La civilizzazione digitale non ammette eremiti. Ne è prova una mostra fotografica che va a scovare i moderni transfughi nei loro nascondigli fuori dal mondo e, di fatto, ce li porta in casa, con le loro scapigliature e i loro sguardi disabituati a incrociarne altri.
Ora che l’abbiamo visto tutti sapremo che faccia ha Swami Atmananda, al secolo Piero Bucciotti, ritirato in un eremo in Calabria. Percorsi tortuosi e scelte estreme: dal maggio francese a don Milani, fino a spiritualismi complicati persino da elencare. Da quaranta anni contempla e pare che questo lo abbia reso sereno. Lo sarà ancora quando, ora che è stato geolocalizzato, cominceranno a cercarlo le tv?
Sempre da quarant’anni il tedesco Gisbert Lippelt vive in una grotta a Filicudi. Era partito per una vacanza e poi è rimasto. Già ufficiale di marina in rotta su un transatlantico, ora il mare lo guarda da fermo, dal suo antro intonacato a calce bianca. La sua tv è il vulcano di Stromboli, che gli si accende dirimpetto. Quando legge lo fa a lume di candela. Per fare fuoco usa uno specchio che concentra il sole sul suo fornello, perché, forse anche un fiammifero sarebbe per lui un esagerato concedersi al mondo moderno.
Mario Dumini invece vive da più di vent’anni in una grotta tufacea a San Vittorino, nell’Appennino laziale. Anche se si lava in un ruscello, non è che faccia vita esclusivamente da anacoreta; a modo suo è un antagonista impegnato, a volte si spinge fino a Roma per affiggere i suoi cartelli contro ogni tipo di segregazione, animali o umani che siano. È figlio di Amerigo Dumini, il fascista condannato nel dopoguerra per aver partecipato attivamente al delitto Matteotti; non deve essere facile avere avuto un padre del genere, forse è stata questa la molla per vivere solo in bilico sulla soglia del mondo civilizzato.
Questo solo per citare gli eremiti più a portata di mano rispetto casa nostra, che poi alla fine assomigliano a tutti gli altri, il primo sintomo esteriore del fuggiasco è quell’aspetto leggermente selvatico di chi ha deciso di non concedere più nulla alla cura meticolosa dell’ aspetto che ci impone oggi anche un’appena decente vita relazionale.
L’eclisse dell’accanimento estetico è ostentato anche in donne come Rachel Denton, che proveniva da famiglia cattolica inglese. Porta capelli con rasatura monastica. Da ragazza, forse ispirata da una zia suora, era entrata in un convento di carmelitane, ma la regola non faceva per lei, dopo solo un anno ha preferito come luogo di volontaria clausura una piccola casa nel Lincolnshire. Anche Sue Woodcock incarna l’idea che anche una donna possa portare con orgoglio i segni che il tempo le ha scavato sul viso. Già poliziotta motociclista, ora è eremita a Mire House, la sua abitazione di pietra senza acqua corrente né energia elettrica su una collina dello Yorkshire.
Noi consideriamo un asociale anche chi non si accodi alle transumanze polirelazionali che la contemporaneità ci impone, è quindi difficile immaginare una scelta così drastica motivata solo da serena volontà di solitudine. Ci capita più spesso di vedere persone che vivono in eremi metropolitani, sui marciapiedi, nelle stazioni, sotto ai cavalcavia. Quelli sono eremiti forse ancora più invisibili, perché cancellati dalla nostra indifferenza.
Questi anacoreti dell’anticonsumismo sicuramente faranno tendenza, rilanceranno in signore e signori annoiati il cult di rigeneranti pellegrinaggi nella vita misera. Nel loro assoluto paradosso, ora che sono stati scoperti, gli ultimi eremiti potrebbero diventare persino i trendsetter del post edonismo, nel lungo tempo della crisi.
- La Stampa, 11 luglio 2019