Il Rev. Dr. Luca Vona
Un evangelico nel Deserto

Ministro della Christian Universalist Association

lunedì 31 luglio 2023

Fermati 1 minuto. Gli uccelli del cielo si annidano tra i suoi rami

Lettura

Matteo 13,31-35

31 Un'altra parabola espose loro: «Il regno dei cieli si può paragonare a un granellino di senapa, che un uomo prende e semina nel suo campo. 32 Esso è il più piccolo di tutti i semi ma, una volta cresciuto, è più grande degli altri legumi e diventa un albero, tanto che vengono gli uccelli del cielo e si annidano fra i suoi rami».
33 Un'altra parabola disse loro: «Il regno dei cieli si può paragonare al lievito, che una donna ha preso e impastato con tre misure di farina perché tutta si fermenti».
34 Tutte queste cose Gesù disse alla folla in parabole e non parlava ad essa se non in parabole, 35 perché si adempisse ciò che era stato detto dal profeta:
Aprirò la mia bocca in parabole,
proclamerò cose nascoste fin dalla fondazione del mondo.

Commento

Insieme a quella del seminatore e a quella della zizzania la parabola sul granello di senapa è una delle parabole del Regno in cui Gesù utilizza immagini tratte dal mondo agricolo. Mentre la parabola del seminatore illustrava il diverso modo di recepire l'annuncio evangelico e la parabola della zizzania illustrava la crescita dei buoni frutti insieme a quelli malvagi, quella del chicco di senapa mostra l'estensione del Regno a  partire dai suoi piccoli inizi. 

Così la Chiesa, che muove i suoi passi nella storia a partire dai dodici apostoli e dai settanta discepoli, dopo la risurrezione di Cristo, nonostante le ostilità della sinagoga, dei re e dei principi della terra, raggiungerà nel dispiegarsi della storia tutti gli angoli della terra. 

Nella sua ramificazione possiamo vedere la diversità nell'unità, lungi dall'appiattimento nell'uniformità, che non risponderebbe all'abbondanza di carismi trasmessi come linfa vitale dallo Spirito Santo. Gli angeli benedicono le diverse espressioni di santità, innestate sull'unico tronco di Cristo, come uccelli del cielo che si vengono a posare sui suoi rami (v. 32).

Anche la parabola del lievito sembra richiamare l'azione generatrice e vivificante dello Spirito Santo. L'enorme quantità di farina (anche qui a significare l'abbondanza dei chiamati al Regno di Dio) non produrrebbe nulla senza di esso.

Nell'uomo che semina e nella donna che impasta potremmo vedere rispettivamente due metafore di Cristo e della sua Chiesa, del nuovo Adamo e della nuova Eva, che generano alla vita le moltitudini.

Le due parabole possono essere lette anche secondo un significato individuale, trovando in esse un richiamo a non scoraggiarsi di fronte ai piccoli inizi del Regno di Dio dentro di noi; a "coltivare" e "impastare" con pazienza; ad attendere con fiducia che lo Spirito faccia giungere a maturazione i frutti della grazia, oltre ogni nostra aspettativa.

Preghiera

O Dio, che ci hai generati nel santo battesimo come primizia del tuo Regno e che mediante il tuo Spirito, sia che dormiamo, sia che vegliamo, accresci i frutti della tua Parola caduta nel terreno buono, moltiplica in noi la tua grazia, affinché la Chiesa possa risplendere della tua gloria. Amen.

- Rev. Dr. Luca Vona

Ignazio di Loyola, soldato di Cristo

La chiesa cattolica d'occidente e la chiesa anglicana celebrano oggi la memoria di Ignazio di Loyola.
Nel 1556 muore a Roma Ignazio di Loyola, presbitero e fondatore della Compagnia di Gesù (Gesuiti).
Nato nel 1491 da una nobile famiglia basca, Iñigo Lopez de Loyola ricevette un'educazione cavalleresca e adatta a una vita di corte. Ferito a una gamba a trent'anni nell'assedio della città di Pamplona e costretto a una lunga convalescenza, egli rimase conquistato dalla lettura della Vita di Gesù Cristo del certosino Ludolfo di Sassonia e della Leggenda aurea di Jacopo da Varagine. Decise allora di iniziare un lungo cammino per discernere la volontà di Dio sulla sua vita.
Frutto di queste sue prime esperienze e dell'anno di solitudine e preghiera passato a Manresa sarà il libro degli Esercizi spirituali, grazie al quale Ignazio renderà accessibile ad altri l'itinerario di discernimento che per primo aveva percorso.
Illuminato da una profonda vita interiore, egli volle intraprendere un cammino di spoliazione e di povertà per amore di Cristo, itinerario che iniziò assieme a una piccola comunità di fratelli destinata all'annuncio del vangelo e al servizio del bene spirituale degli uomini.
Uomo sempre teso ad armonizzare il divino e l'umano, l'invocazione dello Spirito nella preghiera e la concreta fatica della carità, Ignazio diede vita nel 1540, assieme ai primi compagni, alla Compagnia di Gesù: «poveri preti pellegrini», disposti ad andare in tutto il mondo a diffondere la chiamata alla santità che Dio rivolge a ogni uomo. La sua forma di vita religiosa si è rivelata nei secoli tra le più feconde e lungimiranti della chiesa d'occidente.

Tracce di lettura

Con l'espressione «esercizi spirituali» si intende ogni modo di esaminare la coscienza, meditare, contemplare, pregare vocalmente e mentalmente, e altre operazioni spirituali. Come infatti il passeggiare, il camminare e il correre sono esercizi corporali, così si chiamano «esercizi spirituali» tutti i modi di preparare e disporre l'anima a liberarsi di tutti gli affetti disordinati e, una volta eliminati, a cercare e trovare la volontà divina nell'organizzazione della propria vita per la salvezza dell'anima.
(Ignazio di Loyola, Esercizi spirituali, Prima annotazione).

- Dal Martirologio ecumenico della Comunità monastica di Bose

07 31 ignazio loyola
Ignazio di Loyola (1491-1556)

domenica 30 luglio 2023

Lasciarsi condurre dallo Spirito di Dio

COMMENTO ALLA LITURGIA DELLA OTTAVA DOMENICA DOPO LA TRINITÀ

Colletta

O Dio, la cui perenne provvidenza ha ordinato tutte le cose, in cielo e sulla terra; ti supplichiamo umilmente di liberarci da ogni cosa nociva e di donarci tutto ciò che è per noi profittevole; per Gesù Cristo, nostro Signore. Amen.

Letture

Rm 8,12-17; Mt 7,15-21

Commento

Chi sono i falsi profeti di cui parla Gesù, dicendoci che vengono in veste di agnelli ma si rivelano lupi? Per giudicarli, Gesù ci esorta a valutare i frutti che producono. Ma come facciamo a distinguere i frutti buoni dai cattivi? Una indicazione è data da Paolo, nella sua lettera ai Romani, che offre un contrasto tra la carne e lo Spirito. Non abbiamo un debito con la carne, che conduce alla morte, ma con lo Spirito (Rm 8,12-13). 

Con la parola "carne" (gr. sarx) l’apostolo indica quanto nell’uomo è soggetto alla caducità, la nostra fragilità, i nostri limiti. La carne è quel qualcosa della nostra natura umana che se non è redento dallo Spirito ci trascina verso la morte eterna. Lo Spirito, invece, conduce alla vita e alla santificazione, se ci lasciamo guidare da lui: “tutti quelli che sono condotti dallo Spirito di Dio, sono Figli di Dio” (Rm 8,14).

La carne riduce in schiavitù, perché rende soggetti alle opere morte (Eb 9,14). Vivere secondo la carne significa vivere per ciò che è vano, instabile, impermanente; per tale ragione, significa vivere nella paura: paura costante della perdita, perdita di ciò che possediamo o desideriamo e perdita della nostra stessa esistenza. Vivere secondo lo Spirito significa vivere per il Regno di Dio, fondati nell’Eterno e nella fonte stessa della vita.

Lo Spirito di Dio testimonia al nostro spirito che sebbene tutto ciò che abbiamo e tutto ciò che siamo è minacciato dall'annichilimento, noi siamo eredi della vita, eredi nientemeno che di Dio stesso, in Cristo, destinati alla glorificazione con lui. 

L’esperienza della sofferenza, della perdita e della morte continuano a far parte dell'esistenza terrena, ma il Verbo incarnato ha voluto condividerle fino in fondo con noi, per portare la presenza di Dio anche nei luoghi più desolati dell’esistenza umana. La morte, già sconfitta dal trionfo pasquale di Cristo, non avrà più spazio nel Regno di Dio, la cui presenza in mezzo a noi è già testimoniata dai buoni frutti dei credenti.

Se la nostra vita è radicata nelle Scritture saremo come un albero buono (Sal 1,3), che non può dare frutti cattivi, né può restare senza frutti. Pertanto, non basta la certezza, magari la presunzione, di essere giustificati per fede, predestinati alla salvezza. Dio ci chiama alla santità, alla carità perfetta (1 Cor 12,31; 13,1-13) e la sua grazia agisce nei credenti per portarla a compimento. 

- Rev. Dr. Luca Vona

sabato 29 luglio 2023

Marta, Maria e Lazzaro. Amici del Signore

Nel calendario monastico occidentale si ricordano oggi Marta, Maria e Lazzaro, «amici e ospiti del Signore».
«Gesù voleva molto bene a Marta, a sua sorella e a Lazzaro» (Gv 11,5): accanto agli uomini e alle donne che lo avevano seguito nella sua predicazione, gli evangelisti ricordano questi amici del Signore che lo accolsero nella loro casa e furono particolarmente associati al mistero della sua morte e resurrezione.
Marta accoglie Gesù e si mette a servire colui che era venuto nel mondo per servire e dare l'esempio di un amore «fino alla fine».
Maria di Betania è presentata dai vangeli come preoccupata solo di accogliere la presenza del Signore e di custodirne la Parola; secondo Giovanni è lei a cospargere di olio profumato il Cristo e ad asciugargli i piedi con i propri capelli, anticipando profeticamente l'unzione del corpo di Gesù per la sepoltura.
Lazzaro è l'amico che Gesù tanto amava e che richiama in vita proprio mentre si accinge a deporre la propria vita, offrendo così in quest'ultimo segno una profezia della resurrezione.
Marta, Maria e Lazzaro diedero il conforto dell'amicizia e un luogo di riposo al Figlio dell'uomo che non aveva una pietra su cui posare il capo. I monaci, da sempre attenti a riconoscere e servire il Cristo presente nell'ospite, festeggiano in loro gli ascoltatori della Parola che hanno saputo vivere l'intimità e la comunione con il Signore, fino a scorgere in quel Gesù che bussava alla loro porta il Messia che li avrebbe accolti nella dimora del Padre.

Tracce di lettura

Forse ai padri è sfuggito qualcosa: l'umanità così semplice di Gesù. Ripensiamo al vangelo di Marta e di Maria: «Ora, Gesù amava Marta, e sua sorella, e Lazzaro». Gli piaceva andarsi a riposare presso i suoi amici.
Scoprire l'amicizia di Cristo per noi significa anche scoprirci fratelli. Ma che Cristo abbia avuto amici speciali, che abbia manifestato delle predilezioni, non significa che ami meno qualcun altro. E' per ognuno di noi, in segreto, che ha una predilezione. Da ciò deriva, mi sembra, un principio fondamentale della vita spirituale: non bisogna fare paragoni. Ogni uomo è fuori misura. Chi può misurare l'uomo se non l'amore, che per l'appunto non misura mai? L'uomo non è suscettibile di confronti. Cristo non fa paragoni, ama ciascuno senza misura. Ricordiamolo bene, quando ci accostiamo agli uomini.
(Athenagoras, Dialoghi con Olivier Clément)

- Dal Martirologio ecumenico della Comunità monastica di Bose

Icona dipinta a mano in stile bizantino, cm 32x40
Marta, Maria e Lazzaro insieme a Gesù, icona di Bose

venerdì 28 luglio 2023

Johann Sebastian Bach, la vita interiore in musica

Il 28 luglio 1750 moriva a Lipsia Johann Sebastian Bach.
Vi sono cristiani che hanno reso una profonda testimonianza a Cristo con la vita, altri attraverso gli scritti e gli insegnamenti che hanno lasciato ai posteri. Johann Sebastian Bach lo ha fatto con la musica, in modo costante, per tutto l'arco della sua parabola terrena.
Bach nacque ad Eisenach, in Turingia, nel 1685, ultimo figlio di una famiglia di musicisti. Rimasto orfano a nove anni della madre e a dieci del padre, egli ebbe tuttavia un'esistenza serena, ritmata dalla propria intensa vita familiare - fu padre di venti figli - e dalla professione di organista. Dopo il liceo Johann Sebastian fu infatti organista prima ad Arnstadt, poi alla corte del duca di Weimar, e infine a Lipsia.
In vita egli fu ammirato soprattutto come esecutore, mentre le sue più grandi opere religiose, come ad esempio la Passione secondo Matteo, passarono per lo più inosservate. Nella musica Bach traspose tutti gli affetti domestici e le esperienze religiose, riuscendo a narrare in modo straordinario la bellezza della quotidianità, da lui sempre avvertita alla luce dello sguardo misericordioso del Signore.
Bach morì a Lipsia, il 28 luglio del 1750, e a poco a poco emerse la sua grandiosa e originale produzione musicale, che fu una vera e propria trasposizione musicale della vita interiore che il musicista era riuscito a coltivare nonostante la gran mole di impegni a cui mai si era sottratto.

- Dal Martirologio ecumenico della Comunità monastica di Bose

Fermati 1 minuto. Colui che ode la parola e la comprende

Lettura

Matteo 13,18-23

18 «Voi dunque ascoltate che cosa significhi la parabola del seminatore! 19 Tutte le volte che uno ode la parola del regno e non la comprende, viene il maligno e porta via quello che è stato seminato nel cuore di lui: questi è colui che ha ricevuto il seme lungo la strada. 20 Quello che ha ricevuto il seme in luoghi rocciosi, è colui che ode la parola e subito la riceve con gioia, 21 però non ha radice in sé ed è di corta durata; e quando giunge la tribolazione o persecuzione a motivo della parola, è subito sviato. 22 Quello che ha ricevuto il seme tra le spine è colui che ode la parola; poi gli impegni mondani e l'inganno delle ricchezze soffocano la parola che rimane infruttuosa. 23 Ma quello che ha ricevuto il seme in terra buona è colui che ode la parola e la comprende; egli porta del frutto e, così, l'uno rende il cento, l'altro il sessanta e l'altro il trenta».

Commento

La Parola di Dio - la "parola del Regno", definizione che ricorre solo in questo passo di tutta la Bibbia - va certamente ascoltata, ma va soprattutto compresa. Questo l'essenziale messaggio della parabola del seminatore, qui spiegata da Gesù stesso. 

L'importanza dell'ascolto attraversa tutte le Scritture, dal comandamento rivolto da Dio al suo popolo: «Shemà Israel», «Ascolta Israele» (Dt 6, 4) al libro dell'Apocalisse: «Beato colui che leggerà e quelli che ascolteranno le parole di questa profezia e metteranno in pratica ciò che in essa è scritto!» (Ap 1,3). Il salmo più lungo di tutti, il 119, è un'esaltazione della Parola di Dio ad ogni versetto, per un totale di 175 versetti: "Come può un giovane rendere pura la sua via? Custodendola con la tua parola" (Sal 119,9). L'apostolo Giacomo ci esorta "Siate facitori della parola!" (Gc 1,22), rimarcando che l'ascolto sincero e fruttuoso traduce la Parola da semplice suono o lettera scritta in azioni concrete, come perpetuando il mistero dell'Incarnazione del Verbo. 

Tra il "dirsi" della parola, il suo essere accolta, e il "fare" cui allude Giacomo, vi è la capacità di custodire la Parola di Dio. Se un giovane custodirà la sua vita mediante la Parola, la Parola sarà custodita là dove si irradia la vita stessa dell'uomo, nel cuore, considerato nel pensiero biblioco la sede dei sentimenti e delle decisioni vitali.

I quattro terreni descritti nella parabola rappresentano non soltanto quattro tipologie di uomini, quattro tipologie di ascoltatori differenti, ma il paesaggio della nostra anima, dalla sua periferia, coinvolta con le cose del mondo o attanagliata dalle preoccupazioni, al suo centro più profondo, che è quella terra morbida e fertile in cui dobbiamo seminare il Verbo.

Probabilmente abbiamo letto e riletto tanti passaggi delle Scritture o tutta la Bibbia "da copertina a copertina"; forse seguiamo un piano di lettura sistematica o un lezionario. Ma quante volte ciò che abbiamo letto e ascoltato ha portato frutto? Facciamo bene a leggere e ascoltare, con attenzione e con l'intelligenza che scruta il senso delle Scritture confrontandole tra sé e avvalendoci di buoni mezzi per interpretarle con intelligenza. Ma non dimentichiamo di ascoltare anche con il cuore. Di rassodare il terreno buono, custodire il seme e attendere che la Parola germogli, come contadini pazienti, consapevoli che è l'uomo che pianta ma è Dio che fa crescere (1 Cor 3,7).

Preghiera

Signore, la nostra anima, afflitta da distrazioni e tribolazioni è spesso come terra arida, senz'acqua.
Manda il tuo Spirito a irrigarla e renderla terra fertile per accogliere il buon seme della tua Parola; affinché il tuo Regno possa germogliare nei nostri cuori e spandersi ai quattro angoli del mondo. Amen.

- Rev. Dr. Luca Vona

giovedì 27 luglio 2023

Guigo I, certosino. Inchiodata alla croce va adorata la verità

Nel 1136 muore Guigo, quinto priore della Grande Chartreuse.
Nato a Saint-Romain-de-Mordanne, nella diocesi francese di Valence, Guigo entrò nel 1106 nella Chartreuse, fondata da Bruno, quando erano ancora in vita i tre compagni del fondatore. Eletto priore a soli ventisei anni, Guigo fu uomo di grande carità e padre spirituale di notevole umanità, come testimoniano Pietro il Venerabile e Bernardo di Clairvaux, che furono suoi amici ed ebbero con lui una corrispondenza epistolare. Il suo irradiamento spirituale fu tale che in pochi anni furono aperte sette nuove case certosine, per le quali egli provvide sia sul piano organizzativo, mediante la stesura delle Consuetudini, sia su quello spirituale, attraverso scritti ricchi di insegnamenti sulla vita in Cristo e sulla lotta spirituale che i monaci sono chiamati a condurre nella solitudine. Notevole fu anche l'impegno da lui profuso per raccogliere testi liturgici e patristici destinati ad alimentare la vita di preghiera dei certosini.
Guigo fu, di fatto, il vero animatore e organizzatore dell'Ordine certosino, e le sue meditazioni costituiscono uno dei vertici della teologia medievale.

Tracce di lettura

La verità dev'esser posta al centro, come si fa con ciò che è bello. Se qualcuno ne prova repulsione, non giudicarlo, ma compatiscilo. Tu piuttosto, che desideri accostarti ad essa, perché la respingi quando a causa dei tuoi vizi sei rimproverato?
Guarda cosa deve sopportare la verità. Si dice al beone: «Sei un ubriacone»; allo stesso modo al lussurioso e al superbo. E questo è vero. Eppure essi van fuori di senno, fino a perseguitare e a uccidere la verità in colui che la annuncia.
Vedi invece quanto è onorata la menzogna. Si dice infatti agli infimi tra gli uomini, schiavi di ogni sorta di vizio: «Che brav'uomo!». E così essi si placano, godono e venerano la menzogna in colui che la proferisce.
Senza splendore né bellezza, inchiodata alla croce: così va adorata la Verità.
(Guigo, Prima meditazione)

- Dal Martirologio ecumenico della Comunità monastica di Bose

mercoledì 26 luglio 2023

Fermati 1 minuto. Il cento per uno

Lettura

Matteo 13,1-9

1 Quel giorno Gesù uscì di casa e si sedette in riva al mare. 2 Si cominciò a raccogliere attorno a lui tanta folla che dovette salire su una barca e là porsi a sedere, mentre tutta la folla rimaneva sulla spiaggia.
3 Egli parlò loro di molte cose in parabole.
E disse: «Ecco, il seminatore uscì a seminare. 4 E mentre seminava una parte del seme cadde sulla strada e vennero gli uccelli e la divorarono. 5 Un'altra parte cadde in luogo sassoso, dove non c'era molta terra; subito germogliò, perché il terreno non era profondo. 6 Ma, spuntato il sole, restò bruciata e non avendo radici si seccò. 7 Un'altra parte cadde sulle spine e le spine crebbero e la soffocarono. 8 Un'altra parte cadde sulla terra buona e diede frutto, dove il cento, dove il sessanta, dove il trenta. 9 Chi ha orecchi intenda».

Commento

Con la parabola del seminatore Gesù esemplifica il modo in cui la parola di Dio viene respinta, trova ostacoli, ma anche viene accolta e porta frutto, diffondendosi ovunque. Mentre il monte è il luogo privilegiato da Gesù per la preghiera e la formazione dei discepoli, la costa del mare di Galilea, ovvero il lago di Genesaret, è il luogo in cui i Vangeli presentano il Signore intento ad ammaestrare le folle.

Il verbo greco usato per indicare il riunirsi delle persone intorno a lui è synago, con un richiamo alla sinagoga; forse perché gli ascoltatori sono ebrei, o perché quella che Gesù forma con la sua predicazione è la nuova sinagoga dei credenti nel vangelo. 

Gesù predica su una barca, quasi a significare che il suo messaggio è rivolto a Israele, ma questi guarda verso il mare, da dove il vangelo prenderà il largo verso le terre dei gentili. Con questo discorso iniziano le sette parabole (il seminatore, la zizzania, il granello di senape, il lievito, il tesoro nascosto, le perle preziose, la rete gettata in mare) che servono a esemplificare il modo in cui il regno di Dio si fa strada o incontra resistenze sul camino degli uomini.

L'uso di parabole - comune nel giudaismo del tempo - serve a Gesù per coinvolgere e provocare chi ascolta, facendogli applicare ciò che dice alla realtà della propria vita spirituale. Attraverso esempi e paragoni così vicini all'esperienza quotidiana di ciascuno, Gesù scuote e invita a cambiare mentalità e comportamenti, perché la parola di Dio penetri nell'anima e diventi lievito di vita. 

L'ascolto che porta frutto è incontro spirituale con la persona di Gesù. Ma la parola necessita di un cuore umile, di un humus, un terreno morbido, dove il seme possa trovare riparo e nutrimento. Il rendimento di una semina era solitamente di otto a uno, dieci a uno in casi eccezionali; la crescita fino al cento per uno che Gesù descrive è incredibilmente grande. Brani della letteratura sia ebraica sia cristiana riferiscono di raccolti eccezionalmente abbondanti nell'era messianica.

Sebbene questa parabola sia riportata in tutti e tre i vangeli sinottici, solo Luca e Matteo spiegano che il seme è la parola di Dio. Una parola che non è solo aria che risuona, ma che è Gesù stesso, Verbo generato dal padre e incarnato nel seno di Maria, parola fattasi "seme", che incontra la durezza di chi lo disprezza tra quelli della sua patria, tra i suoi parenti e in casa sua (Mc 6,4); che incontra i rovi di chi flagellerà il suo corpo e gli coronerà il capo di spine; che dovrà morire ed essere sepolto per generare frutti di vita eterna. Un frutto così grande da sfamare tutti coloro che hanno fame non di pane, ma d'ascoltare la parola del Signore (Am 8,11). 

Il seminatore sparge a piene mani il suo seme in tutte le direzioni, attendendo un raccolto abbondante. Nonostante i fallimenti dovuti all'opposizione e all'indifferenza, l'annuncio del regno di Dio avrà un'efficacia duratura ed estesa.

Preghiera

Crea in noi, Signore, un cuore umile e pronto a ricevere la tua parola; irriga i solchi, spiana le zolle, effondi la pioggia del tuo Spirito; affinché possano abbondare i frutti della tua grazia. Amen.

- Rev. Dr. Luca Vona

martedì 25 luglio 2023

Fermati 1 minuto. Il Figlio dell'uomo è venuto per servire

Lettura

Matteo 20,20-28

20 Allora gli si avvicinò la madre dei figli di Zebedèo con i suoi figli, e si prostrò per chiedergli qualcosa. 21 Egli le disse: «Che cosa vuoi?». Gli rispose: «Di' che questi miei figli siedano uno alla tua destra e uno alla tua sinistra nel tuo regno». 22 Rispose Gesù: «Voi non sapete quello che chiedete. Potete bere il calice che io sto per bere?». Gli dicono: «Lo possiamo». 23 Ed egli soggiunse: «Il mio calice lo berrete; però non sta a me concedere che vi sediate alla mia destra o alla mia sinistra, ma è per coloro per i quali è stato preparato dal Padre mio».
24 Gli altri dieci, udito questo, si sdegnarono con i due fratelli; 25 ma Gesù, chiamatili a sé, disse: «I capi delle nazioni, voi lo sapete, dominano su di esse e i grandi esercitano su di esse il potere. 26 Non così dovrà essere tra voi; ma colui che vorrà diventare grande tra voi, si farà vostro servo, 27 e colui che vorrà essere il primo tra voi, si farà vostro schiavo; 28 appunto come il Figlio dell'uomo, che non è venuto per essere servito, ma per servire e dare la sua vita in riscatto per molti».

Commento

Nel Vangelo di Marco assistiamo alla richiesta fatta a Gesù da parte di Giacomo e Giovanni di poter sedere l'uno alla sua destra e l'altro alla sua sinistra nel regno dei cieli, mentre nel Vangelo di Matteo la stessa richiesta è avanzata dalla madre, forse per il timore di risultare poco umili nei confronti degli altri apostoli. In ogni caso gli altri dieci esprimono il loro sdegno, mostrando con ciò di porsi più o meno sullo stesso piano; la risposta di Gesù, infatti, suona come una ammonizione verso tutti loro.

Chi di noi non vorrebbe la garanzia di un posto privilegiato accanto a Gesù? Forse saremmo anche disposti ad accettare le tribolazioni di questa vita, a "bere il calice" del Signore, come Giacomo e Giovanni professano di essere disposti a fare. Allora la beatitudine eterna ci appare come un "premio" che ci spetta di diritto, magari a scapito di altri, che riteniamo meno "meritevoli". 

In tal modo sfugge il senso profondo della salvezza: il suo essere un dono gratuito da parte del Padre, in virtù del riscatto operato dal Figlio. Se noi partiamo da questo presupposto, allora l'atteggiamento che ne consegue non può che essere di profonda umiltà: innanzitutto verso Dio, che ci ha sciolti dalle catene di questo mondo, affrancandoci dal peccato e dalla morte.

Le catene di questo mondo sono l'asservimento a una logica di prevaricazione l'uno sull'altro, un continuo sentirsi in competizione che ci angustia, ci affanna, ci rende schiavi delle nostre ambizioni disordinate. 

Ma l'atteggiamento di umiltà che scaturisce dal sentirsi salvati per grazia deve caratterizzare anche le relazioni con il nostro prossimo. Che cosa meritiamo più di lui davanti a colui che ci ha riscattato a prezzo del suo sangue? 

La risposta di Gesù alla richiesta di un posto privilegiato nel regno a venire crea così un singolare paradosso: tra la schiavitù alle logiche del mondo e lo spirito di servizio, il farci "servi" - per utilizzare le parole stesse di Gesù - dei nostri fratelli e delle nostre sorelle. 

Nella Chiesa non c'è spazio per la volontà di dominio; ogni autorità va esercitata sul modello di Gesù, come servizio agli altri e non per interesse personale. Il vangelo ci chiama a conformarci al Figlio prediletto, nel quale il Padre si è compiaciuto (Mt 3,17), il Figlio che è venuto nel mondo per servire e non per essere servito (Mt 20,28).

Preghiera

Aiutaci a comprendere, Signore, che regnare con te è porci al servizio della tua Parola, che proclama la libertà dai lacci della morte e del peccato; affinché possiamo condividere sulla terra e celebrare in cielo la gioia della tua salvezza. Amen.

- Rev. Dr. Luca Vona

lunedì 24 luglio 2023

Fermati 1 minuto. Qui c'è di più!

Lettura

Matteo 12,38-42

38 Allora alcuni scribi e farisei presero a dirgli: «Maestro, noi vorremmo vederti fare un segno». 39 Ma egli rispose loro: «Questa generazione malvagia e adultera chiede un segno; e segno non le sarà dato, tranne il segno del profeta Giona. 40 Poiché, come Giona stette nel ventre del pesce tre giorni e tre notti, così il Figlio dell'uomo starà nel cuore della terra tre giorni e tre notti. 41 I Niniviti compariranno nel giudizio con questa generazione e la condanneranno, perché essi si ravvidero alla predicazione di Giona; ed ecco, qui c'è più che Giona! 42 La regina del mezzogiorno comparirà nel giudizio con questa generazione e la condannerà; perché ella venne dalle estremità della terra per udire la sapienza di Salomone; ed ecco, qui c'è più che Salomone!

Commento

A questo punto del Vangelo di Matteo Gesù ha operato numerosi miracoli di guarigione dalle malattie e di liberazione da spiriti maligni, ma gli scribi e farisei che si accostano a lui, adulandolo con il titolo di "Maestro", non sono ancora persuasi da quanto hanno visto e udito e gli chiedono "un segno dal cielo".

Poco prima, infatti, lo avevano accusato di compiere i suoi esorcismi per opera del principe dei demòni (Mt 12,22-32) e per tale ragione chiedono una testimonianza "dall'alto" della provenienza divina sul suo operato. Gesù risponde definendo i suoi interlocutori come appartenenti a una "generazione adultera", termine con cui i profeti dell'Antico Testamento si rivolgenvano spesso a Israele, riferendosi chiaramente a quell'adulterio spirituale che consiste nella violazione del Patto con Dio e nell'allontanamento dalla sua Legge.

Mentre i Niniviti, popolo pagano, di fronte al "segno di Giona", il quale stette tre giorni e tre notti nel ventre del grande pesce, si convertirono per la sua predicazione (Gio 2,1-3,10) gli scribi e i farisei dal cuore indurito, pur appartenenti al popolo eletto, non si convertiranno neanche di fronte alla morte e risurrezione di Gesù, qui da lui predetta con l'immagine del riposo "tre giorni e tre notti" nel cuore della terra. Anche la regina di Saba, che venne ad ascoltare Salomone "dalle estremità della terra" (1 Re 10,1-13) prefigura i pagani che saranno più pronti ad accogliere il messaggio di Gesù di quanto lo sarà il suo popolo.

Dio opera nelle nostre vite manifestando grazia su grazia; noi dobbiamo essere capaci di riconoscere queste meraviglie da lui compiute, per evitare di cadere nella tentazione di chiedergli "un segno"  eclatante, quando ne abbiamo ricevuti tanti, ma non abbiamo saputo prestarvi attenzione, perché troppo presi dal frastuono del mondo e dai nostri piccoli interessi personali. A volte chiediamo a Dio qualcosa e ci rattristiamo perché non ci viene concessa, quando Egli in realtà, nel suo Figlio non ci ha dato "qualcosa", ma ci ha dato "tutto". In un certo senso non è degno di Dio, chi chiede a Dio qualcosa di più piccolo di Dio. Se noi conoscessimo il dono di Dio! (Gv 1,10)

Se abbiamo fame e sete di Cristo e la nostra fede sarà ancorata al mistero della sua morte e risurrezione, stoltezza per il mondo ma sapienza di Dio (1 Cor 1,17,25), comprenderemo che "Qui c'è di più!" (v. 41).

Preghiera

Il tuo Spirito, Signore, apra i nostri occhi alle tue meraviglie; affinché possiamo riconoscerti e lodare la grandezza del tuo Nome. Amen.

- Rev. Dr. Luca Vona

Charbel Makhluf, santo e taumaturgo della chiesa libanese

Il 24 luglio ricorre la memoria di san Charbel Makhluf, santo monaco libanese, la cui biografia è costellata di moltissimi miracoli attribuiti alla sua intercessione.

Youssef Antoun è figlio di contadini e vive con i quattro fratelli in un villaggio del Libano. La sua infanzia finisce presto: a tre anni muore il padre, ma la madre si risposa con un uomo pio che alla fine, secondo l’usanza orientale, diventa sacerdote. Per Youssef è una gioia ascoltarlo, come è una gioia parlare dei due zii eremiti nella Valle dei Santi. Per lui sono supereroi e vorrebbe seguirne l’esempio, ma non può: deve aiutare la famiglia, gli dicono, e così a dieci anni inizia a fare il pastore, ma trascorre tutto il suo tempo libero e pregare in una grotta, oggi meta di pellegrinaggi e chiamata “la grotta del Santo”. Fino a quella notte.

“Vieni e seguimi!”

Non è che prima Youssef non avesse sentito il Signore che lo chiamava a sé, solo non voleva disobbedire al volere della famiglia. Quella notte, però, la voce del Signore è particolarmente nitida, insistente… non ce la fa più: si alza, e senza salutare nessuno, prima che faccia giorno è già in viaggio verso il monastero di Nostra Signora di Mayfouq. È il 1851 e lui ha 23 anni. In pochi mesi diventa monaco dell’Ordine libanese maronita e cambia il proprio nome in Charbel, che in siriaco significa “il racconto di Dio”. Viene trasferito un paio di volte, studia assiduamente teologia e si occupa di poveri e ammalati, in obbedienza alle missioni che via via gli vengono affidate, compreso il lavoro nei campi. Ma sono la preghiera e la contemplazione, le attività che preferisce.

Dalla grotta dell’infanzia all’eremo della vecchiaia

Nel 1875 frate Charbel si sente pronto a vivere secondo la Regola degli eremiti dell’Ordine maronita, che prevede i monaci divisi in piccole comunità di massimo tre. Per lui è come una seconda nascita: può lavorare, pregare, osservare la penitenza, il digiuno e il silenzio. Le testimonianze riferiscono di un monaco zelante, spesso sorpreso a pregare con le braccia aperte, in una cella poverissima, che lascia solo per celebrare la Messa o quando gli viene espressamente ordinato. Fino a quel giorno, a Natale. È proprio durante la Messa che Charbel si sente male, al momento dell’elevazione. Dopo un’agonia di otto giorni in cui gli altri monaci lo sentono pregare e in cui continua a osservare la Regola – rifiutando, ad esempio, del cibo più nutriente – si spegne. È il 1898.

Gli eventi prodigiosi dopo la sua morte

Eventi straordinari, prodigi e miracoli, davvero innumerevoli, sono attribuiti alla sua intercessione. Tutto è conservato nell’apposito registro del convento di Annaya, dove riposa il corpo del santo. Nel 1950, monaci e fedeli videro che dal muro del sepolcro stillava un liquido viscido. Supponendo un’infiltrazione d’acqua, il 25 febbraio, davanti a tutta la comunità monastica, fu riaperto il sepolcro: la bara era intatta, il corpo era ancora morbido e conservava la temperatura dei corpi viventi. Il superiore con un amitto asciugò il sudore rossastro dal viso di padre Charbel: il volto rimase impresso sul panno.
Sempre nel 1950, il 22 aprile, le autorità religiose, con una apposita commissione di tre noti medici, riaprirono la cassa e stabilirono che il liquido emanato dal corpo era lo stesso di quello analizzato nel 1899 e nel 1927.
All’esterno, la folla, composta anche da persone non cattoliche e non cristiane, implorava con preghiere la guarigione di infermi lì portati da parenti e fedeli. Molte guarigioni istantanee ebbero luogo in quell’occasione.

Un altro miracoloso episodio è quello che riguarda la sua stessa immagine impressa in una fotografia degli anni ‘50. Il volto di quell’istantanea è ben impresso nella memoria di moltissimi fedeli: gli occhi rivolti in basso; il viso dolce incorniciato da un’austera barba bianca e un semplice cappuccio da frate. Tutta la sua immagine è lucente di Dio. Ma da dove proviene questa fotografia così famosa? Dobbiamo fare un salto nel tempo, per scoprirlo. Era l’8 maggio 1950: la data coincideva con quella della nascita, mezzo secolo dopo la sua morte. Quattro missionari maroniti scattarono una foto di gruppo insieme al custode presso la sua tomba. Durante lo sviluppo apparve un sesto personaggio, un monaco dalla barba bianca, a mezzo busto, con il cappuccio e gli occhi abbassati. Non vi era alcun fotomontaggio e i monaci più anziani riconobbero in quel volto san Charbel, con i tratti degli ultimi suoi giorni di vita.


San Charbel

domenica 23 luglio 2023

Assidui e concordi nella preghiera. Commento al Salterio - Salmo 18

Lettura

Salmi 18

1 Al maestro del coro. Salmo. Di Davide.

2 I cieli narrano la gloria di Dio,
e l'opera delle sue mani annunzia il firmamento.
3 Il giorno al giorno ne affida il messaggio
e la notte alla notte ne trasmette notizia.
4 Non è linguaggio e non sono parole,
di cui non si oda il suono.
5 Per tutta la terra si diffonde la loro voce
e ai confini del mondo la loro parola.
6 Là pose una tenda per il sole
che esce come sposo dalla stanza nuziale,
esulta come prode che percorre la via.
7 Egli sorge da un estremo del cielo
e la sua corsa raggiunge l'altro estremo:
nulla si sottrae al suo calore.
8 La legge del Signore è perfetta,
rinfranca l'anima;
la testimonianza del Signore è verace,
rende saggio il semplice.
9 Gli ordini del Signore sono giusti,
fanno gioire il cuore;
i comandi del Signore sono limpidi,
danno luce agli occhi.
10 Il timore del Signore è puro, dura sempre;
i giudizi del Signore sono tutti fedeli e giusti,
11 più preziosi dell'oro, di molto oro fino,
più dolci del miele e di un favo stillante.
12 Anche il tuo servo in essi è istruito,
per chi li osserva è grande il profitto.
13 Le inavvertenze chi le discerne?
Assolvimi dalle colpe che non vedo.
14 Anche dall'orgoglio salva il tuo servo
perché su di me non abbia potere;
allora sarò irreprensibile,
sarò puro dal grande peccato.
15 Ti siano gradite le parole della mia bocca,
davanti a te i pensieri del mio cuore.
Signore, mia rupe e mio redentore.

Commento

Il Salmo 18 è retto da due temi paralleli: da un lato vi è il canto al creatore dell'universo (vv. 2-7), dall'altro segue un inno alla Legge divina (vv. 8-15). L'unità tra le due componenti è attuata attraverso il simbolismo solare: Dio si rivela a tutti illuminando il mondo con il fulgore del sole e illumina il fedele con lo sfolgorare della sua parola ("i comandi del Signore sono limpidi,
danno luce agli occhi", v. 9).

La proclamazione della gloria di Dio da parte del creato è ininterrotta, il giorno e la notte si alternano e si passano il testimone di questo annuncio (v. 3). Il percorso del sole, dipinto poeticamente come un guerriero che attraversa il cielo dopo avere trascorso la notte nel talamo nuziale, è contemplato come una forma di rivelazione "naturale". Il termine ebraico shemesh, sole, è femminile. La declinazione al maschile in questo salmo, potrebbe rappresentare una reminiscenza del culto egizio al dio Aton e della letteratura sacra cananea; ma l'autore sacro elimina ogni traccia di divinizzazione del sole, che considera semplicemente come creatura di Dio.

Il Salmista scorge la testimonianza del Signore nelle meraviglie del creato e nelle leggi armoniose che lo governano; da ciò trae motivi di adorazione e di umiltà. C'è nell'universo una parola silenziosa che si diffonde dappertutto, un "vangelo" di luce che prepara alla rivelazione esplicita dell'Antica e del Nuova alleanza. Così afferma anche l'autore della Sapienza: "Davvero stolti per natura tutti gli uomini che vivevano nell'ignoranza di Dio, e dai beni visibili non riconobbero colui che è, non riconobbero l'artefice, pur considerandone le opere" (Sap 13,1). Il concetto è richiamato dall'apostolo Paolo: "Dalla creazione del mondo in poi, le sue perfezioni invisibili possono essere contemplate con l'intelletto nelle opere da lui compiute, come la sua eterna potenza e divinità" (Rm 1,19-20).

La creazione, che ha il suo fondamento nella Parola divina, raggiunge il suo culmine nell'incarnazione, in cui Cristo si fa, con la sua intera vita, rivelazione e lode della gloria del Padre. Gli apostoli riceveranno il compito di annunciarne il messaggio fino ai confini del mondo, fino alla fine dei tempi.

Il salmo passa dall'inno alla creazione, alla lode della legge del Signore. Questa non si presenta come un insieme di adempimenti ai quali forzatamente si aderisce, ma come un rapporto vitale con l'autore stesso della Legge, che attraverso di essa istruisce e illumina la coscienza del credente con la sua parola eterna di verità (vv. 8-9). Così intesa, l'osservanza dei precetti non è un peso che opprime, ma un'espserienza gioiosa e dolce, che fa crescere nella sapienza e nella giustizia di Dio.

In conclusione del salmo l'autore sposta l'attenzione sui propri limiti e innalza una richiesta di perdono. Il verso finale esprime e suggella un atteggiamento di umile e fiducioso abbandono nel Signore, "rupe e redentore" (v. 15).

L'offerta al Signore delle parole della propria bocca e dei pensieri del proprio cuore (v. 15) esprime una connotazione liturgica, secondo un culto spirituale, dove questi prendono il posto delle vittime sacrificali.

- Rev. Dr. Luca Vona

Quanti pani avete?

COMMENTO ALLA LITURGIA DELLA SETTIMA DOMENICA DOPO LA TRINITÀ

Colletta

Dio di ogni potenza e forza, che sei l’autore e il datore di ogni cosa buona; innesta nel nostro cuore l’amore per il tuo Nome, accresci in noi la vera religione, nutrici con ogni bontà e mantienici nella tua grande misericordia; per Gesù Cristo, nostro Signore. Amen.

Letture

Rm 6,19-23; Mc 8,1-10

Commento

L'apostolo Paolo afferma nella sua lettera ai Romani che le nostre vite possono essere date in prestito al peccato o alla giustizia di Dio (cioè alla sua grazia giustificante). Nel primo caso il frutto di questo prestito è la morte; nel secondo caso, la vita eterna.

A ciascuno di noi verrà chiesto conto di come abbiamo amministrato i doni ricevuti da Dio: il nostro corpo, le nostre capacità intellettuali, il nostro tempo, le nostre risorse economiche. Se la parabola dei talenti e quella dei vignaioli omicidi ci insegnano che chi ha male amministrato quanto ricevuto dal Signore sarà sottoposto a un giudizio severo, il racconto evangelico della moltiplicazione dei pani ci mostra Gesù nell’atto di chiedere ai discepoli di porre sotto la sua benedizione ciò che hanno, anche se del tutto inadeguato alle esigenze che si trovano ad affrontare.

Gesù, avrebbe potuto creare i pani dal nulla per sfamare la folla che da tre giorni lo seguiva, proprio come Dio fece piovere la manna dal cielo per sfamare il suo popolo nel deserto. Ma egli sceglie di darci una lezione sull’amore e la sollecitudine di Dio e la necessità di farci suoi imitatori assumendo lo stesso spirito di servizio e di comunione. Vediamo, infatti, che richiede una partecipazione attiva dei suoi discepoli, i quali sono chiamati a condividere il poco che hanno a disposizione e a distribuire loro stessi i pani alla folla: "li diede ai suoi discepoli perché li mettessero davanti a loro" (Mc 8,6).

Ma prima chiede un atto di fede, ovvero il superamento di quella logica terrena che dimentica la potenza di Dio, espressa dalla frase attribuita ai discepoli: «come potrebbe alcuno saziare di pane costoro, qui nel deserto?». La risposta di Gesù la troviamo nella sua predicazione: «chi è tra voi quel padre che, se il figlio gli chiede del pane, gli dà una pietra? (...) Se voi dunque, che siete malvagi, sapete dare buoni doni ai vostri figli, quanto più il vostro Padre celeste donerà lo Spirito Santo a coloro che glielo chiedono» (Lc 11,11-13). E ancora: «Non siate dunque in ansia, dicendo: 'Che mangeremo? Che berremo? Di che ci vestiremo?' Perché sono i pagani che ricercano tutte queste cose; ma il Padre vostro celeste sa che avete bisogno di tutte queste cose» (Mt 6:31-32). È nel momento in cui i discepoli hanno fede in Gesù e obbediscono alla sua parola che si compie il miracolo. Poniamo le nostre risorse, anche se scarse, sotto l'azione santificante dello Spirito.
                       
- Rev. Dr. Luca Vona

sabato 22 luglio 2023

Fermati 1 minuto. "Non trattenermi... ma va' dai miei fratelli"

Lettura

Gv 20,1-18

1 Il primo giorno della settimana, la mattina presto, mentre era ancora buio, Maria Maddalena andò al sepolcro e vide la pietra tolta dal sepolcro. 2 Allora corse verso Simon Pietro e l'altro discepolo che Gesù amava e disse loro: «Hanno tolto il Signore dal sepolcro e non sappiamo dove l'abbiano messo».
3 Pietro e l'altro discepolo uscirono dunque e si avviarono al sepolcro. 4 I due correvano assieme, ma l'altro discepolo corse più veloce di Pietro e giunse primo al sepolcro; 5 e, chinatosi, vide le fasce per terra, ma non entrò. 6 Giunse intanto anche Simon Pietro che lo seguiva ed entrò nel sepolcro, e vide le fasce per terra, 7 e il sudario che era stato sul capo di Gesù, non per terra con le fasce, ma piegato in un luogo a parte. 8 Allora entrò anche l'altro discepolo che era giunto per primo al sepolcro, e vide, e credette. 9 Perché non avevano ancora capito la Scrittura, secondo la quale egli doveva risuscitare dai morti. 10 I discepoli dunque se ne tornarono a casa.
11 Maria, invece, se ne stava fuori vicino al sepolcro a piangere. Mentre piangeva, si chinò a guardare dentro il sepolcro, 12 ed ecco, vide due angeli, vestiti di bianco, seduti uno a capo e l'altro ai piedi, lì dov'era stato il corpo di Gesù. 13 Ed essi le dissero: «Donna, perché piangi?» Ella rispose loro: «Perché hanno tolto il mio Signore e non so dove l'abbiano deposto». 14 Detto questo, si voltò indietro e vide Gesù in piedi; ma non sapeva che fosse Gesù. 15 Gesù le disse: «Donna, perché piangi? Chi cerchi?» Ella, pensando che fosse l'ortolano, gli disse: «Signore, se tu l'hai portato via, dimmi dove l'hai deposto, e io lo prenderò». 16 Gesù le disse: «Maria!» Ella, voltatasi, gli disse in ebraico: «Rabbunì!» che vuol dire: «Maestro!» 17 Gesù le disse: «Non trattenermi, perché non sono ancora salito al Padre; ma va' dai miei fratelli, e di' loro: "Io salgo al Padre mio e Padre vostro, al Dio mio e Dio vostro"». 18 Maria Maddalena andò ad annunciare ai discepoli che aveva visto il Signore, e che egli le aveva detto queste cose.

Commento

Sono passate poche ore dal tragico epilogo della vita terrena di Gesù, "è ancora buio", i suoi discepoli e i suoi amici sono ancora sconvolti per quanto accaduto. Maria Maddalena, dalla quale Gesù aveva scacciato sette demòni, si reca di buon mattino dove hanno sepolto il suo Maestro. È ancora in quella fase del lutto in cui non si riesce ad accettare la separazione fisica da chi se n'è andato. Ma trova qualcosa di inaspettato: la pietra è stata rotolata via dal sepolcro. 

La prima reazione è di panico: Maria si reca dai discepoli e li avvisa dell'accaduto. Tutti corrono verso il sepolcro e, mentre i discepoli entrano per constatare che sono rimaste solo le fasce che avvolgevano il Signore, per poi tornarsene a casa lei resta lì, proprio come era rimasta sotto la croce. Piange perché le è stato tolto anche il conforto del corpo del Signore. Ma la sua umiltà, la sua fede, il suo coraggio, la fanno chinare per guardare dentro il sepolcro, per "guardare in faccia" la desolazione creata dalla morte.

La Maddalena trova prima il conforto della visione di due figure angeliche e poi, "si voltò indietro", quasi a ripercorrere con la mente e con il cuore tutto ciò che il suo Maestro aveva detto e fatto durante la sua predicazione; ed è allora che vede Gesù. Ma lo riconosce solo quando viene chiamata per nome. L'incontro con il Risorto è infatti una esperienza personale e unica per ognuno di noi. Senza questa esperienza personale il Gesù della Scrittura resta lettera morta e non ci è possibile riconoscerlo. 

La "chiamata" per nome di Gesù a Maria Maddalena corrisponde anche all'assegnazione di una missione particolare: essere la prima a predicare la sua risurrezione, ai discepoli stessi, ancora increduli. "Non trattenermi", afferma Gesù; perché non possiamo tenere per noi l'esperienza di questo incontro, ma dobbiamo condividerla come annunciatori di colui che ha vinto la morte.

Preghiera

L'amore di Cristo ci spinge, o Padre, facci annunciatori del Risorto, per contemplarlo accanto a te nell'eterna gloria. Amen.

- Rev. Dr. Luca Vona

Maria Maddalena, colei che ha conosciuto il molto peccare e il molto amare

La chiesa cattolica d'Occidente, ortodossi, anglicani, luterani e veterocattolici celebrano oggi la memoria di Maria Maddalena.
Originaria della città di Magdala, sul lago di Tiberiade, Maria Maddalena fu liberata per la parola di Gesù dai sette demoni che la possedevano e seguì ovunque il Signore, servendolo fedelmente fino alla passione. Essa fu perciò testimone della sua morte e sepoltura.
Passato il sabato, Maria si recò con le altre donne al sepolcro portando aromi, e per questo è ricordata come mirrofora. A lei, per prima, apparve il Signore risorto, chiamandola per nome mentre piangeva nel giardino. Allora la Maddalena corse a portare l'annuncio ai discepoli, «apostola degli apostoli» come la chiama la tradizione.
In occidente, a partire da Gregorio Magno, Maria Maddalena è stata identificata con la peccatrice perdonata di cui parla il Vangelo di Luca, perdonata perché aveva molto amato. È divenuta perciò colei che ha conosciuto il molto peccare e il molto amare, colei che piange sui propri peccati e piange per la morte del Maestro, rimanendo fedele nell'amore per lui.
Esempio per chi si pente e per chi rivolge il suo amore al Signore, Maria Maddalena è stata una figura di riferimento importante in ogni movimento di riforma della chiesa, in particolare per i movimenti di riforma monastica d'occidente fioriti nell'XI secolo.

Tempera all’uovo su tavola telata e gessata (particolare) - stile italico

Tracce di lettura

Signore,
tu le accendesti nel cuore
il fuoco di un immenso amore per Cristo,
che le aveva ridonato la libertà dello spirito,
e le infondesti il coraggio di seguirlo
fedelmente fino al Calvario.
E anche dopo la morte di croce
essa cercò il suo Maestro con tanta passione,
che giunse a incontrare il Signore risorto
e ad annunziare per prima agli apostoli
la gioia pasquale.
(dalla Liturgia romana)

- Dal martirologio ecumenico della Comunità monastica di Bose

venerdì 21 luglio 2023

Fermati 1 minuto. Più grande del tempio

Lettura

Matteo 12,1-8

1 In quel tempo Gesù passò tra le messi in giorno di sabato, e i suoi discepoli ebbero fame e cominciarono a cogliere spighe e le mangiavano. 2 Ciò vedendo, i farisei gli dissero: «Ecco, i tuoi discepoli stanno facendo quello che non è lecito fare in giorno di sabato». 3 Ed egli rispose: «Non avete letto quello che fece Davide quando ebbe fame insieme ai suoi compagni? 4 Come entrò nella casa di Dio e mangiarono i pani dell'offerta, che non era lecito mangiare né a lui né ai suoi compagni, ma solo ai sacerdoti? 5 O non avete letto nella Legge che nei giorni di sabato i sacerdoti nel tempio infrangono il sabato e tuttavia sono senza colpa? 6 Ora io vi dico che qui c'è qualcosa più grande del tempio. 7 Se aveste compreso che cosa significa: Misericordia io voglio e non sacrificio, non avreste condannato individui senza colpa. 8 Perché il Figlio dell'uomo è signore del sabato».

Commento

Gesù aveva promesso un giogo dolce e un carico leggero per chi lo avrebbe seguito; l'esatto contrario dell'atteggiamento dei farisei riportato da questo brano evangelico. I discepoli cercano di soddisfare il naturale bisogno della fame raccogliendo le spighe cadute per terra durante il raccolto, azione consentita secondo il libro del Deuteronomio (Dt 23,25); il libro del Levitico, anzi, comandava: "Quando mieterai la messe non raccoglierai ciò che resta del tuo raccolto; lo lascerai per il povero e il forestiero" (Lv 23,22; 19,9). 

In questo precetto veterotestamentario è espressa la misericordia di Dio, che è alla base della legge e ne determina il senso. Di fronte ai dottori delle Scritture, che le impiegano in maniera parziale e tendenziosa, Gesù risponde con le Scritture stesse, citando un episodio tratto dal primo libro di Samuele (1 Sam, 21,1-6) in cui Davide in fuga da Saul si rifugia con i suoi compagni nel tempio, e viene sfamato dal sommo sacerdote Achimelec con i pani della presenza, dodici pani offerti al Signore ogni sabato, che solo i sacerdoti potevano mangiare (Es 25,30; Lv 24,5-9). 

Gesù poi cita i leviti, che anche in giorno di sabato, svolgevano il proprio lavoro nel tempio, sostituendo i pani della presenza e raddoppiando i sacrifici (Lv 24,8; Num 28,9-10). I farisei mostrano di voler applicare agli altri un rigore di giudizio che non mostrano nei confronti della casta regale e sacerdotale.  

Se i sacerdoti possono violare la legge, per il servizio del sabato, anche Gesù, che è più grande del tempio (v. 6) può violare il sabato. Gesù rammenta anche l'invito delle Scritture all'esercizio della compassione (Os 6,6), dandogli precedenza sul sacrificio (v. 7). Più grandi del tempio sono, infatti, anche quei poveri prediletti dal Signore, verso i quali egli vuole sia indirizzata la misericordia del suo popolo.

Proclamandosi "signore del sabato" Gesù afferma la sua divinità, in quanto Figlio di Dio incarnato, superiore alla presenza di Dio nell'edificio cultuale. Egli ci chiama a partecipare del suo sacerdozio eterno (Eb 1,4) per dispensare la misericordia infinita di Dio, come sacrificio perfetto e a lui gradito.

Preghiera

Signore, che offri un rifugio agli uccelli del cielo presso la tua casa; donaci di essere saziati dalla tua grazia e di vivere al riparo della tua misericordia. Amen.

- Rev. Dr. Luca Vona

Simeone il Folle. «Nella forza di Cristo vado a prendermi gioco del mondo»

Le chiese d'oriente e d'occidente ricordano oggi Simeone e Giovanni, monaci del VI sec. originari della Siria.
Recatisi in pellegrinaggio a Gerusalemme, essi decisero di non far ritorno in patria, ma di diventare monaci. Ricevuto l'abito nel monastero di San Gerasimo, Giovanni e Simeone vissero per molti anni nel deserto pregando e seguendo un regime di vita austero. Giovanni rimase nella solitudine fino alla fine della sua vita, mentre Simeone decise di far ritorno tra gli uomini per diffondere il vangelo della salvezza, spinto dalle parole della Scrittura: «Mi sono fatto tutto a tutti, per salvare ogni creatura».
«Nella forza di Cristo», disse Simeone a Giovanni, «vado a prendermi gioco del mondo», e stabilitosi a Emesa in Siria, simulò la follia per poter smascherare le opere vane di tutti quelli che incontrava e indurli così al bene. Solo alla sua morte fu compresa la sua grandezza e la sua profonda carità.

Tracce di lettura

Simeone prendeva ogni sorta di atteggiamenti folli e indecorosi, ma non è possibile a parole dare un'idea di quel che faceva. A volte, infatti, si fingeva sciancato, a volte storpio, a volte fingeva di trascinarsi su una sedia, a volte di fare lo sgambetto a qualcuno che correva e di gettarlo a terra. E ancora, quando c'era la luna nuova, fingeva di guardare in cielo e di cadere a terra in preda a convulsioni. A volte poi fingeva di essere un oratore; diceva, infatti, che tra tutti gli atteggiamenti che si potevano assumere, questo conveniva più di ogni altro ed era il più utile per chi voleva fingersi pazzo per amore di Cristo. In questi modi spesso rimproverava i peccati e faceva desistere i peccatori, inviava su qualcuno un castigo a sua correzione, profetizzava e faceva tutto quello che voleva, mutando però ogni volta voce e aspetto.
(Leonzio di Neapolis, Vita di Simeone il Folle 22)

- Dal Martirologio ecumenico della Comunità monastica di Bose

giovedì 20 luglio 2023

Fermati 1 minuto. Una gioiosa partecipazione all'opera divina

Lettura

Matteo 11,28-30

28 Venite a me, voi tutti, che siete affaticati e oppressi, e io vi ristorerò. 29 Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me, che sono mite e umile di cuore, e troverete ristoro per le vostre anime. 30 Il mio giogo infatti è dolce e il mio carico leggero».

Commento

Dopo aver proclamato la beatitudine degli umili, ai quali vengono rivelati il Cristo e il suo Regno, Gesù esorta gli affaticati e gli oppressi ad andare a lui. Costoro, paradossalmente, troveranno ristoro ponendo su di sé il giogo del Signore. Ma come è possibile essere liberati dall'oppressione sottomettendosi e vincolandosi?

Questa, purtroppo, è l'impressione che al giorno d'oggi molti hanno della fede: semplicemente una religione, ovvero un insieme di norme da rispettare, spesso con fatica. Il rischio di un cristianesimo legalista è di replicare l'oppressione generata dal modo di spiegare la legge degli scribi e dei farisei, dei quali Gesù afferma: «Legano pesanti fardelli e li impongono sulle spalle della gente, ma loro non vogliono muoverli neppure con un dito» (Mt 23,4). 

Gesù invita all'obbedienza alla sua parola, che dà ristoro perché dona la salvezza, mediante la giustificazione e la santificazione. La vita del credente è più che una religione: è un'esperienza di comunione con Dio. E poiché  Dio è il creatore di tutto e colui che governa tutto, essere "sottomessi a lui" significa regnare con lui, in lui. 

La vera religione è lontana tanto dall'arbitrio individualistico quanto dalla sterile precettistica; è un'esperienza di liberazione e di gioiosa partecipazione all'opera divina.

Gesù ci libera da tutto ciò che ci appesantisce lungo la via della salvezza; anche da quei pesi inutili che spesso noi stessi ci siamo caricati sulle spalle. Come ai suoi apostoli egli ci dice: «Venite... riposatevi un po'» (Mc 6,31).

Preghiera

Guidaci, Signore, verso la libertà dei figli di Dio; affinché attraverso la mitezza e l'umiltà possiamo regnare con te e trovare ristoro. Amen.

- Rev. Dr. Luca Vona

Elia, il profeta che scoprì la tenerezza di Dio

I cristiani di tutte le chiese il 20 di luglio ricordano il profeta Elia, che essi ritennero fin dall'inizio il rappresentante più emblematico della tradizione profetica ebraica, come lasciano intendere gli evangeli nell'episodio della Trasfigurazione.
Il profeta in Israele era un uomo che parlava a nome di Dio, per richiamare tutti alla fedeltà al Dio dell'alleanza. Elia svolse pienamente la propria missione mostrando con tutta la sua vita il pathos stesso di Dio, la sollecitudine del Padre verso i propri figli, soprattutto verso i più piccoli e indifesi.
Vissuto nel IX secolo a.C., in un tempo di grande crisi, Elia dapprima si sdegnò di fronte all'idolatria di molti in Israele; ma in seguito fu chiamato da Dio al distacco e alla solitudine, per imparare che solo servendo la Parola attesa nel silenzio è possibile diventare «uomini di Dio».
Mandato in territorio pagano, Elia conobbe il bisogno di essere alimentato, oltre che da Dio, dai poveri, nella persona della vedova di Sarepta. Ritornò in patria, e la sua parola contro l'idolatria e le ingiustizie dei potenti lo condusse al celebre scontro con i profeti di Baal sul monte Carmelo. Ma la persecuzione che egli subì a seguito della sua momentanea vittoria sugli idolatri lo aiutò a comprendere, grazie alla voce silenziosa attraverso cui Dio gli parlò sull'Oreb, che il Dio che è fuoco divorante è anche pace, silenzio, tenerezza.
Rinnovato da questa ulteriore esperienza, Elia portò a termine la sua missione nel regno del Nord e fu rapito in cielo, secondo il racconto biblico, a significare che lo spirito di Elia continuerà sempre a essere presente nella storia di Israele.
Il suo ritorno è rimasto legato, nella tradizione ebraica e cristiana, alla venuta del Messia.

Tracce di lettura

[Elia] entrò in una caverna per passarvi la notte, quand'ecco il Signore gli disse: «Che fai qui, Elia?». 10 Egli rispose: «Sono pieno di zelo per il Signore degli eserciti, poiché gli Israeliti hanno abbandonato la tua alleanza, hanno demolito i tuoi altari, hanno ucciso di spada i tuoi profeti. Sono rimasto solo ed essi tentano di togliermi la vita». 11 Gli fu detto: «Esci e fermati sul monte alla presenza del Signore». Ecco, il Signore passò. Ci fu un vento impetuoso e gagliardo da spaccare i monti e spezzare le rocce davanti al Signore, ma il Signore non era nel vento. Dopo il vento ci fu un terremoto, ma il Signore non era nel terremoto. 12 Dopo il terremoto ci fu un fuoco, ma il Signore non era nel fuoco. Dopo il fuoco ci fu il mormorio di un vento leggero. 13 Come l'udì, Elia si coprì il volto con il mantello, uscì e si fermò all'ingresso della caverna. Ed ecco, sentì una voce che gli diceva: «Che fai qui, Elia?». 14 Egli rispose: «Sono pieno di zelo per il Signore, Dio degli eserciti, poiché gli Israeliti hanno abbandonato la tua alleanza, hanno demolito i tuoi altari, hanno ucciso di spada i tuoi profeti. Sono rimasto solo ed essi tentano di togliermi la vita». (1 Re 19,9-14)

- Dal Martirologio ecumenico della Comunità monastica di Bose

mercoledì 19 luglio 2023

Macrina e la nascita del monachesimo in Cappadocia

Le chiese d'oriente e d'occidente ricordano oggi Macrina, monaca della Cappadocia.
Sorella maggiore di Basilio di Cesarea, di Gregorio di Nissa e Pietro di Sebaste, Macrina decise a dodici anni di non contrarre matrimonio, onde potersi dedicare a una vita di lavoro umile e di preghiera, tesa all'unificazione del cuore. Il fratello Gregorio, suo biografo, non a torto la presenta come l'ispiratrice della vita monastica alla quale attirò in seguito la madre e le domestiche, e quindi anche il fratello Basilio.

Macrina (327-380)

La ricerca di Macrina e delle sue compagne condusse alla creazione di un monastero doppio, dove risiedevano a breve distanza uomini e donne, il cui unico intento era quello di vivere il Vangelo nel celibato e nella vita comune, svolgendo lavori poveri e praticando in modo intenso verso tutti l'ospitalità e la condivisione.
Macrina morì all'età di 53 anni, dopo aver guidato per tutta la vita come una madre la sua comunità; prima di morire ringraziò Dio per aver aperto agli uomini la via della resurrezione, e lo pregò di accogliere la sua vita come un'offerta, «come incenso davanti al suo volto» (Sal 142,2).

Tracce di lettura

Signore, tu hai dissolto per noi la paura della morte, tu dai in deposito alla terra la terra che noi siamo, quella che tu stesso hai plasmato con le tue mani, e fai rivivere ciò che hai donato all'uomo, trasformando mediante l'immortalità e la bellezza quello che in noi è mortale e deforme.
Sei tu che ci hai strappati alla maledizione e al peccato, facendoti per noi l'una e l'altro.
Dio eterno, verso cui mi sono protesa fin dal seno di mia madre, te che la mia anima ha amato con tutte le sue forze, poni al mio fianco un angelo luminoso che mi conduca per mano dove si trova l'acqua del riposo, nel seno dei santi patriarchi!
Tu che hai spezzato la fiamma della spada di fuoco e hai restituito al paradiso l'uomo crocifisso con te e che si era affidato alla tua misericordia, ricordati anche di me nel tuo regno.
(Preghiera di Macrina in Gregorio di Nissa, Vita di santa Macrina 24)

- Dal Martirologio ecumenico della Comunità monastica di Bose

martedì 18 luglio 2023

Fermati 1 minuto. Il Signore passa

Lettura

Matteo 11,20-24

20 Allora si mise a rimproverare le città nelle quali aveva compiuto il maggior numero di miracoli, perché non si erano convertite: 21 «Guai a te, Corazin! Guai a te, Betsàida. Perché, se a Tiro e a Sidone fossero stati compiuti i miracoli che sono stati fatti in mezzo a voi, già da tempo avrebbero fatto penitenza, ravvolte nel cilicio e nella cenere. 22 Ebbene io ve lo dico: Tiro e Sidone nel giorno del giudizio avranno una sorte meno dura della vostra. 23 E tu, Cafarnao,
sarai forse innalzata fino al cielo?
Fino agli inferi precipiterai!
Perché, se in Sòdoma fossero avvenuti i miracoli compiuti in te, oggi ancora essa esisterebbe! 24 Ebbene io vi dico: Nel giorno del giudizio avrà una sorte meno dura della tua!».

Commento

Le parole di Gesù verso le città che non lo hanno accolto esprimono, più che risentimento, dolore per il loro rifiuto dell'amore divino.

Corazin e Betsaida erano villaggi sul lago di Gennesaret che, assieme a Cafarnao, menzionata più avanti (v. 23) avevano visto i prodigi compiuti da Gesù, eppure non si erano convertite.

Tiro e Sidone erano città pagane sulle sponde del mediterraneo, note per la loro iniquità (Gl 4,4-7); la loro distruzione era stata profetizzata già dal proefta Ezechiele (Ez 26-28).

Cafarnao, scelta da Gesù come suo luogo di residenza, affronterà una condanna più dura delle altre città. La sua indifferenza, pertanto, rappresenta un peccato più grande della malvagità di Sodoma e Gomorra.

Noi che possediamo la testimonianza scritta di Cristo tra le nostre mani e che viviamo sotto la dispensazione dello Spirito, abbiamo vantaggi non inferiori a quelli di Corazin, Betsaida e Cafarnao, e la nostra responsabilità davanti a Dio sarà giudicata di conseguenza.

Il Signore passa. Sappiamo farci caso? Nessuno di noi potrà sfuggire al confronto con la Verità, che si è fatta parola vivente.

Preghiera

Riscalda i nostri cuori, signore, affinché al riparo dall'indifferenza, possiamo amarti con fervore e riconsocere la tua presenza nelle nostre vite. Amen.

- Rev. Dr. Luca Vona

lunedì 17 luglio 2023

Fermati 1 minuto. Sono venuto a portare la spada

Lettura

Matteo 10,34-11,1

10,34 Non crediate che io sia venuto a portare pace sulla terra; non sono venuto a portare pace, ma una spada. 35 Sono venuto infatti a separare
il figlio dal padre, la figlia dalla madre,
la nuora dalla suocera:
36 e i nemici dell'uomo saranno quelli della sua casa.
37 Chi ama il padre o la madre più di me non è degno di me; chi ama il figlio o la figlia più di me non è degno di me; 38 chi non prende la sua croce e non mi segue, non è degno di me. 39 Chi avrà trovato la sua vita, la perderà: e chi avrà perduto la sua vita per causa mia, la troverà.
40 Chi accoglie voi accoglie me, e chi accoglie me accoglie colui che mi ha mandato. 41 Chi accoglie un profeta come profeta, avrà la ricompensa del profeta, e chi accoglie un giusto come giusto, avrà la ricompensa del giusto. 42 E chi avrà dato anche solo un bicchiere di acqua fresca a uno di questi piccoli, perché è mio discepolo, in verità io vi dico: non perderà la sua ricompensa».
11,1 Quando Gesù ebbe terminato di dare queste istruzioni ai suoi dodici discepoli, partì di là per insegnare e predicare nelle loro città.

Commento

Il tempo di Gesù e della sua Chiesa non è ancora l'era messianica di pace (1 Cor 4,8-13), il risultato immediato dell'annuncio evangelico è il conflitto. 

Il vangelo è di una tale radicalità da scuotere le fondamenta della vita quotidiana e delle relazioni familiari; è come una spada che discrimina chi lo accoglie da chi non lo accoglie, relativizzando i legami di sangue e di parentela, perché "i nemici dell'uomo saranno quelli della sua casa" (Mt 10,36).

Gesù, Figlio di Dio, chiede un primato assoluto nell'amore, proprio come il Dio di Israele aveva chiesto un primato assoluto nell'alleanza con il suo popolo. Tale primato implica la disponibilità, da parte del credente, di donare non qualcosa, ma tutta la propria vita al Signore. 

La fedeltà a Cristo si esprime innanzitutto nell'accoglienza, fin dai gesti più piccoli: chi avrà dato un solo bicchiere d'acqua a un discepolo non perderà la sua ricompensa. Offrire un bicchiere d'acqua ai viandanti faceva parte delle regole fondamentali dell'ospitalità orientale e non implicava alcun compenso. L'esempio utilizzato da Gesù sta a significare che la grazia di Dio va oltre i meriti degli uomini.

Prendendosi cura dei missionari itineranti, anche chi non è chiamato direttamente alla missione può condividere la ricompensa di chi è in prima linea. Infatti, i discepoli sono inviati nel nome di Gesù come suo ambasciatori e il trattamento riservato loro è come se fosse riservato a colui che li ha mandati.

Se la gloria della risurrezione è la mèta finale di chi annuncia e di chi accoglie Gesù, il percorso è faticoso e chiede un'amore capace di "perdersi" nel dono totale di sé. Preannunciando le ostilità che incontreranno i suoi discepoli, Gesù proclama che chi non porterà la sua croce non sarà degno di lui. Fatta questa premessa, solo allora, invia i suoi discepoli a predicare il vangelo.

Preghiera

Aiutaci, Signore, a testimoniarti con genorsità e coraggio, per superare ogni difficoltà e affrettare l'avvento del tuo regno di pace. Amen.

- Rev. Dr. Luca Vona