Il Rev. Dr. Luca Vona
Un evangelico nel Deserto

Ministro della Christian Universalist Association

venerdì 30 luglio 2021

Fermati 1 minuto. Il profeta è disprezzato in casa sua

Lettura

Matteo 13,54-58

54 e venuto nella sua patria insegnava nella loro sinagoga e la gente rimaneva stupita e diceva: «Da dove mai viene a costui questa sapienza e questi miracoli? 55 Non è egli forse il figlio del carpentiere? Sua madre non si chiama Maria e i suoi fratelli Giacomo, Giuseppe, Simone e Giuda? 56 E le sue sorelle non sono tutte fra noi? Da dove gli vengono dunque tutte queste cose?». 57 E si scandalizzavano per causa sua. Ma Gesù disse loro: «Un profeta non è disprezzato se non nella sua patria e in casa sua». 58 E non fece molti miracoli a causa della loro incredulità.

Meditazione

Ciò che è facilmente accessibile è di solito reputato di scarso valore. Così è per la predicazione e i miracoli di Gesù compiuti nella sua patria e così è per il vangelo in quelle terre cristianizzate da decine di secoli. 

Quando la professione della fede costava ai martiri persecuzioni, torture e una morte terribile il cristianesimo era una minoranza religiosa che generava frutti di santità e di reale conversione. Nel momento in cui ottenne il riconoscimento e l'appoggio del potere politico, divenendo religione di Stato, molti animi si raffreddarono, molte conversioni divennero un fatto esteriore, un automatismo, nel necessario adeguamento al principio del cuius regio, eius religio: "di chi è il regno, di lui sia la religione", ovvero i sudditi seguano la religione del loro governante. In quel contesto si sviluppò il monachesimo egiziano, con i cristiani più intransigenti che si stabilivano nel deserto, lontano dalla città, per recuperare l'autenticità del messaggio evangelico.

Anche oggi, nella nostra stanca Europa, ma potremmo dire in tutti i paesi di lunga tradizione cristiana, l'accoglienza di Gesù è spesso pigra, fredda e pervasa di incredulità. Per certi versi anche a ragione; ci si chiede: quanto hanno cambiato in meglio la nostra civiltà oltre duemila anni di cristianesimo? La nostra storia, anche quella specificamente cristiana, è piena di pagine buie e ignominiose. 

Ma se il vangelo non è riuscito a trasformare le nostre vite, la società, il nostro mondo, è perchè lo abbiamo dato "per scontato", come un qualcosa di "familiare" alla nostra cultura, "geneticamente" presente in essa, ma proprio per tale ragione non lo abbiamo preso sul serio. Se le nostre vite non cambiano, se il nostro mondo non cambia, se il Signore non opera tra noi molti miracoli, è per la nostra incredulità. 

Ogni giorno, siamo chiamati ad accogliere il vangelo come parola nuova, parola profetica, capace di mettere in discussione le nostre esistenze, che si sentono naturalmente - ma sono spesso solo nominalmente - "imparentate con Cristo". 

Non dimentichiamo le parole di Gesù rivolte a coloro che si ritenevano salvi in quanto "figli di Abramo": «Fate dunque frutti degni di conversione, e non crediate di poter dire fra voi: Abbiamo Abramo per padre. Vi dico che Dio può far sorgere figli di Abramo da queste pietre» (Mt 3,8-9).

Preghiera

Signore, aiutaci a cogliere la portata del tuo messaggio profetico, affinché possa radicalmente trasformare le nostre vite e, attraverso di esse, portare la tua benedizione all'intera umanità. Amen.

giovedì 29 luglio 2021

Fermati 1 minuto. Gesù consacra il tempo della sosta

Lettura

Luca 10,38-42

38 Mentre erano in cammino, entrò in un villaggio e una donna, di nome Marta, lo accolse nella sua casa. 39 Essa aveva una sorella, di nome Maria, la quale, sedutasi ai piedi di Gesù, ascoltava la sua parola; 40 Marta invece era tutta presa dai molti servizi. Pertanto, fattasi avanti, disse: «Signore, non ti curi che mia sorella mi ha lasciata sola a servire? Dille dunque che mi aiuti». 41 Ma Gesù le rispose: «Marta, Marta, tu ti preoccupi e ti agiti per molte cose, 42 ma una sola è la cosa di cui c'è bisogno. Maria si è scelta la parte migliore, che non le sarà tolta».

Commento

Lungo il cammino Gesù decide di fare una sosta a casa di Marta e Maria, sorelle del suo amico Lazzaro. Le due donne mostrano atteggiamenti contrapposti, ma entrambi importanti nella Chiesa: Marta, con il suo servizio attivo mostra la diakonìa, il prendersi cura del Signore, presente in ogni persona bisognosa; Maria è l'esemplare della discepola dedita all'ascolto di Dio. Degna di nota è la posizione assunta da quest'ultima, seduta davanti a Gesù, tipica del discepolo e a quei tempi del tutto inusuale per una donna. 

Il Signore non rimprovera a Marta il suo servizio, ma il suo essere "tutta presa"; letteralmente "assorbita" (gr. periestàto) per il grande servizio. Gesù consacra il tempo della sosta, dedicato al suo ascolto. Se non esita di compiere miracoli e guarigioni in giorno di sabato, al tempo stesso porta la sacralità del riposo sabbatico nel quotidiano. Non c'è attività così importante che possa distoglierci da una pausa per ascoltare la sua parola. 

Gesù rimprovera a Marta di preoccuparsi e agitarsi per troppe cose. Innanzitutto, qualsiasi opera di servizio deve essere da noi svolta con una azione quieta: con le mani dobbiamo servire, ma con le orecchie dobbiamo ascoltare la voce del Cristo.

Quando Gesù vuole essere accolto nelle nostre vite non ci chiede di "strafare". L'apostolato, il servizio di Cristo nel nostro prossimo, non può schiacciare e annullare lo spazio indispensabile riservato alla contemplazione, e alla lode di Dio, vero nutrimento e ristoro dell'anima.

Cammino e sosta, scandiscono la vita di Gesù, come una melodia in cui le pause sono importanti quanto le note. Egli ci esorta alla semplificazione della nostra vita esteriore ed interiore; ci libera dagli affanni chiamandoci alla semplicità e alla gioia del discepolato, che è sapiente equilibrio tra il fare e l'ascoltare, il servizio e l'adorazione: faremo così una cosa senza trascurare l'altra, compiendo "la giustizia e l'amore di Dio" (Lc 11,42).

Preghiera

Signore, noi ti adoriamo, in ascolto, seduti ai tuoi piedi. La tua parola alimenti in noi l'amore contemplativo e l'ardore per la vita apostolica; senza che mai perdiamo l'attenzione verso la tua presenza. Amen.

- Rev. Dr. Luca Vona

Marta, Maria e Lazzaro. Amici del Signore

Nel calendario monastico occidentale si ricordano oggi Marta, Maria e Lazzaro, «amici e ospiti del Signore».
«Gesù voleva molto bene a Marta, a sua sorella e a Lazzaro» (Gv 11,5): accanto agli uomini e alle donne che lo avevano seguito nella sua predicazione, gli evangelisti ricordano questi amici del Signore che lo accolsero nella loro casa e furono particolarmente associati al mistero della sua morte e resurrezione.
Marta accoglie Gesù e si mette a servire colui che era venuto nel mondo per servire e dare l'esempio di un amore «fino alla fine».
Maria di Betania è presentata dai vangeli come preoccupata solo di accogliere la presenza del Signore e di custodirne la Parola; secondo Giovanni è lei a cospargere di olio profumato il Cristo e ad asciugargli i piedi con i propri capelli, anticipando profeticamente l'unzione del corpo di Gesù per la sepoltura.
Lazzaro è l'amico che Gesù tanto amava e che richiama in vita proprio mentre si accinge a deporre la propria vita, offrendo così in quest'ultimo segno una profezia della resurrezione.
Marta, Maria e Lazzaro diedero il conforto dell'amicizia e un luogo di riposo al Figlio dell'uomo che non aveva una pietra su cui posare il capo. I monaci, da sempre attenti a riconoscere e servire il Cristo presente nell'ospite, festeggiano in loro gli ascoltatori della Parola che hanno saputo vivere l'intimità e la comunione con il Signore, fino a scorgere in quel Gesù che bussava alla loro porta il Messia che li avrebbe accolti nella dimora del Padre.

Tracce di lettura

Forse ai padri è sfuggito qualcosa: l'umanità così semplice di Gesù. Ripensiamo al vangelo di Marta e di Maria: «Ora, Gesù amava Marta, e sua sorella, e Lazzaro». Gli piaceva andarsi a riposare presso i suoi amici.
Scoprire l'amicizia di Cristo per noi significa anche scoprirci fratelli. Ma che Cristo abbia avuto amici speciali, che abbia manifestato delle predilezioni, non significa che ami meno qualcun altro. E' per ognuno di noi, in segreto, che ha una predilezione. Da ciò deriva, mi sembra, un principio fondamentale della vita spirituale: non bisogna fare paragoni. Ogni uomo è fuori misura. Chi può misurare l'uomo se non l'amore, che per l'appunto non misura mai? L'uomo non è suscettibile di confronti. Cristo non fa paragoni, ama ciascuno senza misura. Ricordiamolo bene, quando ci accostiamo agli uomini.
(Athenagoras, Dialoghi con Olivier Clément)

- Dal Martirologio ecumenico della Comunità monastica di Bose

Icona dipinta a mano in stile bizantino, cm 32x40
Marta, Maria e Lazzaro insieme a Gesù, icona di Bose

mercoledì 28 luglio 2021

Fermati 1 minuto. Arricchire davanti a Dio

Lettura

Matteo 13,44-46

44 Il regno dei cieli è simile a un tesoro nascosto in un campo; un uomo lo trova e lo nasconde di nuovo, poi va, pieno di gioia, e vende tutti i suoi averi e compra quel campo.
45 Il regno dei cieli è simile a un mercante che va in cerca di perle preziose; 46 trovata una perla di grande valore, va, vende tutti i suoi averi e la compra.

Commento

Queste due parabole riportate da Matteo hanno il medesimo significato. Entrambe rappresentano la salvezza come qualcosa di nascosto alla maggior parte degli uomini, ma di tale valore che vale la pena abbandonare tutto per possederla.

La parabola del tesoro nascosto si inscrive nella tradizione sapienziale ebraica, come attestata dal libro dei Proverbi: "Se la ricercherai come l'argento e per essa scaverai come per i tesori, allora comprenderai il timore del Signore e troverai la scienza di Dio" (Pr 2,4-5)

Nella parabola della perla preziosa il verbo greco zetèo - cercare - è un termine-chiave. Infatti, solo coloro che cercano il regno di Dio lo troveranno.

Gli ebrei che rifiutano Gesù non hanno cercato con sincerità. Il che non esclude l'applicazione esortativa del significato di queste parabole agli stessi cristiani.

Le Scritture sono il terreno in cui il tesoro della salvezza è nascosto. Non si trova in un giardino chiuso, ma in un campo aperto, così che chiunque possa scoprirlo. Occorre però investigarle in profondità e non fermarsi alla superficie per trovare il tesoro che è Cristo, la perla di grande valore; colui che ci fa arricchire davanti a Dio.

Preghiera

Lasciati trovare da noi Signore, perché siamo poveri finché non abbiamo conosciuto te, che sei il bene di quanti accumulano tesori in cielo. Amen.

- Rev. Dr. Luca Vona

martedì 27 luglio 2021

Fermati 1 minuto. I giusti splenderanno come il sole

Lettura

Matteo 13,36-43

36 Poi Gesù lasciò la folla ed entrò in casa; i suoi discepoli gli si accostarono per dirgli: «Spiegaci la parabola della zizzania nel campo». 37 Ed egli rispose: «Colui che semina il buon seme è il Figlio dell'uomo. 38 Il campo è il mondo. Il seme buono sono i figli del regno; la zizzania sono i figli del maligno, 39 e il nemico che l'ha seminata è il diavolo. La mietitura rappresenta la fine del mondo, e i mietitori sono gli angeli. 40 Come dunque si raccoglie la zizzania e si brucia nel fuoco, così avverrà alla fine del mondo. 41 Il Figlio dell'uomo manderà i suoi angeli, i quali raccoglieranno dal suo regno tutti gli scandali e tutti gli operatori di iniquità 42 e li getteranno nella fornace ardente dove sarà pianto e stridore di denti. 43 Allora i giusti splenderanno come il sole nel regno del Padre loro. Chi ha orecchi, intenda!

Commento

L'allontanamento di Gesù dalle folle segna il ritirarsi dal popolo incredulo e la ricerca di una comunione più intima con i suoi discepoli, che qui rappresentano non soltanto i Dodici ma coloro che egli aveva inviato ad annunciare il Vangelo. Questi hanno realmente "fame e sete di giustizia" (Mt 5,6) perché chiedono a Gesù di "sciogliere" il significato della parabola narrata per immagini. 

Solo in un rapporto personale con Cristo la sua parola può dispiegarsi alla nostra intelligenza. L'ascolto delle Scritture proclamate in chiesa o anche lette in privato può dare i suoi frutti se siamo capaci di chiedere a Gesù nella preghiera di offrircene il senso più profondo. 

Gesù non si sottrae alla richiesta dei suoi discepoli e spiega che la zizzania rappresenta i figli del maligno ed è opera del diavolo, colui che l'ha seminata. La zizzania è una pianta quasi del tutto identica al grano nel suo aspetto, ma non è buona per produrre la farina e preparare il pane. 

Scegliendo questa immagine per la sua parabola Gesù vuole indicare che il diavolo viene a infestare il campo dove è stato seminato il buon seme, non con delle erbacce riconoscibili per la loro natura estranea, ma simulando l'aspetto di ciò che è buono. Le nostre azioni devono tenere conto dell'orizzonte ultimo che dà senso a tutto il quadro d'insieme. 

La storia della Chiesa, ma anche la nostra storia personale, sono poriettate verso questo punto di fuga, la prospettiva del giudizio universale e personale. Da quell'orizzonte sorgerà il sole di giustizia (Mal 3,20; Lc 1,78), con il quale e nel quale splenderanno i giusti, nel regno del Padre loro.

Preghiera

Signore, vieni e vista il tuo campo con i tuoi angeli, prenditi cura di noi, affinché il male non possa sopraffarci e custodendo la vera fede, possiamo risplendere con te nel regno del Padre. Amen.

- Rev. Dr. Luca Vona

lunedì 26 luglio 2021

Fermati 1 minuto. Gli uccelli del cielo si annidano tra i suoi rami

Lettura

Matteo 13,31-35

31 Un'altra parabola espose loro: «Il regno dei cieli si può paragonare a un granellino di senapa, che un uomo prende e semina nel suo campo. 32 Esso è il più piccolo di tutti i semi ma, una volta cresciuto, è più grande degli altri legumi e diventa un albero, tanto che vengono gli uccelli del cielo e si annidano fra i suoi rami».
33 Un'altra parabola disse loro: «Il regno dei cieli si può paragonare al lievito, che una donna ha preso e impastato con tre misure di farina perché tutta si fermenti».
34 Tutte queste cose Gesù disse alla folla in parabole e non parlava ad essa se non in parabole, 35 perché si adempisse ciò che era stato detto dal profeta:
Aprirò la mia bocca in parabole,
proclamerò cose nascoste fin dalla fondazione del mondo.

Commento

Insieme a quella del seminatore e a quella della zizzania la parabola sul granello di senapa è una delle parabole del Regno in cui Gesù utilizza immagini tratte dal mondo agricolo. Mentre la parabola del seminatore illustrava il diverso modo di recepire l'annuncio evangelico e la parabola della zizzania illustrava la crescita dei buoni frutti insieme a quelli malvagi, quella del chicco di senapa mostra l'estensione del Regno a  partire dai suoi piccoli inizi. 

Così la Chiesa, che muove i suoi passi nella storia a partire dai dodici apostoli e dai settanta discepoli, dopo la risurrezione di Cristo, nonostante le ostilità della sinagoga, dei re e dei principi della terra, raggiungerà nel dispiegarsi della storia tutti gli angoli della terra. 

Nella sua ramificazione possiamo vedere la diversità nell'unità, lungi dall'appiattimento nell'uniformità, che non risponderebbe all'abbondanza di carismi trasmessi come linfa vitale dallo Spirito Santo. Gli angeli benedicono le diverse espressioni di santità, innestate sull'unico tronco di Cristo, come uccelli del cielo che si vengono a posare sui suoi rami (v. 32).

Anche la parabola del lievito sembra richiamare l'azione generatrice e vivificante dello Spirito Santo. L'enorme quantità di farina (anche qui a significare l'abbondanza dei chiamati al Regno di Dio) non produrrebbe nulla senza di esso.

Nell'uomo che semina e nella donna che impasta potremmo vedere rispettivamente due metafore di Cristo e della sua Chiesa, del nuovo Adamo e della nuova Eva, che generano alla vita le moltitudini.

Le due parabole possono essere lette anche secondo un significato individuale, trovando in esse un richiamo a non scoraggiarsi di fronte ai piccoli inizi del Regno di Dio dentro di noi; a "coltivare" e "impastare" con pazienza; ad attendere con fiducia che lo Spirito faccia giungere a maturazione i frutti della grazia, oltre ogni nostra aspettativa.

Preghiera

O Dio, che ci hai generati nel santo battesimo come primizia del tuo Regno e che mediante il tuo Spirito, sia che dormiamo, sia che vegliamo, accresci i frutti della tua Parola caduta nel terreno buono, moltiplica in noi la tua grazia, affinché la Chiesa possa risplendere della tua gloria. Amen.

- Rev. Dr. Luca Vona

domenica 25 luglio 2021

Lasciarsi condurre dallo Spirito di Dio

COMMENTO ALLA LITURGIA DELLA OTTAVA DOMENICA DOPO LA TRINITÀ

Colletta

O Dio, la cui perenne provvidenza ha ordinato tutte le cose, in cielo e sulla terra; ti supplichiamo umilmente di liberarci da ogni cosa nociva e di donarci tutto ciò che è per noi profittevole; per Gesù Cristo, nostro Signore. Amen.

Letture

Rm 8,12-17; Mt 7,15-21

Commento

Chi sono i falsi profeti di cui parla Gesù, dicendoci che vengono in veste di agnelli ma si rivelano lupi? Per giudicarli, Gesù ci esorta a valutare i frutti che producono. Ma come facciamo a distinguere i frutti buoni dai cattivi? Una indicazione è data da Paolo, nella sua lettera ai Romani, che offre un contrasto tra la carne e lo Spirito. Non abbiamo un debito con la carne, che conduce alla morte, ma con lo Spirito (Rm 8,12-13). 

Con la parola "carne" (gr. sarx) l’apostolo indica quanto nell’uomo è soggetto alla caducità, la nostra fragilità, i nostri limiti. La carne è quel qualcosa della nostra natura umana che se non è redento dallo Spirito ci trascina verso la morte eterna. Lo Spirito, invece, conduce alla vita e alla santificazione, se ci lasciamo guidare da lui: “tutti quelli che sono condotti dallo Spirito di Dio, sono Figli di Dio” (Rm 8,14).

La carne riduce in schiavitù, perché rende soggetti alle opere morte (Eb 9,14). Vivere secondo la carne significa vivere per ciò che è vano, instabile, impermanente; per tale ragione, significa vivere nella paura: paura costante della perdita, perdita di ciò che possediamo o desideriamo e perdita della nostra stessa esistenza. Vivere secondo lo Spirito significa vivere per il Regno di Dio, fondati nell’Eterno e nella fonte stessa della vita.

Lo Spirito di Dio testimonia al nostro spirito che sebbene tutto ciò che abbiamo e tutto ciò che siamo è minacciato dall'annichilimento, noi siamo eredi della vita, eredi nientemeno che di Dio stesso, in Cristo, destinati alla glorificazione con lui. 

L’esperienza della sofferenza, della perdita e della morte continuano a far parte dell'esistenza terrena, ma il Verbo incarnato ha voluto condividerle fino in fondo con noi, per portare la presenza di Dio anche nei luoghi più desolati dell’esistenza umana. La morte, già sconfitta dal trionfo pasquale di Cristo, non avrà più spazio nel Regno di Dio, la cui presenza in mezzo a noi è già testimoniata dai buoni frutti dei credenti.

Se la nostra vita è radicata nelle Scritture saremo come un albero buono (Sal 1,3), che non può dare frutti cattivi, né può restare senza frutti. Pertanto, non basta la certezza, magari la presunzione, di essere giustificati per fede, predestinati alla salvezza. Dio ci chiama alla santità, alla carità perfetta (1 Cor 12,31; 13,1-13) e la sua grazia agisce nei credenti per portarla a compimento. 

- Rev. Dr. Luca Vona

venerdì 23 luglio 2021

Brigida di Svezia. Sposa, pellegrina, fondatrice

Il 23 luglio 1373 muore a Roma Brigida di Svezia, ricordata in questo giorno da cattolici, anglicani, luterrani e veterocattolici.
Appartenente all'alta aristocrazia svedese, sposa e madre di otto figli, Brigida era una donna colta, dal temperamento forte, profondamente religiosa e ricca di carità. Essa amava le Scritture, che considerava il suo tesoro più prezioso e la medicina più idonea per la cura delle anime; si soffermava spesso sul mistero della passione del Signore e, con il marito, si dedicava alla cura dei malati e all'aiuto dei bisognosi.
Brigida di Svezia (1303-1373)

Dopo un pellegrinaggio a Santiago di Compostela, i due coniugi decisero di abbracciare la vita religiosa, e qualche anno più tardi Brigida, spinta a ciò anche dalla propria esperienza mistica, pensò alla creazione di un nuovo ordine ispirato a un grande radicalismo evangelico, sull'esempio di quello di Fontevraud fondato da Roberto d'Arbrissel nel 1100.
Visitò molti luoghi italiani, come Milano, Pavia, Assisi, Bari, Ortona, Benevento, Arielli, Pozzuoli, Napoli, Salerno, Amalfi e il santuario di San Michele Arcangelo sul Gargano. L'ultimo pellegrinaggio la portò in Terra Santa tra il 1371 e il 1372, permettendole di recarsi negli stessi luoghi in cui predicò Gesù.
L'Ordine del Santo Salvatore che ebbe origine da Brigida fu un ordine misto, prevalentemente femminile, che riservava un culto particolare alla passione del Signore e alla compassione di Maria. Brigida trascorse l'ultima parte della sua vita a Roma, dove morì nel 1373.
Nel 1999 papa Giovanni Paolo II l'ha proclamata compatrona d'Europa.

Tracce di lettura

Signore Gesù Cristo, fonte di dolcezza inestinguibile, che mosso da intimo affetto di amore dicesti in croce: «Ho sete», cioè: «Desidero sommamente la salvezza del genere umano», accendi in noi, ti preghiamo, il desiderio di operare in modo pienamente conforme alla tua volontà, spegnendo del tutto la sete delle concupiscenze del peccato e il fervore dei piaceri mondani.
O Gesù, Figlio di Dio, nato da Maria vergine, crocifisso per la salvezza degli uomini, regnante ora in cielo, abbi pietà di noi. (Brigida di Svezia, Orazione 7)

- Dal Martirologio ecumenico della Comunità monastica di Bose

Fermati 1 minuto. Il buon agricoltore

Lettura

Giovanni 15,1-8

1 «Io sono la vera vite e il Padre mio è il vignaiolo. 2 Ogni tralcio che in me non porta frutto, lo toglie e ogni tralcio che porta frutto, lo pota perché porti più frutto. 3 Voi siete già mondi, per la parola che vi ho annunziato. 4 Rimanete in me e io in voi. Come il tralcio non può far frutto da se stesso se non rimane nella vite, così anche voi se non rimanete in me. 5 Io sono la vite, voi i tralci. Chi rimane in me e io in lui, fa molto frutto, perché senza di me non potete far nulla. 6 Chi non rimane in me viene gettato via come il tralcio e si secca, e poi lo raccolgono e lo gettano nel fuoco e lo bruciano. 7 Se rimanete in me e le mie parole rimangono in voi, chiedete quel che volete e vi sarà dato. 8 In questo è glorificato il Padre mio: che portiate molto frutto e diventiate miei discepoli.

Commento

L'immagine di Dio come agricoltore (questo il senso della parola greca georgos qui tradotta con "vignaiolo") è frequente nell'Antico testamento, a significare il suo prendersi cura del suo popolo (Is 5,1-7; Ger 2,21; Ez 15,2; 17,5-10; 19,10; Os 10,1). In alcuni passaggi dei libri storici e profetici Dio, di fronte all'infedeltà di Israele, minaccia di "sradicare" la sua vite e gettarla lontano a seccare, ma sempre promette di tenersi un piccolo resto.

Vi è un gioco di parole in questo testo giovanneo, tra i termini greci traducibili rispettivamente con "togliere" (airo) e "purificare" (kathairo), tagliare e mondare. Quando Dio interviene, richiamando il suo popolo e il singolo credente all'umiltà e all'obbedienza, non si tratta di una cieca azione dettata dall'ira: egli pota le sue piante perché se ne prende cura amorevolmente e ne segue la crescita e lo sviluppo da vicino. 

Tra il momento in cui Dio semina e quello in cui raccoglie c'è dunque l'azione della sua provvidenza cosicché non solo raccoglie ciò che egli stesso ha seminato (contrariamente a quanto affermato dal servo inetto della parabola dei talenti; Mt 25,24), ma anche ciò che ha pazientemente coltivato.

Il nostro compito è dunque semplicemente quello di abbandonarci alla sua azione amorevole; di qui l'insistenza di Gesù a rimanere in lui come il tralcio nella vite (v. 5): il verbo "rimanere" (meno) viene ripetuto dieci volte in sette versetti.

Dimorare in Cristo significa essere radicati e fondati nell'amore, come esorta l'apostolo Paolo rivolgendosi agli Efesini (Ef 3,17), vivere l'abbandono fiducioso a questo amore e lasciarsi pervadere dalla sua linfa, farlo germogliare in noi, finché il "buon agricotore" non deciderà di coglierne i frutti maturi.

Preghiera

Signore, un tralcio piantato a terra non porta alcun frutto; concedici di restare radicati e fondati in te per compiere le buone opere che tu stesso ci hai chiamato a fare e giungere alla maturità dell'amore. Amen.

- Rev. Dr. Luca Vona


Antonio delle grotte di Kiev e Teodosio, fondatori del monachesimo russo

I cristiani di tradizione bizantino-slava ricordano oggi Antonio delle Grotte di Kiev.
Nato a Lubeč nel 983, nella regione di Černigov a nord di Kiev, Antonio fu attratto dal monachesimo e si recò secondo la tradizione al monte Athos. Qui, presso il monastero di Esphigmenou, fu iniziato alla vita monastica e ricevette la benedizione dell'igumeno per andare a proseguire il proprio cammino di monaco nella terra d'origine.


Antonio delle Grotte di Kiev (983-1073)  e Teodosio (+1074) suo discepolo

Verso la metà dell'XI secolo Antonio tornò dunque a Kiev e si stabilì in una grotta, sulle colline vicino alla città. Seguendo l'esempio dei padri del deserto, egli intraprese una vita rude, imperniata sulla preghiera e la penitenza, attirando a sé molti discepoli. Costoro scavarono altre celle e una grande cripta, principio di quello che sarà il celebre monastero delle Grotte.
Ma Antonio, sedotto dalla vita eremitica, lasciò la nascente comunità alle cure del proprio discepolo Teodosio per ritirarsi in «una grotta lontana», dove visse nel totale silenzio e nella preghiera fino alla morte, avvenuta nel 1073. La vita monastica esisteva già prima di Antonio in Russia, ma per lo più come importazione straniera sostenuta dai potenti. Solo con la fondazione del monastero delle Grotte essa divenne popolare, e per questo Antonio è ricordato come padre del monachesimo russo.
Teodosio è ricordato come padre spirituale dolce e misericordioso; egli organizzò la vita del monastero secondo la regola di Teodoro Studita, ed è considerato per questo il fondatore della vita cenobitica in Russia.

Tracce di lettura

Il venerabile Antonio, abituato a vivere solo e non essendo in grado di sopportare alcun genere di confusione o di rumore, confinò se stesso in una cella delle Grotte, dopo aver nominato al proprio posto Varlaam, perché avesse cura dei fratelli.
Dopo che Varlaam fu traferito su ordine del principe per divenire superiore del monastero di San Demetrio, i fratelli delle Grotte si riunirono e informarono il venerabile Antonio che avevano scelto di comune accordo il nostro beato padre Teodosio come superiore, poiché aveva mostrato di saper vivere secondo la tradizione monastica ed era un profondo conoscitore dei comandi del Signore. Teodosio, pur avendo ricevuto il ruolo di superiore, non mutò la propria umiltà, ricordando che il Signore dice: «Chiunque vorrà essere grande tra voi, sia il più piccolo e il servo di tutti». Dunque egli umiliò se stesso, facendosi il più piccolo e il servo di tutti. Per questo il monastero fiorì e crebbe grazie alle preghiere di quel giusto, poiché sta scritto: «Il giusto fiorirà come palma, crescerà come cedro del Libano».
(dalla Vita di Teodosio)

- Dal Martirologio ecumenico della Comunità monastica di Bose

giovedì 22 luglio 2021

Maria Maddalena, colei che ha conosciuto il molto peccare e il molto amare

La chiesa cattolica d'Occidente, ortodossi, anglicani, luterani e veterocattolici celebrano oggi la memoria di Maria Maddalena.
Originaria della città di Magdala, sul lago di Tiberiade, Maria Maddalena fu liberata per la parola di Gesù dai sette demoni che la possedevano e seguì ovunque il Signore, servendolo fedelmente fino alla passione. Essa fu perciò testimone della sua morte e sepoltura.
Passato il sabato, Maria si recò con le altre donne al sepolcro portando aromi, e per questo è ricordata come mirrofora. A lei, per prima, apparve il Signore risorto, chiamandola per nome mentre piangeva nel giardino. Allora la Maddalena corse a portare l'annuncio ai discepoli, «apostola degli apostoli» come la chiama la tradizione.
In occidente, a partire da Gregorio Magno, Maria Maddalena è stata identificata con la peccatrice perdonata di cui parla il Vangelo di Luca, perdonata perché aveva molto amato. È divenuta perciò colei che ha conosciuto il molto peccare e il molto amare, colei che piange sui propri peccati e piange per la morte del Maestro, rimanendo fedele nell'amore per lui.
Esempio per chi si pente e per chi rivolge il suo amore al Signore, Maria Maddalena è stata una figura di riferimento importante in ogni movimento di riforma della chiesa, in particolare per i movimenti di riforma monastica d'occidente fioriti nell'XI secolo.

Tempera all’uovo su tavola telata e gessata (particolare) - stile italico

Tracce di lettura

Signore,
tu le accendesti nel cuore
il fuoco di un immenso amore per Cristo,
che le aveva ridonato la libertà dello spirito,
e le infondesti il coraggio di seguirlo
fedelmente fino al Calvario.
E anche dopo la morte di croce
essa cercò il suo Maestro con tanta passione,
che giunse a incontrare il Signore risorto
e ad annunziare per prima agli apostoli
la gioia pasquale.
(dalla Liturgia romana)

- Dal martirologio ecumenico della Comunità monastica di Bose

Fermati 1 minuto. L'incontro che si fa annuncio

Lettura

Giovanni 20,1-2.11-18

1 Nel giorno dopo il sabato, Maria di Màgdala si recò al sepolcro di buon mattino, quand'era ancora buio, e vide che la pietra era stata ribaltata dal sepolcro. 2 Corse allora e andò da Simon Pietro e dall'altro discepolo, quello che Gesù amava, e disse loro: «Hanno portato via il Signore dal sepolcro e non sappiamo dove l'hanno posto!».
11 Maria invece stava all'esterno vicino al sepolcro e piangeva. Mentre piangeva, si chinò verso il sepolcro 12 e vide due angeli in bianche vesti, seduti l'uno dalla parte del capo e l'altro dei piedi, dove era stato posto il corpo di Gesù. 13 Ed essi le dissero: «Donna, perché piangi?». Rispose loro: «Hanno portato via il mio Signore e non so dove lo hanno posto». 14 Detto questo, si voltò indietro e vide Gesù che stava lì in piedi; ma non sapeva che era Gesù. 15 Le disse Gesù: «Donna, perché piangi? Chi cerchi?». Essa, pensando che fosse il custode del giardino, gli disse: «Signore, se l'hai portato via tu, dimmi dove lo hai posto e io andrò a prenderlo». 16 Gesù le disse: «Maria!». Essa allora, voltatasi verso di lui, gli disse in ebraico: «Rabbunì!», che significa: Maestro! 17 Gesù le disse: «Non mi trattenere, perché non sono ancora salito al Padre; ma va' dai miei fratelli e di' loro: Io salgo al Padre mio e Padre vostro, Dio mio e Dio vostro». 18 Maria di Màgdala andò subito ad annunziare ai discepoli: «Ho visto il Signore» e anche ciò che le aveva detto.

Commento

Dopo aver constatato l'assenza del corpo di Gesù nella tomba i discepoli tornano a casa (Gv 20,10) ma Maria di Magdala rimane lì a piangere il suo Maestro. Mentre piange si china verso il sepolcro, cercando con lo sguardo colui che le è stato strappato via dalla morte. Due angeli sono seduti uno dalla parte del capo l'altro dalla parte dei piedi, dove era stato posto il corpo di Gesù (v. 12), come i due cherubini scolpiti erano posti uno di fronte all'altro sull'Arca dell'alleanza (Es 25,18). Gesù è la nuova alleanza tra Dio e gli uomini, suggellata nel suo sacrificio sulla croce. 

I messaggeri di Dio chiedono a Maria Maddalena le ragioni della sua afflizione e mentre lei spiega che le è stato sottratto il corpo del suo Signore, questi appare in piedi alle sue spalle. Così in un primo momento Maria non vede Gesù ma sente la sua voce. Poi si volta ma non lo riconosce. Egli è vivo, ma lei "non sapeva che era Gesù" (v. 14). Anche gli apostoli sul lago di Tiberiade (Gv 21,1-6) e i due discepoli sulla strada di Emmaus (Lc 24,31-35) non riconoscono immediatamente Gesù risorto. 

Gli apostoli che pescano sulle rive del lago di Tiberiade riconoscono Gesù dalle sue opere, nel momento in cui gli dice di gettare le reti e queste si riempiono di pesci; i discepoli di Emmaus lo riconoscono allo spezzare del pane; Maria Maddalena lo riconosce quando viene da lui chiamata per nome. Gesù, d'altra parte, aveva affermato "Le mie pecore ascoltano la mia voce e io le conosco ed esse mi seguono" (Gv 10,27). 

Maria Maddalena cerca Cristo e si scopre essa stessa cercata da Cristo, sotto l'umile aspetto di una persona qualsiasi (un giardiniere). Anche noi lo cerchiamo nei vuoti che non possono riempire le creature. Il Signore mantiene la sua parola "mi cercherete e mi troverete, perché mi cercherete con tutto il cuore" (Ger 29,13) e non solo si fa trovare ma viene a cercarci per primo. 

Maria vorrebbe trattenere Gesù per paura di perderlo un'altra volta, ma egli resterà solo per quaranta giorni, prima della sua ascensione (At 1,3-11). Quando se ne sarà andato manderà però il Consolatore, a insegnare ogni cosa e rammentare tutto ciò che egli ha detto (Gv 14,26). 

Per Giovanni la glorificazione di Gesù avviene con la sua risurrezione, ma si compie con il dono dello Spirito Santo e la sua ascensione. Gesù aveva chiamato i suoi discepoli "servi" e "amici" (Gv 15,15) ma qui li chiama "fratelli" e si riferisce a Dio come "Padre mio e Padre vostro" (v. 17) perché il sacrificio della Croce ha creato una nuova relazione con loro e il dono dello Spirito li fa rinascere come figli di Dio. Gesù è figlio del Padre per generazione, noi lo diventiamo per adozione, in virtù della grazia che giustifica e santifica. 

Nella parole di Gesù, che definisce il Padre "Dio mio e Dio vostro" (v. 17) c'è la promessa della vita eterna: come egli è stato risuscitato anche noi abbiamo vinto la morte in lui. 
L'esempio di Maria Maddalena, apostola degli apostoli, dimostra che Gesù risorto si manifesta per costituire i suoi testimoni come annunciatori di salvezza. L'incontro con il Risorto non è un'esperienza destinata a rimanere privata, né una contemplazione infruttuosa ("non mi trattenere"; v. 17), ma come avverrà per Paolo sulla via di Damasco, rappresenta l'investitura di un mandato apostolico. Cristo cerca i nostri fratelli anche mediante la nostra testimonianza e il nostro annuncio.

Preghiera

Signore, tu ci cerchi chiamandoci per nome; le nostre orecchie riconoscano la tua voce, affinché possiamo essere consolati nelle nostre afflizioni diventando testimoni della tua salvezza. Amen.

- Rev. Dr. Luca Vona

mercoledì 21 luglio 2021

Fermati 1 minuto. Il cento per uno

Lettura

Matteo 13,1-9

1 Quel giorno Gesù uscì di casa e si sedette in riva al mare. 2 Si cominciò a raccogliere attorno a lui tanta folla che dovette salire su una barca e là porsi a sedere, mentre tutta la folla rimaneva sulla spiaggia.
3 Egli parlò loro di molte cose in parabole.
E disse: «Ecco, il seminatore uscì a seminare. 4 E mentre seminava una parte del seme cadde sulla strada e vennero gli uccelli e la divorarono. 5 Un'altra parte cadde in luogo sassoso, dove non c'era molta terra; subito germogliò, perché il terreno non era profondo. 6 Ma, spuntato il sole, restò bruciata e non avendo radici si seccò. 7 Un'altra parte cadde sulle spine e le spine crebbero e la soffocarono. 8 Un'altra parte cadde sulla terra buona e diede frutto, dove il cento, dove il sessanta, dove il trenta. 9 Chi ha orecchi intenda».

Commento

Con la parabola del seminatore Gesù esemplifica il modo in cui la parola di Dio viene respinta, trova ostacoli, ma anche viene accolta e porta frutto, diffondendosi ovunque. Mentre il monte è il luogo privilegiato da Gesù per la preghiera e la formazione dei discepoli, la costa del mare di Galilea, ovvero il lago di Genesaret, è il luogo in cui i Vangeli presentano il Signore intento ad ammaestrare le folle.

Il verbo greco usato per indicare il riunirsi delle persone intorno a lui è synago, con un richiamo alla sinagoga; forse perché gli ascoltatori sono ebrei, o perché quella che Gesù forma con la sua predicazione è la nuova sinagoga dei credenti nel vangelo. 

Gesù predica su una barca, quasi a significare che il suo messaggio è rivolto a Israele, ma questi guarda verso il mare, da dove il vangelo prenderà il largo verso le terre dei gentili. Con questo discorso iniziano le sette parabole (il seminatore, la zizzania, il granello di senape, il lievito, il tesoro nascosto, le perle preziose, la rete gettata in mare) che servono a esemplificare il modo in cui il regno di Dio si fa strada o incontra resistenze sul camino degli uomini.

L'uso di parabole - comune nel giudaismo del tempo - serve a Gesù per coinvolgere e provocare chi ascolta, facendogli applicare ciò che dice alla realtà della propria vita spirituale. Attraverso esempi e paragoni così vicini all'esperienza quotidiana di ciascuno, Gesù scuote e invita a cambiare mentalità e comportamenti, perché la parola di Dio penetri nell'anima e diventi lievito di vita. 

L'ascolto che porta frutto è incontro spirituale con la persona di Gesù. Ma la parola necessita di un cuore umile, di un humus, un terreno morbido, dove il seme possa trovare riparo e nutrimento. Il rendimento di una semina era solitamente di otto a uno, dieci a uno in casi eccezionali; la crescita fino al cento per uno che Gesù descrive è incredibilmente grande. Brani della letteratura sia ebraica sia cristiana riferiscono di raccolti eccezionalmente abbondanti nell'era messianica.

Sebbene questa parabola sia riportata in tutti e tre i vangeli sinottici, solo Luca e Matteo spiegano che il seme è la parola di Dio. Una parola che non è solo aria che risuona, ma che è Gesù stesso, Verbo generato dal padre e incarnato nel seno di Maria, parola fattasi "seme", che incontra la durezza di chi lo disprezza tra quelli della sua patria, tra i suoi parenti e in casa sua (Mc 6,4); che incontra i rovi di chi flagellerà il suo corpo e gli coronerà il capo di spine; che dovrà morire ed essere sepolto per generare frutti di vita eterna. Un frutto così grande da sfamare tutti coloro che hanno fame non di pane, ma d'ascoltare la parola del Signore (Am 8,11). 

Il seminatore sparge a piene mani il suo seme in tutte le direzioni, attendendo un raccolto abbondante. Nonostante i fallimenti dovuti all'opposizione e all'indifferenza, l'annuncio del regno di Dio avrà un'efficacia duratura ed estesa.

Preghiera

Crea in noi, Signore, un cuore umile e pronto a ricevere la tua parola; irriga i solchi, spiana le zolle, effondi la pioggia del tuo Spirito; affinché possano abbondare i frutti della tua grazia. Amen.

- Rev. Dr. Luca Vona

martedì 20 luglio 2021

Elia, il profeta che scoprì la tenerezza di Dio

I cristiani di tutte le chiese il 20 di luglio ricordano il profeta Elia, che essi ritennero fin dall'inizio il rappresentante più emblematico della tradizione profetica ebraica, come lasciano intendere gli evangeli nell'episodio della Trasfigurazione.
Il profeta in Israele era un uomo che parlava a nome di Dio, per richiamare tutti alla fedeltà al Dio dell'alleanza. Elia svolse pienamente la propria missione mostrando con tutta la sua vita il pathos stesso di Dio, la sollecitudine del Padre verso i propri figli, soprattutto verso i più piccoli e indifesi.
Vissuto nel IX secolo a.C., in un tempo di grande crisi, Elia dapprima si sdegnò di fronte all'idolatria di molti in Israele; ma in seguito fu chiamato da Dio al distacco e alla solitudine, per imparare che solo servendo la Parola attesa nel silenzio è possibile diventare «uomini di Dio».
Mandato in territorio pagano, Elia conobbe il bisogno di essere alimentato, oltre che da Dio, dai poveri, nella persona della vedova di Sarepta. Ritornò in patria, e la sua parola contro l'idolatria e le ingiustizie dei potenti lo condusse al celebre scontro con i profeti di Baal sul monte Carmelo. Ma la persecuzione che egli subì a seguito della sua momentanea vittoria sugli idolatri lo aiutò a comprendere, grazie alla voce silenziosa attraverso cui Dio gli parlò sull'Oreb, che il Dio che è fuoco divorante è anche pace, silenzio, tenerezza.
Rinnovato da questa ulteriore esperienza, Elia portò a termine la sua missione nel regno del Nord e fu rapito in cielo, secondo il racconto biblico, a significare che lo spirito di Elia continuerà sempre a essere presente nella storia di Israele.
Il suo ritorno è rimasto legato, nella tradizione ebraica e cristiana, alla venuta del Messia.

Tracce di lettura

[Elia] entrò in una caverna per passarvi la notte, quand'ecco il Signore gli disse: «Che fai qui, Elia?». 10 Egli rispose: «Sono pieno di zelo per il Signore degli eserciti, poiché gli Israeliti hanno abbandonato la tua alleanza, hanno demolito i tuoi altari, hanno ucciso di spada i tuoi profeti. Sono rimasto solo ed essi tentano di togliermi la vita». 11 Gli fu detto: «Esci e fermati sul monte alla presenza del Signore». Ecco, il Signore passò. Ci fu un vento impetuoso e gagliardo da spaccare i monti e spezzare le rocce davanti al Signore, ma il Signore non era nel vento. Dopo il vento ci fu un terremoto, ma il Signore non era nel terremoto. 12 Dopo il terremoto ci fu un fuoco, ma il Signore non era nel fuoco. Dopo il fuoco ci fu il mormorio di un vento leggero. 13 Come l'udì, Elia si coprì il volto con il mantello, uscì e si fermò all'ingresso della caverna. Ed ecco, sentì una voce che gli diceva: «Che fai qui, Elia?». 14 Egli rispose: «Sono pieno di zelo per il Signore, Dio degli eserciti, poiché gli Israeliti hanno abbandonato la tua alleanza, hanno demolito i tuoi altari, hanno ucciso di spada i tuoi profeti. Sono rimasto solo ed essi tentano di togliermi la vita». (1 Re 19,9-14)

- Dal Martirologio ecumenico della Comunità monastica di Bose

Fermati 1 minuto. Non arrestiamoci sulla soglia

Lettura

Matteo 12,46-50

46 Mentre egli parlava ancora alla folla, sua madre e i suoi fratelli, stando fuori in disparte, cercavano di parlargli. 47 Qualcuno gli disse: «Ecco di fuori tua madre e i tuoi fratelli che vogliono parlarti». 48 Ed egli, rispondendo a chi lo informava, disse: «Chi è mia madre e chi sono i miei fratelli?». 49 Poi stendendo la mano verso i suoi discepoli disse: «Ecco mia madre ed ecco i miei fratelli; 50 perché chiunque fa la volontà del Padre mio che è nei cieli, questi è per me fratello, sorella e madre».

Commento

Mentre Gesù è circondato dalla folla, sua madre e i suoi fratelli cercano di parlargli, probabilmente per metterlo in guardia dall'agire con imprudenza. Va tuttavia rilevato che i parenti di Gesù "stavano fuori" (v. 46); sono lontani da lui, non sono lì per ascoltare la sua predicazione, ma ne reclamano "il possesso". 

Con la sua risposta Gesù non vuole affatto denigrare o sminuire i legami familiari, ma solo valorizzare quelli spirituali, che sono più profondi. La superiorità della famiglia spirituale su quella fisica è un concetto sviluppato anche nell'Antico testamento (cfr. Dt 33,9).

Gesù è il "nuovo Adamo", il Figlio di Dio che nell'Incarnazione ha assunto su di sé l'intera natura umana, rendendo ciascuno capacce di essere intimamente unito a lui. Così leggiamo in Luca: "una donna alzò la voce di mezzo alla folla e disse: "'Beato il ventre che ti ha portato e il seno da cui hai preso il latte!'" Ma egli disse: "'Beati piuttosto coloro che ascoltano la parola di Dio e la osservano!'" (Lc 11,27-28).

Non ci è lecito pensare di avere un legame privilegiato con Dio per una appartenenza formale nei suoi confronti, fosse anche il battesimo e l'incorporazione nella sua Chiesa. Il rapporto di familiarità con lui, di familiarità fraterna e, addirittura, "materna", ovvero capace di generarlo nelle nostre anime, passa attraverso l'umile ascolto della sua Parola e l'esercizio della volontà del Padre.

Lo "stare fuori" dei parenti di Gesù diventa anche immagine di quei legami familiari che nella nostra vita possono generare estraneità, solitudine, conflitto. Così ci chiediamo "Chi è mia madre? Chi sono i miei fratelli? A chi appartengo?". Ma in Cristo ci scopriamo parte della grande famiglia di Dio, capaci di scambiarci briciole di quell'amore che egli ci ha donato senza misura.

Preghiera

Nessuna solitudine, Signore, è colmata in pienezza finché non conosce te; rendici capaci di trovarti attraverso la tua parola e il tuo operare con il padre e lo Spirito Santo. Amen.

- Rev. Dr. Luca Vona


lunedì 19 luglio 2021

Fermati 1 minuto. Qui c'è di più!

Lettura

Matteo 12,38-42

38 Allora alcuni scribi e farisei presero a dirgli: «Maestro, noi vorremmo vederti fare un segno». 39 Ma egli rispose loro: «Questa generazione malvagia e adultera chiede un segno; e segno non le sarà dato, tranne il segno del profeta Giona. 40 Poiché, come Giona stette nel ventre del pesce tre giorni e tre notti, così il Figlio dell'uomo starà nel cuore della terra tre giorni e tre notti. 41 I Niniviti compariranno nel giudizio con questa generazione e la condanneranno, perché essi si ravvidero alla predicazione di Giona; ed ecco, qui c'è più che Giona! 42 La regina del mezzogiorno comparirà nel giudizio con questa generazione e la condannerà; perché ella venne dalle estremità della terra per udire la sapienza di Salomone; ed ecco, qui c'è più che Salomone!

Commento

A questo punto del Vangelo di Matteo Gesù ha operato numerosi miracoli di guarigione dalle malattie e di liberazione da spiriti maligni, ma gli scribi e farisei che si accostano a lui, adulandolo con il titolo di "Maestro", non sono ancora persuasi da quanto hanno visto e udito e gli chiedono "un segno dal cielo".

Poco prima, infatti, lo avevano accusato di compiere i suoi esorcismi per opera del principe dei demòni (Mt 12,22-32) e per tale ragione chiedono una testimonianza "dall'alto" della provenienza divina sul suo operato. Gesù risponde definendo i suoi interlocutori come appartenenti a una "generazione adultera", termine con cui i profeti dell'Antico Testamento si rivolgenvano spesso a Israele, riferendosi chiaramente a quell'adulterio spirituale che consiste nella violazione del Patto con Dio e nell'allontanamento dalla sua Legge.

Mentre i Niniviti, popolo pagano, di fronte al "segno di Giona", il quale stette tre giorni e tre notti nel ventre del grande pesce, si convertirono per la sua predicazione (Gio 2,1-3,10) gli scribi e i farisei dal cuore indurito, pur appartenenti al popolo eletto, non si convertiranno neanche di fronte alla morte e risurrezione di Gesù, qui da lui predetta con l'immagine del riposo "tre giorni e tre notti" nel cuore della terra. Anche la regina di Saba, che venne ad ascoltare Salomone "dalle estremità della terra" (1 Re 10,1-13) prefigura i pagani che saranno più pronti ad accogliere il messaggio di Gesù di quanto lo sarà il suo popolo.

Dio opera nelle nostre vite manifestando grazia su grazia; noi dobbiamo essere capaci di riconoscere queste meraviglie da lui compiute, per evitare di cadere nella tentazione di chiedergli "un segno"  eclatante, quando ne abbiamo ricevuti tanti, ma non abbiamo saputo prestarvi attenzione, perché troppo presi dal frastuono del mondo e dai nostri piccoli interessi personali. A volte chiediamo a Dio qualcosa e ci rattristiamo perché non ci viene concessa, quando Egli in realtà, nel suo Figlio non ci ha dato "qualcosa", ma ci ha dato "tutto". In un certo senso non è degno di Dio, chi chiede a Dio qualcosa di più piccolo di Dio. Se noi conoscessimo il dono di Dio! (Gv 1,10)

Se abbiamo fame e sete di Cristo e la nostra fede sarà ancorata al mistero della sua morte e risurrezione, stoltezza per il mondo ma sapienza di Dio (1 Cor 1,17,25), comprenderemo che "Qui c'è di più!" (v. 41).

Preghiera

Il tuo Spirito, Signore, apra i nostri occhi alle tue meraviglie; affinché possiamo riconoscerti e lodare la grandezza del tuo Nome. Amen.

- Rev. Dr. Luca Vona

Macrina e la nascita del monachesimo in Cappadocia

Le chiese d'oriente e d'occidente ricordano oggi Macrina, monaca della Cappadocia.
Sorella maggiore di Basilio di Cesarea, di Gregorio di Nissa e Pietro di Sebaste, Macrina decise a dodici anni di non contrarre matrimonio, onde potersi dedicare a una vita di lavoro umile e di preghiera, tesa all'unificazione del cuore. Il fratello Gregorio, suo biografo, non a torto la presenta come l'ispiratrice della vita monastica alla quale attirò in seguito la madre e le domestiche, e quindi anche il fratello Basilio.

Macrina (327-380)

La ricerca di Macrina e delle sue compagne condusse alla creazione di un monastero doppio, dove risiedevano a breve distanza uomini e donne, il cui unico intento era quello di vivere il Vangelo nel celibato e nella vita comune, svolgendo lavori poveri e praticando in modo intenso verso tutti l'ospitalità e la condivisione.
Macrina morì all'età di 53 anni, dopo aver guidato per tutta la vita come una madre la sua comunità; prima di morire ringraziò Dio per aver aperto agli uomini la via della resurrezione, e lo pregò di accogliere la sua vita come un'offerta, «come incenso davanti al suo volto» (Sal 142,2).

Tracce di lettura

Signore, tu hai dissolto per noi la paura della morte, tu dai in deposito alla terra la terra che noi siamo, quella che tu stesso hai plasmato con le tue mani, e fai rivivere ciò che hai donato all'uomo, trasformando mediante l'immortalità e la bellezza quello che in noi è mortale e deforme.
Sei tu che ci hai strappati alla maledizione e al peccato, facendoti per noi l'una e l'altro.
Dio eterno, verso cui mi sono protesa fin dal seno di mia madre, te che la mia anima ha amato con tutte le sue forze, poni al mio fianco un angelo luminoso che mi conduca per mano dove si trova l'acqua del riposo, nel seno dei santi patriarchi!
Tu che hai spezzato la fiamma della spada di fuoco e hai restituito al paradiso l'uomo crocifisso con te e che si era affidato alla tua misericordia, ricordati anche di me nel tuo regno.
(Preghiera di Macrina in Gregorio di Nissa, Vita di santa Macrina 24)

- Dal Martirologio ecumenico della Comunità monastica di Bose

domenica 18 luglio 2021

Quanti pani avete?

COMMENTO ALLA LITURGIA DELLA SETTIMA DOMENICA DOPO LA TRINITÀ

Colletta

Dio di ogni potenza e forza, che sei l’autore e il datore di ogni cosa buona; innesta nel nostro cuore l’amore per il tuo Nome, accresci in noi la vera religione, nutrici con ogni bontà e mantienici nella tua grande misericordia; per Gesù Cristo, nostro Signore. Amen.

Letture

Rm 6,19-23; Mc 8,1-10

Commento

L'apostolo Paolo afferma nella sua lettera ai Romani che le nostre vite possono essere date in prestito al peccato o alla giustizia di Dio (cioè alla sua grazia giustificante). Nel primo caso il frutto di questo prestito è la morte; nel secondo caso, la vita eterna.

A ciascuno di noi verrà chiesto conto di come abbiamo amministrato i doni ricevuti da Dio: il nostro corpo, le nostre capacità intellettuali, il nostro tempo, le nostre risorse economiche. Se la parabola dei talenti e quella dei vignaioli omicidi ci insegnano che chi ha male amministrato quanto ricevuto dal Signore sarà sottoposto a un giudizio severo, il racconto evangelico della moltiplicazione dei pani ci mostra Gesù nell’atto di chiedere ai discepoli di porre sotto la sua benedizione ciò che hanno, anche se del tutto inadeguato alle esigenze che si trovano ad affrontare.

Gesù, avrebbe potuto creare i pani dal nulla per sfamare la folla che da tre giorni lo seguiva, proprio come Dio fece piovere la manna dal cielo per sfamare il suo popolo nel deserto. Ma egli sceglie di darci una lezione sull’amore e la sollecitudine di Dio e la necessità di farci suoi imitatori assumendo lo stesso spirito di servizio e di comunione. Vediamo, infatti, che richiede una partecipazione attiva dei suoi discepoli, i quali sono chiamati a condividere il poco che hanno a disposizione e a distribuire loro stessi i pani alla folla: "li diede ai suoi discepoli perché li mettessero davanti a loro" (Mc 8,6).

Ma prima chiede un atto di fede, ovvero il superamento di quella logica terrena che dimentica la potenza di Dio, espressa dalla frase attribuita ai discepoli: «come potrebbe alcuno saziare di pane costoro, qui nel deserto?». La risposta di Gesù la troviamo nella sua predicazione: «chi è tra voi quel padre che, se il figlio gli chiede del pane, gli dà una pietra? (...) Se voi dunque, che siete malvagi, sapete dare buoni doni ai vostri figli, quanto più il vostro Padre celeste donerà lo Spirito Santo a coloro che glielo chiedono» (Lc 11,11-13). E ancora: «Non siate dunque in ansia, dicendo: 'Che mangeremo? Che berremo? Di che ci vestiremo?' Perché sono i pagani che ricercano tutte queste cose; ma il Padre vostro celeste sa che avete bisogno di tutte queste cose» (Mt 6:31-32). È nel momento in cui i discepoli hanno fede in Gesù e obbediscono alla sua parola che si compie il miracolo. Poniamo le nostre risorse, anche se scarse, sotto l'azione santificante dello Spirito.
                       
- Rev. Dr. Luca Vona

sabato 17 luglio 2021

Andrej Rublev e la Trinità che viene incontro all'uomo

Le chiese ortodosse ricordano oggi Andrej Rublev, monaco e iconografo.
Nato intorno al 1360, Rublev fu iniziato all'arte dell'iconografia da Teofane il Greco. Divenuto, secondo la tradizione, monaco in una data imprecisata tra il 1380 e il 1405, egli risiedette dapprima presso il monastero del Salvatore Misericordioso a Mosca, fondato da un discepolo di Sergio di Radonež. La sua esistenza fu profondamente segnata dal desiderio di tradurre nelle icone che dipingeva una profonda vita interiore di comunione con Dio Padre, Figlio e Spirito santo.


Andrej Rublev (ca 1360-1427) con la sua celebre icona trinitaria

Alla Lavra della Trinità di San Sergio, dove passerà gran parte dei suoi anni, Andrej lasciò quello che unanimemente è ritenuto il suo capolavoro: l'icona della Trinità, oggi conservata presso la Galleria Tretjakov di Mosca. In essa, a partire dalla scena biblica dell'ospitalità offerta da Abramo ai tre angeli del Signore, Rublev esprime l'amore che lega le tre persone divine grazie al movimento circolare suggerito dai volti inclinati dei tre angeli; al tempo stesso, mediante l'impiego della prospettiva inversa, convergente al cuore di colui che osserva l'icona, la Trinità di Rublev ricorda a chi la contempla come ogni uomo sia chiamato a partecipare al mistero della comunione divina, al banchetto nuziale dell'Agnello.
Andrej Rublev morì nel 1427, e nel 1551 il concilio dei Cento capitoli proclamò la sua Trinità «modello di ogni icona ortodossa».

- Dal Martirologio ecumenico della Comunità monastica di Bose

venerdì 16 luglio 2021

Fermati 1 minuto. Più grande del tempio

Lettura

Matteo 12,1-8

1 In quel tempo Gesù passò tra le messi in giorno di sabato, e i suoi discepoli ebbero fame e cominciarono a cogliere spighe e le mangiavano. 2 Ciò vedendo, i farisei gli dissero: «Ecco, i tuoi discepoli stanno facendo quello che non è lecito fare in giorno di sabato». 3 Ed egli rispose: «Non avete letto quello che fece Davide quando ebbe fame insieme ai suoi compagni? 4 Come entrò nella casa di Dio e mangiarono i pani dell'offerta, che non era lecito mangiare né a lui né ai suoi compagni, ma solo ai sacerdoti? 5 O non avete letto nella Legge che nei giorni di sabato i sacerdoti nel tempio infrangono il sabato e tuttavia sono senza colpa? 6 Ora io vi dico che qui c'è qualcosa più grande del tempio. 7 Se aveste compreso che cosa significa: Misericordia io voglio e non sacrificio, non avreste condannato individui senza colpa. 8 Perché il Figlio dell'uomo è signore del sabato».

Commento

Gesù aveva promesso un giogo dolce e un carico leggero per chi lo avrebbe seguito; l'esatto contrario dell'atteggiamento dei farisei riportato da questo brano evangelico. I discepoli cercano di soddisfare il naturale bisogno della fame raccogliendo le spighe cadute per terra durante il raccolto, azione consentita secondo il libro del Deuteronomio (Dt 23,25); il libro del Levitico, anzi, comandava: "Quando mieterai la messe non raccoglierai ciò che resta del tuo raccolto; lo lascerai per il povero e il forestiero" (Lv 23,22; 19,9). 

In questo precetto veterotestamentario è espressa la misericordia di Dio, che è alla base della legge e ne determina il senso. Di fronte ai dottori delle Scritture, che le impiegano in maniera parziale e tendenziosa, Gesù risponde con le Scritture stesse, citando un episodio tratto dal primo libro di Samuele (1 Sam, 21,1-6) in cui Davide in fuga da Saul si rifugia con i suoi compagni nel tempio, e viene sfamato dal sommo sacerdote Achimelec con i pani della presenza, dodici pani offerti al Signore ogni sabato, che solo i sacerdoti potevano mangiare (Es 25,30; Lv 24,5-9). 

Gesù poi cita i leviti, che anche in giorno di sabato, svolgevano il proprio lavoro nel tempio, sostituendo i pani della presenza e raddoppiando i sacrifici (Lv 24,8; Num 28,9-10). I farisei mostrano di voler applicare agli altri un rigore di giudizio che non mostrano nei confronti della casta regale e sacerdotale.  

Se i sacerdoti possono violare la legge, per il servizio del sabato, anche Gesù, che è più grande del tempio (v. 6) può violare il sabato. Gesù rammenta anche l'invito delle Scritture all'esercizio della compassione (Os 6,6), dandogli precedenza sul sacrificio (v. 7). Più grandi del tempio sono, infatti, anche quei poveri prediletti dal Signore, verso i quali egli vuole sia indirizzata la misericordia del suo popolo.

Proclamandosi "signore del sabato" Gesù afferma la sua divinità, in quanto Figlio di Dio incarnato, superiore alla presenza di Dio nell'edificio cultuale. Egli ci chiama a partecipare del suo sacerdozio eterno (Eb 1,4) per dispensare la misericordia infinita di Dio, come sacrificio perfetto e a lui gradito.

Preghiera

Signore, che offri un rifugio agli uccelli del cielo presso la tua casa; donaci di essere saziati dalla tua grazia e di vivere al riparo della tua misericordia. Amen.

- Rev. Dr. Luca Vona



giovedì 15 luglio 2021

Bonaventura da Bagnoregio e la scala per salire a Dio

La chiesa cattolica e quella anglicana ricordano oggi Bonaventura, pastore e dottore della chiesa.
Nato a Bagnoregio in Italia centrale intorno al 1217, egli entrò nell'Ordine dei Frati minori nel 1243 e divenne professore all'Università di Parigi, dove nel frattempo aveva compiuto i suoi studi di teologia. Eletto ministro generale nel 1257, Bonaventura seppe conciliare le esigenze della vita evangelica con la necessità di un minimo di istruzione, indispensabile a un ordine in espansione e attraversato da forti conflitti.


Nella sua riflessione teologica si incontrano in modo geniale lo spirito francescano, i metodi teologici propri della scolastica e un ardente desiderio di Dio. Sotto la costante guida delle Scritture, luogo in cui è depositata per Bonaventura la conoscenza di Dio accessibile all'uomo, egli propose un itinerario di esplorazione del divino capace di abbracciare la contemplazione delle orme impresse da Dio nel creato e la ricerca della presenza di Dio nell'uomo, fatto a immagine e somiglianza del proprio Creatore; Bonaventura operò così una sintesi mirabile tra la nascente teologia speculativa medievale e la mistica incentrata sull'interiorità, tipica dei vittorini e cistercensi.
Nominato vescovo di Albano, Bonaventura partecipò ai lavori per l'unione con i greci e al concilio di Lione; quì morì una settimana dopo la conclusione dell'assise conciliare.

Tracce di lettura

La totalità delle cose è scala per salire a Dio, e fra gli esseri creati, alcuni hanno rapporto a Dio di vestigio, altri di immagine; perché sia possibile pervenire alla considerazione del primo principio, è necessario che prima consideriamo gli oggetti corporei, temporali e fuori di noi, nei quali è il vestigio e l'orma di Dio, e questo significa incamminarsi per la via di Dio; ed è necessario poi rientrare in noi stessi, perché la nostra mente è immagine di Dio, immortale, spirituale, il che ci conduce alla verità di Dio; infine, occorre elevarci a ciò che è eterno, spiritualissimo e sopra di noi, il che reca letizia nella conoscenza di Dio e omaggio alla sua maestà.
Siccome però a ottenere questo nulla può la natura e poco la scienza, bisogna dare poco peso all'indagine e molto all'unzione spirituale; poco alla lingua e moltissimo alla gioia interiore; poco alle parole e ai libri, e tutto al dono di Dio, cioè allo Spirito santo.
(Bonaventura, Itinerario della mente in Dio 1,2 e 7,5)

- Dal Martirologio ecumenico della Comunità monastica di Bose

Fermati 1 minuto. Una gioiosa partecipazione all'opera divina

Lettura

Matteo 11,28-30

28 Venite a me, voi tutti, che siete affaticati e oppressi, e io vi ristorerò. 29 Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me, che sono mite e umile di cuore, e troverete ristoro per le vostre anime. 30 Il mio giogo infatti è dolce e il mio carico leggero».

Commento

Dopo aver proclamato la beatitudine degli umili, ai quali vengono rivelati il Cristo e il suo Regno, Gesù esorta gli affaticati e gli oppressi ad andare a lui. Costoro, paradossalmente, troveranno ristoro ponendo su di sé il giogo del Signore. Ma come è possibile essere liberati dall'oppressione sottomettendosi e vincolandosi?

Questa, purtroppo, è l'impressione che al giorno d'oggi molti hanno della fede: semplicemente una religione, ovvero un insieme di norme da rispettare, spesso con fatica. Il rischio di un cristianesimo legalista è di replicare l'oppressione generata dal modo di spiegare la legge degli scribi e dei farisei, dei quali Gesù afferma: «Legano pesanti fardelli e li impongono sulle spalle della gente, ma loro non vogliono muoverli neppure con un dito» (Mt 23,4). 

Gesù invita all'obbedienza alla sua parola, che dà ristoro perché dona la salvezza, mediante la giustificazione e la santificazione. La vita del credente è più che una religione: è un'esperienza di comunione con Dio. E poiché  Dio è il creatore di tutto e colui che governa tutto, essere "sottomessi a lui" significa regnare con lui, in lui. 

La vera religione è lontana tanto dall'arbitrio individualistico quanto dalla sterile precettistica; è un'esperienza di liberazione e di gioiosa partecipazione all'opera divina.

Gesù ci libera da tutto ciò che ci appesantisce lungo la via della salvezza; anche da quei pesi inutili che spesso noi stessi ci siamo caricati sulle spalle. Come ai suoi apostoli egli ci dice: «Venite... riposatevi un po'» (Mc 6,31).

Preghiera

Guidaci, Signore, verso la libertà dei figli di Dio; affinché attraverso la mitezza e l'umiltà possiamo regnare con te e trovare ristoro. Amen.

- Rev. Dr. Luca Vona

mercoledì 14 luglio 2021

Nicodemo Aghiorita. L'ascesi, tra preghiera contemplativa e riscoperta dei Padri

Nel 1809 muore Nicodemo Aghiorita, monaco ed editore delle più importanti collezioni di spiritualità patristica dell'oriente cristiano.
Nicola Kalliboutzes, questo il suo nome di battesimo, era nato nel 1749 sull'isola di Naxos. A ventisei anni si recò al monte Athos per farsi monaco presso il monastero di Dionysiou. Iniziava così il suo itinerario monastico, che saprà compaginare in armonia la tradizione esicasta (un metodo di preghiera contemplativa del periodo bizantino) con lo studio e la divulgazione delle opere dei padri.

Nicodemo Aghiorita (1749-1809)

Uomo di grande preghiera, dotato per di più di una memoria eccezionale e di una grande apertura alla sapienza cristiana sia d'oriente che d'occidente, Nicodemo riuscì a dare all'esicasmo, incentrato sulla pratica della preghiera di Gesù, un solido radicamento biblico e patristico; nel contempo, seppe trasmettere in modo vitale il messaggio dei padri in opere che rimangono ancor oggi il riferimento fondamentale per la vita spirituale di ogni cristiano ortodosso, come la celebre Filocalia redatta su invito di Macario di Corinto. Ciò gli fu possibile per la sua personale esperienza di Dio nella solitudine e nella preghiera, e per l'appassionata ricerca nelle tradizioni del passato, comprese quelle d'occidente come gli Esercizi spirituali di Ignazio di Loyola. Nicodemo seppe fare di tali tradizioni un messaggio vivo e autentico da trasmettere all'intera comunità ecclesiale per vivificarla.
L'Aghiorita visse gran parte della sua vita in piccoli kellia della Santa Montagna, che costituivano l'ambiente ideale per la sua duplice attività di studio e di preghiera.

- Dal Martirologio ecumenico della Comunità monastica di Bose

Fermati 1 minuto. La teologia guidata dall'umiltà e dall'amore

Lettura

Matteo 11,25-27

25 In quel tempo Gesù disse: «Ti benedico, o Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai tenuto nascoste queste cose ai sapienti e agli intelligenti e le hai rivelate ai piccoli. 26 Sì, o Padre, perché così è piaciuto a te. 27 Tutto mi è stato dato dal Padre mio; nessuno conosce il Figlio se non il Padre, e nessuno conosce il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio lo voglia rivelare.

Commento

Vi è un certo sarcasmo nelle parole di Gesù, che contrappongono i dottori della legge, considerati saggi e sapienti, ai suoi discepoli, uomini semplici, che qui vengono paragonati ai bambini (gr. nèpios). Gli uni e gli altri assistono agli stessi miracoli e ascoltano le stesse parole, ma solo a chi si pone con atteggiamento umile Dio - che "resiste ai superbi" (Gc 4,6) - rivela la verità sul Messia e il suo vangelo.

Nella prima lettera dell'apostolo Pietro siamo esortati a rispondere consapevolmente a chiunque ci domandi ragione della speranza che è in noi (1 Pt 3,15); diversi secoli più tardi Anselmo d'Aosta si faceva portatore di quell'impostazione teologica secondo la quale la fede ci conduce a riflettere su di essa e ogni genuina riflessione sull'uomo e sul creato ci predispone ad accogliere la fede. 

La benedizione di Gesù al Padre perché ha tenuto nascoste le cose del Regno ai sapienti e agli intelligenti non rappresenta una mortificazione della ragione, ma il ridimensionamento di ogni teologia, nella consapevolezza del suo essere niente più che un balbettare di fronte Dio. 

Questo fu l'atteggiamento di Tommaso d'Aquino, quando al termine della sua vita, dopo aver completato la monumentale Somma Teologica affermò che tutte le sue speculazioni non gli sembravano che "paglia"; e questa è stata l'impressione del teologo protestante Karl Barth, quando, dopo aver pubblicato l'incompleto tredicesimo volume della sua Teologia Dogmatica, affermava: "Quando verrà il giorno in cui dovrò apparire alla presenza del mio Signore, allora io non giungerò con le mie azioni, con i volumi della mia Dogmatica nella sporta sulle spalle. Tutti gli angeli ne riderebbero".

La ricerca autentica di Dio muove dall'umiltà e conduce a un'umiltà ancora più grande. "Se non vi convertirete e non diventerete come i bambini, non entrerete nel regno dei cieli". (Mt 18,3) afferma Gesù. Solo la consapevolezza della propria piccolezza, del proprio nulla, solo una completa kènosis, una totale spoliazione di sé, può condurre alla theosis, alla divinizzazione, alla conoscenza di Dio in Dio

Preghiera

Signore Gesù Cristo, tu sei la Sapienza che sola conosce il Padre; donaci un cuore umile, affinché possiamo conoscere i segreti divini e innalzare la nostra preghiera di lode. Amen.

- Rev. Dr. Luca Vona