[Per evidenti ragioni di tempo da distribuire tra i relatori non ho potuto approfondire a sufficienza la tematica liturgica proposta al Convegno "L'Eredità di Wesley", svoltosi all'Università di Catania il 6 ottobre 2019. Mi riservo di farlo in maniera estesa e puntuale (con precisi riferimenti bibliografici) in un prossimo saggio scientifico (all'interno di eventuali Atti del Convegno o in un articolo su una rivista teologica internazionale). Pubblico questo, ed eventuali prossimi post, per toccare alcuni temi inerenti la stessa. Con questo post, in particolare, colgo l'occasione dell'anniversario della riforma di Zurigo, ad opera di Uldrych Zwingli, per confrontare il suo pensiero con quello di alcuni teologi che diedero vita a controversie eucaristiche in epoca altomedievale, riallacciandomi poi alla teologia eucaristica in epoca subapostolica e alle differenze tra il pensiero sacramentale di Zwingli e quello di John Wesley. Rev. Dr. Luca Vona]
Le diverse dottrine sull'eucaristia sviluppate dai principali riformatori protestanti hanno in comune la sorprendente somiglianza con l'opera di un monaco dell'alto medioevo, di nome Ratramno di Corbie (800-868 circa), nella cui opera troviamo persino una dottrina della doppia predestinazione.
La dottrina eucaristica di Uldrych Zwingli influenza indirettamente quella del secondo Book of Common Prayer anglicano (1552), rimaneggiamento della prima edizione (1549) redatta dall'Arcivescovo di Canterbury Thomas Cranmer, operato dai riformatori Pietro Martire Vermigli e Martin Bucer; questi ultimi due erano, appunto, convinti zwingliani. Lascio da parte in questo breve post le considerazioni in merito alla dottrina eucaristica di Lutero, impostata sulla consustanziazione e, quindi, su una presenza oggettiva del Corpo e del Sangue di Cristo nelle specie consacrate (pane e vino), sebbene diversa dalla dottrina della transustanziazione.
L’inizio della Riforma a Zurigo è associato alla figura di Zwingli. Nato da una famiglia di contadini agiati il 1 gennaio 1484, frequentò le scuole latine di Basilea e Berna e le università di Vienna e Basilea (1504-1506), dove conseguì il titolo di magister artium. Appena ventiduenne fu nominato parroco della piccola città di Glarona, capoluogo dell’omonimo cantone, dove rimase fino al 1516 assolvendo con zelo i doveri del suo ministero.
Se e in che misura la teologia di Zwingli sia stata influenzata dall’esperienza di Lutero è una questione che continua ad essere dibattuta tra gli studiosi. Del Riformatore tedesco Zwingli condivideva (pur avendoli elaborati in forma autonoma e adattati alle esigenze di una repubblica cittadina) i grandi principi teologici del solus Christus, sola gratia, sola fides. Di Lutero Zwingli non condivise soprattutto la concezione sacramentale. Lo scontro tra i due Riformatori, preceduto da un serie di scritti particolarmente polemici, avvenne nel famoso colloquio di Marburgo (1529). Diversamente da Lutero, Zwingli non considerava i sacramenti come strumenti di grazia, ma come segni. In particolare lo Zurighese non riconobbe all’eucaristia il carattere obbiettivo che le attribuiva il Wittenberghese, il quale affermava la presenza reale di Cristo negli elementi. Ciò non significa tuttavia che Zwingli sostenne un’interpretazione meramente simbolica di tale presenza; si dirà con più precisione che egli credeva in una presenza spirituale del Signore che si realizza attraverso il ricordo dei fedeli. Nella sua teologia l'eucaristia è considerata un semplice memoriale, ma non nel senso psicologistico in cui lo intenderemmo noi oggi, bensì un memoriale che, alimentato dalla fede ci mette in comunione con il Signore. Siamo comunque in presenza di una dottrina fortemente soggettiva del Sacramento, poiché mentre i doni consacrati restano semplici segni, la comunione avviene solo mediante la fede.
Anche la dottrina eucaristica di Calvino, riformatore di Ginevra è di tipo soggettivo, ovvero, il fedele riceve Cristo non in quanto oggettivamente presente nelle specie consacrate del pane e del vino, ma lo riceve spiritualmente per fede. Si tratta, inoltre, di una presenza spirituale, non di una comunione con il Corpo e il Sangue del Risorto, che siede cieli alla destra del Padre. In qualche modo Cristo comunica, attraverso lo Spirito Santo, e il fedele riceve, per mezzo della fede, la propria presenza, la propria potenza.
Nella dottrina anglicana del primo Book of Common Prayer (1549) è invece ancora presente l'idea di un mutamento oggettivo dei doni al momento della consacrazione:
Heare us (O merciful father) we besech thee; and with thy holy spirite and worde, vouchsafe to bl+esse and sanc+tifie these thy gyftes, and creatures of bread and wyne, that they maie be unto us the bodye and bloude of thy moste derely beloved sonne Jesus Christe.
[Ascoltaci (O Padre misericordioso) ti supplichiamo; e con il tuo santo spirito e la tua parola, concedici di bene+dire e santi+ficare questi tuoi doni e creature del pane e del vino, affinché possano essere per noi il corpo e il sangue del tuo dilettissimo figlio Gesù Cristo; traduzione mia; i segni "+" indicano un segno di croce].
Nelle edizioni successive del Book of Common Prayer non solo sparirà il segno di croce sul pane e quello sul vino, ma anche la supplica affinché l'anamnesi ("la tua parola", in riferimento alle parole dell'istituzione dell'eucaristia pronunciate da Cristo) e l'epiclesi ("con il tuo santo spirito") realizzino il mutamento dei dona in munera, dell'offerta del pane e del vino in Corpo e Sangue di Cristo per la nostra salvezza.
La formula a partire dal secondo Prayer Book (1552) sarà infatti la seguente:
Heare us O mercyefull father wee beeseche thee; and graunt that wee, receyving these thy creatures of bread and wyne, accordinge to thy sonne our Savioure Jesus Christ's holy institucion, in remembraunce of his death and passion, maye be partakers of his most blessed body and bloud.
[Ascoltaci o Padre misericordioso, ti supplichiamo; e concedici di ricevere queste tue creature del pane e del vino, in accordo con l'istituzione del nostro Salvatore Gesù Cristo, affinché in memoria della sua passione e morte possiamo essere resi partecipi del suo benedetto corpo e sangue; traduzione mia].
Come si vede, in questa revisione operata da Bucer e Vermigli, sulla scorta del pensiero di Zwingli, l'accento è posto sul fare memoria, che consente di prendere parte al Corpo e al Sangue di Cristo. Se consideriamo che la partecipazione del credente è al Corpo e al Sangue di Cristo non manca, dunque, neanche nella dottrina eucaristica anglicana, nella sua fase di compimento riformato, l'idea di una partecipazione al Risorto e non semplicemente alla sua grazia o alla sua potenza. Siamo qui in presenza di una dottrina "mista". La comunione è con il Corpo e Sangue di Cristo e si realizza mediante 1) le parole dell'istituzione pronunciate dal celebrante ("in accordo con l'istituzione del nostro Salvatore Gesù Cristo") e 2) "in memoria della sua passione e morte" (dunque, per la fede del credente). Se viene a mancare uno dei due elementi non c'è comunione (es. chi si accostasse alle specie consacrate senza fede on riceverebbe nulla). Sappiamo che Bucer ricercava una mediazione tra i luterani del sud della Germania e i riformati svizzeri. Questa considerazione della comunione eucaristica di tipo oggettivo-soggettivo rappresenta proprio gli sforzi di mediazione testimoniati dall'epistolario di Cranmer e di Bucer.
Sebbene il ventottesimo dei trentanove articoli di religione anglicani rifiuti la dottrina romana della transustanziazione, la teologia anglicana non mise mai in dubbio la reale (corporale) presenza di Cristo nell'eucaristia sebbene legata al "doppio binario" di cui sopra, ovvero alla necessità della fede da parte del recipiendario delle specie consacrate.
Ora, cosa c'entra tutto questo con un monaco del nono secolo?
Ratramno di Corbie (800 circa – 868 circa) è stato un filosofo e teologo francese.
Monaco dell'abbazia benedettina di Corbie, presso Amiens, si rese noto per la controversia sull'eucaristia con il suo scritto De corpore et sanguine Domini liber, nel quale si oppose alla teoria espressa nell'831 dal monaco del suo stesso convento Pascasio Radberto (che anticiperebbe in qualche modo la dottrina della transustanziazione). Quest'ultimo aveva affermato decisamente l'identità dell'essenza del corpo di Cristo e del pane eucaristico, così come l'identità dell'essenza del sangue di Cristo con il vino della cerimonia, una tesi negata dalla maggioranza dei teologi del tempo che consideravano simbolica (ma non per questo meno reale) la presenza di Cristo nell'Eucaristia. Per quanto Ratramno e Radberto fossero d'accordo nel ritenere che Cristo fosse presente nell'eucaristia, Radberto riteneva tale presenza reale e miracolosa, mentre Ratramno la considerava soltanto simbolica, il senso del sacramento eucaristico risiedendo proprio nella capacità del credente di superare il fenomeno esteriore, con uno sforzo di fede utile a giungere al senso profondo del mistero.
Va precisato che durante tutto il periodo della sua vita Ratramno non fu mai scomunicato né la sua dottrina condannata.
Con il mutare delle opinioni diffuse riguardo all'Eucaristia, il libro di Ratramno fu condannato e bruciato nel Concilio di Vercelli del 1050.
Ratramno partecipò anche al dibattito sulla predestinazione, nel quale prese le difese del monaco Gotescalco con un De praedestinatione Dei ad regem Carolum Calvum.
Nella controversia sulla questione degli eletti e dei predestinati, scritto su richiesta di Carlo il Calvo, sostenne la dottrina della doppia predestinazione, senza farsi scoraggiare dalla negativa esperienza di Gotescalco, fatto incarcerare dal vescovo Incmaro di Reims per aver sostenuto la medesima tesi.
La dottrina eucaristica del monaco Ratramno ritorna nell'opera di Berengario di Tours (998-1088).
Berengario studiò a Tours e poi a Chartres, sotto il vescovo Fulberto. Alla morte di questi, nel 1029, Berengario tornò a Tours, dirigendo la scuola di San Martino. Nel 1039 fu nominato arcidiacono di Angers, ma continuò a vivere a Tours.
Nel 1047 Berengario ebbe una polemica con Lanfranco di Canterbury, abate del monastero di Le Bec in Normandia e futuro arcivescovo di Canterbury, sulla natura dell'eucaristia, durante la cui celebrazione, secondo la fede cattolica, il pane e il vino del celebrante si trasformano realmente nel corpo e nel sangue di Cristo; questa trasformazione, solo nel tredicesimo secolo sarà definita "transustanziazione", secondo categorie filosofiche aristoteliche e solo nel sedicesimo secolo divenne dogma con il Concilio di Trento.
Per Berengario non avviene realmente alcuna trasformazione, ma il pane e il vino sono solo simboli del corpo e del sangue di Cristo; per Lanfranco, invece, il pane e il vino sono realmente corpo e sangue di Cristo.
Denunciato da Lanfranco, Berengario fu imprigionato e poi condannato da diversi sinodi, finché a quello di Bordeaux del 1080 sottoscrisse di credere che "dopo la consacrazione il pane diventa il vero Corpo di Cristo, quel corpo nato dalla Vergine e che il pane ed il vino sull'altare, grazie al mistero della preghiera santa e delle parole del Nostro Salvatore, vengono convertiti in sostanza nel Corpo e Sangue del Signore Gesù Cristo".
Durante la Riforma, vi fu una riscoperta del libro di Ratramno De corpore et sanguine Domini liber; tradotto e pubblicato nel 1532, cominciò a diffondersi in alcuni circoli umanistici. Fu apprezzato particolarmente dall'arcivescovo di Canterbury, Thomas Cranmer, che dichiarò di essere stato convinto da Ratramno a esprimersi contro la transustanziazione, mentre la Chiesa cattolica confermò il dogma della transustanziazione nel Concilio di Trento, stabilendo che «se qualcuno negherà che nel santissimo sacramento dell'Eucaristia si contenga veramente, realmente e sostanzialmente il corpo e il sangue, insieme con l'anima e la divinità di Nostro Signore Gesù Cristo e perciò tutto Gesù Cristo, ma dirà che in questo sacramento egli vi è soltanto in segno o in figura o in potenza, sia scomunicato». Il trattato eucaristico di Ratramno finì nel 1599 nell'Indice dei libri proibiti.
Si noterà, dunque, come l'origine delle controversie eucaristiche affondi le radici nell'alto medioevo. Fino a prima nessuno aveva mai messo in discussione la presenza reale di Cristo nell'eucaristia, ma neanche aveva cercato di specificarla in termini razionali. Come da sempre accade nelle chiese Orientali, il modo in cui, con la consacrazione, i doni divengono Corpo e Sangue di Cristo era considerato un mistero insondabile.
Quel che è certo è che gli studi sul Canone Romano, che Lutero definiva «abominevole [...] raccolta di omissioni e di immondezze» ci dimostrano oggi la sua antichità e il suo esplicito riferimento alla trasformazione oggettiva dei dona in munera (secondo una tipica forma mentis della ritualità romana), del pane e vino in Corpo e Sangue di Cristo, nel momento in cui vengono offerti alla divinità mediante la secratio. L'antichità del Canone Romano è stata dimostrata da un suo frammento in greco presente nel papiro gr. 38 di Strasburgo, contenente il Te igitur (parte iniziale del Canone Romano). Considerato che la latinizzazione della chiesa di Roma avvenne tra il II e il III secolo, perché fino a prima si celebrava in greco, dobbiamo considerare questo frammento una testimonianza scritta di una tradizione orale di era probabilmente subapostolica.
L'antichità del Canone Romano è confermata dalle sue numerose citazioni nelle opere di Ambrogio, Agostino, Tertulliano e Zenone di Verona.
Anche la Lettera 63 di Cipriano di Cartagine (210-258), scritta contro gli acquariani, che per rigore ascetico celebravano l'eucaristia con pane e acqua anziché con pane e vino, attesta una teologica eucaristica che crede nella presenza del Corpo e del Sangue di Cristo nelle specie consacrate. C'è da dire che per Cipriano il celebrante agisce non in persona Christi ma vice Christi, ovvero in funzione di Cristo. E questo meriterebbe un approfondimento a parte.
Citiamo da ultimo, in maniera non esaustiva, tra i testimoni antichi della cristianità orientale, l'anafora di Addai e Mari, discepoli di Tommaso Apostolo, trasmessa ininterrottamente nelle chiese siro-orientali, cattoliche e ortodosse.
Questa anafora si contraddistingue perché non contiene le parole dell'Istituzione eucaristica in maniera completa, ma sparpagliate in diversi punti della preghiera rivolta a Dio Padre. In questa anafora è presente anche una epiclesi, invocazione dello Spirito Santo sul pane e sul vino, perché divengano il Corpo e Sangue di Cristo.
Concludendo, possiamo affermare che le controversie eucaristiche affondano le radici nell'occidente medievale e sono indice di una volontà di razionalizzazione del mistero. L'affermazione, prima storico-teologica e poi dogmatica, della dottrina della transustanziazione ha in qualche modo rinchiuso il mistero all'interno di categorie umane (razionalizzanti), ma è riuscita a mantenere salda la fede nella presenza oggettiva del Corpo e del Sangue di Cristo nel sacramento eucaristico; per contro, la risposta ad essa, principiata nel nono secolo e culminata con la Riforma protestante (che ha recuperato categorie altomedievali e non solo bibliche, influenzata anch'essa da una tendenza razionalizzatrice, sebbene di segno contrario) non è stata in grado di preservare l'antica dottrina - della tradizione liturgica di epoca patristica - sulla presenza reale di Cristo nell'eucaristia, con il suo corpo, sangue, anima e divinità.
I testimoni antichi della preghiera eucaristica, come il Canone Romano, non lasciano dubbi riguardo al fatto che il pane e il vino vengono santificati affinché diventino per noi il corpo e il sangue di Cristo (Quam oblationem). Se pure si volesse intravedere in quel per noi uno spazio per una interpretazione oggettiva-soggettiva, come postularono alcuni teologi in epoca altomedievale, interessati a dare una spiegazione razionale-simbolica del mistero, in nessun caso troviamo nelle testimonianze letterarie e liturgiche di epoca patristica l'idea di una comunione puramente spirituale con Cristo o l'idea che le specie eucaristiche siano dei meri segni su cui fare memoria, e non degli oggettivi strumenti di salvezza. Come direbbe il predicatore evangelico John Wesley (1703-1791) i sacramenti sono veri e propri mezzi di grazia (means of grace); egli aveva fede nella presenza reale di Cristo nell'eucarestia, probabilmente secondo la teologia anglicana (oggettiva-soggettiva) ma certamente diversa al punto di vista di Ratramno di Corbie, Berengario di Tours, Calvino e Zwingli. Così attesta la prima stanza del cinquantasettesimo dei suoi 166 inni eucaristici:
O the depth of love Divine,
Th' unfathomable grace!
Who shall say how bread and wine
God into man conveys!
How the bread His flesh impart,
How the wine transmits His blood,
Fills His faithful people's hearts
With all the life of God!
O profondità dell'amore divino,
grazia insondabile!
Chi può dire come il pane e il vino
convogliano Dio nell'uomo!
Come il pane conferisce la sua carne,
come il vino trasmette il suo sangue,
riempiendo il cuore dei suoi fedeli
con tutta la vita di Dio!
John Wesley (1703-1791) |
Rev. Dr. Luca Vona, Eremita