Il Rev. Dr. Luca Vona
Un evangelico nel Deserto

Ministro della Christian Universalist Association

domenica 30 settembre 2018

Fedele è Dio

COMMENTO ALLA LITURGIA DELLA DICIOTTESIMA DOMENICA DOPO LA TRINITÀ

Colletta

Signore, ti supplichiamo, concedi al tuo popolo la grazia di superare le tentazioni del mondo, della carne e del demonio; e di seguire con mente e cuore puri te, che sei l’unico Dio. Per Cristo nostro Signore. Amen.

Letture

1 Cor 1,4-8; Mt 22,34-46

Commento

Amare Dio con tutto il cuore, l'anima e la mente e il prossimo come noi stessi. Così Gesù riassume i 613 precetti presenti nella Torah. Questo comandamento bipartito, che rappresenta le due facce della stessa medaglia, è non solo un sommario, ma il vertice stesso della Legge mosaica.

Dio va amato al di sopra di ogni altra cosa, e in tal modo è fugato il peccato più grande: quello dell'idolatria, che ci svilisce facendoci ripiegare su cose morte, incapaci di appagare completamente il nostro cuore. E proprio perché il nostro cuore può essere colmato solo da Dio, questi va amato con la nostra persona nella sua interezza, con tutte le nostre potenze e affetti. Il cuore, indica soprattutto la forza e la volontà dell'uomo. Dio ci chiede di amarlo perché i nostri cuori ne sono capaci; non ci impone una cosa che non possiamo fare, che non è alla nostra portata. Al tempo stesso la sua grazia opera in noi per portare a compimento il precetto, ma senza esercitare violenza sulla nostra libertà.

La seconda parte del comandamento è simile alla prima (Mt 22,39): Ama il tuo prossimo come te stesso. Se l'amore supremo verso Dio sintetizza la prima tavola della legge, l'amore verso il prossimo è un sommario della seconda tavola. Dio ama il mio prossimo: come posso amare Dio se anche io non amo il mio fratello? Così infatti ammonisce l'apostolo Giovanni: “Se uno dice: «Io amo Dio» e odia suo fratello, è un bugiardo. Chi infatti non ama il proprio fratello che vede, non può amare Dio che non vede. E questo è il comandamento che abbiamo da lui: chi ama Dio, ami anche suo fratello” (1 Gv 4,20-21).

Se l'amore per Dio deve essere al di sopra di ogni altra cosa, la norma che ci è posta dinnanzi per l'amore del prossimo è quella che è prescritta per l'amore di noi stessi. Amare noi stessi infinitamente ci è proibito perché non è compatibile con l'amore supremo dovuto a Dio. Ma anche amare il prossimo meno di noi stessi ci è proibito, perché rappresenterebbe un venir meno della fede nel corpo mistico di Cristo, del quale ciascuno di noi è membro.

Chi è il nostro prossimo? Nel passo parallelo del Vangelo di Luca, al capitolo 10, Gesù risponde alla domanda del fariseo con la parabola del buon samaritano. Il mio prossimo è colui che si trova nel bisogno e con il quale la mia strada si incrocia, al di là di ogni pregiudizio identitario o di false priorità.

Gesù non solo ci insegna a comprendere il senso ultimo della Legge, egli la porta a compimento sulla sua stessa carne, facendosi libro aperto sulla croce, per illuminare e guidare l'umanità verso la salvezza. E vi è un intimo legame tra il suo ruolo profetico e quello sacerdotale, nella misura in cui non solo egli ci mostra la strada da percorrere, ma ci guida e ci accompagna in essa, in quanto Figlio di Dio, il solo che possa riscattare l'umanità, rendendola capace di adempiere un comandamento così sublime.

Dio stesso, dunque, opera in noi, vivificando la sua Chiesa con il dono dello Spirito. Per questo Paolo coltiva un rapporto di intima comunione con Dio, in un continuo rendimento di grazie (1 Cor 1,4). Al di là dei difetti e delle mancanze, presenti in ogni comunità cristiana, Paolo sa discernere quanto di buono Dio opera in essa, riconoscendo l'abbondanza di doni e di carismi che Cristo stesso diffonde nel suo corpo mistico (1 Cor 1,5).

I frutti della grazia nella vita dei cristiani sono la migliore prova, per i credenti e per gli increduli, della verità del vangelo. Una vita consacrata a Dio è di per se stessa una testimonianza vivente dell'opera dello Spirito Santo.

Paolo descrive una tensione escatologica verso il ritorno di Cristo, che richiama il perfezionamento definitivo della Chiesa e la testimonianza ultima della fedeltà di Dio nei nostri confronti: "non vi manca alcun dono mentre aspettate la manifestazione del Signor nostro Gesù Cristo, il quale vi confermerà fino alla fine, affinché siate irreprensibili nel giorno del nostro Signore Gesù Cristo" (1 Cor 1,8). È Dio che ci rende immacolati, che ci dona una veste nuova, per presentarci davanti a lui nell'ultimo giorno.  Così assicura l'Apostolo, proseguendo la sua lettera ai Corinzi: "Fedele è Dio dal quale siete stati chiamati" (1 Cor 1,9).

- Rev. Dr. Luca Vona

venerdì 28 settembre 2018

Domenica 30/9 Culto bilingue Italiano-Cinese | 我们教堂每个月的最后周日11点钟安排中文聚会与圣餐

Cari amici,
Domenica 30 settembre il Culto con Santa Cena non si svolgerà, come di consueto, in orario serale, bensì al mattino, ore 11 00 e sarà bilingue italiano-cinese. Vi aspettiamo in via delle Betulle 63 (Roma, Quartiere Centocelle).





罗马, Centocelle区, Cento per uno 基督教堂

卫斯里美以美会

又有落在好土里的,就发生长大,结实有三十倍的,有六十倍的,有一百倍的;
马可福音第4章,第8
你们尽量从善,用每个能使用的手段从善,在所有的地方从善,每次有机会从善,为所有的人从善,一直到你们有机会从善
约翰卫斯里

我们教堂每个月的最后周日11点钟安排中文聚会与圣餐


牧师:Luca Vona
Delle Betulle 63号,00171罗马





domenica 23 settembre 2018

Prigionieri della legge e prigionieri... nel Signore

COMMENTO ALLA LITURGIA DELLA DICIASSETTESIMA DOMENICA DOPO LA TRINITA'

Colletta

Signore, ti supplichiamo affinché la tua grazia possa sempre prevenirci e seguirci, rendendoci costantemente dediti a ogni opera buona. Per Gesù Cristo nostro Signore. Amen.

Letture

Ef 4,1-6; Lc 14,1-11

Commento

Guarendo l’idropico in giorno di sabato Gesù mette al centro del suo messaggio il primato della carità verso il prossimo, come legge suprema. Egli non controbatte ai farisei negando o sminuendo la legge mosaica. Chiede infatti loro di citare un passo della legge che vieti di guarire in giorno di sabato e domanda se non si affaticherebbero in giorno di sabato per salvare un asino o un bue, ovvero per proteggere le proprie ricchezze.

L'illusione che l'amore di Dio possa essere fatto coincidere semplicemente con l'amore della legge è una forma di riduzionismo idolatra: non si adorano delle divinità straniere, ma si cade nell'errore di credere che lo scrupoloso rispetto delle norme religiose possa di per sé costituire una garanzia di salvezza. Questa tentazione, molto diffusa nel giudaismo contemporaneo a Gesù, può costituire una minaccia anche per il cristianesimo, laddove si affermi la convinzione di potere accumulare meriti attraverso opere buone e preghiere. 

Si tratta di un atteggiamento spiritualmente egocentrico, lontano dall'amore disinteressato per Dio e per il prossimo, da quel senso di gratitudine verso il nostro Creatore e Salvatore, che da solo dovrebbe essere sufficiente per farci agire con rettitudine.

La seconda parte del racconto evangelico, in cui assistiamo alla disputa tra gli invitati per chi avrebbe dovuto occupare i posti più prestigiosi a tavola, testimonia proprio la difficoltà di superare l'accentramento su di sé, che dovrebbe invece caratterizzare la vera esperienza religiosa.

Paolo, dal canto suo, nella lettera agli Efesini, sottolinea il profondo legame tra la carità fraterna e la necessità di dare una risposta adeguata all'azione salvifica di Dio nei nostri confronti. Noi siamo stati amati e salvati per primi; è nostro dovere amare il prossimo come Dio ci ha amato. E questo dovere è ancora più vincolante nei confronti dei fratelli nella fede, con i quali condividiamo i doni che l'unico Cristo ha distribuito tra il suo popolo. Per questo l'apostolo ci esorta a mantenere la pace nella comunità cristiana.

Per rafforzare le sue parole Paolo fa leva sul suo essere "prigioniero nel Signore". Non vuole essere compatito, ma vuole sottolineare fino a che punto lo abbia spinto la sua abnegazione per la causa del vangelo. Il credente è capace di individuare anche nelle grandi prove della vita la mano di Dio, per questo Paolo è prigioniero, ma "nel Signore". Nulla accade per circostanze fortuite, e anche laddove ci trovassimo tra le mani di forze malvagie, possiamo avere la certezza che ogni causa seconda agisce perché Dio, la causa prima, glielo consente. 

E ancor più, dobbiamo essere assolutamente certi che qualsiasi cosa ci accada è assolutamente la più perfetta, la più profittevole, la migliore, qui ed ora, per noi, che possa accadere, secondo la sapienza imperscrutabile di Dio. Possiamo dunque ripetere col salmista, in ogni circostanza della nostra vita: "Nelle sue mani sono le profondità della terra e sue sono le alte vette dei monti" (Sal 95,4).

- Rev. Dr. Luca Vona

lunedì 10 settembre 2018

L'ansia per il mondo e quella per il Regno

COMMENTO ALLA LITURGIA DELLA QUINDICESIMA DOMENICA DOPO LA TRINITÀ

Colletta

Custodisci, ti supplichiamo, Signore, la tua Chiesa con la tua misericordia; e, poiché per la fragilità umana senza di te non possiamo che cadere, mantienici sempre al riparo da ciò che è dannoso e guidaci verso ciò che è profittevole per la nostra salvezza; per Gesù Cristo, nostro Signore. Amen.

Letture

Gal 6,11-18; Mt 6,24-34

Commento

Gesù ci raccomanda di non avere ansia per le ricchezze o per il nostro domani, ma è giusto avere ansia per la nostra salvezza e per la salvezza del prossimo; il cristiano e la Chiesa non devono mai venir meno a tale sollecitudine.

La vita del cristiano non è spensierata e concentrata sul cogliere edonisticamente l'attimo presente. Preghiamo invocando il Regno di Dio e il compimento della sua volontà, sospiriamo come le anime davanti al trono dell'agnello e come il salmista, dicendo "Fino a quando Signore?" (Sal 13,1; Sal 79,5; Ap 6,10).

Il messaggio evangelico non ci chiede di essere anestetizzati, di fuggire il senso di limitatezza e imprevedibilità che caratterizza la nostra esistenza umana in questo mondo. C'è un'ansia da curare e c'è un'ansia che non necessita di cure, perché è semplicemente un richiamo della retta coscienza a lavorare nella vigna che il Signore ci ha affidato, in prossimità del suo ritorno.

Esiste poi un'ansia religiosa contraria alla volontà di Dio. L'apostolo Paolo ci parla nella sua Lettera ai Galati, di coloro che vogliono fare bella figura nella carne e costringono gli altri a farsi circoncidere per non essere perseguitati per la croce di Cristo (Gal 6,12). Costoro sono anche ipocriti, perché "neppure quelli stessi che sono circoncisi osservano la legge, ma vogliono che siate circoncisi per potersi vantare nella propria carne" (Gal 6,13). 

Anche le chiese cristiane rischiano di adottare segni esteriori, atteggiamenti etici e pastorali, nell'ottica del conformismo e alla ricerca del consenso, per evitare le persecuzioni del mondo. Viene persa, così, quella sollecitudine positiva, per l'evangelizazione, per l'annuncio coraggioso del Vangelo.

Gesù ci vuole liberare da queste ansie sbagliate, che esprimono un ripiegamento egocentrico e, in definitiva, una vita meschina e sofferente. Ci chiede di spostare il baricentro da noi stessi e dalle cose materiali, esteriori, liberandoci dalla schiavitù che caratterizza il timore della perdita, l'avversione per ciò che disturba i nostri interessi, il dubbio e il senso di incertezza che paralizzano la nostra volontà.

La vita nella grazia è una esperienza di liberazione dunque, da tutte quelle sollecitudini vane, perché legate a ciò che è transitorio, impermanente, imponderabile. Da tutto ciò che è rassicurazione illusoria di essere salvati, come la circoncisione, le questioni di cibo o di bevanda (Rm 14,17), o qualsiasi altro segno "esteriore" di appartenenza religiosa. 

È la riscoperta di una esistenza centrata in Dio, alimentata dalla fiducia nel Padre, che con amore si prende cura delle sue creature. Egli stesso infatti ci rivestirà di un abito nuovo e splendente, come e più dei gigli del campo; ci donerà un abito di santità, perché “né la circoncisione né l'incirconcisione hanno alcun valore, ma l'essere una nuova creatura” (Gal 6,15).

- Rev. Dr. Luca Vona