò a casa sua e pranzò con loro, mostrando così di essere venuto nel mondo non per i giusti ma per i peccatori. Matteo, secondo la tradizione, è l'autore del Vangelo che porta il suo nome, destinato ai credenti in Gesù Messia venuti dall'ebraismo, e probabilmente scritto a qualche anno di distanza dalla redazione del Vangelo secondo Marco. Quale scriba divenuto discepolo del regno dei cieli, egli fu capace di trarre dal proprio tesoro cose nuove e cose antiche, per rispondere ai problemi posti ai suoi interlocutori dalla distruzione del Tempio di Gerusalemme. Gesù, nell'opera matteana, è presentato come il nuovo Mosè che, con autorità divina, risale alla volontà stessa del Legislatore e porta così a compimento la rivelazione data da Dio sul Sinai. Non sappiamo con certezza in quali regioni Matteo abbia predicato il vangelo. Secondo la tradizione, in Siria o in Etiopia.

Tracce di lettura

Nel chiamare qualcuno, Gesù gli diceva che ormai gli restava una sola possibilità di credere in lui, cioè quella di abbandonare tutto e di andare con il Figlio di Dio fatto uomo. Con questo primo passo colui che si pone alla sequela è messo nella situazione di poter credere. Se non si mette a seguire, se resta indietro, non impara a credere. Colui che è chiamato deve uscire dalla propria situazione, in cui non gli è possibile credere, per entrare nella sola situazione in cui è possibile credere. Questo passo non ha in sé un valore programmatico, è giustificato solo dalla comunione con Gesù Cristo che così viene raggiunta. Finché Levi resta alla dogana o Pietro attende alle reti, essi possono esercitare onestamente la propria professione, possono avere antiche o nuove conoscenze di Dio, ma se vogliono imparare a credere in Dio, devono seguire il Figlio di Dio fatto uomo, devono andare con lui. (D. Bonhoeffer, Sequela)

- Dal Martirologio ecumenico della Comunità monastica di Bose

Caravaggio, San Matteo e l'angelo, Chiesa di San Luigi dei Francesi, 1602

mercoledì 20 settembre 2023

Fermati 1 minuto. Generati dalla Sapienza

Lettura

Luca 7,31-35

31 A chi dunque paragonerò gli uomini di questa generazione, a chi sono simili? 32 Sono simili a quei bambini che stando in piazza gridano gli uni agli altri:
Vi abbiamo suonato il flauto e non avete ballato;
vi abbiamo cantato un lamento e non avete pianto!
33 È venuto infatti Giovanni il Battista che non mangia pane e non beve vino, e voi dite: Ha un demonio. 34 È venuto il Figlio dell'uomo che mangia e beve, e voi dite: Ecco un mangione e un beone, amico dei pubblicani e dei peccatori. 35 Ma alla sapienza è stata resa giustizia da tutti i suoi figli».

Commento

Un giudizio duro quello di Gesù sulla sua - e sulla nostra - generazione. Che sarà ribadito, in forma ancora più drastica, poco più avanti nel Vangelo di Luca: «O generazione incredula e perversa, fino a quando sarò con voi e vi sopporterò?»; parole che scuotono, queste ultime se pensiamo che furono rivolte ai discepoli che non erano riusciti a guarire il figlio indemoniato di un uomo che era ricorso a loro.

Gesù si lamenta con gli scribi e i farisei che non hanno accolto né il ministero ascetico di Giovanni il Battista, né il ministero gioioso di colui che "mangia e beve con i peccatori", annunciando il perdono  e la grazia, "promulgando l'anno di misericordia del Signore" (Is 61,2; Lc 4,19). 

L'atteggiamento di incredulità è considerato un atteggiamento infantile, una mancanza di maturità nella fede. Tale rischio riguarda anche i cristiani quando da un lato ricercano esempi di rigore e di ascetismo, ma non hanno la capacità di comprenderne il richiamo alla conversione; dall'altro faticano ad accettare l'idea di una misericordia "troppo larga di maniche" e mostrano sentimenti di contrarietà, perché il Padre ha cucinato il vitello grasso per festeggiare il ritorno a casa del figliol prodigo, del nostro fratello o della nostra sorella convertiti. Ogni scusa diventa  buona per rifiutare il vangelo.

Così facendo siamo ingiusti, questa la parola che usa Gesù. Perché non riconosciamo con gratitudine quanto amore Dio ha donato a noi per primo e non siamo capaci, dunque, di rispondere con altrettanto amore, si manifesti esso nella forma di un distacco dal mondo per cercare le cose di lassù (Col 3,1) o nella predicazione della gioia evangelica.

Ma la sapienza, che è il Cristo, il Logos eterno, non è sterile. Essa genera i suoi figli che le rendono lode e giustizia. Noi saremo generati da lei nella misura in cui essa sarà generata in noi, mediante lo Spirito di Dio.

Preghiera

Signore, noi ci rallegriamo per la tua grazia; aiutaci a maturare frutti di conversione, per annunciare il vangelo della salvezza. Te lo chiediamo per il tuo Figlio, Sapienza eterna che si è incarnata nel tempo prestabilito per la nostra redenzione. Amen.

- Rev Dr. Luca Vona

martedì 19 settembre 2023

Teodoro di Tarso, monaco alla guida della chiesa inglese

Il 19 settembre 690 muore Teodoro, arcivescovo di Canterbury. Teodoro era nato a Tarso, in Cilicia; aveva compiuto gli studi ad Atene e si era fatto monaco in terra ellenica. Giunto a Roma all'età di sessantasei anni forse per motivi di studio, egli fu in breve tempo ordinato diacono e poi vescovo da papa Vitaliano, che gli assegnò la sede vacante di Canterbury. Aiutato dall'ottima salute, malgrado l'età avanzata, Teodoro si diede anima e corpo al ministero episcopale, iniziando anzitutto a viaggiare per tutto il territorio inglese, al fine di conoscere in prima persona la terra e la gente di cui era stato eletto pastore. Egli riorganizzò in profondità la vita della chiesa inglese, indicendo il primo concilio della storia britannica a Hertford nel 673, ricucendo le molte divisioni tra i cristiani di origine celtica e quelli di origine anglosassone, e aprendo a Canterbury una scuola di studi superiori dove vennero insegnate le discipline classiche dell'antichità. Dalla sua scuola usciranno i principali vescovi e rinnovatori del cristianesimo occidentale precarolingio. Teodoro morì a Canterbury quasi novantenne, dopo aver posto le basi della nuova chiesa anglosassone.

Tracce di lettura

Teodoro giunse nella sua chiesa nel secondo anno dopo la consacrazione, e vi trascorse ventun anni, tre mesi e ventisei giorni. Intraprese subito a visitare tutta l'isola, dovunque vi fossero degli Angli, e da tutti era accolto e ascoltato molto volentieri. E poiché era istruito a fondo nelle lettere sia sacre sia profane, diffondeva ogni giorno fiumi di dottrina salutare per irrigare i loro cuori. Le aspirazioni di tutti erano infatti rivolte alle gioie del regno celeste, di cui da poco avevano sentito parlare, e chiunque desiderava essere istruito nella sacra Scrittura aveva a disposizione maestri pronti a insegnare a interpretarla. (Beda il Venerabile, Storia ecclesiastica degli Angli 4,2)

- Dal Martirologio ecumenico della Comunità monastica di Bose

Teodoro di Tarso (ca 602-690)

lunedì 18 settembre 2023

Fermati 1 minuto. La fede che colma ogni distanza

Lettura

Luca 7,1-10

1 Quando ebbe terminato di rivolgere tutte queste parole al popolo che stava in ascolto, entrò in Cafarnao. 2 Il servo di un centurione era ammalato e stava per morire. Il centurione l'aveva molto caro. 3 Perciò, avendo udito parlare di Gesù, gli mandò alcuni anziani dei Giudei a pregarlo di venire e di salvare il suo servo. 4 Costoro giunti da Gesù lo pregavano con insistenza: «Egli merita che tu gli faccia questa grazia, dicevano, 5 perché ama il nostro popolo, ed è stato lui a costruirci la sinagoga». 6 Gesù si incamminò con loro. Non era ormai molto distante dalla casa quando il centurione mandò alcuni amici a dirgli: «Signore, non stare a disturbarti, io non son degno che tu entri sotto il mio tetto; 7 per questo non mi sono neanche ritenuto degno di venire da te, ma comanda con una parola e il mio servo sarà guarito. 8 Anch'io infatti sono uomo sottoposto a un'autorità, e ho sotto di me dei soldati; e dico all'uno: Va' ed egli va, e a un altro: Vieni, ed egli viene, e al mio servo: Fa' questo, ed egli lo fa». 9 All'udire questo Gesù restò ammirato e rivolgendosi alla folla che lo seguiva disse: «Io vi dico che neanche in Israele ho trovato una fede così grande!». 10 E gli inviati, quando tornarono a casa, trovarono il servo guarito.

Commento

Accanto ai proseliti, che senza essere etnicamente ebrei abbracciavano il giudaismo, con tutti gli obblighi che ciò comportava, vi erano al tempo di Gesù gli "adoratori di Dio" o "timorati di Dio" (gr. sebomenoitheosebeis), Gentili che simpatizzavano per il giudaismo senza aderirvi pienamente, non osservando tutta la Legge ma soltanto i "comandamnti noachici" (Gn 9,1-11), intesi come una sorta di legge naturale richiesta da Dio a tutti gli esseri umani. Il centurione di questo brano del Vangelo di Luca (che ha un parallelo in Mt 8,5-13) apparteneva probabilmente a quest'ultimi.

Il rispetto del centurione per il popolo di Israele è attestato dal fatto che egli ha contribuito alla costruzione della sinagoga locale (v. 5); la preoccupazione per il suo servo è contraria alla reputazione che i soldati romani avevano presso Israele. 

Gli "anziani dei giudei" (v. 3) menzionati in questo passo del Vangelo di Luca, a differenza degli anziani di Gerusalemme non sono membri del sinedrio, ma semplici notabili del luogo. Il centurione si affida all'intercessione presso Gesù da parte di questi giudei, mostrando la sua umiltà.

Il valore delle parole del centurione davanti a Gesù (v. 6) è tale da essere conservate ancor oggi in diverse liturgie cristiane come parole che esprimono un atteggiamento di umiltà e di fede da parte di coloro che si accostano all'eucaristia. Il centurione si ritiene indegno di ricevere in casa propria Gesù poiché per un ebreo entrare in casa di un gentile era considerato un atto impuro.

Il centurione non considera Gesù uno dei tanti guaritori del suo tempo, ma crede nella sua parola investita della potenza di Dio (v. 7), per questo Gesù non solo lo esaudisce ma ne esalta la fede, più grande di quella trovata presso gli israeliti (v. 9); una fede che è capace di suscitare la misericordia di Dio e di far sì che essa colmi ogni distanza.

La fede del centurione ci assicura che il Signore non è lontano dalle nostre necessità e testimonia la potenza della preghiera di intercessione, espressione della carità fraterna. "Molto vale la preghiera del giusto" afferma l'apostolo Giacomo nella sua lettera (Gc 5,16).

La carità abbatte ogni differenza umana davanti a Dio e capovolge il "gioco delle parti" di questo mondo: un superiore si preoccupa per un suo subalterno; un dominatore romano si fa servo di un rabbi ebreo; i notabili del popolo di Dio si preoccupano per uno straniero. È la fiducia nel nome del Signore che segna l'inizio del mondo nuovo e dei cieli nuovi (Is 65,17), creati da colui che fa nuove tutte le cose (Ap 21,5).

Preghiera

Accresci in noi, Signore, lo spirito di sollecitudine gli uni verso gli altri; il tuo Spirito renda fervente la nostra preghiera e la tua misericoria ci soccorra sempre. Amen.

- Rev. Dr. Luca Vona

domenica 17 settembre 2023

L'ansia per il mondo e quella per il Regno

COMMENTO ALLA LITURGIA DELLA QUINDICESIMA DOMENICA DOPO LA TRINITÀ

Colletta

Custodisci, ti supplichiamo, Signore, la tua Chiesa con la tua misericordia; e, poiché per la fragilità umana senza di te non possiamo che cadere, mantienici sempre al riparo da ciò che è dannoso e guidaci verso ciò che è profittevole per la nostra salvezza; per Gesù Cristo, nostro Signore. Amen.

Letture

Gal 6,11-18; Mt 6,24-34

Commento

Gesù ci raccomanda di non avere ansia per le ricchezze o per il nostro domani, ma è giusto avere ansia per la nostra salvezza e per la salvezza del prossimo; il cristiano e la Chiesa non devono mai venir meno a tale sollecitudine.

La vita del cristiano non è spensierata e concentrata sul cogliere edonisticamente l'attimo presente. Preghiamo invocando il Regno di Dio e il compimento della sua volontà, sospiriamo come le anime davanti al trono dell'agnello e come il salmista, dicendo "Fino a quando Signore?" (Sal 13,1; Sal 79,5; Ap 6,10).

Il messaggio evangelico non ci chiede di essere anestetizzati, di fuggire il senso di limitatezza e imprevedibilità che caratterizza la nostra esistenza umana in questo mondo. C'è un'ansia da curare e c'è un'ansia che non necessita di cure, perché è semplicemente un richiamo della retta coscienza a lavorare nella vigna che il Signore ci ha affidato, in prossimità del suo ritorno.

Esiste poi un'ansia religiosa contraria alla volontà di Dio. L'apostolo Paolo ci parla nella sua Lettera ai Galati, di coloro che vogliono fare bella figura nella carne e costringono gli altri a farsi circoncidere per non essere perseguitati per la croce di Cristo (Gal 6,12). Costoro sono anche ipocriti, perché "neppure quelli stessi che sono circoncisi osservano la legge, ma vogliono che siate circoncisi per potersi vantare nella propria carne" (Gal 6,13). 

Anche le chiese cristiane rischiano di adottare segni esteriori, atteggiamenti etici e pastorali, nell'ottica del conformismo e alla ricerca del consenso, per evitare le persecuzioni del mondo. Viene persa, così, quella sollecitudine positiva, per l'evangelizazione, per l'annuncio coraggioso del Vangelo.

Gesù ci vuole liberare da queste ansie sbagliate, che esprimono un ripiegamento egocentrico e, in definitiva, una vita meschina e sofferente. Ci chiede di spostare il baricentro da noi stessi e dalle cose materiali, esteriori, liberandoci dalla schiavitù che caratterizza il timore della perdita, l'avversione per ciò che disturba i nostri interessi, il dubbio e il senso di incertezza che paralizzano la nostra volontà.

La vita nella grazia è una esperienza di liberazione dunque, da tutte quelle sollecitudini vane, perché legate a ciò che è transitorio, impermanente, imponderabile. Da tutto ciò che è rassicurazione illusoria di essere salvati, come la circoncisione, le questioni di cibo o di bevanda (Rm 14,17), o qualsiasi altro segno "esteriore" di appartenenza religiosa. 

È la riscoperta di una esistenza centrata in Dio, alimentata dalla fiducia nel Padre, che con amore si prende cura delle sue creature. Egli stesso infatti ci rivestirà di un abito nuovo e splendente, come e più dei gigli del campo; ci donerà un abito di santità, perché “né la circoncisione né l'incirconcisione hanno alcun valore, ma l'essere una nuova creatura” (Gal 6,15).

- Rev. Dr. Luca Vona

sabato 16 settembre 2023

Cipriano e Cornelio. La difesa dell'autonomia e dell'unità della Chiesa

Nel 258 nel corso delle persecuzioni dell'imperatore Valeriano, muore martire a Cartagine il vescovo Cipriano. Nato intorno al 210, Cipriano era un retore pagano che si convertì al cristianesimo dopo aver distribuito tutti i suoi beni ai poveri. A tre anni soltanto dalla conversione fu eletto vescovo di Cartagine. Vissuto in un periodo di grandi divisioni nella chiesa, suscitate dalle diverse posizioni assunte dai cristiani di fronte alla pressione ad apostatare esercitata su di loro dai persecutori, Cipriano optò sempre per un atteggiamento misericordioso verso chi era caduto nell'apostasia. Convinto infatti che il ministero episcopale fosse uno e indivisibile, e che fosse stato lasciato da Cristo alla chiesa per custodirne l'unità attraverso la remissione dei peccati, egli difese l'autorità episcopale sia contro le intromissioni dell'impero sia contro quei cristiani che minavano l'unità della chiesa pretendendo di costituire delle chiese parallele di uomini impeccabili. Anche per questo motivo, Cipriano sostenne contro l'antipapa Novaziano, eletto dalla fazione più rigorista del clero romano, il legittimo papa di Roma Cornelio. Il comune atteggiamento di Cornelio e Cipriano verso chi aveva ceduto di fronte alle violenze dei persecutori e la loro comune morte nel martirio, hanno fatto sì che la chiesa d'occidente li ricordi assieme in questo giorno.

Tracce di lettura

Fratelli, vi sono alcuni che invece di proporre la speranza, insinuano la disperazione e la mancanza di fede sotto il pretesto di offrire la fede. Ma il Signore dice a Pietro: «Io ti dico che tu sei Pietro e sopra questa pietra edificherò la mia chiesa, e le porte dell'inferno non la vinceranno. Io ti darò le chiavi del regno dei cieli: tutto ciò che legherai sulla terra sarà legato anche nei cieli e tutto ciò che scioglierai sulla terra sarà sciolto anche nei cieli».
Il Signore edifica la sua chiesa sopra uno solo; anche se dopo la sua resurrezione egli conferisce un'eguale potestà a tutti gli apostoli: «Come il Padre ha mandato me, anch'io mando voi. Ricevete lo Spirito santo: a chi rimetterete i peccati saranno rimessi; saranno ritenuti a chi li riterrete». Tuttavia per evidenziare l'unità dispose che l'origine della medesima procedesse da uno solo. Come può credere allora di possedere la fede chi non mantiene l'unità della chiesa?
(Cipriano, L'unità della chiesa cattolica 3-4)

- Dal Martirologio ecumenico della Comunità monastica di Bose

Cipriano e Cornelio (+258), Catacombe di san Callisto

venerdì 15 settembre 2023

Fermati 1 minuto. Non inciampare in quella pietra

Lettura

Luca 2,33-35

33 Il padre e la madre di Gesù si stupivano delle cose che si dicevano di lui. 34 Simeone li benedisse e parlò a Maria, sua madre: «Egli è qui per la rovina e la risurrezione di molti in Israele, segno di contraddizione 35 perché siano svelati i pensieri di molti cuori. E anche a te una spada trafiggerà l'anima».

Commento

In occasione del rituale della circoncisione al tempio, Giuseppe e Maria si imbattono in Simeone, definito "uomo giusto e timorato di Dio" (Lc 2,25), al quale lo Spirito Santo ha promesso di contemplare il Messia prima di morire (Lc 2,26). Egli fa una predizione sui diversi atteggiamenti che la folla - i "molti" - mostrerà nei confronti dell'insegnamento di Gesù. Simeone sa scorgere la grande missione di quel bambino, destinato a essere il centro della storia, un "segno di contraddizione" (v. 34) con il quale si dovrà confrontare tutta l'umanità, nell'accettazione o nel rifiuto, nella salvezza o nel giudizio.

L'immagine del Signore come pietra d'inciampo è già presente nella letteratura profetica veterotestamentaria (Is 8,14-15). Cristo è rappresentato come pietra d'inciampo per coloro che non credono anche da Pietro (1 Pt 2,7-8). 

Maria, la cui anima sarà trafitta dalla spada del dolore e della divisione, è intimamente partecipe del destino di Gesù. La madre secondo la carne dovrà imparare a crocifiggere la propria carne (cfr. Gal 5,24) per riconsiderare i rapporti familiari alla luce delle esigenze del vangelo. Ma lungi dal mortificare la propria vocazione materna, Maria diviene madre di tutti i credenti e con lei possiamo pregare, uniti nella speranza che vivifica la Chiesa.

Preghiera

Guida i nostri passi, Signore, sulla via del vangelo; affinché, resi partecipi dei tuoi misteri, possiamo conformarci a te e giungere al compimento della speranza di vita eterna. Amen.

- Rev. Dr. Luca Vona

mercoledì 13 settembre 2023

Fermati 1 minuto. Il vangelo in quattro parole

Lettura

Luca 6,20-26

20 Alzati gli occhi verso i suoi discepoli, Gesù diceva:
«Beati voi poveri,
perché vostro è il regno di Dio.
21 Beati voi che ora avete fame,
perché sarete saziati.
Beati voi che ora piangete,
perché riderete.
22 Beati voi quando gli uomini vi odieranno e quando vi metteranno al bando e v'insulteranno e respingeranno il vostro nome come scellerato, a causa del Figlio dell'uomo. 23 Rallegratevi in quel giorno ed esultate, perché, ecco, la vostra ricompensa è grande nei cieli. Allo stesso modo infatti facevano i loro padri con i profeti.
24 Ma guai a voi, ricchi,
perché avete già la vostra consolazione.
25 Guai a voi che ora siete sazi,
perché avrete fame.
Guai a voi che ora ridete,
perché sarete afflitti e piangerete.
26 Guai quando tutti gli uomini diranno bene di voi.
Allo stesso modo infatti facevano i loro padri con i falsi profeti.

Commento

Le beatitudini sono il sommario della legge di tutto l'evangelo, il suo cuore pulsante, che racchiude il senso dell'intera predicazione di Gesù. L'evangelista Luca le riassume in quattro rispetto alle nove di Matteo, e le controbilancia facendole seguire da quattro maledizioni. Gesù alza gli occhi verso i suoi discepoli prima di pronunciarle (v. 20); questo ci fa pensare che forse la narrazione di Luca si riferisce a un'occasione più intima rispetto al discorso riportato nel Vangelo di Matteo, dove Gesù "vedendo le folle salì sulla montagna" (Mt 5,1). 

L'oggetto delle quattro beatitudini sono rispettivamente: la povertà, la fame, il pianto e la persecuzione. Quello delle quattro maledizioni la ricchezza, la sazietà, il riso e la buona fama. Bisogna fare qui delle importanti precisazioni: Gesù non esalta la povertà di per sé; ma mostra una particolare predilezione per coloro che sono messi ai margini della società, fino a proclamare la beatitudine per coloro che "a causa del Figlio dell'uomo" (v. 22) incorrevano nella scomunica dalla sinagoga, venendo votati alla perdizione. Tante volte anche nella storia della chiesa sono stati messi al bando coloro che si sono opposti profeticamente al tradimento dei valori evangelici.

La prima maledizione riguarda un pericolo dal quale Gesù frequentemente mette in guardia nella sua predicazione: "non si può servire Dio e la ricchezza" (Mt 6,24). Accumulare e gestire la ricchezza richiede tempo e dispendio di energie, che inevitabilmente vengono sottratte alle prerogative del regno. 

La semplicità di vita, nell'attesa della paraklesis, ovvero della consolazione (v. 24) alla fine dei tempi è il tratto distintivo del vero discepolo, il quale fin d'ora, come afferma Paolo nella sua Prima lettera ai Corinti, vive come se non appartenesse più a questo mondo: "Questo vi dico, fratelli: il tempo ormai si è fatto breve; d'ora innanzi, quelli che hanno moglie, vivano come se non l'avessero; coloro che piangono, come se non piangessero e quelli che godono come se non godessero; quelli che comprano, come se non possedessero; quelli che usano del mondo, come se non ne usassero appieno: perché passa la scena di questo mondo!" (1 Cor 7,29-31).

Sentirsi "ricchi", sentirsi "sazi", sentirsi "a posto con la coscienza" grazie al giudizio compiacente dei falsi profeti, determinano l'allontanamento dalla via della vita e dalla beatitudine nel regno dei cieli.
Gesù cerca persone "affamate" e "assetate" di verità, giustizia, consolazione, e della sua grazia: "Beato l'uomo che non indugia nella via dei peccatori, sarà come albero piantato lungo corsi d'acqua" (Sal 1,1.3).

Preghiera

La tua grazia, Signore, ci assista nel cammino lungo le vie della giustizia, per giungere alla beatitudine che attende i tuoi discepoli nei cieli. Amen.

- Rev. Dr. Luca Vona

lunedì 11 settembre 2023

Fermati 1 minuto. Una incessante liturgia d'amore

Lettura

Luca 6,6-11

6 Un altro sabato egli entrò nella sinagoga e si mise a insegnare. Ora c'era là un uomo, che aveva la mano destra inaridita. 7 Gli scribi e i farisei lo osservavano per vedere se lo guariva di sabato, allo scopo di trovare un capo di accusa contro di lui. 8 Ma Gesù era a conoscenza dei loro pensieri e disse all'uomo che aveva la mano inaridita: «Alzati e mettiti nel mezzo!». L'uomo, alzatosi, si mise nel punto indicato. 9 Poi Gesù disse loro: «Domando a voi: È lecito in giorno di sabato fare del bene o fare del male, salvare una vita o perderla?». 10 E volgendo tutt'intorno lo sguardo su di loro, disse all'uomo: «Stendi la mano!». Egli lo fece e la mano guarì. 11 Ma essi furono pieni di rabbia e discutevano fra di loro su quello che avrebbero potuto fare a Gesù.

Commento

Entrato nella sinagoga in giorno di sabato Gesù insegna, ma insegna non solo con la parola, bensì anche con i fatti. Il suo sguardo scorge un uomo con la mano destra paralizzata, ed ecco l'occasione non solo per compiere una guarigione, ma anche per rammentare lo spirito con cui deve essere vissuto il sabato.

Gesù invita l'uomo ad alzarsi e a porsi al centro dell'assemblea. Poi domanda agli scribi e ai farisei se è lecito fare del bene nel giorno di riposo prescritto dalla legge. Costoro restano in silenzio perché in fondo sperano che Gesù compia la guarigione in modo da accusarlo di aver violato il precetto religioso. La legge sul sabato in realtà vieta il lavoro finalizzato al profitto, i passatempi frivoli e l'astensione dal culto dovuto a Dio. Le opere necessarie alla preservazione della vita erano permesse.

Con la guarigione pubblica dell'uomo dalla mano inaridita Gesù vuole dimostrare la natura umana dei precetti farisaici, che pervertono il vero senso del sabato, sostituendo la fede con il legalismo.

Il sabato è certo giorno di riposo, in cui l'uomo fa memoria del riposo di Dio al termine della creazione. Ma il Padre non cessa di operare il bene durante questo giorno. Continua a offrire il cibo alle sue creature, a far germogliare il seme nei campi, a far scorrere le acque dai torrenti.

Dio opera incessantemente per amore dell'uomo e della creazione. Così anche il Figlio di Dio è Signore del sabato e l'uomo è chiamato a farsi suo imitatore, non cessando mai di fare il bene. Come la grazia di Dio non è mai "vacante" allo stesso modo la risposta d'amore dell'uomo verso Dio e la sollecitudine verso il prossimo non devono mai venir meno, ma devono acquistare nel culto, nella preghiera e nella meditazione delle Scritture, un vigore rinnovato, un maggiore slancio nella carità. La vita nella fede diventerà allora l'ingresso nel sabato eterno, una una incessante liturgia d'amore.

Preghiera

Signore, tu non cessi mai di prenderti cura con sollecitudine di noi e dell'intera creazione; rendici riconoscenti verso il tuo amore, predicando con le parole e con le opere il vangelo della grazia. Amen.

- Rev. Dr. Luca Vona

domenica 10 settembre 2023

Un maestro che si prende cura

COMMENTO ALLA LITURGIA DELLA QUATTORDICESIMA DOMENICA
DOPO LA TRINITÀ

Colletta

Dio onnipotente ed eterno, accresci in noi la fede, la speranza e la carità; affinché possiamo ottenere ciò che hai promesso, compiendo ciò che hai comandato. Per Gesù Cristo nostro Signore. Amen.

Letture

Gal 5,16-24; Lc 17,11-19

Commento

Gesù si trova ai limiti di Israele, tra la Samaria e la Giudea, in un territorio a popolazione mista, in parte di etnia ebraica, in parte di etnie straniere. I samaritani, oltre che provenire da diverse nazionalità, praticavano un culto sincretico in un tempio sul Monte Gherizim; la loro religiosità teneva in gran considerazione il Pantateuco ma affiancava al timore per il Dio biblico il culto di idoli pagani. Per tali ragioni erano grandemente disprezzati dal popolo di Israele.

La comune sorte della malattia aveva unito i lebbrosi protagonisti di questo episodio evangelico, in parte ebrei e in parte samaritani, nella vita al di fuori della società. I lebbrosi infatti dovevano seguire precise disposizioni della legge levitica (Lv 13), abitare fuori dalle città e mantenersi ad ampia distanza da chi avrebbero incontrato, annunciando a gran voce la propria impurità.

Alla vista di Gesù il loro grido di dolore si volge verso di lui, che viene riconosciuto non come semplice didàskalos, "insegnante", ma come "maestro", epistàta (cfr. Lc 5,5), cioè come colui che si prende cura dei suoi allievi; questo titolo nel Vangelo di Luca gli è attribuito normalmente dai discepoli.

Gesù compie la guarigione ma chiede ai lebbrosi di andare prima a mostrarsi ai sacerdoti. La legge infatti non è stata ancora abolita, il velo del tempio non è stato ancora squarciato dalla sua morte. I lebbrosi guariscono strada facendo, ma solo uno torna indietro a ringraziare Gesù e, prostatosi, ne riconosce la natura divina. 

Gli altri nove, perché non sono tornati a glorificare colui dal quale avevano implorato la guarigione? Forse la ritenevano come dovuta, attribuivano ai propri meriti il miracolo compiuto da Gesù. Si mostrano come coloro che scampato il pericolo, mancano di gratitudine. 

Anche noi rischiamo di essere pronti a ricorrere a Dio con fede nelle difficoltà, ma spesso ci dimentichiamo di ringraziarlo quando le nostre preghiere vengono esaudite. Quanto spazio vi è nella nostra preghiera per la supplica e quanto per la lode?

Gesù invita il samaritano ad alzarsi e ne proclama la salvezza per fede. Questi non solo è guarito da un male che lo teneva al di fuori della società civile, ma è stato illuminato spiritualmente dalla grazia riconoscendo Gesù come Signore.

Cristo ci purifica da quei peccati e da quelle ferite che ci tengono separati dalla comunione fraterna, non guarda alla nostra storia passata e non fa distinzioni. D'altronde, come nota Paolo nella sua lettera ai Galati: "le promesse furono fatte ad Abrahamo e alla sua discendenza: non dice «E alle discendenze» come se si trattasse di molte, ma come di una sola: «E alla tua discendenza», cioè Cristo" (Gal 3,16). In Cristo siamo salvati, non mediante la legge, ma mediante la promessa fatta ad Abramo, patriarca di un'eredità numerosa come la sabbia del mare.

- Rev. Dr. Luca Vona

venerdì 8 settembre 2023

Guglielmo di Saint-Thierry. Volere ciò che Dio vuole, per essere simili a lui

L'8 settembre 1148 muore a Signy Guglielmo di Saint-Thierry, monaco cistercense.
Nato a Liegi attorno al 1070 da famiglia nobile, Guglielmo fu avviato allo studio delle lettere nel nord della Francia, dove apprese il tradizionale metodo esegetico della quaestio. Convintosi però che per trovare la parola di Dio contenuta nelle Scritture era necessario liberarsi dagli approcci eruditi e intellettualistici prevalenti nelle scuole, nel 1113 Guglielmo entrò nel monastero benedettino di Saint-Nicaise a Reims. Egli comprese che Dio, mediante lo Spirito, è presente nell'intimo dell'uomo, e dunque precede le dotte ricerche degli uomini; iniziò così un cammino monastico che lo porterà, grazie anche al rigore del metodo acquisito nelle accademie, ad essere uno dei maggiori spirituali e forse il più grande cantore dell'amore di Dio di tutto il medioevo. Attorno al 1120 fu eletto abate del monastero benedettino di Saint-Thierry, ma egli non nascondeva la sua ammirazione per lo stile di vita dei cistercensi, anche grazie a Bernardo di Clairvaux, che aveva incontrato qualche tempo prima e al quale era legato da un profondo rapporto di amicizia e di reciproca collaborazione. Dissuaso dallo stesso Bernardo dall'abbandonare Saint-Thierry per passare ai cistercensi, egli lavorò allora per riformare la vita del proprio monastero. Ma, nel 1135, ruppe gli indugi e divenne semplice monaco cistercense a Signy, dove poté dedicarsi maggiormente alla stesura delle sue opere teologiche e spirituali, che avrebbero conosciuto un'ampia diffusione.
Seppur molto debole, come ultimo atto d'amore verso l'amico di Clairvaux, Guglielmo volle porre mano alla stesura della Vita di Bernardo; ma non riuscì a terminarla per il sopraggiungere della morte, avvenuta l'8 settembre del 1148.

Tracce di lettura

Quando pensiamo alle cose di Dio o che conducono a lui e la volontà progredisce fino a diventare amore, subito, nella via dell'amore, lo Spirito santo, che è spirito di vita, vi si infonde e vivifica tutto, venendo in aiuto alla debolezza di colui che pensa, sia nella preghiera, sia nella meditazione, sia nello studio. Allora la memoria diventa sapienza, e l'intelligenza di chi pensa diventa contemplazione dell'amante.
Se ciò che l'animo vuole totalmente è Dio, esso deve esaminare in che misura e in che modo lo vuole; e questo non soltanto secondo il giudizio della ragione, ma anche secondo l'affetto della mente, in modo che la volontà più che volontà sia amore, dilezione, carità, unità di spirito. È così infatti che Dio va amato, poiché l'amore è una grande volontà tesa verso Dio; la dilezione è l'adesione e l'unione; la carità è la fruizione.
Quanto poi all'unità dello spirito con Dio, per l'uomo che ha levato in alto il proprio cuore è la perfezione della volontà di chi avanza verso Dio.
Volere ciò che Dio vuole: questo è ormai essere simili a Dio; non poter volere se non ciò che Dio vuole: questo è ormai essere ciò che Dio è. Per cui si dice bene che solo allora lo vedremo così com'è, quando cioè saremo simili a lui, quando saremo ciò che egli è.
(Guglielmo di Saint-Thierry, Lettera d'oro 249, 256, 258)

- Dal Martirologio ecumenico della Comunità monastica di Bose

Maria, terra del Cielo

Le chiese d'oriente e d'occidente celebrano oggi la nascita di Maria, la madre del Signore.
Come era avvenuto per il Battista, la cui natività fu celebrata in occidente sin dalla fine del IV secolo, anche di Maria la chiesa antica volle ricordare in modo solenne la venuta al mondo. La data dell' 8 settembre è quella della dedicazione della basilica di Sant'Anna a Gerusalemme, sorta sul luogo in cui, secondo un'antica tradizione, avevano risieduto Gioacchino e Anna, genitori di Maria. La festa si estese nel V secolo a Costantinopoli, e fu introdotta in occidente da papa Sergio I, che era di origine siriaca, nel 701. La festa della Natività di Maria, molto amata dalle chiese ortodosse e orientali, ricorda la nascita di colei che sarà «terra del cielo», ovvero il grembo offerto dall'umanità perché si compia l'incarnazione del Verbo nella storia degli uomini, compimento dell'economia salvifica di Dio.

Tracce di lettura

Santa Maria,
Madre del Signore,
la tua fede ci guida.
Volgi lo sguardo
verso i tuoi figli,
Terra del cielo.
La strada è lunga e su di noi la notte scende:
intercedi presso il Cristo,
Terra del cielo.
(Canto bizantino-slavo alla Madre di Dio)

- Dal Martirologio ecumenico della Comunità monastica di Bose