Il Rev. Dr. Luca Vona
Un evangelico nel Deserto

Ministro della Christian Universalist Association

giovedì 31 ottobre 2019

Matti e Santi. Rueiss e la tradizione degli Stolti per Cristo

La Chiesa copta ricorda oggi Rueiss, vagabondo di Dio e folle per Cristo. Nato attorno al 1334 in un villaggio del delta del Nilo da una famiglia di poveri contadini, fin da ragazzo il giovane Furayǧ dovette aiutare i genitori nel duro lavoro dei campi, aiutato da un piccolo cammello che egli chiamava Rueiss, «piccola testa». Allo scoppio di feroci persecuzioni contro i cristiani, il padre di Furayǧ rinnegò la fede. Il ragazzo fuggì, assunse il nomignolo che aveva dato al proprio cammello e visse da itinerante, nella povertà estrema e vagando per tutto l'Egitto. Per sfuggire alla stima che ovunque si attirava per la sua santità, Rueiss simulò la pazzia, si fece chiamare Tegi, «il matto», e cominciò a girare nudo e a rifiutarsi di parlare, anche quando veniva percosso e umiliato.

SAN RUEISS

Uomo di grande preghiera, «contemplatore di Dio», Rueiss morì il 21 bābah del 1404, pari al 18 ottobre del calendario giuliano, e fu sepolto nella piccola chiesa di San Mercurio, nella località chiamata Dayr al-Handaq. Tale chiesina fu restaurata nel 1937, e attorno ad essa sono sorti l'Istituto superiore di studi copti, la nuova sede del Patriarcato copto e la nuova cattedrale del Cairo. L'insediamento è denominato, in memoria dell'amato folle per Cristo, « Anba Rueiss».
A sottolineare l'importanza che il santo riveste nella devozione popolare della chiesa, il nome di Rueiss è stato inserito nel canone della liturgia eucaristica copta.

I Folli di Cristo nella tradizione dei Padri del Deserto e nella Chiesa Russa

La stoltezza in Cristo (in russo, юродство, jurodstvo), è una particolare forma di ascetismo presente nell'esperienza della Chiesa ortodossa.

Colui che intraprende tale via religiosa è chiamato юродивый (jurodivyj, plurale jurodivye), cioè stolto in Cristo, o pazzo di Dio. Gli stolti in Cristo sono asceti o monaci russi che abbandonano la sapienza umana per scegliere la "sapienza del cuore". Ancor oggi presenti sul territorio russo, si aggirano per le città vestiti di stracci, mortificando il corpo attraverso digiuni e lunghe veglie e dormendo all'aperto o nelle case di chi offre loro ospitalità.

Il loro comportamento differisce a seconda delle situazioni: se mentre sono in mezzo alla folla simulano pazzia e trattano a male parole chiunque, ricco o povero (credendo che approcciandosi in diversa maniera si allontanino dal volere di Dio), in privato sono calmi e assennati e non disdegnano di offrire aiuto, il più delle volte sotto forma di consiglio, a chi si rivolge loro.

Ritenuti dalle credenze popolari capaci di miracoli e di prevedere il futuro, sono trattati con il più profondo rispetto da ogni fascia sociale della popolazione e molto spesso venerati già in vita. In certi casi sono anche oggetto di pubblico disprezzo (quest'ultimo talvolta da essi ricercato come ulteriore mezzo di ascesi).

I modelli a cui gli stolti in Cristo si ispirano sono principalmente due e derivano entrambi dalle opere di San Paolo di Tarso, o attribuite ad esso, contenute nel Nuovo Testamento.

Lettera di San Paolo Apostolo ai Corinzi

Testo fondamentale per questa peculiare forma di ascetismo è la Prima Lettera di San Paolo Apostolo ai Corinzi, poiché in essa è contenuta una vera e propria dichiarazione di intenti, a cui tutti gli "Stolti" faranno riferimento nel corso della loro vita per giustificare la propria condotta:

«Noi siamo gli Stolti per la causa di Cristo, voi sapienti in Cristo; noi siamo deboli, ma voi forti; voi siete onorati, noi reietti. Fino a questo momento soffriamo la fame. la sete, la nudità, veniamo schiaffeggiati, andiamo vagando di luogo in luogo, ci affatichiamo con le nostre mani. Insultati benediciamo; perseguitati, sopportiamo; calunniati, confortiamo; siamo diventati come la spazzatura del mondo, il rifiuto di tutti, fino a oggi» (Prima lettera ai Corinzi, 4,10-13)

Attraverso l'ostentazione di una finta stoltezza, le persone che si richiamano a questo modello denunciano i limiti della sapienza e dell'intelletto umano partendo dallo stesso modello paolino. Appare in questo modo un vero e proprio mondo alla rovescia laddove, così come "Gesù annuncia la croce e con la croce [...] il suo modo assolutamente nuovo di essere re, un modo totalmente contrario alle aspettative della gente" (Papa Benedetto XVI, Catechesi 24 maggio 2006), così anche gli Stolti in Cristo, facendo leva su quello che può sembrare un paradosso, affermano tramite la propria stoltezza la fatuità di ogni tipo di ragionamento, di "logos", che basi il proprio esistere unicamente sulla razionalità umana.
Ed è in base a tale assunto che lo stesso Paolo, così come faranno gli asceti che si riferiranno alle sue parole, arriva ad affermare:

«Dio ha scelto ciò che nel mondo è stolto per confondere i sapienti, Dio ha scelto ciò che nel mondo è ignobile e disprezzato per ridurre al nulla le cose che sono» (Prima lettera ai Corinzi, 1,27-28

Lettera agli Ebrei

Seppur in misura ridotta rispetto all'esempio precedente, l'autore delinea il modello di vita aderente alla Stoltezza in Cristo nella Lettera agli Ebrei, laddove per dare un esempio sulla santità, racconta di uomini che nei tempi passati

«Vagavano coperti di pelli di pecora e di capra, bisognosi, tribolati, maltrattati - di loro il mondo non era degno! - tra i deserti, sui monti, tra le caverne e le spelonche della terra» (Lettera agli Ebrei, 11,37-38.)

Seppur tale modello di vita non faccia alcun riferimento alla pazzia e delinei una condotta molto simile a quella degli asceti che nei secoli successivi popoleranno il Deserto di Scete è indubbio che lo sradicamento ed il continuo vagare che l'autore descrive sia molto simile alla condotta posta in essere dai primi esponenti di Stolti in Cristo, come dimostra chiaramente la vita dei Santi Bessarione e Simeone di Edessa che per gran parte della loro vita vagarono in luoghi inospitali mortificando il proprio corpo e mostrandosi con difficoltà agli altri uomini).

Attraverso l'ostentazione di una finta stoltezza, le persone che si richiamano a questo modello denunciano i limiti della sapienza e dell'intelletto umano partendo dallo stesso modello paolino. Appare in questo modo un vero e proprio mondo alla rovescia laddove, così come "Gesù annuncia la croce e con la croce [...] il suo modo assolutamente nuovo di essere re, un modo totalmente contrario alle aspettative della gente" (Papa Benedetto XVI, Catechesi 24 maggio 2006), così anche gli Stolti in Cristo, facendo leva su quello che può sembrare un paradosso, affermano tramite la propria stoltezza la fatuità di ogni tipo di ragionamento, di "logos", che basi il proprio esistere unicamente sulla razionalità umana.
Ed è in base a tale assunto che lo stesso Paolo, così come faranno gli asceti che si riferiranno alle sue parole, arriva ad affermare:

«Dio ha scelto ciò che nel mondo è stolto per confondere i sapienti, Dio ha scelto ciò che nel mondo è ignobile e disprezzato per ridurre al nulla le cose che sono» (Prima lettera ai Corinzi, 1,27-28.)

Storia

Bacino mediterraneo

I primi esempi di Stolti in Cristo nella Storia cristiana possono essere individuati nel IV secolo in Egitto e successivamente, a partire dal VI secolo, nell'Impero bizantino. Qui questa tipologia di ascetismo inizierà ad interessare in maniera sempre più rilevante l'ambiente cittadino e gli Stolti, prima auto-relegatesi per lo più in luoghi deserti e inospitali, inizieranno a manifestare la propria follia a un numero sempre maggiore di persone. Le figure di Santi Stolti emerse in questo periodo storico, e in maniera particolare quelle di Simeone di Edessa e di Andrea di Costantinopoli, furono estremamente rilevanti per gli Jurodivyj russi, che sul loro esempio modelleranno il proprio modus agendi nei secoli successivi.

Russia

Dopo la caduta dell'Impero romano d'Oriente ad opera degli Ottomani il fenomeno ascetico in quanto tale scomparve nel bacino mediterraneo mentre si sviluppò nelle terre russe. Il primo e unico esempio di Stolto in Cristo nella Rus' di Kiev fu Isacco di Pečerska, monaco del Pečerska Lavra che nell'XI secolo ebbe il merito di esportare tale forma di ascetismo al di fuori dei confini dell'Impero bizantino.

La sua esperienza in tal senso, che giunse tuttavia solo in tarda età, non fu imitata da altri religiosi, almeno fino alla fine del XIII secolo quando fu reintrodotta in Russia da Procopio di Ustiug, mercante tedesco neoconvertito alla religione ortodossa. La Stoltezza in Cristo si svilupperà da allora principalmente nei territori settentrionali di quello che sarà l'Impero Russo, corrispondenti all'incirca alla parte europea della Russia odierna. A livello storico è possibile distinguere due periodi di sviluppo di questo fenomeno ascetico:

La stoltezza nelle città

In Russia tale movimento ascetico ebbe il proprio inizio nelle città: due furono i luoghi dove il fenomeno si manifestava pienamente: la chiesa e la piazza. Nella prima lo Stolto era solito ritirarsi, sovente in solitudine, in preghiera, nella seconda svolgeva invece la propria vita sociale, fatta sì di pazzia simulata ma anche di carità verso quelle persone che, pur non avendo scelto la povertà tramite un proprio atto volitivo, erano ad essa soggiogate.

Caratteristica comune a tutti gli Jurodivyj era infatti un'estrema attenzione agli strati più bassi e bisognosi della popolazione, visti non come "massa" ma come una pluralità di individui ognuno dei quali aveva bisogno di un'attenzione particolare: per questo (e per la consapevolezza che la giustizia sociale non è di questa terra) lo Stolto non lancia mai proclami politici, ma cerca invece di essere di costante aiuto alla moltitudine di individualità che incontra, alle volte dividendo con il povero il cibo stesso che gli era stato donato in carità. Ritenuti dalle credenze popolari capaci di miracoli e di prevedere il futuro, godevano inoltre di uno status particolare che permetteva loro di esprimersi come meglio credevano persino con le più alte cariche dello Stato senza che potesse venir loro inflitta punizione alcuna.

Esemplare a tal proposito fu il rapporto che si instaurò tra Ivan il Terribile e lo Stolto San Basilio il Benedetto, il quale non esitava ad ogni piè sospinto a giudicare pubblicamente ed inveire nei confronti dello zar davanti alla sua stessa persona; Ivan, passato alla storia come "il Terribile" per il modo in cui trattò e uccise i propri avversari politici, non solo non prese alcun provvedimento nei confronti dello Stolto ma corse al suo capezzale poco prima che questi morisse, giungendo infine a trasportarne la bara durante il funerale. In piazza così come in chiesa tuttavia il comportamento imprevedibile dello stolto ed il rispetto di cui godeva, iniziarono a risultare sgraditi a quella parte della classe dirigente russa che nel XVIII secolo mirava a un riammodernamento del tessuto sociale.

Proprio nel tentativo di europeizzare la cultura del Paese, nel 1721 Pietro il Grande sostituì il Patriarcato di Mosca con un sinodo che, nel 1722, emanò un decreto in cui, dipingendo gli Stolti come degli ipocriti, veniva dato mandato alla polizia di arrestare chiunque fosse stato sorpreso a "simulare" in tal modo la propria fede nei luoghi pubblici, provvedendo all'incarcerazione o alla detenzione forzata in un monastero.

Tuttavia, malgrado le resistenze iniziali da parte della polizia zarista, grande risonanza ebbe per molti decenni del secolo la stolta Ksenija di Pietroburgo, tanto da essere venerata già in vita come santa e persona capace di compiere miracoli o profetizzare il futuro. Ksenija è stata poi canonizzata dalla Chiesa ortodossa russa.

La stoltezza nelle campagne

A causa di tale decreto e dei molti dello stesso tenore che si susseguiranno fino al ripristino del Patriarcato (avvenuto nel 1917) il fenomeno degli Stolti in Cristo conobbe una radicale trasformazione: riducendosi drasticamente dalle città più grandi si trasferì nelle campagne, dove il potere del Sinodo era meno forte. Allo stesso modo la presenza maschile, quasi totalitaria prima del 1722, lasciò campo a quella femminile.

Quest'ultima tendenza può essere spiegata con l'ipotesi che l'opinione pubblica, soprattutto nelle campagne, mal avrebbe sopportato una repressione della religiosità femminile. Tale sentimento, diffuso non solo nella popolazione rurale, fu tenuto in conto anche dal regime sovietico che, pur cercando di soffocare il sentimento religioso della popolazione, non riuscì ad impedire alle sante stolte di vivere nell'ascetismo, come è dimostrazione la vita di Matrona la Cieca.

Celebri Stolti in Cristo

Bessarione di Egitto

Bessarione (IV secolo – V secolo) è stato un monaco cristiano egiziano vissuto intorno al IV - V secolo in Egitto, peregrinando nel Deserto di Scete (o Nitria), uno dei luoghi più inospitali della regione.
Padre del deserto, è venerato come santo dalla Chiesa copta, cattolica e ortodossa, che lo ricordano rispettivamente il 6 e il 17 giugno.

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Gran parte di quello che sappiamo sulla vita del santo ci è stato tramandato dalla raccolta dei Detti dei Padri del deserto. Battezzato durante la sua adolescenza partì in peregrinazione verso i luoghi sacri. Visitò nell'entroterra giordano alcuni monasteri skiti e assimilò dal suo viaggio le leggi della vita monastica.
Al suo ritorno ricevette la tonsura monastica e diventò discepolo di Sant'Isidoro di Pelusium. Da allora iniziò la sua vita di Stolto in Cristo, così come erano chiamati coloro che sceglievano di vivere la propria fede simulando la pazzia, in miseria e disprezzando il proprio corpo per poter meglio partecipare alla passione di Gesù, e di cui Bessarione è ritenuto il primo esponente nella storia. Secondo la sua agiografia scelse infatti di disprezzare il proprio corpo rimanendo sempre all'aperto, vestito solo di pochi stracci e incurante del caldo e del freddo. Mangiava solo una volta alla settimana, passava il proprio tempo vagabondando in vaste regioni inospitali e sabbiose dormendo sempre sotto la volta del cielo e mai sdraiato ma sempre in piedi o seduto. Una leggenda racconta che una volta rimase per quaranta giorni e quaranta notti in preghiera, astenendosi dal mangiare e dormire. Morì in età avanzata.

I Detti raccontano che Bessarione avrebbe ricevuto da Dio il dono di compiere miracoli e avrebbe utilizzato tale facoltà per dissetare i suoi discepoli assetati facendo con la sola sua preghiera sgorgare fiumi nelle terre desolate da lui abitate.

Si racconta che la sua umiltà fosse talmente grande che una volta, mentre visitava uno Skita, vedendo un sacerdote che scacciava un novizio colto in peccato fosse accorso verso i due esclamando "Anch'io sono un peccatore". Il suo nome è in alcuni casi sostituito a quello di san Pafnuzio nella leggenda della conversione di santa Taide.

Simeone di Edessa

Simeone di Edessa, detto anche San Simeone Salos, cioè Stolto (Emesa, ... – Emesa, 550), è stato un monaco cristiano siriano, venerato come santo dalla Chiesa ortodossa e da quella cattolica.


Nato da una famiglia agiata di Emesa, l'odierna Homs, visse fino all'età di trent'anni insieme con la propria madre, che lasciò solo per compiere, insieme all'amico d'infanzia Giovanni, un pellegrinaggio a Gerusalemme in occasione della festa dell'Esaltazione della Croce. Le sue agiografie, contenute nelle opere Storia ecclesiastica di Evagrio Scolastico e Symeonis Salis Confessoris del vescovo di Limisso di Cipro Leonzio di Neapoli, narrano che i due compagni dopo che sulla via del ritorno avevano visitato alcuni monasteri sul fiume Giordano, decisero di dedicarsi interamente alla vita monacale.

In poco tempo furono consacrati monaci ma, essendo desiderio di Simeone dedicarsi interamente alla vita ascetica nel deserto, abbandonarono il monastero ove erano stati ordinati.

Dopo 29 anni vissuti in contemplazione nel deserto Simeone tornò solo nella propria città natale, ove condusse la vita di "Stolto in Cristo", così come erano chiamati coloro i quali, fingendo pazzia e sottoponendosi ad ogni sorta di penitenza, credevano di avvicinarsi alle sofferenze patite da Gesù nel Calvario. La sua vita in città non fu priva di aneddoti curiosi e significativi, così come ci racconta Evagrio Scolastico nella sua opera. Apparendo a tutti "in uno stato alterato" non salutava chi incontrava, scappando se qualcuno gli rivolgeva la parola nella convinzione che questi "volesse rubare la sua virtù".

A causa di tali comportamenti era spesso visto in cattiva luce dalla popolazione locale la quale, fuggendo Simeone dalla compagnia degli altri, non poteva sapere se e quando il monaco pregava Dio o digiunava, tanto più che questi non era avulso dall'introdursi furtivamente nelle locande per mangiare tutto ciò che gli si parava davanti.

Vi era tuttavia una stretta cerchia di persone con la quale Simeone si mostrava sincero e affabile.
Tra questi vi era una serva la quale, rimasta incinta, incolpò Simeone del suo stato. Il santo, come ci racconta la Storia ecclesiastica, non fece nulla per contraddirla, affermando anzi con le persone che incontrava che era successo proprio quanto si raccontava poiché "la carne era debole". Solamente quando giunse il parto e alcuni familiari della serva si rivolsero a lui perché vi erano complicanze e volevano che il monaco pregasse per la salute della partoriente che il santo rivelò che la donna non riusciva a sgravarsi solo e unicamente perché non aveva rivelato il nome del padre del nascituro. Quando finalmente lo rivelò, secondo le fonti agiografiche, anche il bambino nacque.
Si racconta che vi fu grande scandalo per Edessa quando il santo fu sorpreso ad introdursi negli alloggi di una prostituta. Interrogata la donna rivelò che Simeone si era recato in casa sua per donarle da mangiare, essendo più di tre giorni che la stessa era rimasta malata e senza cibo, mostrando nel contempo i resti dei cibi che le erano stati portati.
Leggenda vuole che poco prima di un terremoto il monaco iniziò a colpire con una frusta le colonne presenti nel foro gridando "Voi state; voi dovete saltare". Alcuni testimoni presenti al fatto, conoscendo le virtù profetiche del santo, segnarono le colonne indicate le quali, dopo il terremoto, furono le uniche a rimanere erette.
La sua memoria liturgica cade il 21 luglio.

Andrea di Costantinopoli

Andrea di Costantinopoli (IX secolo – 936) è stato un asceta bizantino, considerato santo dalle Chiese ortodosse; il suo appellativo Stolto in Cristo sta ad indicare coloro che, simulando la pazzia, vivendo della carità e disprezzando il proprio corpo erano convinti di partecipare più attivamente alla passione di Gesù.

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Slavo di nascita, fu venduto in giovinezza come schiavo a Teognosto, un ricco mercante di Costantinopoli, ai tempi dell'imperatore Leone il Saggio. Istruito dal suo padrone nella lettura e nella scrittura, secondo le fonti agiografiche sulla sua vita, Andrea iniziò a pregare ferventemente e con grande devozione fino a che, obbedendo alla visione di un angelo, che dopo averlo benedetto gli diceva «noi siamo folli per l'amore di Dio», decise di dedicarsi totalmente ad una vita ascetica.

Le sue Vite narrano che un giorno, mandato dal suo padrone a prendere l'acqua da un pozzo, preso da frenesia, fu visto spogliarsi dei suoi vestiti e farli a pezzi. Riferita questa vicenda a Teognosto, questi decise di ridurlo in catene e trasportarlo fino alla Chiesa di Sant'Anastasia perché venisse curato dalle preghiere del clero. Non portando tale condotta a nessun risultato concreto e anzi continuando Andrea a dimenarsi e a strapparsi di dosso le vesti (secondo le agiografie del Santo incoraggiato in questo da una visione di Sant'Anastasia stessa), fu considerato pazzo dal suo padrone e, poiché non era più di nessuna utilità, fu lasciato libero di andarsene dalla casa padronale.
Trascorse così la sua vita simulando la pazzia di giorno e trascorrendo notti intere in preghiera senza un tetto e senza dormire, vivendo dell'elemosina che gli era concessa. Fonti agiografiche narrano che dividesse poi quest'ultima con gli altri postulanti, riservando per sé stesso solo un misero pezzo di pane.
Ritenuto santo già in vita dalla popolazione di Costantinopoli, poiché lo si riteneva capace di visioni mistiche e profetiche, morì dopo una vita trascorsa nel più rigoroso ascetismo.
È venerato come santo dalle Chiese ortodosse che lo ricordano il 15 ottobre (2 ottobre per il calendario giuliano).
Le sue Vite furono portate fino in Russia dove ebbero un ruolo importante nell'affermazione del movimento dei "folli in Cristo" che in quel paese perdurerà fino in epoca moderna.
È venerato come santo dalle Chiese ortodosse che lo ricordano il 15 ottobre (2 ottobre per il calendario giuliano).

Isacco di Pečerska

Isacco di Pečerska, al secolo Čern (... – Monastero delle grotte di Kiev, 1090), è stato un monaco cristiano ucraino. È venerato come santo dalla Chiesa ortodossa russa che lo ricorda il 14 febbraio.
Le sue agiografie, in larga parte rielaborazione dei testi tramandatici da Nestor di Pečerska, raccontano provenisse da una famiglia agiata di Pskov e che, prima di dedicarsi alla vita monastica, fosse stato un ricco mercante. Lasciati tutti i suoi beni ai poveri si recò a Kiev, nel neo-costituito Monastero delle grotte di Kiev, ove fu ordinato monaco da Antonio di Pečerska.

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Scelse la via monastica dell'eremita, installandosi in una grotta lontana da quella degli altri monaci e avendo pochissimi contatti con gli stessi. Rimanendo sempre in reclusione, mangiava solo un piccolo pezzo di pane alla fine della giornata, centellinando anche l'acqua. Dopo sette anni di eremitismo le sue agiografie raccontano che fu tentato dal diavolo il quale lo trasse in inganno presentandosi ai suoi occhi come Gesù Cristo. Scoperto l'inganno si ammalò gravemente e sopravvisse solo grazie alle cure costanti che Antonio e Teodosio di Pečerska prodigavano verso di lui. Solo dopo tre anni tornò a parlare e a camminare. Durante la sua guarigione, resosi conto dell'errore che aveva commesso fidandosi del maligno, espresse più volte il desiderio di non presenziare alle funzioni religiose per vergogna, ma fu trasportato a queste con la forza dagli altri monaci.

Una volta rimessosi in forze iniziò la vita di "Stolto in Cristo", così com'erano chiamati coloro i quali simulando pazzia, vivendo in povertà e pregando incessantemente ritenevano di poter prendere parte alla Passione di Gesù. Viene a tal proposito ritenuto il primo rappresentante di questo movimento in Russia e l'unico nella Rus' di Kiev. Secondo le agiografie del santo i suoi comportamenti mutarono profondamente rispetto a prima della malattia: iniziò a vagare per il monastero parodiando e ingiuriando le persone che incontrava e, più di una volta, tali comportamenti causarono l'ira dell'egumeno e degli altri monaci, che non esitavano a punirlo picchiandolo duramente. Alla morte di Antonio andò a rifugiarsi nella grotta di quest'ultimo, dove, secondo il materiale agiografico pervenutoci, fu di nuovo tentato dal maligno, a cui sfuggì grazie alla continua preghiera e alla nuova consapevolezza della sua fede. Si spense nel 1090.

Basilio il Benedetto

Basilio il Benedetto, noto anche come Vasily Blazhenny, o "Basilio stolto in Cristo", in russo: Василий Блаженный (Elochovo, dicembre 1468 – Mosca, 2 agosto 1552 o 1557) fu uno Stolto in Cristo ed è venerato dalla Chiesa ortodossa russa.

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Nato in un villaggio di contadini vicino a Mosca, fu affidato fin dall'infanzia come apprendista a un calzolaio, adottò già in gioventù un modello di vita eccentrico che lo spingeva a rubare nei negozi donando poi la refurtiva ai poveri di Mosca. Iniziò quindi a girare per le strade nudo e legato a delle catene, passando la notte in preghiera sotto i portici delle chiese, pur accettando alle volte l'ospitalità della vedova boiara Stefanida Jurlova.
Sentiva come propria la missione di aiutare i poveri e ricondurli alla fede: per questo preferiva la compagnia dei mendicanti e degli esclusi, arrivando a visitare periodicamente i reclusi di una prigione per ubriachi presente a Mosca per parlare con loro e cercare di convincerli a cambiar vita.
A chi lo interpellava si fingeva muto o, nel migliore dei casi, balbettante ma, come ci raccontano le descrizioni della sua vita contenute nei sinassari, non esitava a rimproverare ad alta voce i boiari ingiusti quando lo riteneva opportuno. Le numerose tradizioni sul suo conto, quali, ad esempio, quelle contenute nel Sinassario dei santi ortodossi, ci raccontano molti episodi riguardo alla sua vita: durante il giorno passava la maggior parte del suo tempo a tirare sassi sui muri delle case dove vivevano persone pie, perché abbracciati ad esse vedeva diavoli che cercavano di entrare, e ad abbracciare invece le case dove vivevano i boiardi e le persone malvagie, perché sosteneva che presso i loro muri rimanessero gli angeli che i peccatori avevano cacciato dalle proprie vite.

Si spense il 2 agosto 1552, attorniato dalla famiglia reale che gli aveva in vita manifestato una devozione così profonda che, come narrano le biografie di Ivan il Terribile, il giorno del suo funerale lo zar volle trasportare per una parte del tragitto la bara del santo, nonostante quest'ultimo lo avesse sempre rimproverato apertamente in vita per la sua politica sanguinaria.
È sepolto nella cattedrale di San Basilio a Mosca, commissionata da Ivan il Terribile. Ulteriore testimonianza della venerazione della famiglia reale che in passato, il 2 agosto, aveva come usanza quella di partecipare alla messa in sua commemorazione.
Tra i numerosi miracoli che vengono attribuiti al santo dai sinassari e dalle numerose Vitae a lui dedicate vi sono i seguenti:

Si narra che a sedici anni, mentre ancora svolgeva il compito di apprendista da un calzolaio, alla richiesta di un ricco cliente che aveva ordinato un gran quantitativo di scarpe fosse d'un tratto scoppiato a ridere. Alla dura reprimenda del proprio datore di lavoro, che gli chiedeva la causa del suo comportamento inqualificabile, rispose che gli era sembrato buffo che un uomo che sarebbe morto il giorno dopo avesse ordinato una quantità di scarpe sufficiente per svariati anni: quando la profezia si avverò Basilio abbandonò il proprio lavoro e iniziò la sua vita di "Stolto in Cristo". La vicenda ispirò peraltro il racconto Cosa fa vivere gli uomini di Lev Tolstoj.
Durante la sua vita pose in essere comportamenti che potevano essere scambiati per quelli di un pazzo ma che in realtà, secondo le tradizioni pervenuteci, avevano tutti una ragione di fondo, suggerita dal suo istinto profetico: una volta rovesciò le bancarelle del mercato di tutti gli alimenti accettando poi con gioia le violenze dei venditori. Si scoprì in seguito che sia il cibo che il Kvas venduto da quelle bancarelle erano adulterati. Un'altra volta si scagliò contro l'immagine della Madonna portata in processione presso la porta di Santa Barbara scrostandola e scoprendo sotto di essa la raffigurazione di un demonio;
Lo zar Ivan il Terribile, venuto a conoscenza della presenza di Basilio per le strade di Mosca volle tentarlo donandogli una discreta quantità d'oro per poi farlo seguire e verificare che lo donasse effettivamente ai poveri: le guardie che lo avevano pedinato riferirono invece allo zar che le aveva regalate a un boiaro vestito con abiti sontuosi. Chiese allora di persona a Basilio il perché di tale comportamento e questi gli rispose che il boiaro in questione aveva perso tutte le sue ricchezze nel naufragio di una nave, che quei vestiti erano le uniche cose che gli rimanevano e che si vergognava a chiedere in prestito ad altri;
Invitato a corte lo zar lo sorprese a gettare vino dalla finestra: chieste spiegazioni Basilio rispose che stava spegnendo un incendio a Novgorod. Tempo dopo lo zar venne a sapere che un focolaio di incendio si era effettivamente manifestato quel giorno ma che non si era potuto propagare perché un uomo nudo, che gli emissari del sovrano riconobbero in Basilio, era passato in mezzo alle case a gettarvi acque e estinguerlo;
Durante una funzione religiosa rimproverò Ivan il terribile di non prestare la dovuta attenzione essendo troppo impegnato a pensare al nuovo palazzo che aveva intenzione di erigere sul monte dei Passeri: si narra che da quell'episodio il sovrano iniziò a temere il santo, che era stato capace di leggergli nella mente, e a manifestare verso di lui un rispetto ancora più grande;
Nel 1547 Basilio fu visto disperarsi nei pressi della Chiesa del Monastero dell'Esaltazione della Santa Croce, punto da cui, alcuni giorni dopo, ebbe inizio un incendio che devastò Mosca.

Ksenija di Pietroburgo

Ksenija Grigor'evna Petrova, Святая блаженная Ксения Петербургская (1719/1730 – 1803), è stata una religiosa russa, "Stolta in Cristo" vissuta nel XVIII secolo a San Pietroburgo (allora Pietroburgo) durante il regno delle imperatrici Elisabetta e Caterina e venerata come santa dalla Chiesa ortodossa russa.

«Qui giace la serva di Dio Ksenija Grigorievna, moglie del colonnello Andrea Fedorovič, cantore del coro imperiale. Rimasta senza marito all'età di 26 anni ha vagabondato per 45 anni. È vissuta 71 anni e si faceva chiamare Andrea Fedorovič» (Iscrizione commemorativa sul sepolcro di Ksenija , San Pietroburgo)

La sua vita viene narrata con dovizia di particolari nell'opera Raba Božia Ksenija, agiografia della santa redatta nel 1895 da Dimitrij Bulgakovskij. Poco si sa sulle sue origini e sui primi anni della sua vita. Sposata con un ufficiale dell'esercito, il Maggiore Andrej Fëdorovič Petrov, rimase vedova all'età di 26 anni dopo la morte di quest'ultimo, stroncato in una festa dall'eccessivo alcool assunto. Le sue agiografie ci narrano che, sconvolta dal dolore per la prematura perdita e dal fatto che il marito fosse morto repentinamente senza aver avuto il tempo di confessarsi e comunicarsi, perse ogni interesse per la vita materiale e decise di seguire il cammino degli "Stolti in Cristo", così come erano chiamati coloro che, seguendo la lettera evangelica (Prima lettera ai Corinti 1:18-24, 2:14, 3:18-19) vivevano di carità vagabondando per le strade e disprezzando il proprio corpo, credendo in tal modo di prendere parte alla Passione di Cristo.

Iniziò così a vestirsi con gli abiti del marito, insistendo nel farsi chiamare Andrej Fëdorovič e ripetendo a chi incontrava che era Ksenija ad essere deceduta e non suo marito. Quando iniziò a distribuire le proprie case e i propri possedimenti ai poveri i suoi parenti si rivolsero alle autorità le quali la giudicarono tuttavia capace di intendere e di volere e di disporre come meglio gradiva dei propri averi, permettendo quindi alla stessa di regalare tutto quello che aveva. Iniziò in tal modo a vagabondare sola per le strade di San Pietroburgo, senza avere un posto dove ripararsi dal freddo e dalle intemperie e rifiutando sdegnosamente ogni offerta di aiuto da parte dei parenti che avevano cercato di farla interdire.

Quando l'uniforme rosso-verde di suo marito iniziò ad andare in pezzi, si vestì con degli stracci dello stesso colore. Poco dopo l'inizio della sua nuova vita lasciò Pietroburgo per 8 anni, viaggiando per la Russia al fine di ottenere istruzioni su come meglio indirizzare la propria vita spirituale dagli eremiti e dagli asceti cui faceva visita. Pare che un giorno, incontrando Teodoro di Sanaxar (commemorato il 19 febbraio), questi le avesse rivelato come la sua decisione di lasciare la vita militare (era infatti anch'egli un ufficiale dell'esercito russo) fosse dovuta allo shock di avere assistito alla morte, durante una festa a Pietroburgo, di un militare, che Ksenija credette dalla sua descrizione fosse stato il marito. Tale evento è descritto nelle agiografie di entrambi i santi.

Ritornata a Pietroburgo dovette sopportare inizialmente il disprezzo e gli insulti dei suoi concittadini per i suoi strani comportamenti. Il poco che riceveva di carità lo donava agli altri poveri e ogni notte la passava in veglia e in preghiera in un campo poco distante dalla città. Tale sua abitudine attirò ben presto le attenzioni della polizia zarista la quale, allarmata dal comportamento di Ksenija, investigò sulle sue occupazioni, permettendo infine alla stessa di continuare a vivere come meglio riteneva opportuno.

Presto la sua vita virtuosa iniziò tuttavia ad essere notata dagli abitanti della città che cominciarono a considerarla, seppur contro la sua volontà, una donna pia e capace di miracoli. Profetizzò alcuni eventi riguardanti la vita della città e persino della stessa famiglia reale e, all'avverarsi di queste profezie, iniziò ad essere visitata da un gran numero di persone.

Ksenija sopravvisse circa 45 anni dopo la morte del marito e spirò, probabilmente intorno al 1803, all'età di 71 anni. Fu sepolta nel cimitero pietroburghese di Smolensk.

Negli anni venti del XIX secolo la fama della santa aveva raggiunto picchi così alti che centinaia di persone arrivavano giornalmente a pregare sulla sua tomba, sopra cui, verso la metà del secolo, fu costruita una cappella.

Credenza popolare vuole che chi preghi in questa cappella possa ricevere guarigioni miracolose e possa essere liberato dalle proprie afflizioni. In Russia è inoltre patrona di coloro che cercano lavoro, degli sposi, dei vagabondi e dei bambini sperduti. Viene anche invocata contro gli incendi[2]. Glorificata dalla Chiesa ortodossa russa il 6 febbraio 1988, considerata una dei santi patroni della città di San Pietroburgo, è ricordata il 24 gennaio del calendario giuliano (6 febbraio di quello gregoriano).

Numerose leggende devozionali sono attribuite alla santa dalla Raba Božia Ksenija, di cui di seguito si elencano le più significative.

Dopo la morte della santa le sue apparizioni e i miracoli a lei attribuiti dalla devozione popolare, lungi dal diminuire, si fecero sempre più frequenti, come dimostrano gli aneddoti di seguito elencati, tratti dall'agiografia precedentemente citata e dal Russkaja Starina, periodico russo redatto alla fine del XIX secolo.

Una proprietaria fondiaria di Pskov, venuta a conoscenza da un'amica della capitale della vita di Ksenija e dei miracoli che a lei erano attribuiti, pregava tutte le sere la santa affinché la proteggesse. Una notte sognò quest'ultima che, vestita dei suoi tipici stracci rosso-verdi, girava intorno alla sua casa aspergendola d'acqua. La mattina dopo un fienile si incendiò a pochi metri dall'abitazione: proprio quando il fuoco aveva iniziato a lambire la casa questo si estinse senza l'intervento di nessuno.
Una pia nonché facoltosa donna della capitale, rimasta vedova, commissionò la costruzione di una cappella votiva sopra la tomba della santa, all'interno della quale era solita pregare affinché la sua unica figlia trovasse marito. Un giorno i suoi desideri sembrarono avverarsi poiché un colonnello dell'esercito imperiale, giunto in città, si era invaghito della giovane donna e l'aveva chiesta in sposa alla madre che vi aveva acconsentito. La giovane non aveva tuttavia intenzione di sposarsi con il militare ma, poiché era stata costretta dalla madre ad accettarne la corte, passava le giornate piangendo presso la cappella votiva e pregando disperata Ksenija. La vigilia delle nozze, essendosi recato alla tesoreria statale per ritirare dei rubli che gli spettavano per il servizio militare, il colonnello incontrò una guardia che, dopo averlo osservato riconobbe in lui un forzato fuggito dalla deportazione in Siberia. Arrestato il finto colonnello raccontò di come aveva preso il posto del vero graduato, uccidendolo dopo che questi si era offerto di trasportarlo sulla propria carrozza. L'evaso fu giustiziato mentre le due donne ringraziarono con ferventi preghiere Ksenija per averle liberate da tale individuo.
A proposito della venerazione della santa come patrona di chi cerca lavoro, sono innumerevoli le leggende agiografiche che raccontano di come persone giovani e anziane giunte a Pietroburgo alla ricerca di un impiego come dottori o funzionari statali, avessero ottenuto il posto agognato dopo aver pregato fervidamente presso le spoglie della santa e, a volte, dopo aver fatto celebrare una messa in suffragio per la stessa.
La granduchessa Ksenija Romanof, ultima della famiglia degli zar, fu chiamata Ksenija in onore della santa. La leggenda racconta infatti che, quando suo padre, lo zar Alessandro III, era gravemente malato, santa Ksenija apparve in sogno alla moglie dello zar, annunciandole la guarigione di Alessandro e la nascita di una bambina. Quando la profezia del sogno si avverò, alla bambina fu posto il nome di Xenia. Fu poi l'unica della famiglia a sfuggire alla condanna a morte da parte dei comunisti, rifugiandosi alla corte reale di Londra.

Viene narrato che Ksenija fosse di una mansuetudine proverbiale: niente riusciva a farle perdere la calma. Una sola volta i cittadini di San Pietroburgo la videro infuriarsi dopo che un gruppo di ragazzini avevano approfittato della condizione della santa per farle un pesante scherzo. In quell'occasione Ksenija perse le staffe e si mise ad inseguire la banda di ragazzi brandendo il suo bastone a mo' di minaccia e gridando loro contro "Caini, Giuda!". La venerazione degli abitanti della città per Ksenija fu tale che tutti i ragazzini che quel giorno l'avevano ingiuriata furono processati e puniti a vergate davanti alla stessa.
Le doti di chiaroveggente della santa si palesarono innumerevoli volte. L'aneddoto più famoso è forse è quello che la vede apostrofare la figlia di una sua conoscente con le parole "Tu, qua, stai bevendo il caffè, mentre tuo marito nell'Otha sta seppellendo sua moglie". Spaventate ma incuriosite dalle parole della Stolta, la ragazza e la madre si recarono nel quartiere di Pietroburgo indicato loro dalla santa, dove assistettero alla conclusione del funerale di una giovane donna. Poche settimane dopo la ragazza a cui Ksenija aveva rivolto tali parole sibilline, ne avrebbe sposato il vedovo.
Secondo la leggenda, Ksenija ebbe prima di morire la visione di suo marito insieme a lei per sempre in paradiso. Con questo si voleva mostrare che la vita di sacrificio di Ksenija per amore del marito morto fosse stata davvero efficace per la salvezza dell'anima di entrambi.

Matrona la Cieca

Matrona (1885 – 1952) è una santa moscovita venerata dalla Chiesa ortodossa russa che la ricorda il 19 aprile.

Le fonti sulla sua vita sono state raccolte nel 2002 nell'opera Matrona Moskovskaja. Provest'. La sua Vita racconta che Matrona nacque con gravi deformazioni fisiche da una famiglia di contadini dell'Oblast' di Tula. Venne infatti al mondo senza occhi, con le cavità orbitali chiuse strettamente dalle palpebre. Fin da piccola evitò il contatto con i suoi coetanei, che più di una volta la maltrattarono picchiandola e buttandola dentro a una fossa per il solo divertimento di vedere come riusciva a uscire; parlava invece volentieri con le persone adulte, in particolar modo con la madre. Dopo che compì gli otto anni venne reputata capace di chiaroveggenza e di guarigioni miracolose. In giovinezza compì, insieme a una propria amica che l'aveva cara e che era figlia di un ricco proprietario terriero, un pellegrinaggio per i luoghi sacri della Russia.

Durante la Rivoluzione russa i fratelli di Matrona diventarono bolscevichi e furono tra i più attivi nella campagna di collettivizzazione delle terre e di lotta contro la chiesa ortodossa russa, tanto che Matrona, scacciata dagli stessi e nonostante l'aggravarsi delle condizioni di salute che l'avevano resa incapace di muoversi autonomamente, fu costretta ad abbandonare la casa dove era nata. Trasferitasi nel 1925 a Mosca, continuò in quella città la vita ascetica che aveva intrapreso, decidendo di diventare Stolta in Cristo - così erano chiamati coloro che, seguendo la lettera evangelica (Prima lettera ai Corinti 1:18-24, 2:14, 3:18-19), vivevano di carità simulando pazzia, disprezzando il proprio corpo e credendo in tal modo di prendere parte alla Passione di Cristo. Fu costretta dal regime comunista, a causa della fede che testimoniava e della mancanza di documenti di registrazione validi, a spostarsi molto spesso per sfuggire all'arresto.

Durante il soggiorno di Mosca le vennero attribuiti molti miracoli, tanto che si rivolgevano a Matrona persone di tutti i ceti. Morì il 2 maggio 1952. Dopo la sua morte la sua tomba, nel monastero di San Daniele, fu meta di pellegrinaggi devozionali. Canonizzata nel 1999, le sue reliquie riposano oggi nella Chiesa dell'Intercessione.

La Vita della santa contiene un numero innumerevole di leggende e miracoli, dei quali segue una breve lista:

Si narra che la madre di Matrona, dopo la nascita di quest'ultima si fosse opposta ai vicini che pensavano che la nascitura avrebbe dovuto essere abbandonata in un orfanotrofio, reputandola non in grado di sopravvivere a lungo. La genitrice decise di non attuare tale proposito dopo aver sognato una colomba con il volto della figlia che le si posava sul braccio destro;
si racconta che dei prodigi si fossero verificati durante il battesimo della santa quando i presenti e il prete officiante osservarono un raggio di luce che, filtrando dalle vetrate della chiesa, si spostò rapidamente all'interno della stessa fino colpire con intensità il corpo della bambina;
Matrona sarebbe stata dotata del dono della chiaroveggenza. Una volta mentre stava spennando una gallina con la propria madre esclamò "Così spenneranno il nostro zar!" prevedendo così la rivoluzione d'Ottobre e l'esecuzione della famiglia reale. In un altro episodio viene raccontato come alcuni mesi prima dell'invasione nazista della Russia abbia così predetto: "Mentre voi continuate a litigare la guerra è prossima a scoppiare. Un gran numero di uomini morirà, ma alla fine a prevalere sarà il popolo russo;
La persecuzione del regime sovietico nei confronti di coloro che testimoniavano attivamente la propria fede religiosa o erano dei cittadini "irregolari" è testimoniata in due aneddoti relativi ai miracoli della santa. Nel primo una guardia, scoperto il nascondiglio di Matrona e avendola trovata senza documenti validi e quindi passibile di essere incriminata in base alle leggi russe del tempo, fu convinto dalla stessa a tornare nella propria abitazione, poiché gli era stata paventata una grave disgrazia. Il poliziotto, rassicurato anche dal fatto che nelle condizioni in cui era Matrona non sarebbe mai riuscita a fuggire, prese la propria vettura e corse a casa, arrivando poco dopo l'esplosione del fornello a petrolio che usava per scaldare i cibi. Trovando la propria moglie priva di sensi la portò speditamente in ospedale. Qui medici lo rincuorarono sulle condizioni della consorte, avvisandolo tuttavia che questa sarebbe di certo deceduta se solo non fosse riuscito a soccorrerla così velocemente. Grato a Matrona il poliziotto non solo desistette dall'arrestarla di persona ma convinse addirittura il capo della polizia a non provvedere all'incriminazione. Un secondo aneddoto, sempre relativo al periodo moscovita della santa, narra di come questa avesse senza giustificazione alcuna rifiutato l'ospitalità di una sua conoscente. Solamente dopo che questa fu arrestata e deportata in Siberia, rivelò che la sua presenza nella casa di questa non avrebbe fatto altro che aggravare la pena tanto da non permetterle più di ritornare dal confino viva, come invece fece in quell'occasione.
Durante il suo pellegrinaggio ebbe luogo di visitare la cittadina di Kronstadt e di assistere ad una funzione officiata dal sacerdote Giovanni parroco della cattedrale di Sant'Andrea. Questi nel bel mezzo del servizio liturgico, scese dall'altare, si avvicinò a Matrona e la indicò come "l'ottava colonna dell'Ortodossia in Russia" volendo sottolineare in tal modo i servizi che la santa avrebbe reso alla comunità dei fedeli durante il regime sovietico. Si narra che, mentre Matrona si trovava a Mosca, si fosse rivolta a lei una nobildonna del luogo la quale le aveva chiesto aiuto per curare suo figlio, malato di una malattia mentale e rinchiuso in un ospedale psichiatrico. La santa allora, dopo aver preso un'ampolla d'acqua ed aver pregato ad alta voce, ordinò alla donna di bagnare con quell'acqua gli occhi e il viso del figlio. Una volta entrata in manicomio il figlio le gridò di buttare l'ampolla che la madre teneva celata in tasca ma questa fece tuttavia quello che Matrona le aveva prescritto, ottenendo la rapida guarigione del ragazzo.

- Rev. Dr. Luca Vona

mercoledì 30 ottobre 2019

Terenzio-Alberto O'Brien (vescovo) e Peter Higgins (sacerdote), martiri

Uno dei propositi di questo blog e del suo Martirologio e di riflettere sulle ferite che le chiese hanno inflitto l'una all'altra al fine di purificare la propria memoria e intraprendere un cammino di riconciliazione.

Ieri abbiamo ricordato uno dei frutti di santità della Chiesa anglicana, il vescovo James Hannington,  primo martire cristiano in Uganda.

Oggi la Chiesa cattolica e, in particolare, l'Ordine Domenicano, ricorda i beati Terenzio-Alberto e Peter Higgins, martirizzati durante la presa del potere in Inghilterra da parte di Oliver Cromwell. Quest'ultimo aveva occupato l'Irlanda e durante l'assedio di Limerick, durante il quale morirono diverse persone di fame e di peste, i due Beati decisero di consegnarsi all'avversario, per concedere al resto della popolazione di mettersi in salvo.

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Dagli scritti di fra Domenico O'Daly, O.P. (Initium incrementa et exitus familiae Geraldinorum Desmoniae comitum..., Lisbonae 1655, pp. 335-336, 344-348).

[ndr: chiedo scusa se qualcuno si offenderà perché riporto fedelmente la parola "eretici" quando usata nel testo originale, ma è chiaro che essa debba essere contestualizzata nel periodo in cui l'autore scrive, inquadrandola, in particolare, nella comprensione teologica e nei conflitti politico-religiosi dell'epoca]

Il primo a scendere nell'arena fu il R.P. Fr. Pietro Higghins, priore del convento di Naas esimio predicatore della parola di Dio.Catturato fu condotto a Dublino davanti al vicerè di Iralnda e qui accusato di combattere la confessione anglicana e di provocare sedizioni tra il popolo.
Tenuto in prigione per un certo tempo e non essendo possibile provare che avesse perpetrato qualche crimine punibile a norma di legge con la pena capitale il vicerè gli promise libertà e ricchi doni se fosse passato dalla fede romana alla confessione anglicana. Il giorno in cui doveva essere condotto al patibolo, gli giunse in carcere un messaggio del vicerè con benigne proposte. ma il padre intrepido e prudente rispose: "oggi sono condotto al patibolo e non vi è dubbio che la natura, mal sopportando la morte, nulla stimi più prezioso della vita; né per quanto mi riguarda, ho a noia la vita tanto da desiderare che si affretti il momento della morte se non a causa della necessità che incombe. Perciò il vicerè mi faccia pervenire il documento autografo delle sue promesse, lasciando a mia completa disposizione di scegliere tra la vita e la morte in modo che se per brama di vivere avrò abdicato alla confessione della fede, almeno la presenza stessa della morte mi scusi in qualche modo dall'infamia".
Il vicerè, convinto di trovarsi di fronte a un uomo spaventato e quasi sconfitto, firma il fogio delle promesse, che viene consegnato al loro padre mentre sale il primo gradino del patibolo. Questi prende il foglio sorridendo e, giunto sul palco dell'esecuzione, lo agita in mano e si rivolge ai cattolici presenti con queste parole: "Carissimi fratelli della santa romana Chiesa, da quando caddi nelle mani crudeli di questi eretici, dovetti sopportare lunghi periodi di fame, molti oltraggi e la permanenza in carceri oscure e maleodoranti; pareva quasi che non fosse chiaro il motivo del mio arresto e mi sembrava che si allontanasse la palma del martirio, dal momento che non è la sofferenza come tale a costituire un martire ma la causa per cui si soffre. ma dio provvidente ed onnipotente, custode della mia innocenza, disponendo ogni cosa con soavità condusse gli avvenimenti in modo che, sebbene accusato di sedizione ed altro secondo le leggi dello stato, oggi sono condotto a morte per la sola causa della fede cattolica. Chiamo Dio e gli uomini a testimoni che respingo tutto ciò e che volentieri e con gioia affronto questo combattimento per la fede professata".
Percosso dai colpi del carnefice e gettato a terra, con un forte sospiro esclamò: "Deo gratias".
Il terzo per ordine fu Terenzio, ovvero Alberto O'Brien, priore provinciale d'Irlanda e successivamente vescovo di Emly. Nell'esercizio del ministero episcopale era tanto zelante per la causa della fede cattolica che dava l'impressione di agire come fosse uno solo e nello stesso tempo tutta la comunità: così gli eretici lo presero di mira più di ogni altro.
trovandosi nella città assediata di Limerick, no sfuggì il pericolo. Il capitano gli promise subito un dono di quarantamila monete d'oro e l'assicurazione di transitare incolume dove voleva, purché desistesse dal sostenere la resistenza del popolo e collaborasse alla capitolazione della città. con animo eroico rifiutò le offerte, preferendo conservare la fede anche a rischio della vita.
Ma allora che fece l'insana disonestà del tiranno? Con altri venti lo privò non solo della libertà di transito, ma anche dell'incolumità; anzi ne prese per così dire a pegno l'anima costringendo i cittadini a consegnargli il capo del vescovo e di quanti facevano resistenza o di rinunciare alla propria vita. Fu sollevata la questione se fosse lecito consegnare un innocente al tiranno che teneva l'assedio e lo chiedeva in cambio dell'incolumità degli altri. Riuniti e consultati duecento ecclesiastici, il nostro vescovo si dichiara pronto a subire la decapitazione, se gli altri lo ritengono opportuno: ma tutti costoro rifiutano. Mentre essi pensano invano di risparmiargli la vita, egli si augura con certezza la morte.
Alla fine prevalse il parere che la città si arrendesse e l'opinione di gran parte dei cittadini fu che ciascuno doveva provvedere a salvarsi. Furono introdotti i nemici e il vescovo  venne catturato, privato di processo, di contraddittorio e di avvocato difensore, condannato al patibolo e sospeso alla forca.


martedì 29 ottobre 2019

Ordinazione dei diaconi sposati: quale traiettoria per il futuro?

Non ho nessuna voglia di entrare in polemica, anzi, mi sono proposto di seguire quanto afferma Sant'Antonio Abate, Padre del Deserto, nella sua Regola, al punto 56: "Evita di combattere con la lingua".

Ho letto con vivo interesse le considerazioni del Prof. Fulvio Ferrario e del Prof. Andrea Grillo, sull'apertura del Sinodo dell'Amazzonia, nel suo documento finale, al sacerdozio per i diaconi permanenti sposati, in quella regione del Mondo, laddove ve ne fosse "occasionalmente" bisogno; e ho letto anche dell'ipotesi di lavoro per verificare la possibilità di un diaconato cattolico femminile.

Ora, se la teologia è sottomessa non solo alla Parola di Dio e- per i cattolici - alla Tradizione, ma è sottomessa anche alla logica, ne consegue che l'apertura all'ordinazione di diaconi permanenti sposati e, parallelamente, una eventualmente apertura al diaconato femminile, implica una possibile apertura al sacerdozio femminile.

Questa ipotesi la considero piuttosto contraddittoria, non solo con la Parola di Dio, ma anche con la stessa tradizione magisteriale della Chiesa cattolica. Se è vero che per i cattolici il Magistero e il Dogma, sono soggetti a una loro evoluzione - e questo risulta inaccettabile sia agli evangelici di orientamento biblicistico-letteralista, quanto agli Ortodossi, è sorprendente che il pontificato di Francesco possa arrivare a contraddire apertamente ciò che affermò solo pochi anni fa Giovanni Paolo II, nella Lettera Apostolica Ordinazio Sacerdotalis: "Pertanto, al fine di togliere ogni dubbio su di una questione di grande importanza, che attiene alla stessa divina costituzione della Chiesa, in virtù del mio ministero di confermare i fratelli, dichiaro che la Chiesa non ha in alcun modo la facoltà di conferire alle donne l'ordinazione sacerdotale e che questa sentenza deve essere tenuta in modo definitivo da tutti i fedeli della Chiesa".

Su questo insegnamento ha insistito anche Benedetto XVI, immediato predecessore di Papa Francesco, ricordando, nella Messa crismale del 5 aprile 2012, che Giovanni Paolo II «ha dichiarato in maniera irrevocabile» che la Chiesa al riguardo dell’ordinazione delle donne «non ha avuto alcuna autorizzazione da parte del Signore».

Una posizione riaffermata dall'attuale Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede (ex Sant'Uffizio), il gesuita Card. Luis F. Ladaria. Sempre il Card. Ladaria, scrive nel suo documento "A proposito di alcuni dubbi circa il carattere definitivo della dottrina della Ordinatio Sacerdotalis": "Nella Conferenza stampa, durante il volo di ritorno dal viaggio apostolico in Svezia, il 1 novembre 2016, Papa Francesco ha ribadito: «Sull’ordinazione di donne nella Chiesa Cattolica, l’ultima parola chiara è stata data da San Giovanni Paolo II, e questa rimane»".

Direi quindi che non è possibile lasciarsi andare a facili entusiasmi, pensando che le disposizioni sull'ordinazione di diaconi permanenti sposati al sacerdozio "in situazioni occasionali", al momento circoscritte all'Amazzonia, è molto improbabile che possano superare l'eccezionalità del caso prevista dalla disposizione del Sinodo Amazzonico. Ciò porterebbe, infatti al passo successivo dell'ordinazione al presbiterato dei diaconi donna (se questi fossero approvati dalla Chiesa Cattolica, come pare di intravedere all'orizzonte) e a un conseguente cortocircuito magisteriale.

Si verificherebbe, inoltre, una spaccatura grave relativamente alle relazioni ecumeniche con il mondo delle Chiese ortodosse, nonché con il mondo Evangelico (quello che spesso il Protestantesimo storico chiama "Evangelicale"). Peggio ancora, potrebbero essere favorite tendenze scismatiche all'interno della stessa Chiesa Cattolica.

Il ragionamento del Prof. Fulvio Ferrario non fa una piega: se una norma è valida per i diaconi amazzonici non si vede per quale logica non dovrebbe essere valida per i diaconi di tutto il mondo. E anche ciò che afferma il Prof. Grillo , in merito a uno sviluppo del Magistero cattolico è confermato dall'evidenza storica, dove troviamo a distanza di secoli decisioni in aperto contrasto fra loro, ad esempio il divieto della formula indicativa nell'assoluzione, poi diventata, invece obbligatoria.

Qui vengono toccate, però, questioni che vanno alla radice stessa della tradizione dell'era subapostolica e delle stesse Scritture. le conseguenze di una apertura universale all'ordinazione di diaconi sposati, accompagnata dall'autorizzazione a ordinare diaconi donna (presenti nella tradizione apostolica, ma con ruoli totalmente differenti da quelli degli attuali diaconi) sarebbero certamente di notevole impatto sulle chiese, con conseguenze imprevedibili per i rapporti ecumenici.

Rev. Dr. Luca Vona, Eremita



Per approfondire il ruolo delle diaconesse nella chiesa antica:

Articolo sul web http://www.libertaepersona.org/wordpress/2016/05/il-vero-ruolo-delle-diaconesse-nella-chiesa-primitiva/

Libro del Prof. Enrico Cattaneo: I ministeri nella chiesa antica. Testi patristici dei primi tre secoli




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James Hannington (1847-1885), primo martire in Uganda

Il 29 ottobre la Chiesa anglicana ricorda James Hannington, primo vescovo anglicano dell'Africa equatoriale e primo martire in Uganda.

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James Hannington (1847-1885)

Tra le nuove nazioni dell'Africa, l'Uganda è prevalentemente cristiana. Il lavoro missionario iniziò nel 1870 con il favore del re Mutesa, che morì nel 1884. Tuttavia, suo figlio e successore, il re Mwanga, si oppose a tutte le presenze straniere, comprese le missioni cristiane.

James Hannington, nato nel 1847, fu inviato dall'Inghilterra nel 1884 dalla Chiesa anglicana come vescovo missionario dell'Africa equatoriale orientale. Mentre viaggiava verso l'Uganda, fu catturato dagli emissari del re Mwanga. Lui e i suoi compagni furono trattati con brutalità, una settimana dopo, il 29 ottobre 1885, molti di loro furono messi a morte. Le ultime parole di Hannington furono: "Vai a dire al tuo padrone che ho acquistato la strada per l'Uganda con il mio sangue".

Il primo martire nativo fu il cattolico romano Joseph Mkasa Balikuddembe, che fu decapitato dopo aver rimproverato il re per la sua dissolutezza e per l'omicidio del vescovo Hannington. Il 3 giugno 1886 un gruppo di 32 uomini e ragazzi, 22 cattolici romani e 10 anglicani, furono bruciati sul rogo. La maggior parte erano giovani paggi della casa di Mwanga, dal loro capo, Charles Lwanga, al tredicenne Kizito, che morì "ridendo e chiacchierando". Questi e molti altri cristiani ugandesi hanno sofferto per la loro fede allora e negli anni successivi.

Nel 1977 l'arcivescovo anglicano Janani Luwum ​​e molti altri cristiani subirono la morte per la loro fede sotto il tiranno Idi Amin.

Grazie in gran parte alla loro comune eredità di sofferenza per il loro Maestro, i cristiani di varie comunioni in Uganda sono sempre stati in ottimi rapporti tra loro.

lunedì 28 ottobre 2019

Simone e Giuda. «Signore, come è accaduto che devi manifestarti a noi?»

Il 28 di ottobre la Chiesa d'Occidente (Anglicani, Cattolici, Luterani, Veterocattolici) e i cristiani siro-orientali celebrano la festa liturgica degli Apostoli Simone e Giuda.

Simone e Giuda appaiono agli ultimi posti nelle liste degli apostoli e per questo assomigliano agli operai chiamati all'ultima ora, che hanno tuttavia portato a termine la loro missione di testimoni del vangelo fino al martirio. Ma, come spesso capita nella storia della salvezza testimoniata dalle Scritture, è proprio agli ultimi e ai più marginali fra gli uomini che Dio sceglie di rivelarsi. 

San Simone

Simone, da Luca soprannominato Zelota (Lc 6, 15; At 1, 13), forse perché aveva militato nel gruppo antiromano degli Zeloti, che utilizzava anche la violenza come pratica politica, da Matteo e Marco è chiamato Cananeo (Mt 10, 4; Mc 3, 18).

San Giuda "Taddeo"

Giuda è detto Taddeo (Mt 10, 3; Mc 3, 18) o Giuda di Giacomo (Lc 16, 16; At 1, 13). Nell’ultima cena rivolse a Gesù la domanda: «Signore come è accaduto che devi manifestarti a noi e non al mondo?». Gesù gli rispose che l’autentica manifestazione di Dio è riservata a chi lo ama e osserva la sua parola: «Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui» (Gv 14,23). Una lettera del Nuovo Testamento porta il suo nome.

La loro festa il 28 ottobre è ricordata dal calendario geronimiano (sec. VI). In questo stesso giorno si celebra a Roma fin dal sec. IX.

Tracce di lettura

«Simone, l'uomo che è la pietra, Matteo il pubblicano, Simone lo zelota, zelante nel cercare il diritto e la legge contro l'oppressione pagana, Giovanni, che Gesù aveva caro e che si appoggiò al suo petto, e gli altri, dei quali abbiamo solo il nome, e infine Giuda Iscariota, che lo tradì: nessuna ragione al mondo avrebbe potuto collegare questi uomini alla stessa opera al di fuori della chiamata di Gesù. Qui fu superata ogni precedente divisione e fu fondata la nuova, salda comunità in Gesù».

- D. Bonhoeffer, Sequela

SIMONE E GIUDA, Spinello Aretino
Santi Simone e Giuda

domenica 27 ottobre 2019

Coraggio, alzati

COMMENTO ALLA LITURGIA DELLA DICIANNOVESIMA DOMENICA DOPO LA TRINITÀ

Colletta

O Dio, poiché senza di te non siamo capaci di compiacerti; concedi, misericordioso, ai nostri cuori, di essere guidati dal tuo Santo Spirito. Per Gesù Cristo nostro Signore. Amen.

Letture

Ef 4,17-32; Mt 9,1-8

La vita nella fede è una esperienza di rinascita e di guarigione radicale. L'aspetto di rinascita, predicato da Gesù nel dialogo notturno con Nicodemo è approfondito da Paolo nella sua lettera agli Efesini, nell'ottica di una esortazione che va oltre il senso semplicemente morale del discorso, facendosi descrizione di ciò che Dio opera nel credente.

Il passo del Vangelo di Matteo, che in maniera più sintetica dei paralleli di Marco e di Luca descrive la guarigione del paralitico, offre una lettura dell'esperienza cui conduce l'incontro con Cristo, il quale ha autorità di rimettere i peccati sulla terra, sanando radicalmente la nostra natura umana.

La sottolineatura della capacità di Gesù di rimettere i peccati in terra indica la chiara proclamazione della sua natura divina. Fino ad allora, infatti, i credenti israeliti avevano confidato in una remissione dei peccati in cielo, da parte di Dio, che solo poteva operarla efficacemente.

Mentre i profeti, i discepoli e gli apostoli operarono i miracoli nel nome e per l'autorità di Dio, Gesù non ha bisogno di chiedere a Dio il potere di farli; egli compie i miracoli nel suo proprio nome.

Il racconto ci fa intendere che molti dei presenti non mancano di individuare la potenza divina in questo miracolo, ma gli sfugge il fatto che Cristo stesso l'ha operato nel proprio nome: "Io ti dico" riferiscono i passi paralleli di Marco e Luca. È in questo "Io", in questa formula indicativa, che si esprime la novità radicale del messaggio evangelico. Gesù non è semplicemente un profeta, un riformatore religioso, un guaritore. Egli è il Dio con noi, l'Emmanuele annunciato dai profeti dell'Antico Testamento.

Gesù comanda al paralitico non solo di alzarsi in piedi ma anche di tornare a casa sua portando via il suo lettino. Il segno della malattia che lo ha costretto per lungo tempo all'immobilità, rimane come testimonianza della radicale svolta che l'incontro di Cristo ha determinato nella sua vita. Gesù rimette i nostri peccati ma non cancella in noi il ricordo di essi, affinché possiamo avere sempre davanti ai nostri occhi il prevalere della sua grazia sul peccato. 

Esaminando il racconto di questo miracolo non bisogna sorvolare sul ruolo importante degli amici, che intercedono per il paralitico (nel passo parallelo di Marco e Luca fino ad arrampicarsi sul tetto della casa in cui sta predicando Gesù, per aprire un varco e calare l'amico al centro della stanza). La carità fraterna ha un ruolo importante nel muovere a compassione Gesù.

Paolo esorta "nel nome del Signore" (Ef 4,17), ovvero con autorità, con l'autorità che deriva da Cristo stesso e dal suo vangelo, a non camminare nella vanità della propria mente; letteralmente "nella vacuità ed estranei alla vita di Dio". La vita "pagana" è vita che si aggrappa a ciò che è vuoto, impermanente e che offusca la ragione. L'estraneità alla vita di Dio non è semplicemente il non condurre una vita da "persone per bene", ma il privarsi di un'esistenza vissuta in pienezza.

La vita di Dio è la vita - come dice Teodoro di Beza - qua Deus vivit in suis (che Dio vive in se stesso); la vita spirituale accende nei credenti la vita stessa di Dio. La vita di Dio, insomma non è semplicemente la vita onesta e virtuosa, ma è la vita che viene dall'alto, la rinascita per opera dello Spirito Santo, che porta con sé il germe della pace, della gioia, dell'eternità.

Paolo ci esorta a essere rinnovati "per rivestire l'uomo nuovo, creato secondo Dio". Questa identità nuova, questo rinnovamento non solo della personalità ma dell'intera natura umana, non è opera dell'uomo: è una creazione, un'opera di Dio (Ef 4,24).

Gesù viene in nostro soccorso, e ci consente di levarci dal nostro giaciglio, di lasciarci guarire, rinnovare, creare a immagine di Dio.

- Rev. Dr. Luca Vona