Il Rev. Dr. Luca Vona
Un evangelico nel Deserto

Ministro della Christian Universalist Association

venerdì 24 febbraio 2023

Il re Etelberto e la diffusione del cristianesimo tra gli Angli orientali

Gregorio Magno e Agostino di Canterbury vengono ricordati come gli apostoli degli Angli. Al loro fianco bisogna ricordare anche re Etelberto.
Nato verso il 552, Etelberto ancora in giovane età divenne il più potente sovrano anglo dell’epoca. Verso il 588 sposò Berta, la figlia cattolica del re franco Cariberto. Dando prova di tolleranza, permise alla sua sposa di continuare a professare la sua fede. Ancora più magnanimo egli si mostrò nel 597 quando accolse la delegazione di monaci inviata da papa Gregorio e guidata da Agostino. Egli ascoltò i missionari e concesse loro di stabilirsi presso Canterbury con facoltà di predicare e convertire. Lo stesso Etelberto ricevette il battesimo nel giorno di Pentecoste del 597. Saggio e prudente, non costrinse i sudditi a seguire la sua scelta, ma certo favorì quanti si facevano battezzare. La svolta favorevole al cristianesimo venne consolidata dalla costruzione, non lontano da Canterbury, di un monastero dedicato ai santi Pietro e Paolo. Inoltre il re concesse ad Agostino dei terreni per edificare la sede episcopale di Canterbury e lo sostenne nell’organizzazione di un sinodo cui parteciparono vescovi e dottori dalla vicina regione dei Britanni. 
Nel 601 arrivò in Inghilterra una nuova spedizione di monaci. Tra di loro vi erano Paolino, Mellito e Giusto. Con l’aiuto di Etelberto, diverranno vescovi rispettivamente di York, Londra e Rochester.  Favorevole al cristianesimo, Etelberto rimase un sovrano saggio ed equilibrato che procurò benefici a tutta la sua nazione. Morì il 24 febbraio del 616 dopo un regno di più di 50 anni e venne sepolto accanto alla moglie Berta, anch’ella venerata come santa.

- Santiebeati.it


Re Etelberto (560-6161)

Fermati 1 minuto. Non c'è digiuno senza condivisione

Lettura

Matteo 9,14-15

14 Allora gli si accostarono i discepoli di Giovanni e gli dissero: «Perché, mentre noi e i farisei digiuniamo, i tuoi discepoli non digiunano?». 15 E Gesù disse loro: «Possono forse gli invitati a nozze essere in lutto mentre lo sposo è con loro? Verranno però i giorni quando lo sposo sarà loro tolto e allora digiuneranno.

Commento

Alcuni discepoli di Giovanni insieme ai farisei sono protagonisti di una discussione sul digiuno con Gesù. Poco prima si erano rivolti ai suoi discepoli chiedendogli perché il loro maestro stava prendendo il pasto con pubblicani e peccatori. Adesso si rivolgono a Gesù stesso per riprenderli. Prima avevano cercato di mettere i discepoli contro il maestro, adesso il maestro contro i discepoli. Un modo di agire che non può certo venire dallo Spirito, e che tradisce piuttosto la tendenza a dividere e seminare discordia.

Gesù risponde facendo propria la stessa similitudine che aveva utilizzato Giovanni Battista, il quale si era definito "amico dello sposo" (Gv 3,29). Il digiuno è un segno di lutto e in quel momento di gioia in cui Gesù sta proclamando il regno dei cieli sarebbe inopportuno, proprio come sarebbe fuori luogo in occasione di un pranzo di nozze. Il digiuno è riferito al tempo in cui Gesù non sarà più con i discepoli, che è il tempo della chiesa. 

Gesù ha spiegato il modo in cui si deve digiunare nel suo discorso sul monte (Mt 6,16-18): privatamente, profumandosi la testa e lavandosi il volto, affinché solo il Padre che vede nel segreto possa dare la sua ricompensa. Tale pratica viene così interiorizzata e perde la connotazione legalistica che aveva assunto presso i farisei. Ma quali sono le nozze di cui parla Gesù definendosi "lo sposo"? Sono quelle tra il Salvatore e i peccatori. Matteo, il pubblicano convertito, lo ha compreso in prima persona, organizzando un banchetto per Gesù. 

Il profeta Isaia ci dice qual è il digiuno che Dio valuta di più: "Non consiste forse nel dividere il pane con l'affamato?" (Is 58,7). Cristo è colui che sazia la nostra fame di Dio, il nostro più profondo desiderio di amore, che il mondo con i suoi "cibi" non può soddisfare. Se digiuniamo in certi momenti non è per guadagnare meriti e rispettare dei precetti in maniera farisaica, ma per condividere con Dio e con il prossimo i nostri beni, il nostro affetto, il nostro tempo. 

Dicendo qualche "no" a noi stessi, come l'apostolo Paolo, trattiamo un po' duramente il nostro corpo e il nostro spirito, esercitandoci non come chi corre senza mèta (1Cor 9,24-27), ma ben sapendo che lo scopo di ogni pratica ascetica è di fare spazio a Dio e ai fratelli nel nostro cuore.

Preghiera

La nostra anima ha fame e sete di te Signore. Guarda la nostra povertà e vieni a visitarci con la tua grazia. Amen.

- Rev. Dr. Luca Vona

giovedì 23 febbraio 2023

Policarpo di Smirne. Partecipare al calice di Cristo

Attorno al 167, in Asia minore, muore martire Policarpo, vescovo di Smirne.
Ireneo di Lione, che fu suo discepolo, riferisce che conobbe l'apostolo Giovanni e altri che avevano visto il Signore.
Verso l'anno 100, Policarpo fu scelto come vescovo della chiesa di Smirne. Esercitò il suo ministero con totale dedizione e con un amore degno degli insegnamenti ricevuti dall'apostolo Giovanni, il «discepolo amato». Accolse e confortò Ignazio, vescovo di Antiochia, in viaggio verso Roma dove avrebbe ricevuto il martirio e questi gli indirizzò una lettera in cui gli trasmise la sua esperienza di pastore. Nel 154 Policarpo si recò a Roma per discutere l'annosa questione della data della Pasqua con papa Aniceto. Pur non avendo trovato un accordo, i due vescovi rimasero in comunione e si separarono in pace celebrando un'agape fraterna.
Tornato a Smirne, al termine di una lunga vita di fedeltà e di amore per il Signore, Policarpo subì il martirio, benedicendo Dio di averlo reso degno di partecipare al calice di Cristo «per la resurrezione alla vita eterna». Il racconto della sua morte, uno dei testi più toccanti dell'antichità cristiana, vede nel martirio la realizzazione della piena sequela di Cristo e nei martiri «i discepoli e gli imitatori del Signore per l'amore immenso al loro re e maestro».

Tracce di lettura

Policarpo, levati gli occhi al cielo, disse: «Signore Dio onnipotente, Padre dell'amato e benedetto Figlio tuo Gesù Cristo, per mezzo del quale abbiamo ricevuto la conoscenza di te, sii benedetto per avermi giudicato degno in questo giorno e in quest'ora di prender posto nel novero dei martiri, nel calice del tuo Cristo per la resurrezione alla vita eterna dell'anima e del corpo nell'incorruttibilità dello Spirito santo. Che io fra essi sia accolto oggi al tuo cospetto come sacrificio a te gradito, così come tu, il Dio veritiero e alieno da menzogna, hai in precedenza disposto, manifestato e compiuto. Per questo al di sopra di tutto io ti lodo, ti benedico, ti glorifico tramite l'eterno e celeste tuo sommo sacerdote e Figlio amato Gesù Cristo, mediante il quale sia gloria a te con lui e con lo Spirito santo, ora e per i secoli a venire. Amen».
(Martirio di Policarpo 14)

- Dal Martirologio ecumenico della Comunità monastica di Bose

Policarpo di Smirne (+167)

Fermati 1 minuto. Rinunciare a sé per trovare Dio

Lettura

Luca 9,22-25

22 «Il Figlio dell'uomo, disse, deve soffrire molto, essere riprovato dagli anziani, dai sommi sacerdoti e dagli scribi, esser messo a morte e risorgere il terzo giorno».
23 Poi, a tutti, diceva: «Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce ogni giorno e mi segua.
24 Chi vorrà salvare la propria vita, la perderà, ma chi perderà la propria vita per me, la salverà. 25 Che giova all'uomo guadagnare il mondo intero, se poi si perde o rovina se stesso?

Commento

In quel "deve" (v. 22) con cui Gesù si riferisce alla sua passione è racchiuso il piano di salvezza di Dio per l'umanità che si attuerà con la sua morte e risurrezione. Gesù si rivolge "a tutti" (v. 23), con un invito universale a seguirlo, rinnegando se stessi, per trovare la propria vita in Dio. 

Il paradosso evangelico è proprio questo: nella misura in cui ci doniamo, la nostra esistenza si arricchisce di senso. Ogni giorno (v. 23) in cui moriamo a noi stessi per fare spazio allo Spirito che ci rinnova e ci rende strumenti della grazia è un giorno trascorso bene. 

Se non tutti siamo chiamati a testimoniare Cristo fino al martirio certamente nessuno può essere suo discepolo senza obbedire ai suoi comandamenti, mettersi al servizio del prossimo e testimoniare il suo nome al momento opportuno e inopportuno (2 Tim 4,2). Solo così potremo dire con Gesù "Per questo mi ama il Padre; perché io depongo la mia vita per riprenderla poi" (Gv 10,17). 

Il mondo va in direzione completamente opposta: ci spinge a un desiderio bulimico di appropriazione e prevericazione che non sazia mai i nostri bisogni più profondi. Ma Gesù non ci mette in croce contro la nostra volontà, fa appello alla nostra libertà: "Se qualcuno vuol venire dietro a me..." (v. 23) 

La meta finale è la risurrezione; la croce diventa allora da strumento di supplizio via di accesso a un'umanità trasfigurata, che ha riconquistato l'immagine e somiglianza con Dio.

Preghiera

Donaci, Signore, il coraggio di metterci generosamente al servizio tuo e del nostro prossimo; affinché rinunciando a noi stessi possiamo trovare te, che sei l'autore di ogni bene. Amen.

- Rev. Dr. Luca Vona

mercoledì 22 febbraio 2023

Fermati 1 minuto. Non bruciare invano

Lettura

Matteo 6,1-6.16-18

1 «Guardatevi dal praticare la vostra giustizia davanti agli uomini, per essere osservati da loro; altrimenti non ne avrete premio presso il Padre vostro che è nei cieli.
2 Quando dunque fai l'elemosina, non far suonare la tromba davanti a te, come fanno gli ipocriti nelle sinagoghe e nelle strade, per essere onorati dagli uomini. Io vi dico in verità che questo è il premio che ne hanno. 3 Ma quando tu fai l'elemosina, non sappia la tua sinistra quel che fa la destra, 4 affinché la tua elemosina sia fatta in segreto; e il Padre tuo, che vede nel segreto, te ne darà la ricompensa. 5 «Quando pregate, non siate come gli ipocriti; poiché essi amano pregare stando in piedi nelle sinagoghe e agli angoli delle piazze per essere visti dagli uomini. Io vi dico in verità che questo è il premio che ne hanno. 6 Ma tu, quando preghi, entra nella tua cameretta e, chiusa la porta, rivolgi la preghiera al Padre tuo che è nel segreto; e il Padre tuo, che vede nel segreto, te ne darà la ricompensa. 16 «Quando digiunate, non abbiate un aspetto malinconico come gli ipocriti; poiché essi si sfigurano la faccia per far vedere agli uomini che digiunano. Io vi dico in verità: questo è il premio che ne hanno. 17 Ma tu, quando digiuni, ungiti il capo e lavati la faccia, 18 affinché non appaia agli uomini che tu digiuni, ma al Padre tuo che è nel segreto; e il Padre tuo, che vede nel segreto, te ne darà la ricompensa.

Commento

La preghiera, l'elemosina e il digiuno sono i tre grandi doveri del cristiano, il quale è chiamato non solo ad astenersi dal male ma anche a fare il bene e ad essere perfetto: "Siate voi dunque perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste" (Mt 5,48). 

Mediante la preghiera serviamo Dio con la nostra anima; digiunando, con il nostro corpo e compiendo le opere di carità, con i nostri beni. Gesù ci insegna come dobbiamo praticare l'elemosina, la preghiera e il digiuno, mettendoci in guardia dall'atteggiamento degli scribi e dei farisei di ogni tempo, i quali strumentalizzano la religiosità per ottenere lodi e consenso. 

La preghiera, le opere di carità e la penitenza possono aprirci a Dio e al prossimo se non rappresentano la volontà di salvarci da soli e la ricerca di ammirazione. La preghiera e le opere di pietà fatte con ipocrisia non solo non ci ottengono nulla da Dio ma diventano occasione di peccato. 

L'elemosina, lungi dall'essere qualcosa di "straordinario", tale da farci suonare orgogliosamente la tromba, è un atto di giustizia naturale verso i poveri, prima ancora che una virtù: consiste infatti nel donare loro quei beni di cui hanno bisogno e dei quali noi siamo stati costituiti da Dio non come proprietari esclusivi ma semplici amministratori.

Gesù riconosce una grande importanza alla preghiera personale, fatta nel segreto. Egli stesso è descritto di frequente nei vangeli mentre prega in luoghi solitrari. I farisei, al contrario, preferiscono pregare nelle sinagoghe e agli angoli delle strade, "stando ritti": una posizione appropriata per il cristiano (si veda Mc 11,25 dove l'utilizzo della prola greca estotes indica la postura eretta), ma alla quale è da preferirsi quella in ginocchio per le sue numerose attestazioni nei Vangeli (Lc 22,41; At 7,60; Ef 3,14).

Lo stare ritti dei farisei indica la loro sicurezza di sé davanti a Dio. La raccomandazione di Gesù a non usare troppe parole quando preghiamo deve portarci a una preghiera che sia animata dalla fiducia nel Signore, che conosce ogni nostra necessità, e a un pieno coinvolgimento di tutte le nostre facoltà: intellettive, affettive e spirituali. Quando ci rivolgiamo a Dio, una sola parola che sgorga dal profondo del cuore vale più di tutte le parole del mondo, e le più belle parole non valgono nulla se non è il cuore a parlare. Tuttavia Gesù non condanna le ripetizioni nella preghiera ma solo l'utilizzo di parole "vane", pronunciate in maniera meccanica. Egli stesso prega nel Getsèmani ripetendo le stesse parole (Mt 26,44). L'invito alla semplicità della preghiera non è nemmeno in contrasto con la perseveranza e l'insistenza cui Gesù ci invita altrove (Lc 11,1-8). Egli stesso "se ne andò sulla montagna a pregare e passò la notte in orazione" (Lc 6,12). Quando preghiamo, poi, non siamo mai soli, infatti "lo Spirito viene in aiuto alla nostra debolezza, perché nemmeno sappiamo che cosa sia conveniente domandare, ma lo Spirito stesso intercede con insistenza per noi, con gemiti inesprimibili" (Rm 8,26).

Le parole sul digiuno testimoniano una pratica che era comune nel tardo giudaismo e rientra pienamente nella vita spirituale del cristiano. Il digiuno è attestato ampiamente nel Nuovo testamento: Anna "non si allontanava mai dal tempio, servendo Dio notte e giorno con digiuni e preghiere" (Lc 2,37); i discepoli impongono le mani su Barnaba e Saulo "dopo aver digiunato e pregato" (At 13,3). Ma Gesù ci mette in guardia dal praticare un digiuno come mero "esercizio fisico" con la pretesa di dimostrare la nostra giustizia agli uomini. Il digiuno del corpo non serve a nulla, ed è anzi controproducente, se anziché purificare la nostra anima la rende gonfia di sé. Siamo poi chiamati a digiunare con gioia, mostrandoci lieti in volto e profumando il nostro capo. D'altra parte cosa rappresenta il vero digiuno se non rinunciare a una parte di noi stessi per ottenere da Dio quella ricompensa che è egli stesso?

Fare l'elemosina, pregare, digiunare, così come ci insegna Gesù, lungi dal dare semplicemente "qualche cosa" (i nostri beni, i nostri affetti, il nostro tempo) significa dare noi stessi a Dio, in quel "culto spirituale" cui ci chiama l'apostolo Paolo (Rm 12,1). Noi che siamo terra in cui Dio ha soffiato il suo alito di vita siamo chiamati a ritornare cenere solo dopo aver bruciato con ardore, consumandoci per Dio e per il nostro prossimo; finché tutto sarà compiuto (Gv 19,30).

Preghiera

Insegnaci a donarci, Signore, come sacrificio a te gradito; affinché possiamo crescere in santità ai tuoi occhi e ricevere in pegno la tua salvezza. Amen.

- Rev. Dr. Luca Vona

Margherita da Cortona e la ricerca del volto di Cristo

Il 22 febbraio del 1297 conclude i suoi giorni terreni Margherita da Cortona, terziaria francescana. Nata nel 1247 a Laviano, sul lago Trasimeno, Margherita rimase presto orfana di madre. A disagio con la propria matrigna, essa fuggì, appena sedicenne, nel castello del conte Arsenio di Montepulciano, con il quale visse per dieci anni. Quando l'uomo che amava incontrò precocemente la morte durante una partita di caccia, Margherita fu respinta sia dalla propria famiglia sia da quella di Arsenio. Abbandonata da tutti e con un figlio da allevare, nato dalla relazione con il nobile toscano, la giovane fu accolta da due nobildonne di Cortona, che la indirizzarono ai frati minori, presso i quali trascorrerà gran parte della sua vita. Aiutata dai francescani, Margherita segnò a sua volta profondamente la loro spiritualità con una vita di grande austerità e di totale dedizione agli ultimi. Donna di grande carità e mistica della passione di Cristo, da cui attingeva la forza per amare, Margherita fu all'origine di innumerevoli iniziative a favore di poveri e ammalati, nei quali non si stancò mai di cercare il volto del suo Signore. Essa si spense all'età di cinquant'anni in una piccola cella nella rocca sovrastante Cortona, delusa dalle decisioni dei capitoli francescani che ormai si allontanavano dal rigore degli inizi, ma ritenuta da tutti un modello di vita evangelica.

Tracce di lettura

Il Signore le disse in visione: «Cosa domandi di me, Margherita, martire mia?». «Signore mio, perché mi chiami martire, quando io non ho patito per amor tuo nulla di aspro?». Il Signore le rispose: «Il tuo martirio è il timore che hai di perdermi e di offendere me, tuo Creatore; ma io ti dico che sei la nuova luce data a questo mondo e illuminata da me». A queste parole l'umile Margherita esclamò: «Signore, scenda su di me la tua misericordia, perché non sia tenebra in questo mondo, ma fa' che io risplenda della tua luce, tu che sei la mia luce». E il Signore a lei: «Non è forse vero, figlia mia, che tu per amor mio ti sei privata di ogni gioia della terra? E che per amore mio sei pronta ad affrontare ogni sofferenza? Non racchiudi forse nel tuo cuore, per amore mio, tutti i poveri del mondo?». (fra' Giunta Bevignati, Leggenda di Margherita da Cortona 10,16)

- Dal Martirologio ecumenico della Comunità monastica di Bose

Margherita da Cortona (1247-1297)

martedì 21 febbraio 2023

Fermati 1 minuto. Abbassarsi per ascendere

Lettura

Marco 9,30-37

30 Partiti di là, attraversavano la Galilea, ma egli non voleva che alcuno lo sapesse. 31 Istruiva infatti i suoi discepoli e diceva loro: «Il Figlio dell'uomo sta per esser consegnato nelle mani degli uomini e lo uccideranno; ma una volta ucciso, dopo tre giorni, risusciterà». 32 Essi però non comprendevano queste parole e avevano timore di chiedergli spiegazioni.
33 Giunsero intanto a Cafarnao. E quando fu in casa, chiese loro: «Di che cosa stavate discutendo lungo la via?». 34 Ed essi tacevano. Per la via infatti avevano discusso tra loro chi fosse il più grande. 35 Allora, sedutosi, chiamò i Dodici e disse loro: «Se uno vuol essere il primo, sia l'ultimo di tutti e il servo di tutti». 36 E, preso un bambino, lo pose in mezzo e abbracciandolo disse loro:
37 «Chi accoglie uno di questi bambini nel mio nome, accoglie me; chi accoglie me, non accoglie me, ma colui che mi ha mandato».

Commento

Gesù è in viaggio verso Gerusalemme, un itinerario non solo geografico ma spirituale come dichiara il secondo annuncio della passione. Le sue parole attestano che è Dio stesso che lo consegna nelle mani di coloro che lo uccideranno. Perciò tutto ciò che accadrà al "Figlio dell'uomo" (la morte e la risurrezione) rientra nel piano provvidenziale stabilito da Dio per il bene di tutti.

I discepoli continuano a non capire la dimensione di sofferenza cui è destinato il Cristo (v. 32) e non osano fare domande, forse per il precedente rimprovero rivolto da Gesù a Pietro che cercava di dissuaderlo dalla sua missione redentrice (Mc 8,33). Marco, dopo ognuno dei tre annunci della passione fa rilevare questa incapacità a comprendere (cfr. Mc 8,31-33; 10,32-34.35-44).

Proprio mentre Gesù parla del suo apparente fallimento i discepoli iniziano a fare progetti di grandezza, discutendo su chi fosse il più grande tra loro (v. 34). Questa è la logica del mondo, che fin dall'infanzia ci insegna a sgomitare per essere migliori, anche prevaricando sugli altri.

I bambini - grandi nell'affidamento, nella gioia, nella spontaneità - sono il simbolo di cui Gesù si serve per sottolineare che i discepoli sono chiamati a svolgere con umiltà la loro missione (v. 35), sull'esempio di Gesù che non è venuto per essere servito ma per servire (Mc 10,45). La volontà di mettersi al servizio del prossimo determina la posizione assunta nel regno di Dio. La nostra ascesa verso il cielo avviene nella misura in cui ci abbassiamo nell'esercizio della carità.

La consacrazione di Gesù nel suo abbassamento fino alla morte di croce dimostra l'amore assoluto di Dio, che si fa prossimo a ogni uomo, anche nelle pagione più buie dell'esistenza, per accompagnarlo verso la gloria della risurrezione.

Preghiera

Donaci lo spirito di umiltà, Signore, affinché possiamo fare spazio al nostro prossimo e renderci simili a te nel dono gratuito di noi stessi. Amen.

- Rev. Dr. Luca Vona

lunedì 20 febbraio 2023

Fermati 1 minuto. Come attraverso l'acqua e il fuoco

Lettura

Marco 9,14-29

14 E giunti presso i discepoli, li videro circondati da molta folla e da scribi che discutevano con loro. 15 Tutta la folla, al vederlo, fu presa da meraviglia e corse a salutarlo. 16 Ed egli li interrogò: «Di che cosa discutete con loro?». 17 Gli rispose uno della folla: «Maestro, ho portato da te mio figlio, posseduto da uno spirito muto. 18 Quando lo afferra, lo getta al suolo ed egli schiuma, digrigna i denti e si irrigidisce. Ho detto ai tuoi discepoli di scacciarlo, ma non ci sono riusciti». 19 Egli allora in risposta, disse loro: «O generazione incredula! Fino a quando starò con voi? Fino a quando dovrò sopportarvi? Portatelo da me». 20 E glielo portarono. Alla vista di Gesù lo spirito scosse con convulsioni il ragazzo ed egli, caduto a terra, si rotolava spumando. 21 Gesù interrogò il padre: «Da quanto tempo gli accade questo?». Ed egli rispose: «Dall'infanzia; 22 anzi, spesso lo ha buttato persino nel fuoco e nell'acqua per ucciderlo. Ma se tu puoi qualcosa, abbi pietà di noi e aiutaci». 23 Gesù gli disse: «Se tu puoi! Tutto è possibile per chi crede». 24 Il padre del fanciullo rispose ad alta voce: «Credo, aiutami nella mia incredulità». 25 Allora Gesù, vedendo accorrere la folla, minacciò lo spirito immondo dicendo: «Spirito muto e sordo, io te l'ordino, esci da lui e non vi rientrare più». 26 E gridando e scuotendolo fortemente, se ne uscì. E il fanciullo diventò come morto, sicché molti dicevano: «È morto». 27 Ma Gesù, presolo per mano, lo sollevò ed egli si alzò in piedi.
28 Entrò poi in una casa e i discepoli gli chiesero in privato: «Perché noi non abbiamo potuto scacciarlo?». 29 Ed egli disse loro: «Questa specie di demòni non si può scacciare in alcun modo, se non con la preghiera».

Commento

Il racconto della guarigione dell'epilettico indemoniato segue immediatamente quello della trasfigurazine di Gesù, avvenuta davanti a Pietro, Giacomo e Giovanni. Anche se abita nella gloria, Cristo non trascura di abbassarsi umilmente per prendersi cura delle necessità del suo popolo.

Il verbo greco ekthambeomai, con cui Marco descrive i sentimenti della folla alla vista di Gesù, è associato a paura e stupore. Sembra richiamare il timore del popolo di fronte al volto splendente di Mosè dopo la sua discesa dal Monte Sinai, dove aveva ricevuto da Dio le tavole della legge (Es 34,30).

Gesù trova gli altri nove discepoli che discutono con gli scribi, perché non sono riusciti a liberare un giovane che uno spirito maligno ha reso incapace di parlare. Egli è sorpreso dall'incapacità dei discepoli, avendo conferito loro ogni potere, ma anche dall'incredulità degli scribi e del popolo, che riflette la scarsa accoglienza ricevuta dal suo ministero in Galilea.

L'episodio riportato da Marco attesta che ricevere un mandato missionario da parte di Gesù non assicura il successo se una grande fede a la preghiera fervente non alimentano il ministero apostolico.

Il padre del giovane indemoniato descrive perfettamente l'attitudine anticonservativa instillata dal maligno in esso. Il diavolo odia l'uomo fatto a immagine e somiglianza di Dio, e lo spinge verso la morte, innanzitutto tentandolo al peccato, e in casi straordinari attentando alla sua integrità fisica e psichica. A volte Dio permette che lo incontriamo solo dopo essere passati "attraverso l'acqua e il fuoco".

Sebbene alcune volte Gesù guarisca a prescindere dalla fede della persona (Mt 17,20; Lc 17,6), in questo caso sceglie di mostrare il potere della fede, alla quale "tutto è possibile" (v. 23).

L'ammissione dell'imperfezione della propria fede da parte del padre del ragazzo testimonia forse i dubbi generati dai giudizi contrastanti sulla figura di Gesù, ma è soprattuto un atto di umiltà, diverso dall'atteggiamento del popolo e degli scribi che chiedono segni e prodigi come condizione per credere in Gesù. La fede, che è un dono di Dio, può essere accresciuta solo da Dio, ma chiede un cuore aperto per accoglierla. Il padre del giovane indemoniato acquista fiducia in Gesù volgendosi a lui e lasciando in secondo piano le voci confuse della folla.

Il verbo indicativo "io te l'ordino" (v. 25) utilizzato da Gesù rivela la sua autorità assoluta sui demoni. Le sue guarigioni attestano la sua divinità mediante il potere sull'ordine naturale. I suoi esorcismi mostrano la sua divinità mediante il potere sull'ordine soprannaturale.

L'ultimo attacco sferrato dal maligno al ragazzo sembra letale, dando così al gesto di Gesù il valore di una risurrezione, alla quale alludono anche i verbi greci egeiro anistemi, termini tecnici usati nel Nuovo Testamento per indicare la risurrezione. È proprio quando incontriamo Cristo che il male viene alla luce in tutta la sua sconvolgente realtà. Di fronte alla gloria di Dio ci sentiamo atterriti. Morire a noi stessi significa prendere consapevolezza del proprio senso di totale impotenza senza la grazia dalla quale proviene ogni bene.

La preghiera, non come formula magica, ma come atto di fiducioso abbandono nelle mani del Signore, ci restituisce la libertà dei figli di Dio.

Preghiera

Vieni a visitarci Signore, e sciogli ogni legame che ci tiene avvinti al male; affinché possiamo testimoniare la potenza del tuo nome in cielo, sulla terra e sotto terra. Amen.

- Rev. Dr. Luca Vona

domenica 19 febbraio 2023

La tregua

COMMENTO ALLA LITURGIA DELLA SESTA DOMENICA DOPO L'EPIFANIA

Colletta

O Dio, il cui unico Figlio si è manifestato per distruggere le opere del male e fare di noi i figli di Dio e gli eredi della vita eterna; concedici, ti supplichiamo, mediante questa speranza, di purificare noi stessi come egli stesso è puro; affinché quando apparirà di nuovo con potenza e grande gloria, possiamo essere trasformati come lui nel suo regno glorioso; dove con te, o Padre, e con lo Spirito Santo, vive e regna, unico Dio, nei secoli dei secoli. Amen.

Letture

1 Gv 3,1-8; Mt 24,23-31

La lettura di oggi rivela il senso ultimo della manifestazione di Gesù come il Signore, nonché l’atto finale di questo processo in cui la sua gloria divina si dispiega nella storia, a partire dal mistero dell'incarnazione. Il perché della sua manifestazione lo dice chiaramente Giovanni nella sua prima Lettera: “egli è stato manifestato per togliere via i nostri peccati” (1 Gv 3,5); ma anche “per questo è stato manifestato il Figlio di Dio: per distruggere le opere del diavolo”. 

L’atto finale dell'epifania di Cristo si compirà alla fine dei tempi, e ne offre una vivida descrizione Gesù stesso, le cui parole sono riportate da Matteo, che dedica due lunghi capitoli del suo Vangelo al sermone profetico, proposto in parte dalla liturgia odierna.

Scopriamo innanzitutto che la nostra storia ha un senso, una direzione, un polo di attrazione; non è il succedersi di eventi scollegati tra loro, sullo sfondo del ciclico ripetersi delle stagioni, degli anni e degli eventi naturali. I primi teologi cristiani ripresero due vocaboli greci per distinguere due diverse definizioni del tempo: kronos, che indica la dimensione puramente quantitativa del tempo, la scansione delle ore, dei giorni, delle stagioni, degli anni; e kairòs, che indica la dimensione qualitativa del tempo, un qualche cosa di specifico che accade e si sta svolgendo, tra un “già” e un “non ancora”.

Cristo è il Signore del tempo, inteso come kairòs. Colui che ha vinto la morte, ha vinto anche kronos, il tempo divoratore, che consuma ogni cosa. Cristo domina il tempo, conducendone le trame verso lo svolgimento finale della storia umana. Anche per culture come quella greca o quelle dell’estremo oriente, che avevano una visione circolare della storia, intesa come “eterno ritorno”, nel continuo ripetersi di eventi simili, vi era la credenza in un tempo situato “oltre” questa circolarità, che i greci definivano aion. È questo il tempo dell’eternità, e i primi cristiani identificarono in Cristo il Signore che ha gettato un ponte fra queste due dimensioni della temporalità. La storia si chiuderà con il suo ritorno.

Questo secondo Avvento sarà completamente diverso dal primo, perché, ci dice il Vangelo, sarà “come il lampo che esce da levante e sfolgora fino a ponente” (Mt 24,27).

Il monaco inglese Beda il Venerabile, vissuto tra il VII e l'VIII secolo ci ha lasciato nella sua Historia ecclesiastica gentis Anglorum, il racconto della conversione del potente re Edwin al cristianesimo. La decisione viene presa dal re dopo aver ascoltato i suoi consiglieri, uno dei quali gli offre una parabola molto suggestiva della nostra esistenza, paragonandola a quella di un passero che, durante un temporale, entra da una finestra aperta nella stanza dove il re sta banchettando con i suoi nobili, per fuoriuscire subito da un’altra finestra del salone. In quel breve momento, in cui giunge nella stanza come un lampo, il passero è al riparo dal temporale, ma un attimo dopo ritorna nel freddo e oscuro inverno da cui è venuto. Secondo il consigliere del re, così è la nostra breve ed effimera esistenza: di quel che c’è prima e di quel che c’è dopo non sappiamo nulla e se questa nuova religione ci dà una certezza è giusto seguirla.

Il racconto del consigliere di re Edwin, riferito da Beda e ripreso dalla scrittrice Marguerite Yourcenar nella sua opera Il Tempo, grande scultore, offre una rappresentazione drammaticamente realistica della nostra vita terrena, ma le letture di oggi ci conducono molto al di là una religiosità vissuta in modo consolatorio. Perché capovolgendo le immagini appena descritte potremmo dire che il mondo e il tempo in cui siamo inseriti rappresentano l’infuriare della tempesta, mentre la presenza di Gesù tra gli uomini durante la sua vita terrena e l’esperienza che facciamo di lui nella fede, rappresenta come un bagliore nella notte. 

L’umanità e la nostra anima trovano in Cristo una tregua dall’infuriare della tempesta del mondo, quel mondo che, ci ricorda Giovanni, ci odia, perché prima ha odiato Gesù (Gv 15,18; 1 Gv 3,1); quel mondo che è nelle mani del nemico. Questi sarà definitivamente “cacciato fuori” (Gv 12,31) nel compimento del tempo presente, quando le sue opere verranno distrutte (1 Gv 8).
È questa speranza che ci purifica e ci rende santi. Non dunque una speranza come puro stato psicologico ed emotivo. Ma una speranza intesa come virtù cristiana, suscitata dallo Spirito Santo, che abbiamo ricevuto nella fede.

L’esperienza di Dio nella fede ci offre di lui una visione furtiva, come un bagliore nel temporale; inafferrabile, come un passero che attraversa la tavola imbandita delle cose caduche di questo mondo. Eppure, il fulmine ci indica uno squarcio, un varco nel cielo; il passero ci indica una direzione, anche se, come lo Spirito, non sai da dove viene e dove va (Gv 3,8).

- Rev. Dr. Luca Vona

venerdì 17 febbraio 2023

Fermati 1 minuto. Rinunciare a sé per trovare Dio

Lettura

Luca 9,22-25

22 «Il Figlio dell'uomo, disse, deve soffrire molto, essere riprovato dagli anziani, dai sommi sacerdoti e dagli scribi, esser messo a morte e risorgere il terzo giorno».
23 Poi, a tutti, diceva: «Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce ogni giorno e mi segua.
24 Chi vorrà salvare la propria vita, la perderà, ma chi perderà la propria vita per me, la salverà. 25 Che giova all'uomo guadagnare il mondo intero, se poi si perde o rovina se stesso?

Commento

In quel "deve" (v. 22) con cui Gesù si riferisce alla sua passione è racchiuso il piano di salvezza di Dio per l'umanità che si attuerà con la sua morte e risurrezione. Gesù si rivolge "a tutti" (v. 23), con un invito universale a seguirlo, rinnegando se stessi, per trovare la propria vita in Dio. 

Il paradosso evangelico è proprio questo: nella misura in cui ci doniamo, la nostra esistenza si arricchisce di senso. Ogni giorno (v. 23) in cui moriamo a noi stessi per fare spazio allo Spirito che ci rinnova e ci rende strumenti della grazia è un giorno trascorso bene. 

Se non tutti siamo chiamati a testimoniare Cristo fino al martirio certamente nessuno può essere suo discepolo senza obbedire ai suoi comandamenti, mettersi al servizio del prossimo e testimoniare il suo nome al momento opportuno e inopportuno (2 Tim 4,2). Solo così potremo dire con Gesù "Per questo mi ama il Padre; perché io depongo la mia vita per riprenderla poi" (Gv 10,17). 

Il mondo va in direzione completamente opposta: ci spinge a un desiderio bulimico di appropriazione e prevericazione che non sazia mai i nostri bisogni più profondi. Ma Gesù non ci mette in croce contro la nostra volontà, fa appello alla nostra libertà: "Se qualcuno vuol venire dietro a me..." (v. 23) 

La meta finale è la risurrezione; la croce diventa allora da strumento di supplizio via di accesso a un'umanità trasfigurata, che ha riconquistato l'immagine e somiglianza con Dio.

Preghiera

Donaci, Signore, il coraggio di metterci generosamente al servizio tuo e del nostro prossimo; affinché rinunciando a noi stessi possiamo trovare te, che sei l'autore di ogni bene. Amen.

- Rev. Dr. Luca Vona

giovedì 16 febbraio 2023

Fermati 1 minuto. La verità, lontano dalle chiacchiere della gente

Lettura

Marco 8,27-33

27 Poi Gesù partì con i suoi discepoli verso i villaggi intorno a Cesarèa di Filippo; e per via interrogava i suoi discepoli dicendo: «Chi dice la gente che io sia?». 28 Ed essi gli risposero: «Giovanni il Battista, altri poi Elia e altri uno dei profeti». 29 Ma egli replicò: «E voi chi dite che io sia?». Pietro gli rispose: «Tu sei il Cristo». 30 E impose loro severamente di non parlare di lui a nessuno.
31 E cominciò a insegnar loro che il Figlio dell'uomo doveva molto soffrire, ed essere riprovato dagli anziani, dai sommi sacerdoti e dagli scribi, poi venire ucciso e, dopo tre giorni, risuscitare. 32 Gesù faceva questo discorso apertamente. Allora Pietro lo prese in disparte, e si mise a rimproverarlo. 33 Ma egli, voltatosi e guardando i discepoli, rimproverò Pietro e gli disse: «Lungi da me, satana! Perché tu non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini».

Commento

La "confessione di Pietro" rappresenta in Marco l'episodio di svolta del ministero pubblico di Gesù. La gente lo considera un profeta o il Battista redivivo; i discepoli, invece, il Cristo, ma questa identità non deve essere rivelata per evitare confusione con le erronee concezioni del tempo riguardanti la natura del ministero messianico.

Come emerge da altri passi del Nuovo testamento, Pietro si fa portavoce dei Dodici (v. 29). La parola greca christos è l'equivalente dell'ebraico "messia", il "consacrato" da Dio, salvatore dell'umanità.

Gesù introduce i Dodici alla realtà del messianismo sofferente del Cristo (v. 31), in contrasto con l'immagine trionfalistica tradizionale nell'ebraismo e con l'attesa dell'Israele del tempo di un liberatore dal giogo romano.

Gli "anziani" (v. 31) che riproveranno Gesù sono i membri del Sinedrio, che era composto da 71 tra anziani, sommi sacerdoti e scribi, con a capo il sommo sacerdote. I tre giorni che precedono la risurrezione di Cristo richiamano una interpretazione profetica dei tre giorni di Giona nel ventre della balena (Gio 1,17; 2,10) e le parole di Osea: «Venite, ritorniamo al Signore: egli ci ha straziato ed egli ci guarirà. Egli ci ha percosso ed egli ci fascerà. Dopo due giorni ci ridarà la vita e il terzo ci farà rialzare e noi vivremo alla sua presenza» (Os 6,1-2).

Pietro non si rassegna ad accettare il cammino della croce intrapreso da Gesù, e viene da questi paragonato a un tentatore, che non vuole scegliere la via divina, sulla quale deve mettersi il vero discepolo, ma quella umana. Satana è nel Nuovo testamento sinonimo di diavolo, ed è chiamato con questo appellativo 35 volte. La sua etimologia ebraica significa "accusatore", "avversario", "calunniatore". La prospettiva di una gloria senza croce era stata da lui offertà a Gesù durante le tentazioni nel deserto.

La persona di Gesù interpella ogni uomo di ieri, di oggi e di domani. Chi diciamo che egli sia? Un personaggio importante, buono, carismatico? Oppure c'è qualcosa di più in lui? La risposta che daremo ci aiuterà a scoprire non solo la sua, ma anche la nostra identità e la direzione da dare alla nostra vita, presente e futura.

La verità si trova lontano dalle chiacchiere della gente. Le Scritture, la tradizione e la ragione ci restituiscono un'immagine di Dio, ma senza l'esperienza personale dell'incontro con lui la nostra vita non potrà lasciarsi ispirare dalla novità del vangelo, conformandosi all'icona del Figlio, in cui abita tutta la pienezza della divinità (Col 2,9).

Preghiera

Aiutaci a riconoscerti, Signore, non solo nella tua immagine di gloria, ma anche nel volto di ogni uomo sofferente; affinché possiamo incamminarci dietro di te e trovare la vita donando la vita. Amen.

- Rev. Dr. Luca Vona


martedì 14 febbraio 2023

Valentino. L'amore è una rosa da maneggiare con cura

Valentino nasce a Terni (Umbria) nel 176 da una ricca e nobile famiglia. Diventa vescovo della città quando ha solo ventun anni. È un ragazzo dal carattere dolce e mite. Valentino ama i fiori, soprattutto le rose, ed ha un giardino che cura con le proprie mani. Vedere i bambini giocare allegri e spensierati nel suo giardino, per il giovane vescovo è una grande felicità. Quando la sera volge al tramonto Valentino regala ad ogni bambino un fiore da portare alla propria mamma. Così il vescovo è sicuro che i fanciulli non tardano a rientrare a casa ed è anche un modo per insegnare ai giovani il rispetto e l’amore verso i genitori.
Si narra anche che il vescovo facesse fare pace alle coppie. Un giorno due fidanzati stanno litigando per strada. Valentino li incontra e mette nelle loro mani una rosa, raccomandando loro di non pungersi. Recita, poi, una preghiera. I due smettono di litigare e, trascorso poco tempo, tornano gioiosi dal vescovo per annunciare il loro matrimonio.
Un’altra leggenda racconta che un legionario pagano si sia innamorato di una giovane cristiana. Il matrimonio è contrastato dalla famiglia di lei. Il legionario si rivolge a Valentino chiedendo il suo intervento. Il vescovo battezza il pagano e unisce in matrimonio i due innamorati.
Ormai anziano, Valentino si reca a Roma durante il periodo delle terribili persecuzioni perpetrate contro i cristiani. Qui compie alcune guarigioni miracolose e converte al Cristianesimo intere famiglie. Valentino diventa famoso e i devoti che si rivolgono a lui si moltiplicano. Purtroppo l’imperatore Aureliano lo fa catturare e ne ordina l’uccisione.
Valentino ha 97 anni quando il 14 febbraio 273 viene ucciso fuori Roma, sulla Via Flaminia, per evitare la rivolta dei fedeli. Il corpo del vescovo attualmente si trova nella Basilica di Terni e la sua tomba è, ancora oggi, meta di pellegrinaggio da parte di migliaia di fedeli desiderosi di protezione: per un buon matrimonio allietato dalla nascita dei figli e per la costruzione, su solide basi, di una famiglia serena e unita. San Valentino è protettore di giovani e fidanzati. Viene invocato contro gli svenimenti e i dolori al ventre.

- Mariella Lentini


lunedì 13 febbraio 2023

Giordano di Sassonia, propagatore degli ideali evangelici

I domenicani ricordano oggi Giordano di Sassonia, biografo di Domenico di Guzman e suo successore alla guida dell'Ordine dei predicatori.

Giordano era nato a Burgberg, in Sassonia, attorno al 1185, e si era trasferito a Parigi per studiare teologia in questa città. A seguito dell'incontro con Domenico, la sua vita cambiò profondamente. Un anno più tardi, Giordano entrò nell'Ordine domenicano insieme a Enrico di Colonia, suo carissimo amico.

Alla morte di Domenico, Giordano di Sassonia assunse la guida dell'Ordine, consolidando e diffondendo ovunque l'attività dei Predicatori. Nel corso del suo ministero il numero dei conventi e dei frati venne decuplicato, si giunse a formulare le Costituzioni e a fornire un assetto stabile alla vita domenicana, in anni di grande fermento e instabilità spirituale.

Giordano, uomo di profonda serenità e grande propagatore degli ideali evangelici che avevano guidato la vita e l'azione di Domenico, ebbe tra l'altro il merito di fornirci nel suo Libro sulle origini dei frati predicatori una delle rare vite di fondatori equilibrate e prive degli eccessi agiografici tipici dell'epoca medioevale.

Egli morì naufrago, mentre tornava dalla Terra Santa, da una delle sue frequenti visite alle province dell'Ordine, il 13 febbraio del 1237.

Tracce di lettura

Cara sorella, è stato il tuo desiderio che ti ha spinta a scrivermi, e io dunque ti dirò qualcosa a proposito del santo desiderio.
Carissima, il desiderio degli antichi padri invitò il tuo Sposo, Cristo Figlio di Dio, a venire a soffrire, ed egli venne. Invitato dai tuoi desideri alle tue gioie, come potrà non venire? Innalza tutti i tuoi desideri verso il cielo.
Se vuoi imparare una lingua spirituale, vivi con il desiderio dei paesi del cielo, in modo che se avrai occasione di leggere un libro dal contenuto spirituale o ascoltare un predicatore, tu li possa comprendere. Il senso delle cose spirituali non può essere compreso da chi non è mai stato nelle regioni dello spirito. (Giordano di Sassonia, Lettere)

- Dal Martirologio ecumenico della Comunità monastica di Bose

Giordano di Sassonia, affresco del Beato Angelico

Fermati 1 minuto. Gesù, segno tangibile dell'amore divino

Lettura

Marco 8,11-13

11 Allora vennero i farisei e incominciarono a discutere con lui, chiedendogli un segno dal cielo, per metterlo alla prova. 12 Ma egli, traendo un profondo sospiro, disse: «Perché questa generazione chiede un segno? In verità vi dico: non sarà dato alcun segno a questa generazione». 13 E lasciatili, risalì sulla barca e si avviò all'altra sponda.

Commento

Di fronte alle affermazioni messianiche di Gesù i farisei, non soddisfatti dai numerosi miracoli da lui compiuti, chiedono un ulteriore segno, un prodigio di natura astronomica. Gesù, che pure ha compiuto numerosi miracoli, si rifiuta di venire incontro alla loro cecità spirituale. Il segno supremo sarà dato dalla sua risurrezione. 

I farisei non sono esauditi nella loro richiesta per tre ragioni. La loro intenzione non è retta: essi chiedono un segno sperando che Gesù non sia in grado di realizzarlo, al fine di gettare discredito su di lui e dimostrare che egli non è il Messia atteso. In secondo luogo non hanno saputo interpretare i numerosi segni offerti, dal battesimo al Giordano - dove il Padre e lo Spirito hanno reso testimonianza a Cristo - ai numerosi miracoli di guarigione e liberazione. Infine, se anche gli fosse concesso un segno ulteriore e definitivo della messianicità di Gesù i farisei non si accontenterebbero di un segno qualsiasi ma di quello che indichi Gesù come il tipo di Messia che essi aspettano: un restauratore politico di Israele e un legislatore conforme alla loro idea legalistica della religione giudaica. 

Anche noi possiamo essere tentati di chiedere a Dio di agire secondo il nostro volere per accordargli fiducia; rischiamo di chiedere segni che lungi dall'indicarci la volontà di Dio, siano una conferma delle nostre convinzioni e la realizzazione di quello che è, secondo il nostro punto di vista, il miglior bene. Ma Gesù ci ha insegnato a chiedere al Padre che sia fatta la sua volontà e ci invita ad affidarci a lui che si prende cura dell'erba dei campi, degli uccelli del cielo (Mt 6,25-34) e ancor più dei propri figli. 

Davanti all'ostinazione e all'ostilità dei farisei Gesù trae "un profondo sospiro" (v 12), letteralmente geme (gr. anastenaxas) e passa all'altra riva (v.13). È come la prefigurazione di quanto avverrà sulla croce, nel suo passaggio dalla morte alla risurrezione, quando al suo spirare saranno sconvolte le potenze del cielo e della terra (Mt 27 51) e il centurione esclamerà "Davvero costui era Figlio di Dio!" (Mt 27,54).

Preghiera

Signore Gesù Cristo, tu sei segno tangibile dell'amore del Padre. Apri inostri occhi affinché sappiamo riconoscerti per giungere alla vita eterna. Amen.

- Rev. Dr. Luca Vona

domenica 12 febbraio 2023

I tempi e i modi di un Dio mite e paziente

COMMENTO ALLA LITURGIA DELLA QUINTA DOMENICA DOPO L'EPIFANIA

Colletta

O Signore, ti supplichiamo di mantenere la tua Chiesa e la tua casa nella verità della fede; affinché coloro che confidano unicamente nella tua grazia celeste possano essere sempre difesi dalla tua potenza. Per Gesù Cristo nostro Signore. Amen.

Letture

Col 3,12-17; Mt 13,24-30

Il Capitolo 13 del Vangelo di Matteo presenta Gesù mentre ammaestra le folle, parlando in modo semplice, attraverso parabole. Le parabole sono racconti metaforici, di contenuto morale, che attingono le loro immagini da cose della vita quotidiana, in modo da comunicare la riflessione teologica attraverso concetti e contesti familiari. 

Dopo tanti secoli, però, la nostra familiarità con alcune delle immagini utilizzate nelle parabole si è affievolita. È il caso della zizzania, che in una civilità post-agricola come la nostra è una pianta conosciuta solo da pochi. Si tratta di un’erba infestante, che quando è ancora verde è quasi impossibile distinguere dal grano, ma giungendo a maturazione produce chicchi scuri e allungati. I discepoli rimangono molto colpiti dalla parabola ma faticano a comprenderne immediatamente il significato. Infatti, tornando a casa, chiedono a Gesù di spiegarglielo (Mt 13,36-43). 

Mediante la parabola della zizzania Gesù offre una risposta sulle origini del male e sul perché Dio permette il suo proliferare nel mondo. Il manifestarsi di quest’erba malvagia nello stesso campo in cui cresce il buon grano rappresenta quasi un'epifania negativa, speculare al manifestarsi della buona opera del Signore. La Parola di Dio, che Paolo nella lettera ai Colossesi ci invita a fare abitare fra noi copiosamente (Col 3,16) produce frutto laddove è accolta dalla buona terra (Mt 13,8.23). Vi è però un nemico, che cerca non solo di portare via il seme buono prima che possa germinare, ma mentre gli uomini dormono getta nel terreno un cattivo seme (Mt 13,25). L’intento del nemico è chiaro: mettere in cattiva luce il padrone del campo e ostacolare la crescita del buon grano. All’apparire della zizzania, i servi, infatti, chiedono al padrone: “Signore, non hai seminato buon seme nel tuo campo?” (Mt 13,27), e propongono la soluzione di estirpare l’erba infestante. 

Ma il padrone del campo ha deciso di lasciare crescere il grano e la zizzania insieme, perché lo sradicamento dell’erba malvagia potrebbe condurre alla distruzione anche delle piante di grano buono. Perché Dio non elimina il male? Perché Dio consente ai malvagi di prosperare? Questa domanda interpella ogni credente, e se la pone anche l’autore del Salmo 73: “Quasi inciampava il mio piede, vedendo la prosperità dei malvagi. Invano dunque ho purificato il mio cuore. Allora ho cercato di comprendere questo, ma la cosa mi è parsa molto difficile. Finché sono entrato nel santuario di Dio e ho considerato la fine di costoro. Come un sogno al risveglio, così tu, o Signore, quando ti risveglierai, disprezzerai la loro vana apparenza”. 

Mentre nella parabola della zizzania il sonno aveva colto gli uomini, e proprio mentre questi dormivano il nemico era andato a mettere il seme cattivo nel terreno, nel salmo troviamo la curiosa immagine di Dio che “dorme” e al suo risveglio ristabilisce la giustizia. Anche questo “sonno di Dio” è una metafora accattivante, per descrivere il tempo della misericordia del Signore, che ci separa dal tempo del suo suo giudizio. Perché Dio, che appare in tutte le Scritture, “lento all’ira e di grande benignità” (Sal 103,8), non vuole la morte dell’empio, ma che si converta e viva (Ez 33,2); egli ha stabilito un tempo per il pentimento e la conversione.

Ogni uomo corre il rischio che il cattivo seme prosperi insieme a quello buono nella propria vita. Anche se sappiamo renderci docili alla parola di Dio, dobbiamo guardarci dal cadere addormentati consentendo al nemico di porre in noi il seme del male: pensieri, parole, azioni che infestano la nostra vita e quella di chi ci circonda, drenando energie a noi stessi e agli altri.

Affidiamoci a Cristo, buon agricoltore, e rispettiamo i tempi di Dio, per il quale mille anni sono come un giorno solo (2 Pt 3,8), nella certezza che potremo raccogliere una messe abbondante.

- Rev. Dr. Luca Vona

venerdì 10 febbraio 2023

Scolastica, sorella di Benedetto da Norcia. La carità al di sopra di ogni regola

Il 10 febbraio le chiese d'oriente e d'occidente ricordano Scolastica, sorella di Benedetto da Norcia.
Il nome di Scolastica, sorella di Benedetto da Norcia, richiama al femminile gli inizi del monachesimo occidentale, fondato sulla stabilità della vita in comune. Benedetto invita a servire Dio non già "fuggendo dal mondo" verso la solitudine o la penitenza itinerante, ma vivendo in comunità durature e organizzate, e dividendo rigorosamente il proprio tempo fra preghiera, lavoro o studio e riposo. Da giovanissima, Scolastica si è consacrata al Signore col voto di castità. Più tardi, quando già Benedetto vive a Montecassino con i suoi monaci, in un altro monastero della zona lei fa vita comune con un gruppetto di donne consacrate.
La Chiesa ricorda Scolastica come santa, ma di lei sappiamo ben poco. L’unico testo quasi contemporaneo che ne parla è il secondo libro dei Dialoghi di papa Gregorio Magno (590-604). Ma i Dialoghi sono soprattutto composizioni esortative, edificanti, che propongono esempi di santità all’imitazione dei fedeli mirando ad appassionare e a commuovere, senza ricercare il dato esatto e la sicura referenza storica. Inoltre, Gregorio parla di lei solo in riferimento a Benedetto, solo all’ombra del grande fratello, padre del monachesimo occidentale.
Ecco la pagina in cui li troviamo insieme. Tra loro è stato convenuto di incontrarsi solo una volta all’anno. E Gregorio ce li mostra appunto nella Quaresima (forse) del 542, fuori dai rispettivi monasteri, in una casetta sotto Montecassino. Un colloquio che non finirebbe più, su tante cose del cielo e anche della terra. L’Italia del tempo è una preda contesa tra i Bizantini del generale Belisario e i Goti del re Totila, devastata dagli uni e dagli altri. Roma s’è arresa ai Goti per fame dopo due anni di assedio, in Italia centrale gli affamati masticano erbe e radici. A Montecassino passano vincitori e vinti; passa Totila attratto dalla fama di Benedetto, e passano le vittime della violenza, i portatori di tutte le disperazioni, gli assetati di speranza...
Viene l’ora di separarsi. Scolastica vorrebbe prolungare il colloquio, ma Benedetto rifiuta: la Regola non s’infrange, ciascuno torni a casa sua. Allora Scolastica si raccoglie intensamente in preghiera, ed ecco scoppiare un temporale violentissimo che blocca tutti nella casetta. Così il colloquio può continuare per un po’ ancora. Infine, fratello e sorella con i loro accompagnatori e accompagnatrici si separano; e questo sarà il loro ultimo incontro.

Ultimo incontro tra Benedetto e Scolastica, affresco, Sacro Speco, Subiaco

Tre giorni dopo, leggiamo nei Dialoghi, Benedetto apprende la morte della sorella vedendo la sua anima salire verso l’alto in forma di colomba. I monaci scendono allora a prendere il suo corpo, dandogli sepoltura nella tomba che Benedetto ha fatto preparare per sé a Montecassino; e dove sarà deposto anche lui, morto in piedi sorretto dai suoi monaci, intorno all’anno 547.

Risultato immagini per santa scolastica affresco

Tracce di lettura

Benedetto e Scolastica erano ancora a tavola e, mentre erano intenti a parlare di cose sante, si era fatto tardi; allora la monaca sua sorella lo pregò dicendo: «Ti prego, non lasciarmi questa notte; parliamo fino al mattino delle gioie della vita celeste!». Egli le rispose: «Che cosa dici, sorella? Non posso assolutamente restare fuori dal monastero!». Il cielo era talmente sereno che nell’aria non c’era una nuvola. La monaca, udite le parole di rifiuto del fratello, posò sulla tavola le mani con le dita intrecciate e chinò su di esse il capo per pregare il Signore onnipotente. Quando sollevò la testa dal tavolo, si scatenarono lampi e tuoni violenti e una pioggia torrenziale tale che né il venerabile Benedetto né i fratelli che erano con lui non poterono metter piede fuori dalla soglia del luogo ove si trovavano … Allora l’uomo di Dio, vedendo che in mezzo a tali lampi, tuoni e scrosci d’acqua non poteva ritornare al monastero, cominciò a lamentarsi rattristato, e le disse: «Dio onnipotente ti perdoni, sorella! Che cosa hai fatto?». Quella rispose: «Vedi, io ti ho pregato, e tu non hai voluto ascoltarmi. Ho pregato il mio Signore ed egli mi ha ascoltato. Ora esci, se puoi; lasciami e ritorna in monastero!». Ma egli, non potendo uscire dal coperto, rimase suo malgrado là dove non aveva voluto rimanere di sua spontanea volontà. E avvenne così che trascorsero tutta la notte vegliando e saziandosi reciprocamente di sante conversazioni sulla vita spirituale ... Non c’è da meravigliarsi se in quell’occasione poté di più la sorella, che desiderava vedere più a lungo il fratello. Secondo la parola di Giovanni infatti «Dio è amore» (1Gv 4,8.16); per giustissimo giudizio, dunque, potè di più colei che amò di più.
(Gregorio il Grande, Dialoghi 2,33)

Fermati 1 minuto. Colui che fa bene ogni cosa

Lettura

Marco 7,31-37

31 Gesù partì di nuovo dalla regione di Tiro e, passando per Sidone, tornò verso il mare di Galilea attraversando il territorio della Decapoli. 32 Condussero da lui un sordo che parlava a stento; e lo pregarono che gli imponesse le mani. 33 Egli lo condusse fuori dalla folla, in disparte, gli mise le dita negli orecchi e con la saliva gli toccò la lingua; 34 poi, alzando gli occhi al cielo, sospirò e gli disse: «Effatà!» che vuol dire: «Apriti!» 35 E gli si aprirono gli orecchi; e subito gli si sciolse la lingua e parlava bene. 36 Gesù ordinò loro di non parlarne a nessuno; ma più lo vietava loro e più lo divulgavano; 37 ed erano pieni di stupore e dicevano: «Egli ha fatto ogni cosa bene; i sordi li fa udire, e i muti li fa parlare».

Commento

La guarigione del sordomuto nella regione della Decàpoli prefigura la conversione del mondo pagano al vangelo. In essa si inverano le parole del profeta Isaia: "si apriranno gli occhi dei ciechi e saranno sturati gli orecchi dei sordi; allora lo zoppo salterà come un cervo e la lingua del muto canterà di gioia; perché delle acque sgorgheranno nel deserto e dei torrenti nei luoghi solitari" (Is 35,5-6). 

L'itinerario di Gesù che da Tiro passa per Sidone a nord, per poi dirigersi a sud-est verso il mare di Galilea, descrive l'estendersi della salvezza fuori dai confini di Israele. Il sordomuto stesso, protagonista di questa pagina del Vangelo di Marco, sembra incarnare la sordità dei pagani alla rivelazione, che viene vinta dall'incontro con Cristo. 

Non si può imparare a parlare se non si è in grado di sentire; parimenti è la capacità di ascoltare Dio - "Ascolta, Israele!" (Dt 6,4) - che ci mette in grado di far presente nel mondo la sua parola. Di fronte a un malato che non può compredere il linguaggio verbale Gesù agisce con gesti e segni, stabilendo un contatto diretto, fisico, con lui. 

La parola aramaica effatà, che Marco traduce "apriti" è un comando rivolto da Gesù non soltanto agli orecchi e alla bocca del sordomuto, ma si rivolge a tutta la sua persona, che si apre alla comprensione e al dono della grazia. 

Gesù pronuncia una parola imperativa, rivolgendosi direttamente al malato e non intercedendo presso Dio. La sua autorità proviene dalla sua natura divina. I testimoni del miracolo compiuto da Gesù si fanno annunciatori della sua missione salvifica; questo il significato del termine greco ekérisson, "proclamavano". 

La fede ci rende capaci di accogliere la parola del Signore, di lodarlo con le nostre labbra e predicare il vangelo di salvezza. "Ha fatto bene ogni cosa" (v. 37) affermano le folle di Gesù; e in queste parole riechieggiano quelle della Genesi: "Dio vide quanto aveva fatto, ed ecco, era cosa molto buona" (Gn 1,31). 

Cristo, il Logos, per mezzo del quale il Padre ha creato l'uomo, è colui che ne restaura l'immagine e la salute originaria. La sua grazia ci donerà quel che manca alla nostra natura, consentendoci di offrire a Dio un sacrificio perfetto e a lui gradito.

Preghiera

O Dio, colma quel di cui difettiamo per aprirci alla relazione con te e con il nostro prossimo. Canteremo le tue lodi e annunceremo la tua salvezza. Amen.

- Rev. Dr. Luca Vona

giovedì 9 febbraio 2023

Marone e il potere terapeutico della preghiera

Tra i molti monaci della Siria dediti alle forme più ardite e rigorose di ascesi, Teodoreto di Cirro ne ricorda uno che «avendo deciso di vivere a cielo scoperto, si ritirò sulla vetta di un monte».
E' il monaco Marone, della cui vita si sa pochissimo, ma che ha lasciato un segno indelebile nella storia delle chiese d'oriente, e che oggi viene ricordato dalla chiesa maronita che da lui stesso trae la propria denominazione.
Questo eremita, il quale passò tutta la vita esposto alle intemperie e totalmente dedito alla preghiera, ebbe infatti un'influenza molto grande sul movimento monastico della regione di Cirro e poi anche della diocesi di Aleppo.
Marone fu un maestro di vita spirituale molto apprezzato, e grazie alla sua assiduità con il Signore insegnò a coloro che lo consultavano a combattere i loro mali spirituali ricorrendo anzitutto alla preghiera. A un secolo dalla sua morte era fiorente nei pressi di Apamea il monastero di Beth Morum (san Marone), a lui dedicato. Sarà attorno a tale luogo, in cui si custodiva la memoria di Marone, che si raduneranno molti cristiani di fede calcedonese in seguito all'invasione araba della Siria, dando vita a una chiesa autonoma che prenderà il nome di chiesa maronita.
La venerazione per Marone nelle regioni montagnose della Siria e del Libano è rimasta grande fino ai nostri giorni, e anche i bizantini lo ricordano nei loro sinassari, il 14 febbraio.

Tracce di lettura

Ora ricorderò Marone, perché pure lui ha abbellito il coro dei santi. Avendo deciso di vivere a cielo scoperto, egli si ritirò sulla vetta di un monte, che una volta i pagani avevano destinato al culto, e consacrò a Dio quel luogo santo che era stato possesso dei demoni. In quel posto egli stabilì la sua dimora e soltanto raramente fece uso di una piccola tenda che aveva costruito.
Mentre i medici prescrivono per ogni malattia un farmaco diverso, la sua medicina era sempre la stessa, comune a tutti i santi: la preghiera. Non curava soltanto le malattie del corpo, ma anche quelle dell'anima: guariva uno dall'avarizia, un altro dall'ira, istruiva questo nella temperanza, quello nella giustizia, puniva l'incontinenza di questo, scuoteva la pigrizia di quello.
(Teodoreto di Cirro, Storia dei monaci della Siria 16)

- Dal martirologio ecumenico della Comunità monastica di Bose

Fermati 1 minuto. Briciole preziose

Lettura

Marco 7,24-30

24 Poi Gesù partì di là e se ne andò verso la regione di Tiro. Entrò in una casa e non voleva farlo sapere a nessuno; ma non poté restare nascosto, 25 anzi subito, una donna la cui bambina aveva uno spirito immondo, avendo udito parlare di lui, venne e gli si gettò ai piedi. 26 Quella donna era pagana, sirofenicia di nascita; e lo pregava di scacciare il demonio da sua figlia. 27 Gesù le disse: «Lascia che prima siano saziati i figli, perché non è bene prendere il pane dei figli per buttarlo ai cagnolini». 28 «Sì, Signore», ella rispose, «ma i cagnolini, sotto la tavola, mangiano le briciole dei figli». 29 E Gesù le disse: «Per questa parola, va', il demonio è uscito da tua figlia». 30 La donna, tornata a casa sua, trovò la bambina coricata sul letto: il demonio era uscito da lei.

Commento

Gesù si trova di passaggio in territorio pagano e cerca un momento di riposo dal suo ministero. Spesso nei Vangeli lo vediamo cercare ristoro sostando in luoghi deserti, o su un monte; questa volta si ritira in una casa privata. Ma Gesù non può restare nascosto, perché non è una candela posta sotto il moggio, così lo viene subito a cercare una donna, straniera di etnia e di religione, la cui figlia è afflitta da uno spirito maligno. 

Gesù risponde impiegando l'immagine dei cagnolini, ai quali si può dare da mangiare solo dopo avere sfamato i figli e sottolinea così la precedenza degli Israeliti sui pagani come destinatari del suo ministero. Ma lo scopo è anche quello di testare la fede della donna, la quale, gettata ai suoi piedi, esprime la propria indegnità, ma non desiste dalla sua richiesta. 

Anche a noi può capitare di avere l'impressione di non essere ascoltati da Dio; è quello il momento di accrescere in noi l'umiltà e di rinnovare la fiducia, consapevoli che il nostro senso di inadeguatezza non può diminuire la speranza nella sua bontà.

Come il servo del centurione, la figlia della siro-fenicia viene guarita a distanza. Lo Spirito del Signore non è costretto in un luogo, ma abbraccia il mondo intero; la sua provvidenza e la sua misericordia ci raggiungono lì dove siamo, così come siamo, nel momento del bisogno. 

Questo miracolo di guarigione spirituale ci incoraggia a perseverare nella preghiera, non dubitando di poter prevalere alla fine se ciò che chiediamo è giudicato da Dio profittevole per il nostro bene; egli che apre la sua mano e sazia ogni vivente (Sal 144,16) non ci negherà quelle preziose briciole che nutrono i suoi figli come gli uccelli del cielo. 

E se le briciole sono così preziose e realizzano tali prodigi, come saranno quella mensa e quel calice traboccante (Sal 22,5) che il Signore prepara per noi nei cieli?

Preghiera

Apri la tua mano, Signore, e saziaci con la tua grazia; affinché liberati da ogni male possiamo diventare tempio del tuo Spirito. Amen.

- Rev. Dr. Luca Vona

mercoledì 8 febbraio 2023

Severo di Antiochia. L'ultima parola spetta alla carità

In questo giorno la chiesa siro-occidentale fa memoria di Severo, monaco e patriarca di Antiochia nel VI secolo, ricordato anche dalla Chiesa copta il 14 di amšīr e il 2 di bābah.
Severo originario di Sozopoli, in Pisidia, dopo gli studi, compiuti ad Alessandria e a Berito (l'odierna Beirut), si ritirò in un monastero nei pressi di Gaza, attratto dal radicalismo evangelico dei monaci palestinesi.
Formatosi in ambienti fedeli alla teologia di Cirillo di Alessandria e ostili sia alla filosofia greca che alle affermazioni del concilio di Calcedonia, Severo dedicò gran parte della sua vita a difendere, basandosi sulle Scritture e sugli insegnamenti dei padri, le cosiddette posizioni «miafisite moderate».
Dopo un soggiorno a Costantinopoli, Severo fu consacrato nel 512 patriarca di Antiochia. Negli anni del suo ministero pastorale antiocheno egli trasmise ai suoi fedeli, attraverso omelie che sono ritenute tra le più belle dell'antichità, un profondo desiderio di conoscenza del Cristo e di comunione con Dio.
A più riprese egli cercò anche di dare un valido contributo alla comprensione tra le diverse fazioni teologiche in cui ormai la chiesa d'oriente si era divisa, ma per il continuo mutamento delle politiche imperiali fu costretto a desistere.
Dopo un ultimo viaggio a Costantinopoli, si ritirò in Egitto, dove morì a Chois l'8 febbraio del 538, conscio di avere fatto quanto era nelle sue possibilità perché fosse la carità ad avere l'ultima parola nella vita della chiesa.

Tracce di lettura

Fratelli, domani partiamo verso le sante chiese delle campagne e verso i santi monasteri di coloro che si consacrano alla vita solitaria. Infatti la legge vuole che colui che in ogni epoca occupa questa sede apostolica lasci la città e visiti il gregge della diocesi.
Ma voi, come pensate che mi sosterrò quando per un po' di tempo sarò dissociato dalla comunione con voi, amici di Dio? Ad ogni modo, in mia assenza, andate in chiesa con perseveranza e assiduità, e lì, alzando le vostre mani, chiedete a Dio che vi guidi in ogni opera buona e vi aiuti. Fortificatevi nella fede e nella purezza della carne, facendo il segno della croce sulla vostra fronte e rivestendovi della forza dei santi misteri come di una corazza. Per la misericordia abbondante verso i bisognosi sarete degni della misericordia che viene dall'alto. E anche noi, lontani da voi, vi aiuteremo, chiedendo a quegli uomini che hanno lasciato il mondo e si sono uniti a Dio, che facciano salire per voi preghiere pure.
(Severo di Antiochia, Omelia cattedrale 55)

- Dal Martirologio ecumenico della Comunità monastica di Bose

Fermati 1 minuto. L'ecologia del cuore

Lettura

Marco 7,14-23

14 Chiamata di nuovo la folla, diceva loro: «Ascoltatemi tutti e intendete bene: 15 non c'è nulla fuori dell'uomo che, entrando in lui, possa contaminarlo; sono invece le cose che escono dall'uomo a contaminarlo». 16 [Se uno ha orecchi per udire oda.]
17 Quando entrò in una casa lontano dalla folla, i discepoli lo interrogarono sul significato di quella parabola. 18 E disse loro: «Siete anche voi così privi di intelletto? Non capite che tutto ciò che entra nell'uomo dal di fuori non può contaminarlo, 19 perché non gli entra nel cuore ma nel ventre e va a finire nella fogna?». Dichiarava così mondi tutti gli alimenti. 20 Quindi soggiunse: «Ciò che esce dall'uomo, questo sì contamina l'uomo. 21 Dal di dentro infatti, cioè dal cuore degli uomini, escono le intenzioni cattive: fornicazioni, furti, omicidi, 22 adultèri, cupidigie, malvagità, inganno, impudicizia, invidia, calunnia, superbia, stoltezza. 23 Tutte queste cose cattive vengono fuori dal di dentro e contaminano l'uomo».

Commento

Dichiarando alle folle che nulla di ciò che è fuori dell'uomo può contaminarlo Gesù afferma la bontà della creazione; il porsi in maniera disordinata nei confronti di essa è causa del peccato, che risiede appunto dentro il cuore dell'uomo e non fuori di lui. 

Gesù pone le leggi mosaiche sui cibi nel contesto del regno di Dio, dove vengono abrogate, e considera impurità solo la violazione del decalogo. Dichiarando puri tutti gli alimenti (v. 19) egli attesta che tutto ciò che viene da Dio per il nutrimento dell'uomo è buono; solo l'intenzione non retta può contaminare noi e l'ambiente che ci circonda. 

Usando il paragone tra i cibi che si ingeriscono e poi si eliminano, senza che l'uomo ne resti contaminato, e i sentimenti che non si espellono perché sono radicati nel cuore e tali, se malvagi, da renderlo impuro, Gesù vuole sottolineare che ciò che conta è la nostra purezza interiore e che il nostro agire vale nella misura in cui la esprime. 

Le intenzioni cattive elencate da Gesù possono essere divise in due gruppi: il primo gruppo comprende sei vizi, gli ultimi tre dei quali ricalcano i primi tre; il richiamo è alla seconda tavola del decalogo; il secondo gruppo comprende sei atteggiamenti peccaminosi; abbiamo così "fornicazioni, furti, omicidi, adultèri, cupidigie, malvagità, inganno, impudicizia, invidia, calunnia, superbia, stoltezza" (vv. 21-22).

L'accento è posto in modo particolare su quei peccati che feriscono il prossimo, contro l'esasperata attenzione dei farisei per la "purezza" rituale verso Dio. L'incontro con Gesù nei sacramenti e nella sua Parola ripulisce le intenzioni malvagie che contaminano il nostro cuore e ci consente di restaurare, con la grazia di Dio, il suo progetto creatore, dove tutto è fatto per il bene dell'uomo. 

Gesù non solo ristabilisce la verità tra ciò che è puro e ciò che è impuro - liberandoci dalle nostre ossessioni religiose - ma fa pulizia del cumulo di norme e precetti della tradizione farisaica, richiamandoci a un'ecologia del cuore, affinché possano abbondare in esso i frutti del vangelo.

Preghiera

Manda il tuo Spirito, Signore, affinché raffini nel suo fuoco i sentimenti e le intenzioni dei nostri cuori, così che possiamo renderti un culto a te gradito. Amen.

- Rev. Dr. Luca Vona