Il Rev. Dr. Luca Vona
Un evangelico nel Deserto

Ministro della Christian Universalist Association

venerdì 31 luglio 2020

Ignazio di Loyola, soldato di Cristo

La chiesa cattolica d'occidente e la chiesa anglicana celebrano oggi la memoria di Ignazio di Loyola.
Nel 1556 muore a Roma Ignazio di Loyola, presbitero e fondatore della Compagnia di Gesù (Gesuiti).
Nato nel 1491 da una nobile famiglia basca, Iñigo Lopez de Loyola ricevette un'educazione cavalleresca e adatta a una vita di corte. Ferito a una gamba a trent'anni nell'assedio della città di Pamplona e costretto a una lunga convalescenza, egli rimase conquistato dalla lettura della Vita di Gesù Cristo del certosino Ludolfo di Sassonia e della Leggenda aurea di Jacopo da Varagine. Decise allora di iniziare un lungo cammino per discernere la volontà di Dio sulla sua vita.
Frutto di queste sue prime esperienze e dell'anno di solitudine e preghiera passato a Manresa sarà il libro degli Esercizi spirituali, grazie al quale Ignazio renderà accessibile ad altri l'itinerario di discernimento che per primo aveva percorso.
Illuminato da una profonda vita interiore, egli volle intraprendere un cammino di spoliazione e di povertà per amore di Cristo, itinerario che iniziò assieme a una piccola comunità di fratelli destinata all'annuncio del vangelo e al servizio del bene spirituale degli uomini.
Uomo sempre teso ad armonizzare il divino e l'umano, l'invocazione dello Spirito nella preghiera e la concreta fatica della carità, Ignazio diede vita nel 1540, assieme ai primi compagni, alla Compagnia di Gesù: «poveri preti pellegrini», disposti ad andare in tutto il mondo a diffondere la chiamata alla santità che Dio rivolge a ogni uomo. La sua forma di vita religiosa si è rivelata nei secoli tra le più feconde e lungimiranti della chiesa d'occidente.

Tracce di lettura

Con l'espressione «esercizi spirituali» si intende ogni modo di esaminare la coscienza, meditare, contemplare, pregare vocalmente e mentalmente, e altre operazioni spirituali. Come infatti il passeggiare, il camminare e il correre sono esercizi corporali, così si chiamano «esercizi spirituali» tutti i modi di preparare e disporre l'anima a liberarsi di tutti gli affetti disordinati e, una volta eliminati, a cercare e trovare la volontà divina nell'organizzazione della propria vita per la salvezza dell'anima.
(Ignazio di Loyola, Esercizi spirituali, Prima annotazione).

- Dal Martirologio ecumenico della Comunità monastica di Bose

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Ignazio di Loyola (1491-1556)

Fermati 1 minuto. Il profeta è disprezzato in casa sua

Lettura

Matteo 13,54-58

54 e venuto nella sua patria insegnava nella loro sinagoga e la gente rimaneva stupita e diceva: «Da dove mai viene a costui questa sapienza e questi miracoli? 55 Non è egli forse il figlio del carpentiere? Sua madre non si chiama Maria e i suoi fratelli Giacomo, Giuseppe, Simone e Giuda? 56 E le sue sorelle non sono tutte fra noi? Da dove gli vengono dunque tutte queste cose?». 57 E si scandalizzavano per causa sua. Ma Gesù disse loro: «Un profeta non è disprezzato se non nella sua patria e in casa sua». 58 E non fece molti miracoli a causa della loro incredulità.

Meditazione

Ciò che è facilmente accessibile è di solito reputato di scarso valore. Così è per la predicazione e i miracoli di Gesù compiuti nella sua patria e così è per il vangelo in quelle terre cristianizzate da decine di secoli. 

Quando la professione della fede costava ai martiri persecuzioni, torture e una morte terribile il cristianesimo era una minoranza religiosa che generava frutti di santità e di reale conversione. Nel momento in cui ottenne il riconoscimento e l'appoggio del potere politico, divenendo religione di Stato, molti animi si raffreddarono, molte conversioni divennero un fatto esteriore, un automatismo, nel necessario adeguamento al principio del cuius regio, eius religio: "di chi è il regno, di lui sia la religione", ovvero i sudditi seguano la religione del loro governante. In quel contesto si sviluppò il monachesimo egiziano, con i cristiani più intransigenti che si stabilivano nel deserto, lontano dalla città, per recuperare l'autenticità del messaggio evangelico.

Anche oggi, nella nostra stanca Europa, ma potremmo dire in tutti i paesi di lunga tradizione cristiana, l'accoglienza di Gesù è spesso pigra, fredda e pervasa di incredulità. Per certi versi anche a ragione; ci si chiede: quanto hanno cambiato in meglio la nostra civiltà oltre duemila anni di cristianesimo? La nostra storia, anche quella specificamente cristiana, è piena di pagine buie e ignominiose. 

Ma se il vangelo non è riuscito a trasformare le nostre vite, la società, il nostro mondo, è perchè lo abbiamo dato "per scontato", come un qualcosa di "familiare" alla nostra cultura, "geneticamente" presente in essa, ma proprio per tale ragione non lo abbiamo preso sul serio. Se le nostre vite non cambiano, se il nostro mondo non cambia, se il Signore non opera tra noi molti miracoli, è per la nostra incredulità. 

Ogni giorno, siamo chiamati ad accogliere il vangelo come parola nuova, parola profetica, capace di mettere in discussione le nostre esistenze, che si sentono naturalmente - ma sono spesso solo nominalmente - "imparentate con Cristo". 

Non dimentichiamo le parole di Gesù rivolte a coloro che si ritenevano salvi in quanto "figli di Abramo": «Fate dunque frutti degni di conversione, e non crediate di poter dire fra voi: Abbiamo Abramo per padre. Vi dico che Dio può far sorgere figli di Abramo da queste pietre» (Mt 3,8-9).

Preghiera

Signore, aiutaci a cogliere la portata del tuo messaggio profetico, affinché possa radicalmente trasformare le nostre vite e, attraverso di esse, portare la tua benedizione all'intera umanità. Amen.

giovedì 30 luglio 2020

William Wilberforce e l'abolizione della tratta degli schiavi

La Chiesa anglicana celebra oggi la memoria di William Wilberforce (Kingston upon Hull, 24 agosto 1759 – Londra, 29 luglio 1833), politico inglese, convertito al movimento evangelicale. Wilberforce fu il leader del movimento contro la schiavitù che portò nel 1807 all'abolizione della tratta degli schiavi e infine, nel 1833, anche della schiavitù nell'impero britannico.

Orfano di padre, frequentò il St. John's College dell'Università di Cambridge. Per scherzo nel 1780 a soli ventuno anni si candidò e fu eletto alla Camera dei Comuni ed ebbe per cinquant'anni un impegno politico.

Il 30 aprile 1797, all'età di trentasette anni, si sposò con Barbara Spooner da cui ebbe sei figli.

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William Wilberforce (1759-1833)

Di famiglia anglicana, vissuto senza avere interessi biblici, a seguito di un incontro casuale con un amico di infanzia e la lettura di un libro trovato in una casa per le vacanze, incominciò ad avere una netta visione biblica su Dio, su Cristo e sull'uomo. Leggendo gradualmente il Nuovo Testamento ebbe una conversione profonda al vangelo che cambiò radicalmente le priorità della sua vita portandolo alla nuova nascita.

Nel 1787 annunciò alla Camera dei Comuni che avrebbe posto alla loro attenzione una mozione per l'abolizione del commercio degli schiavi. L'opposizione durò vent'anni ma nonostante le minacce ricevute, continuò la sua battaglia.

Nel 1807 la Camera, con applausi e ovazioni a Wilberforce, approvò con 267 voti su 283 l'abolizione del commercio degli schiavi (effettivo dal 1º gennaio 1808).

Se il commercio fu abolito, la schiavitù continuò, e fu contrastata dagli stessi attivisti che avevano appoggiato l'abolizione della tratta. Nel 1833 Wilberforce presentò un'ultima petizione: il 26 luglio fu approvata l'abolizione della schiavitù nelle colonie britanniche e dopo tre giorni William Wilberforce si spense. Riposa oggi nella cattedrale di Westminster.

William Penn. Quacchero e fondatore della Pennsylvania

Il 30 luglio del 1718 muore William Penn, una delle massime figure del quaccherismo inglese.
William era nato nel 1644 a Wanstead, nel Sussex, in ambiente marcatamente puritano. Dopo aver conosciuto la «Società degli amici» (i quaccheri) attraverso la predicazione di Thomas Loe, egli subì diverse peripezie per il desiderio che manifestava di aggregarsi al loro movimento, testimone di una Parola capace di contestare in modo radicale, sebbene con mezzi pacifici, la vita sociale della nascente società industriale nonché delle istituzioni ecclesiastiche dell'epoca.

William Penn - Wikiquote
William Penn (1644-1718)


Divenuto quacchero con convinzione, grazie alla sua cultura Penn seppe dare un impulso profondo a quel ricentramento sul kerygma evangelico di cui il quaccherismo aveva avuto bisogno sin dai suoi inizi.

Uomo di grande pace interiore perché reso mite dalle umiliazioni sopportate nella fede, difensore estremo della libertà di coscienza e dell'uguaglianza fra gli uomini, William Penn coronò almeno in parte il suo sogno di una società più libera e solidale acquistando, popolando e organizzando in America del Nord quello che sarà chiamato lo stato della Pennsylvania, che significativamente avrà come capitale Filadelfia. Egli lo volle sprovvisto di esercito e aperto al dialogo con le tribù indiane presenti nei suoi confini.
William Penn morì all'età di settantaquattro anni.

- Dal Martirologio ecumenico della Comunità monastica di Bose

Fermati 1 minuto. Tutti presi nella stessa rete

Lettura

Matteo 13,47-53

47 Il regno dei cieli è simile anche a una rete gettata nel mare, che raccoglie ogni genere di pesci. 48 Quando è piena, i pescatori la tirano a riva e poi, sedutisi, raccolgono i pesci buoni nei canestri e buttano via i cattivi. 49 Così sarà alla fine del mondo. Verranno gli angeli e separeranno i cattivi dai buoni 50 e li getteranno nella fornace ardente, dove sarà pianto e stridore di denti.
51 Avete capito tutte queste cose?». Gli risposero: «Sì». 52 Ed egli disse loro: «Per questo ogni scriba divenuto discepolo del regno dei cieli è simile a un padrone di casa che estrae dal suo tesoro cose nuove e cose antiche».
53 Terminate queste parabole, Gesù partì di là

Commento

Fino al tempo del giudizio il regno dei cieli è aperto a ogni uomo, è anzi simile a una rete, alla quale nessuno può sottrarsi. Sappiamo infatti che i tempi non saranno compiuti finché il vangelo non sarà annunciato ad ogni creatura (Mc 16,15), in tutto il mondo (Mt 24,14). Di fronte a questo annuncio non è concesso assumere un atteggiamento neutrale: «Chi non è con me è contro di me, e chi non raccoglie con me, disperde», afferma Gesù (Mt 12,30). 

Siamo tutti presi nella rete della grazia, dunque. Per questo il giudizio definitivo tra ciò che è buono e ciò che è malvagio non spetta a noi, ma sarà compiuto dagli angeli di Dio, con accurato discernimento: sedutisi, (gr. katisantes) - raccolgono i pesci buoni nei canestri e buttano via i cattivi. Come nella parabola della zizzania, il destino ultimo dei malvagi è la fornace ardente, dove sarà pianto e stridore di denti. 

All'apertura del messaggio di salvezza, come rete gettata verso ogni uomo, corrisponde la possibilità di una radicale chiusura del cuore, la "bestemmia contro lo Spirito Santo" (Mc 3,29); possibilità che determina il perimetro di azione della libertà umana.

La delega a Dio del giudizio sui salvati non porta certo a una mancanza di responsabilità e a un atteggiamento di attesa passiva del compimento dei tempi. Gesù conclude questa ultima parabola del regno sottolineando la novità dell'era messianica da lui inaugurata. La saggezza degli scribi, esperti della legge antica, non è rinnegata ma arricchita di linfa vitale dalla nuova notizia del vangelo. Da questi tesori, il padrone di casa, ovvero il discepolo, attinge per elargire il tesoro della Parola e dischiuderne i preziosi significati.

Preghiera

Aiutaci a scoprire i tesori della tua parola, Signore, per riformare la nostra vita e discernere in noi e nel mondo ciò che è buono e ciò che è contrario dalla tua volontà; in una attesa operosa del tuo glorioso ritorno. Amen.

- Rev. Dr. Luca Vona


mercoledì 29 luglio 2020

Enzo Bianchi. Santa Sofia e le cattedrali in fiamme

Propongo qui di seguito l'articolo pubblicato da Enzo Bianchi su La Repubblica del 27 luglio 2020 in merito alla riconversione a Moschea di Santa Sofia.
Condivido in linea di massima quanto scrive il Fondatore di Bose, sebbene penso sia doveroso un appunto. Kemal Ataturk non trasformò in museo Santa Sofia in nome della laicità e della pace tra le fedi, bensì di un laicismo ateo e prepotente che sottrasse la Moschea a una fondazione che ne aveva finanziato e curato la gestione per circa 600 anni. Come è possibile poi, vedere, la volontà di riconciliare le fedi in un luogo in cui fu fatto divieto di pregare?
Certo è auspicabile che pur riconvertita in moschea Santa Sofia non venga deturpata delle proprie opere d'arte cristiana. Fino ad ora, nella preghiera inaugurale, i mosaici sono stati "velati".  C'è da chiedersi, come cristiani, come credenti, se non sia meglio una moschea in cui si prega Dio piuttosto che un museo dove si scattano selfie.
Quel che sembra certo è che tanto il laicismo di Ataturk quanto il neo-ottomanismo di Erdogan sono stati le due facce di una stessa medaglia: quella dell'interferenza del potere politico con la sfera religiosa e della sua strumentalizzazione per raccogliere consenso.
La soluzione per Santa Sofia si sarebbe potuta trovare solo sul piano del dialogo interreligioso, mirando alla condivisione di un luogo di culto tanto significativo sia per i cristiani che per i musulmani. Si sarebbe così potuti giungere a una soluzione simile a quella adottata per la Basilica della Natività a Gerusalemme. Un'occasione perduta, che dovrebbe farci riflettere sulla indispensabile laicità - non sul laicismo! - dello Stato, e sul suo ruolo di tutelare il pluralismo religioso, a partire dalle minoranze. - Rev. Dr. Luca Vona, Eremita

***

Dallo scorso venerdì Aghia Sophia, straordinario tempio al quale credenti cristiani e musulmani riconoscono una particolare santità, è ridiventato moschea. È un’umiliazione per la minoranza cristiana ortodossa in Turchia, ma anche per tutti i cristiani del mondo.

enzo bianchi (@enzobianchi7) | Twitter
Enzo Bianchi, Fondatore ed ex-Priore di Bose

Santa Sofia, ricostruzione della basilica costantiniana, dal 537 al 1453 fu la "grande chiesa" al centro del cristianesimo orientale, sede del patriarca di Costantinopoli, luogo di celebrazione di alcuni concili ecumenici. Per l’ortodossia è stato il cuore della fede e della missione, ed è significativo che alla fine del primo millennio gli inviati del principe Vladimir di Kiev trovarono nella bellezza di questa chiesa e nella gloriosa liturgia ivi celebrata motivi per scegliere la fede cristiana.

Non va però dimenticato che i primi a profanare e saccheggiare questa chiesa furono i cristiani latini, durante la IV Crociata, trasformandola in una cattedrale romana cattolica (1204-1261). Con la caduta di Costantinopoli, nel 1453 Santa Sofia fu convertita in moschea: presto si aggiunsero i minareti, mentre i mosaici parietali raffiguranti Cristo, Maria e i santi vennero distrutti o intonacati.

I cristiani però continuarono a rivendicare Santa Sofia e anche la chiesa cattolica con il cardinale Gasparri, Segretario di Stato di Benedetto XV, tentò di farne una cattedrale cattolica. Nel 1935 il fondatore della repubblica turca, Kemal Ataturk, in nome della laicità decise di trasformare questo edificio in museo aperto a milioni di visitatori: un atto di rappacificazione tra fedi sovente in conflitto.

Non posso dimenticare quante volte sono entrato a Santa Sofia, cercando nei mosaici nuovamente scoperti il volto di Cristo, di Maria e dei padri, tra i quali, molto evidente, Giovanni Crisostomo.
Certo, non si poteva pregare pubblicamente ma il cuore era libero di vivere emozioni contrastanti: meraviglia, dolore, nostalgia e speranza… Anche Benedetto XVI, visitando Santa Sofia, ha sostato in un silenzio commosso.

Recentemente il presidente turco Erdogan ha deciso di riconvertire Santa Sofia in moschea. Il patriarca ecumenico Bartholomeos ha protestato con parole cariche di dolore, preoccupato che questo gesto possa seminare discordia tra cristiani e musulmani. Si è detto addolorato il Papa e hanno fatto sentire il loro vibrante disaccordo altri patriarchi d’oriente, tra i quali il russo Kirill, nonché il metropolita Ilarione, ma con parole di dialogo e di pacificazione.

I mosaici cristiani sono stati nuovamente coperti in occasione della preghiera del venerdì, inno a una mortificante riconquista. Santa Sofia potrà non essere motivo di conflitti? E mentre questo edificio ridiventa moschea, in Europa bruciano le cattedrali: Notre-Dame di Parigi, quella dei santi Pietro e Paolo di Nantes, altre chiese recentemente… Dobbiamo esserne consapevoli: anche questo è un segno, un’apocalisse per questa Europa astenica e silente e per tutti i cristiani. Certo, essi possono fare a meno di chiese di pietra, ma sono anche cittadini europei che non possono rinunciare ai segni della loro storia e cultura.

-  Enzo Bianchi, La Repubblica del 27 luglio 2020

Marta, Maria e Lazzaro. Amici del Signore

Nel calendario monastico occidentale si ricordano oggi Marta, Maria e Lazzaro, «amici e ospiti del Signore».
«Gesù voleva molto bene a Marta, a sua sorella e a Lazzaro» (Gv 11,5): accanto agli uomini e alle donne che lo avevano seguito nella sua predicazione, gli evangelisti ricordano questi amici del Signore che lo accolsero nella loro casa e furono particolarmente associati al mistero della sua morte e resurrezione.
Marta accoglie Gesù e si mette a servire colui che era venuto nel mondo per servire e dare l'esempio di un amore «fino alla fine».
Maria di Betania è presentata dai vangeli come preoccupata solo di accogliere la presenza del Signore e di custodirne la Parola; secondo Giovanni è lei a cospargere di olio profumato il Cristo e ad asciugargli i piedi con i propri capelli, anticipando profeticamente l'unzione del corpo di Gesù per la sepoltura.
Lazzaro è l'amico che Gesù tanto amava e che richiama in vita proprio mentre si accinge a deporre la propria vita, offrendo così in quest'ultimo segno una profezia della resurrezione.
Marta, Maria e Lazzaro diedero il conforto dell'amicizia e un luogo di riposo al Figlio dell'uomo che non aveva una pietra su cui posare il capo. I monaci, da sempre attenti a riconoscere e servire il Cristo presente nell'ospite, festeggiano in loro gli ascoltatori della Parola che hanno saputo vivere l'intimità e la comunione con il Signore, fino a scorgere in quel Gesù che bussava alla loro porta il Messia che li avrebbe accolti nella dimora del Padre.

Tracce di lettura

Forse ai padri è sfuggito qualcosa: l'umanità così semplice di Gesù. Ripensiamo al vangelo di Marta e di Maria: «Ora, Gesù amava Marta, e sua sorella, e Lazzaro». Gli piaceva andarsi a riposare presso i suoi amici.
Scoprire l'amicizia di Cristo per noi significa anche scoprirci fratelli. Ma che Cristo abbia avuto amici speciali, che abbia manifestato delle predilezioni, non significa che ami meno qualcun altro. E' per ognuno di noi, in segreto, che ha una predilezione. Da ciò deriva, mi sembra, un principio fondamentale della vita spirituale: non bisogna fare paragoni. Ogni uomo è fuori misura. Chi può misurare l'uomo se non l'amore, che per l'appunto non misura mai? L'uomo non è suscettibile di confronti. Cristo non fa paragoni, ama ciascuno senza misura. Ricordiamolo bene, quando ci accostiamo agli uomini.
(Athenagoras, Dialoghi con Olivier Clément)

- Dal Martirologio ecumenico della Comunità monastica di Bose

Icona dipinta a mano in stile bizantino, cm 32x40
Marta, Maria e Lazzaro insieme a Gesù, icona di Bose

Fermati 1 minuto. Gesù consacra il tempo della sosta

Lettura

Luca 10,38-42

38 Mentre erano in cammino, entrò in un villaggio e una donna, di nome Marta, lo accolse nella sua casa. 39 Essa aveva una sorella, di nome Maria, la quale, sedutasi ai piedi di Gesù, ascoltava la sua parola; 40 Marta invece era tutta presa dai molti servizi. Pertanto, fattasi avanti, disse: «Signore, non ti curi che mia sorella mi ha lasciata sola a servire? Dille dunque che mi aiuti». 41 Ma Gesù le rispose: «Marta, Marta, tu ti preoccupi e ti agiti per molte cose, 42 ma una sola è la cosa di cui c'è bisogno. Maria si è scelta la parte migliore, che non le sarà tolta».

Commento

Lungo il cammino Gesù decide di fare una sosta a casa di Marta e Maria, sorelle del suo amico Lazzaro. Le due donne mostrano atteggiamenti contrapposti, ma entrambi importanti nella Chiesa: Marta, con il suo servizio attivo mostra la diakonìa, il prendersi cura del Signore, presente in ogni persona bisognosa; Maria è l'esemplare della discepola dedita all'ascolto di Dio. Degna di nota è la posizione assunta da quest'ultima, seduta davanti a Gesù, tipica del discepolo e a quei tempi del tutto inusuale per una donna. 

Il Signore non rimprovera a Marta il suo servizio, ma il suo essere "tutta presa"; letteralmente "assorbita" (gr. periestàto) per il grande servizio. Gesù consacra il tempo della sosta, dedicato al suo ascolto. Se non esita di compiere miracoli e guarigioni in giorno di sabato, al tempo stesso porta la sacralità del riposo sabbatico nel quotidiano. Non c'è attività così importante che possa distoglierci da una pausa per ascoltare la sua parola. 

Gesù rimprovera a Marta di preoccuparsi e agitarsi per troppe cose. Innanzitutto, qualsiasi opera di servizio deve essere da noi svolta con una azione quieta: con le mani dobbiamo servire, ma con le orecchie dobbiamo ascoltare la voce del Cristo.

Quando Gesù vuole essere accolto nelle nostre vite non ci chiede di "strafare". L'apostolato, il servizio di Cristo nel nostro prossimo, non può schiacciare e annullare lo spazio indispensabile riservato alla contemplazione, e alla lode di Dio, vero nutrimento e ristoro dell'anima.

Cammino e sosta, scandiscono la vita di Gesù, come una melodia in cui le pause sono importanti quanto le note. Egli ci esorta alla semplificazione della nostra vita esteriore ed interiore; ci libera dagli affanni chiamandoci alla semplicità e alla gioia del discepolato, che è sapiente equilibrio tra il fare e l'ascoltare, il servizio e l'adorazione: faremo così una cosa senza trascurare l'altra, compiendo "la giustizia e l'amore di Dio" (Lc 11,42).

Preghiera

Signore, noi ti adoriamo, in ascolto, seduti ai tuoi piedi. La tua parola alimenti in noi l'amore contemplativo e l'ardore per la vita apostolica; senza che mai perdiamo l'attenzione verso la tua presenza. Amen.

- Rev. Dr. Luca Vona

martedì 28 luglio 2020

Johann Sebastian Bach. Una trasposizione musicale della vita interiore

La Chiesa luterana celebra oggi la memoria di Johann Sebastian Bach.
Vi sono cristiani che hanno reso una profonda testimonianza a Cristo con la vita, altri attraverso gli scritti e gli insegnamenti che hanno lasciato ai posteri. Johann Sebastian Bach lo ha fatto con la musica, in modo costante, per tutto l'arco della sua parabola terrena.

07 28 bach
Johann Sebastian Bach (1685-1750)
Bach nacque ad Eisenach, in Turingia, nel 1685, ultimo figlio di una famiglia di musicisti. Rimasto orfano a nove anni della madre e a dieci del padre, egli ebbe tuttavia un'esistenza serena, ritmata dalla propria intensa vita familiare - fu padre di venti figli - e dalla professione di organista. Dopo il liceo Johann Sebastian fu infatti organista prima ad Arnstadt, poi alla corte del duca di Weimar, e infine a Lipsia.
In vita egli fu ammirato soprattutto come esecutore, mentre le sue più grandi opere religiose, come ad esempio la Passione secondo Matteo, passarono per lo più inosservate. Nella musica Bach traspose tutti gli affetti domestici e le esperienze religiose, riuscendo a narrare in modo straordinario la bellezza della quotidianità, da lui sempre avvertita alla luce dello sguardo misericordioso del Signore.
Bach morì a Lipsia, il 28 luglio del 1750, e a poco a poco emerse la sua grandiosa e originale produzione musicale, che fu una vera e propria trasposizione musicale della vita interiore che il musicista era riuscito a coltivare nonostante la gran mole di impegni a cui mai si era sottratto.

- Dal Martirologio ecumenico della Comunità monastica di Bose



Gesù rimane la mia gioia,
linfa e consolazione del mio cuore,
Gesù pone termine a ogni sofferenza,
è la forza della mia vita,
sole e brama dei miei occhi,
delizia e tesoro della mia anima,
perciò non lascio Gesù
lontano dal cuore e dallo sguardo.

Fermati 1 minuto. I giusti splenderanno come il sole

Lettura

Matteo 13,36-43

36 Poi Gesù lasciò la folla ed entrò in casa; i suoi discepoli gli si accostarono per dirgli: «Spiegaci la parabola della zizzania nel campo». 37 Ed egli rispose: «Colui che semina il buon seme è il Figlio dell'uomo. 38 Il campo è il mondo. Il seme buono sono i figli del regno; la zizzania sono i figli del maligno, 39 e il nemico che l'ha seminata è il diavolo. La mietitura rappresenta la fine del mondo, e i mietitori sono gli angeli. 40 Come dunque si raccoglie la zizzania e si brucia nel fuoco, così avverrà alla fine del mondo. 41 Il Figlio dell'uomo manderà i suoi angeli, i quali raccoglieranno dal suo regno tutti gli scandali e tutti gli operatori di iniquità 42 e li getteranno nella fornace ardente dove sarà pianto e stridore di denti. 43 Allora i giusti splenderanno come il sole nel regno del Padre loro. Chi ha orecchi, intenda!

Commento

L'allontanamento di Gesù dalle folle segna il ritirarsi dal popolo incredulo e la ricerca di una comunione più intima con i suoi discepoli, che qui rappresentano non soltanto i Dodici ma coloro che egli aveva inviato ad annunciare il Vangelo. Questi hanno realmente "fame e sete di giustizia" (Mt 5,6) perché chiedono a Gesù di "sciogliere" il significato della parabola narrata per immagini. 

Solo in un rapporto personale con Cristo la sua parola può dispiegarsi alla nostra intelligenza. L'ascolto delle Scritture proclamate in chiesa o anche lette in privato può dare i suoi frutti se siamo capaci di chiedere a Gesù nella preghiera di offrircene il senso più profondo. 

Gesù non si sottrae alla richiesta dei suoi discepoli e spiega che la zizzania rappresenta i figli del maligno ed è opera del diavolo, colui che l'ha seminata. La zizzania è una pianta quasi del tutto identica al grano nel suo aspetto, ma non è buona per produrre la farina e preparare il pane. 

Scegliendo questa immagine per la sua parabola Gesù vuole indicare che il diavolo viene a infestare il campo dove è stato seminato il buon seme, non con delle erbacce riconoscibili per la loro natura estranea, ma simulando l'aspetto di ciò che è buono. Le nostre azioni devono tenere conto dell'orizzonte ultimo che dà senso a tutto il quadro d'insieme. 

La storia della Chiesa, ma anche la nostra storia personale, sono poriettate verso questo punto di fuga, la prospettiva del giudizio universale e personale. Da quell'orizzonte sorgerà il sole di giustizia (Mal 3,20; Lc 1,78), con il quale e nel quale splenderanno i giusti, nel regno del Padre loro.

Preghiera

Signore, vieni e vista il tuo campo con i tuoi angeli, prenditi cura di noi, affinché il male non possa sopraffarci e custodendo la vera fede, possiamo risplendere con te nel regno del Padre. Amen.

- Rev. Dr. Luca Vona

lunedì 27 luglio 2020

Guigo I, certosino. Inchiodata alla croce va adorata la Verità

Nel 1136 muore Guigo, quinto priore della Grande Chartreuse.
Nato a Saint-Romain-de-Mordanne, nella diocesi francese di Valence, Guigo entrò nel 1106 nella Chartreuse, fondata da Bruno, quando erano ancora in vita i tre compagni del fondatore. Eletto priore a soli ventisei anni, Guigo fu uomo di grande carità e padre spirituale di notevole umanità, come testimoniano Pietro il Venerabile e Bernardo di Clairvaux, che furono suoi amici ed ebbero con lui una corrispondenza epistolare. Il suo irradiamento spirituale fu tale che in pochi anni furono aperte sette nuove case certosine, per le quali egli provvide sia sul piano organizzativo, mediante la stesura delle Consuetudini, sia su quello spirituale, attraverso scritti ricchi di insegnamenti sulla vita in Cristo e sulla lotta spirituale che i monaci sono chiamati a condurre nella solitudine. Notevole fu anche l'impegno da lui profuso per raccogliere testi liturgici e patristici destinati ad alimentare la vita di preghiera dei certosini.
Guigo fu, di fatto, il vero animatore e organizzatore dell'Ordine certosino, e le sue meditazioni costituiscono uno dei vertici della teologia medievale.

Tracce di lettura

La verità dev'esser posta al centro, come si fa con ciò che è bello. Se qualcuno ne prova repulsione, non giudicarlo, ma compatiscilo. Tu piuttosto, che desideri accostarti ad essa, perché la respingi quando a causa dei tuoi vizi sei rimproverato?
Guarda cosa deve sopportare la verità. Si dice al beone: «Sei un ubriacone»; allo stesso modo al lussurioso e al superbo. E questo è vero. Eppure essi van fuori di senno, fino a perseguitare e a uccidere la verità in colui che la annuncia.
Vedi invece quanto è onorata la menzogna. Si dice infatti agli infimi tra gli uomini, schiavi di ogni sorta di vizio: «Che brav'uomo!». E così essi si placano, godono e venerano la menzogna in colui che la proferisce.
Senza splendore né bellezza, inchiodata alla croce: così va adorata la Verità.
(Guigo, Prima meditazione)

- Dal Martirologio ecumenico della Comunità monastica di Bose

Fermati 1 minuto. Gli uccelli del cielo si annidano tra i suoi rami

Lettura

Matteo 13,31-35

31 Un'altra parabola espose loro: «Il regno dei cieli si può paragonare a un granellino di senapa, che un uomo prende e semina nel suo campo. 32 Esso è il più piccolo di tutti i semi ma, una volta cresciuto, è più grande degli altri legumi e diventa un albero, tanto che vengono gli uccelli del cielo e si annidano fra i suoi rami».
33 Un'altra parabola disse loro: «Il regno dei cieli si può paragonare al lievito, che una donna ha preso e impastato con tre misure di farina perché tutta si fermenti».
34 Tutte queste cose Gesù disse alla folla in parabole e non parlava ad essa se non in parabole, 35 perché si adempisse ciò che era stato detto dal profeta:
Aprirò la mia bocca in parabole,
proclamerò cose nascoste fin dalla fondazione del mondo.

Commento

Insieme a quella del seminatore e a quella della zizzania la parabola sul granello di senapa è una delle parabole del Regno in cui Gesù utilizza immagini tratte dal mondo agricolo. Mentre la parabola del seminatore illustrava il diverso modo di recepire l'annuncio evangelico e la parabola della zizzania illustrava la crescita dei buoni frutti insieme a quelli malvagi, quella del chicco di senapa mostra l'estensione del Regno a  partire dai suoi piccoli inizi. 

Così la Chiesa, che muove i suoi passi nella storia a partire dai dodici apostoli e dai settanta discepoli, dopo la risurrezione di Cristo, nonostante le ostilità della sinagoga, dei re e dei principi della terra, raggiungerà nel dispiegarsi della storia tutti gli angoli della terra. 

Nella sua ramificazione possiamo vedere la diversità nell'unità, lungi dall'appiattimento nell'uniformità, che non risponderebbe all'abbondanza di carismi trasmessi come linfa vitale dallo Spirito Santo. Gli angeli benedicono le diverse espressioni di santità, innestate sull'unico tronco di Cristo, come uccelli del cielo che si vengono a posare sui suoi rami (v. 32).

Anche la parabola del lievito sembra richiamare l'azione generatrice e vivificante dello Spirito Santo. L'enorme quantità di farina (anche qui a significare l'abbondanza dei chiamati al Regno di Dio) non produrrebbe nulla senza di esso.

Nell'uomo che semina e nella donna che impasta potremmo vedere rispettivamente due metafore di Cristo e della sua Chiesa, del nuovo Adamo e della nuova Eva, che generano alla vita le moltitudini.

Le due parabole possono essere lette anche secondo un significato individuale, trovando in esse un richiamo a non scoraggiarsi di fronte ai piccoli inizi del Regno di Dio dentro di noi; a "coltivare" e "impastare" con pazienza; ad attendere con fiducia che lo Spirito faccia giungere a maturazione i frutti della grazia, oltre ogni nostra aspettativa.

Preghiera

O Dio, che ci hai generati nel santo battesimo come primizia del tuo Regno e che mediante il tuo Spirito, sia che dormiamo, sia che vegliamo, accresci i frutti della tua Parola caduta nel terreno buono, moltiplica in noi la tua grazia, affinché la Chiesa possa risplendere della tua gloria. Amen.

- Rev. Dr. Luca Vona

domenica 26 luglio 2020

Quanti pani avete?

COMMENTO ALLA LITURGIA DELLA SETTIMA DOMENICA DOPO LA TRINITÀ

Colletta

Dio di ogni potenza e forza, che sei l’autore e il datore di ogni cosa buona; innesta nel nostro cuore l’amore per il tuo Nome, accresci in noi la vera religione, nutrici con ogni bontà e mantienici nella tua grande misericordia; per Gesù Cristo, nostro Signore. Amen.

Letture

Rm 6,19-23; Mc 8,1-10

Commento

L'apostolo Paolo afferma nella sua lettera ai Romani che le nostre vite possono essere date in prestito al peccato o alla giustizia di Dio (cioè alla sua grazia giustificante). Nel primo caso il frutto di questo prestito è la morte; nel secondo caso, la vita eterna.

A ciascuno di noi verrà chiesto conto di come abbiamo amministrato i doni ricevuti da Dio: il nostro corpo, le nostre capacità intellettuali, il nostro tempo, le nostre risorse economiche. Se la parabola dei talenti e quella dei vignaioli omicidi ci insegnano che chi ha male amministrato quanto ricevuto dal Signore sarà sottoposto a un giudizio severo, il racconto evangelico della moltiplicazione dei pani ci mostra Gesù nell’atto di chiedere ai discepoli di porre sotto la sua benedizione ciò che hanno, anche se del tutto inadeguato alle esigenze che si trovano ad affrontare.

Gesù, avrebbe potuto creare i pani dal nulla per sfamare la folla che da tre giorni lo seguiva, proprio come Dio fece piovere la manna dal cielo per sfamare il suo popolo nel deserto. Ma egli sceglie di darci una lezione sull’amore e la sollecitudine di Dio e la necessità di farci suoi imitatori assumendo lo stesso spirito di servizio e di comunione. Vediamo, infatti, che richiede una partecipazione attiva dei suoi discepoli, i quali sono chiamati a condividere il poco che hanno a disposizione e a distribuire loro stessi i pani alla folla: "li diede ai suoi discepoli perché li mettessero davanti a loro" (Mc 8,6).

Ma prima chiede un atto di fede, ovvero il superamento di quella logica terrena che dimentica la potenza di Dio, espressa dalla frase attribuita ai discepoli: «come potrebbe alcuno saziare di pane costoro, qui nel deserto?». La risposta di Gesù la troviamo nella sua predicazione: «chi è tra voi quel padre che, se il figlio gli chiede del pane, gli dà una pietra? (...) Se voi dunque, che siete malvagi, sapete dare buoni doni ai vostri figli, quanto più il vostro Padre celeste donerà lo Spirito Santo a coloro che glielo chiedono» (Lc 11,11-13). E ancora: «Non siate dunque in ansia, dicendo: 'Che mangeremo? Che berremo? Di che ci vestiremo?' Perché sono i pagani che ricercano tutte queste cose; ma il Padre vostro celeste sa che avete bisogno di tutte queste cose» (Mt 6:31-32). È nel momento in cui i discepoli hanno fede in Gesù e obbediscono alla sua parola che si compie il miracolo. Poniamo le nostre risorse, anche se scarse, sotto l'azione santificante dello Spirito.
                       
- Rev. Dr. Luca Vona

sabato 25 luglio 2020

Fermati 1 minuto. Il Figlio dell'uomo è venuto per servire

Lettura

Matteo 20,20-28

20 Allora gli si avvicinò la madre dei figli di Zebedèo con i suoi figli, e si prostrò per chiedergli qualcosa. 21 Egli le disse: «Che cosa vuoi?». Gli rispose: «Di' che questi miei figli siedano uno alla tua destra e uno alla tua sinistra nel tuo regno». 22 Rispose Gesù: «Voi non sapete quello che chiedete. Potete bere il calice che io sto per bere?». Gli dicono: «Lo possiamo». 23 Ed egli soggiunse: «Il mio calice lo berrete; però non sta a me concedere che vi sediate alla mia destra o alla mia sinistra, ma è per coloro per i quali è stato preparato dal Padre mio».
24 Gli altri dieci, udito questo, si sdegnarono con i due fratelli; 25 ma Gesù, chiamatili a sé, disse: «I capi delle nazioni, voi lo sapete, dominano su di esse e i grandi esercitano su di esse il potere. 26 Non così dovrà essere tra voi; ma colui che vorrà diventare grande tra voi, si farà vostro servo, 27 e colui che vorrà essere il primo tra voi, si farà vostro schiavo; 28 appunto come il Figlio dell'uomo, che non è venuto per essere servito, ma per servire e dare la sua vita in riscatto per molti».

Commento

Nel Vangelo di Marco assistiamo alla richiesta fatta a Gesù da parte di Giacomo e Giovanni di poter sedere l'uno alla sua destra e l'altro alla sua sinistra nel regno dei cieli, mentre nel Vangelo di Matteo la stessa richiesta è avanzata dalla madre, forse per il timore di risultare poco umili nei confronti degli altri apostoli. In ogni caso gli altri dieci esprimono il loro sdegno, mostrando con ciò di porsi più o meno sullo stesso piano; la risposta di Gesù, infatti, suona come una ammonizione verso tutti loro.

Chi di noi non vorrebbe la garanzia di un posto privilegiato accanto a Gesù? Forse saremmo anche disposti ad accettare le tribolazioni di questa vita, a "bere il calice" del Signore, come Giacomo e Giovanni professano di essere disposti a fare. Allora la beatitudine eterna ci appare come un "premio" che ci spetta di diritto, magari a scapito di altri, che riteniamo meno "meritevoli". 

In tal modo sfugge il senso profondo della salvezza: il suo essere un dono gratuito da parte del Padre, in virtù del riscatto operato dal Figlio. Se noi partiamo da questo presupposto, allora l'atteggiamento che ne consegue non può che essere di profonda umiltà: innanzitutto verso Dio, che ci ha sciolti dalle catene di questo mondo, affrancandoci dal peccato e dalla morte.

Le catene di questo mondo sono l'asservimento a una logica di prevaricazione l'uno sull'altro, un continuo sentirsi in competizione che ci angustia, ci affanna, ci rende schiavi delle nostre ambizioni disordinate. 

Ma l'atteggiamento di umiltà che scaturisce dal sentirsi salvati per grazia deve caratterizzare anche le relazioni con il nostro prossimo. Che cosa meritiamo più di lui davanti a colui che ci ha riscattato a prezzo del suo sangue? 

La risposta di Gesù alla richiesta di un posto privilegiato nel regno a venire crea così un singolare paradosso: tra la schiavitù alle logiche del mondo e lo spirito di servizio, il farci "servi" - per utilizzare le parole stesse di Gesù - dei nostri fratelli e delle nostre sorelle. 

Nella Chiesa non c'è spazio per la volontà di dominio; ogni autorità va esercitata sul modello di Gesù, come servizio agli altri e non per interesse personale. Il vangelo ci chiama a conformarci al Figlio prediletto, nel quale il Padre si è compiaciuto (Mt 3,17), il Figlio che è venuto nel mondo per servire e non per essere servito (Mt 20,28).

Preghiera

Aiutaci a comprendere, Signore, che regnare con te è porci al servizio della tua Parola, che proclama la libertà dai lacci della morte e del peccato; affinché possiamo condividere sulla terra e celebrare in cielo la gioia della tua salvezza. Amen.

- Rev. Dr. Luca Vona

venerdì 24 luglio 2020

Fermati 1 minuto. Colui che ode la parola e la comprende

Lettura

Matteo 13,18-23

18 «Voi dunque ascoltate che cosa significhi la parabola del seminatore! 19 Tutte le volte che uno ode la parola del regno e non la comprende, viene il maligno e porta via quello che è stato seminato nel cuore di lui: questi è colui che ha ricevuto il seme lungo la strada. 20 Quello che ha ricevuto il seme in luoghi rocciosi, è colui che ode la parola e subito la riceve con gioia, 21 però non ha radice in sé ed è di corta durata; e quando giunge la tribolazione o persecuzione a motivo della parola, è subito sviato. 22 Quello che ha ricevuto il seme tra le spine è colui che ode la parola; poi gli impegni mondani e l'inganno delle ricchezze soffocano la parola che rimane infruttuosa. 23 Ma quello che ha ricevuto il seme in terra buona è colui che ode la parola e la comprende; egli porta del frutto e, così, l'uno rende il cento, l'altro il sessanta e l'altro il trenta».

Commento

La Parola di Dio - la "parola del Regno", definizione che ricorre solo in questo passo di tutta la Bibbia - va certamente ascoltata, ma va soprattutto compresa. Questo l'essenziale messaggio della parabola del seminatore, qui spiegata da Gesù stesso. 

L'importanza dell'ascolto attraversa tutte le Scritture, dal comandamento rivolto da Dio al suo popolo: «Shemà Israel», «Ascolta Israele» (Dt 6, 4) al libro dell'Apocalisse: «Beato colui che leggerà e quelli che ascolteranno le parole di questa profezia e metteranno in pratica ciò che in essa è scritto!» (Ap 1,3). Il salmo più lungo di tutti, il 119, è un'esaltazione della Parola di Dio ad ogni versetto, per un totale di 175 versetti: "Come può un giovane rendere pura la sua via? Custodendola con la tua parola" (Sal 119,9). L'apostolo Giacomo ci esorta "Siate facitori della parola!" (Gc 1,22), rimarcando che l'ascolto sincero e fruttuoso traduce la Parola da semplice suono o lettera scritta in azioni concrete, come perpetuando il mistero dell'Incarnazione del Verbo. 

Tra il "dirsi" della parola, il suo essere accolta, e il "fare" cui allude Giacomo, vi è la capacità di custodire la Parola di Dio. Se un giovane custodirà la sua vita mediante la Parola, la Parola sarà custodita là dove si irradia la vita stessa dell'uomo, nel cuore, considerato nel pensiero biblioco la sede dei sentimenti e delle decisioni vitali.

I quattro terreni descritti nella parabola rappresentano non soltanto quattro tipologie di uomini, quattro tipologie di ascoltatori differenti, ma il paesaggio della nostra anima, dalla sua periferia, coinvolta con le cose del mondo o attanagliata dalle preoccupazioni, al suo centro più profondo, che è quella terra morbida e fertile in cui dobbiamo seminare il Verbo.

Probabilmente abbiamo letto e riletto tanti passaggi delle Scritture o tutta la Bibbia "da copertina a copertina"; forse seguiamo un piano di lettura sistematica o un lezionario. Ma quante volte ciò che abbiamo letto e ascoltato ha portato frutto? Facciamo bene a leggere e ascoltare, con attenzione e con l'intelligenza che scruta il senso delle Scritture confrontandole tra sé e avvalendoci di buoni mezzi per interpretarle con intelligenza. Ma non dimentichiamo di ascoltare anche con il cuore. Di rassodare il terreno buono, custodire il seme e attendere che la Parola germogli, come contadini pazienti, consapevoli che è l'uomo che pianta ma è Dio che fa crescere (1 Cor 3,7).

Preghiera

Signore, la nostra anima, afflitta da distrazioni e tribolazioni è spesso come terra arida, senz'acqua.
Manda il tuo Spirito a irrigarla e renderla terra fertile per accogliere il buon seme della tua Parola; affinché il tuo Regno possa germogliare nei nostri cuori e spandersi ai quattro angoli del mondo. Amen.

- Rev. Dr. Luca Vona

giovedì 23 luglio 2020

Antonio delle grotte di Kiev e Teodosio, fondatori del monachesimo russo

I cristiani di tradizione bizantino-slava ricordano oggi Antonio delle Grotte di Kiev.
Nato a Lubeč nel 983, nella regione di Černigov a nord di Kiev, Antonio fu attratto dal monachesimo e si recò secondo la tradizione al monte Athos. Qui, presso il monastero di Esphigmenou, fu iniziato alla vita monastica e ricevette la benedizione dell'igumeno per andare a proseguire il proprio cammino di monaco nella terra d'origine.


Antonio delle Grotte di Kiev (983-1073)  e Teodosio (+1074) suo discepolo

Verso la metà dell'XI secolo Antonio tornò dunque a Kiev e si stabilì in una grotta, sulle colline vicino alla città. Seguendo l'esempio dei padri del deserto, egli intraprese una vita rude, imperniata sulla preghiera e la penitenza, attirando a sé molti discepoli. Costoro scavarono altre celle e una grande cripta, principio di quello che sarà il celebre monastero delle Grotte.
Ma Antonio, sedotto dalla vita eremitica, lasciò la nascente comunità alle cure del proprio discepolo Teodosio per ritirarsi in «una grotta lontana», dove visse nel totale silenzio e nella preghiera fino alla morte, avvenuta nel 1073. La vita monastica esisteva già prima di Antonio in Russia, ma per lo più come importazione straniera sostenuta dai potenti. Solo con la fondazione del monastero delle Grotte essa divenne popolare, e per questo Antonio è ricordato come padre del monachesimo russo.
Teodosio è ricordato come padre spirituale dolce e misericordioso; egli organizzò la vita del monastero secondo la regola di Teodoro Studita, ed è considerato per questo il fondatore della vita cenobitica in Russia.

Tracce di lettura

Il venerabile Antonio, abituato a vivere solo e non essendo in grado di sopportare alcun genere di confusione o di rumore, confinò se stesso in una cella delle Grotte, dopo aver nominato al proprio posto Varlaam, perché avesse cura dei fratelli.
Dopo che Varlaam fu traferito su ordine del principe per divenire superiore del monastero di San Demetrio, i fratelli delle Grotte si riunirono e informarono il venerabile Antonio che avevano scelto di comune accordo il nostro beato padre Teodosio come superiore, poiché aveva mostrato di saper vivere secondo la tradizione monastica ed era un profondo conoscitore dei comandi del Signore. Teodosio, pur avendo ricevuto il ruolo di superiore, non mutò la propria umiltà, ricordando che il Signore dice: «Chiunque vorrà essere grande tra voi, sia il più piccolo e il servo di tutti». Dunque egli umiliò se stesso, facendosi il più piccolo e il servo di tutti. Per questo il monastero fiorì e crebbe grazie alle preghiere di quel giusto, poiché sta scritto: «Il giusto fiorirà come palma, crescerà come cedro del Libano».
(dalla Vita di Teodosio)

- Dal Martirologio ecumenico della Comunità monastica di Bose

Brigida di Svezia. Sposa, pellegrina, fondatrice

Il 23 luglio 1373 muore a Roma Brigida di Svezia, ricordata in questo giorno da cattolici, anglicani, luterani e veterocattolici.
Appartenente all'alta aristocrazia svedese, sposa e madre di otto figli, Brigida era una donna colta, dal temperamento forte, profondamente religiosa e ricca di carità. Essa amava le Scritture, che considerava il suo tesoro più prezioso e la medicina più idonea per la cura delle anime; si soffermava spesso sul mistero della passione del Signore e, con il marito, si dedicava alla cura dei malati e all'aiuto dei bisognosi.
Brigida di Svezia (1303-1373)

Dopo un pellegrinaggio a Santiago di Compostela, i due coniugi decisero di abbracciare la vita religiosa, e qualche anno più tardi Brigida, spinta a ciò anche dalla propria esperienza mistica, pensò alla creazione di un nuovo ordine ispirato a un grande radicalismo evangelico, sull'esempio di quello di Fontevraud fondato da Roberto d'Arbrissel nel 1100.
Visitò molti luoghi italiani, come Milano, Pavia, Assisi, Bari, Ortona, Benevento, Arielli, Pozzuoli, Napoli, Salerno, Amalfi e il santuario di San Michele Arcangelo sul Gargano. L'ultimo pellegrinaggio la portò in Terra Santa tra il 1371 e il 1372, permettendole di recarsi negli stessi luoghi in cui predicò Gesù.
L'Ordine del Santo Salvatore che ebbe origine da Brigida fu un ordine misto, prevalentemente femminile, che riservava un culto particolare alla passione del Signore e alla compassione di Maria. Brigida trascorse l'ultima parte della sua vita a Roma, dove morì nel 1373.
Nel 1999 papa Giovanni Paolo II l'ha proclamata compatrona d'Europa.

Tracce di lettura

Signore Gesù Cristo, fonte di dolcezza inestinguibile, che mosso da intimo affetto di amore dicesti in croce: «Ho sete», cioè: «Desidero sommamente la salvezza del genere umano», accendi in noi, ti preghiamo, il desiderio di operare in modo pienamente conforme alla tua volontà, spegnendo del tutto la sete delle concupiscenze del peccato e il fervore dei piaceri mondani.
O Gesù, Figlio di Dio, nato da Maria vergine, crocifisso per la salvezza degli uomini, regnante ora in cielo, abbi pietà di noi. (Brigida di Svezia, Orazione 7)

- Dal Martirologio ecumenico della Comunità monastica di Bose

Fermati 1 minuto. Il buon agricoltore

Lettura

Giovanni 15,1-8

1 «Io sono la vera vite e il Padre mio è il vignaiolo. 2 Ogni tralcio che in me non porta frutto, lo toglie e ogni tralcio che porta frutto, lo pota perché porti più frutto. 3 Voi siete già mondi, per la parola che vi ho annunziato. 4 Rimanete in me e io in voi. Come il tralcio non può far frutto da se stesso se non rimane nella vite, così anche voi se non rimanete in me. 5 Io sono la vite, voi i tralci. Chi rimane in me e io in lui, fa molto frutto, perché senza di me non potete far nulla. 6 Chi non rimane in me viene gettato via come il tralcio e si secca, e poi lo raccolgono e lo gettano nel fuoco e lo bruciano. 7 Se rimanete in me e le mie parole rimangono in voi, chiedete quel che volete e vi sarà dato. 8 In questo è glorificato il Padre mio: che portiate molto frutto e diventiate miei discepoli.

Commento

L'immagine di Dio come agricoltore (questo il senso della parola greca georgos qui tradotta con "vignaiolo") è frequente nell'Antico testamento, a significare il suo prendersi cura del suo popolo (Is 5,1-7; Ger 2,21; Ez 15,2; 17,5-10; 19,10; Os 10,1). In alcuni passaggi dei libri storici e profetici Dio, di fronte all'infedeltà di Israele, minaccia di "sradicare" la sua vite e gettarla lontano a seccare, ma sempre promette di tenersi un piccolo resto.

Vi è un gioco di parole in questo testo giovanneo, tra i termini greci traducibili rispettivamente con "togliere" (airo) e "purificare" (kathairo), tagliare e mondare. Quando Dio interviene, richiamando il suo popolo e il singolo credente all'umiltà e all'obbedienza, non si tratta di una cieca azione dettata dall'ira: egli pota le sue piante perché se ne prende cura amorevolmente e ne segue la crescita e lo sviluppo da vicino. 

Tra il momento in cui Dio semina e quello in cui raccoglie c'è dunque l'azione della sua provvidenza cosicché non solo raccoglie ciò che egli stesso ha seminato (contrariamente a quanto affermato dal servo inetto della parabola dei talenti; Mt 25,24), ma anche ciò che ha pazientemente coltivato.

Il nostro compito è dunque semplicemente quello di abbandonarci alla sua azione amorevole; di qui l'insistenza di Gesù a rimanere in lui come il tralcio nella vite (v. 5): il verbo "rimanere" (meno) viene ripetuto dieci volte in sette versetti.

Dimorare in Cristo significa essere radicati e fondati nell'amore, come esorta l'apostolo Paolo rivolgendosi agli Efesini (Ef 3,17), vivere l'abbandono fiducioso a questo amore e lasciarsi pervadere dalla sua linfa, farlo germogliare in noi, finché il "buon agricotore" non deciderà di coglierne i frutti maturi.

Preghiera

Signore, un tralcio piantato a terra non porta alcun frutto; concedici di restare radicati e fondati in te per compiere le buone opere che tu stesso ci hai chiamato a fare e giungere alla maturità dell'amore. Amen.

- Rev. Dr. Luca Vona


mercoledì 22 luglio 2020

Maria Maddalena, colei che ha conosciuto il molto peccare e il molto amare

La chiesa cattolica d'Occidente, ortodossi, anglicani, luterani e veterocattolici celebrano oggi la memoria di Maria Maddalena.
Originaria della città di Magdala, sul lago di Tiberiade, Maria Maddalena fu liberata per la parola di Gesù dai sette demoni che la possedevano e seguì ovunque il Signore, servendolo fedelmente fino alla passione. Essa fu perciò testimone della sua morte e sepoltura.
Passato il sabato, Maria si recò con le altre donne al sepolcro portando aromi, e per questo è ricordata come mirrofora. A lei, per prima, apparve il Signore risorto, chiamandola per nome mentre piangeva nel giardino. Allora la Maddalena corse a portare l'annuncio ai discepoli, «apostola degli apostoli» come la chiama la tradizione.
In occidente, a partire da Gregorio Magno, Maria Maddalena è stata identificata con la peccatrice perdonata di cui parla il Vangelo di Luca, perdonata perché aveva molto amato. È divenuta perciò colei che ha conosciuto il molto peccare e il molto amare, colei che piange sui propri peccati e piange per la morte del Maestro, rimanendo fedele nell'amore per lui.
Esempio per chi si pente e per chi rivolge il suo amore al Signore, Maria Maddalena è stata una figura di riferimento importante in ogni movimento di riforma della chiesa, in particolare per i movimenti di riforma monastica d'occidente fioriti nell'XI secolo.

Tempera all’uovo su tavola telata e gessata (particolare) - stile italico

Tracce di lettura

Signore,
tu le accendesti nel cuore
il fuoco di un immenso amore per Cristo,
che le aveva ridonato la libertà dello spirito,
e le infondesti il coraggio di seguirlo
fedelmente fino al Calvario.
E anche dopo la morte di croce
essa cercò il suo Maestro con tanta passione,
che giunse a incontrare il Signore risorto
e ad annunziare per prima agli apostoli
la gioia pasquale.
(dalla Liturgia romana)

- Dal martirologio ecumenico della Comunità monastica di Bose

Fermati 1 minuto. "Non trattenermi... ma va' dai miei fratelli"

Lettura

Gv 20,1-18

1 Il primo giorno della settimana, la mattina presto, mentre era ancora buio, Maria Maddalena andò al sepolcro e vide la pietra tolta dal sepolcro. 2 Allora corse verso Simon Pietro e l'altro discepolo che Gesù amava e disse loro: «Hanno tolto il Signore dal sepolcro e non sappiamo dove l'abbiano messo».
3 Pietro e l'altro discepolo uscirono dunque e si avviarono al sepolcro. 4 I due correvano assieme, ma l'altro discepolo corse più veloce di Pietro e giunse primo al sepolcro; 5 e, chinatosi, vide le fasce per terra, ma non entrò. 6 Giunse intanto anche Simon Pietro che lo seguiva ed entrò nel sepolcro, e vide le fasce per terra, 7 e il sudario che era stato sul capo di Gesù, non per terra con le fasce, ma piegato in un luogo a parte. 8 Allora entrò anche l'altro discepolo che era giunto per primo al sepolcro, e vide, e credette. 9 Perché non avevano ancora capito la Scrittura, secondo la quale egli doveva risuscitare dai morti. 10 I discepoli dunque se ne tornarono a casa.
11 Maria, invece, se ne stava fuori vicino al sepolcro a piangere. Mentre piangeva, si chinò a guardare dentro il sepolcro, 12 ed ecco, vide due angeli, vestiti di bianco, seduti uno a capo e l'altro ai piedi, lì dov'era stato il corpo di Gesù. 13 Ed essi le dissero: «Donna, perché piangi?» Ella rispose loro: «Perché hanno tolto il mio Signore e non so dove l'abbiano deposto». 14 Detto questo, si voltò indietro e vide Gesù in piedi; ma non sapeva che fosse Gesù. 15 Gesù le disse: «Donna, perché piangi? Chi cerchi?» Ella, pensando che fosse l'ortolano, gli disse: «Signore, se tu l'hai portato via, dimmi dove l'hai deposto, e io lo prenderò». 16 Gesù le disse: «Maria!» Ella, voltatasi, gli disse in ebraico: «Rabbunì!» che vuol dire: «Maestro!» 17 Gesù le disse: «Non trattenermi, perché non sono ancora salito al Padre; ma va' dai miei fratelli, e di' loro: "Io salgo al Padre mio e Padre vostro, al Dio mio e Dio vostro"». 18 Maria Maddalena andò ad annunciare ai discepoli che aveva visto il Signore, e che egli le aveva detto queste cose.

Commento

Sono passate poche ore dal tragico epilogo della vita terrena di Gesù, "è ancora buio", i suoi discepoli e i suoi amici sono ancora sconvolti per quanto accaduto. Maria Maddalena, dalla quale Gesù aveva scacciato sette demòni, si reca di buon mattino dove hanno sepolto il suo Maestro. È ancora in quella fase del lutto in cui non si riesce ad accettare la separazione fisica da chi se n'è andato. Ma trova qualcosa di inaspettato: la pietra è stata rotolata via dal sepolcro. 

La prima reazione è di panico: Maria si reca dai discepoli e li avvisa dell'accaduto. Tutti corrono verso il sepolcro e, mentre i discepoli entrano per constatare che sono rimaste solo le fasce che avvolgevano il Signore, per poi tornarsene a casa lei resta lì, proprio come era rimasta sotto la croce. Piange perché le è stato tolto anche il conforto del corpo del Signore. Ma la sua umiltà, la sua fede, il suo coraggio, la fanno chinare per guardare dentro il sepolcro, per "guardare in faccia" la desolazione creata dalla morte.

La Maddalena trova prima il conforto della visione di due figure angeliche e poi, "si voltò indietro", quasi a ripercorrere con la mente e con il cuore tutto ciò che il suo Maestro aveva detto e fatto durante la sua predicazione; ed è allora che vede Gesù. Ma lo riconosce solo quando viene chiamata per nome. L'incontro con il Risorto è infatti una esperienza personale e unica per ognuno di noi. Senza questa esperienza personale il Gesù della Scrittura resta lettera morta e non ci è possibile riconoscerlo. 

La "chiamata" per nome di Gesù a Maria Maddalena corrisponde anche all'assegnazione di una missione particolare: essere la prima a predicare la sua risurrezione, ai discepoli stessi, ancora increduli. "Non trattenermi", afferma Gesù; perché non possiamo tenere per noi l'esperienza di questo incontro, ma dobbiamo condividerla come annunciatori di colui che ha vinto la morte.

Preghiera

L'amore di Cristo ci spinge, o Padre, facci annunciatori del Risorto, per contemplarlo accanto a te nell'eterna gloria. Amen.

- Rev. Dr. Luca Vona

martedì 21 luglio 2020

Simeone il Folle. «Nella forza di Cristo vado a prendermi gioco del mondo»

Le chiese d'oriente e d'occidente ricordano oggi Simeone e Giovanni, monaci del VI sec. originari della Siria.
Recatisi in pellegrinaggio a Gerusalemme, essi decisero di non far ritorno in patria, ma di diventare monaci. Ricevuto l'abito nel monastero di San Gerasimo, Giovanni e Simeone vissero per molti anni nel deserto pregando e seguendo un regime di vita austero. Giovanni rimase nella solitudine fino alla fine della sua vita, mentre Simeone decise di far ritorno tra gli uomini per diffondere il vangelo della salvezza, spinto dalle parole della Scrittura: «Mi sono fatto tutto a tutti, per salvare ogni creatura».
«Nella forza di Cristo», disse Simeone a Giovanni, «vado a prendermi gioco del mondo», e stabilitosi a Emesa in Siria, simulò la follia per poter smascherare le opere vane di tutti quelli che incontrava e indurli così al bene. Solo alla sua morte fu compresa la sua grandezza e la sua profonda carità.

Tracce di lettura

Simeone prendeva ogni sorta di atteggiamenti folli e indecorosi, ma non è possibile a parole dare un'idea di quel che faceva. A volte, infatti, si fingeva sciancato, a volte storpio, a volte fingeva di trascinarsi su una sedia, a volte di fare lo sgambetto a qualcuno che correva e di gettarlo a terra. E ancora, quando c'era la luna nuova, fingeva di guardare in cielo e di cadere a terra in preda a convulsioni. A volte poi fingeva di essere un oratore; diceva, infatti, che tra tutti gli atteggiamenti che si potevano assumere, questo conveniva più di ogni altro ed era il più utile per chi voleva fingersi pazzo per amore di Cristo. In questi modi spesso rimproverava i peccati e faceva desistere i peccatori, inviava su qualcuno un castigo a sua correzione, profetizzava e faceva tutto quello che voleva, mutando però ogni volta voce e aspetto.
(Leonzio di Neapolis, Vita di Simeone il Folle 22)

- Dal Martirologio ecumenico della Comunità monastica di Bose

Fermati 1 minuto. Non arrestiamoci sulla soglia

Lettura

Matteo 12,46-50

46 Mentre egli parlava ancora alla folla, sua madre e i suoi fratelli, stando fuori in disparte, cercavano di parlargli. 47 Qualcuno gli disse: «Ecco di fuori tua madre e i tuoi fratelli che vogliono parlarti». 48 Ed egli, rispondendo a chi lo informava, disse: «Chi è mia madre e chi sono i miei fratelli?». 49 Poi stendendo la mano verso i suoi discepoli disse: «Ecco mia madre ed ecco i miei fratelli; 50 perché chiunque fa la volontà del Padre mio che è nei cieli, questi è per me fratello, sorella e madre».

Commento

Mentre Gesù è circondato dalla folla, sua madre e i suoi fratelli cercano di parlargli, probabilmente per metterlo in guardia dall'agire con imprudenza. Va tuttavia rilevato che i parenti di Gesù "stavano fuori" (v. 46); sono lontani da lui, non sono lì per ascoltare la sua predicazione, ma ne reclamano "il possesso". 

Con la sua risposta Gesù non vuole affatto denigrare o sminuire i legami familiari, ma solo valorizzare quelli spirituali, che sono più profondi. La superiorità della famiglia spirituale su quella fisica è un concetto sviluppato anche nell'Antico testamento (cfr. Dt 33,9).

Gesù è il "nuovo Adamo", il Figlio di Dio che nell'Incarnazione ha assunto su di sé l'intera natura umana, rendendo ciascuno capacce di essere intimamente unito a lui. Così leggiamo in Luca: "una donna alzò la voce di mezzo alla folla e disse: "'Beato il ventre che ti ha portato e il seno da cui hai preso il latte!'" Ma egli disse: "'Beati piuttosto coloro che ascoltano la parola di Dio e la osservano!'" (Lc 11,27-28).

Non ci è lecito pensare di avere un legame privilegiato con Dio per una appartenenza formale nei suoi confronti, fosse anche il battesimo e l'incorporazione nella sua Chiesa. Il rapporto di familiarità con lui, di familiarità fraterna e, addirittura, "materna", ovvero capace di generarlo nelle nostre anime, passa attraverso l'umile ascolto della sua Parola e l'esercizio della volontà del Padre.

Lo "stare fuori" dei parenti di Gesù diventa anche immagine di quei legami familiari che nella nostra vita possono generare estraneità, solitudine, conflitto. Così ci chiediamo "Chi è mia madre? Chi sono i miei fratelli? A chi appartengo?". Ma in Cristo ci scopriamo parte della grande famiglia di Dio, capaci di scambiarci briciole di quell'amore che egli ci ha donato senza misura.

Preghiera

Nessuna solitudine, Signore, è colmata in pienezza finché non conosce te; rendici capaci di trovarti attraverso la tua parola e il tuo operare con il padre e lo Spirito Santo. Amen.

- Rev. Dr. Luca Vona


lunedì 20 luglio 2020

Elia, il profeta che scoprì la tenerezza di Dio

I cristiani di tutte le chiese il 20 di luglio ricordano il profeta Elia, che essi ritennero fin dall'inizio il rappresentante più emblematico della tradizione profetica ebraica, come lasciano intendere gli evangeli nell'episodio della Trasfigurazione.
Il profeta in Israele era un uomo che parlava a nome di Dio, per richiamare tutti alla fedeltà al Dio dell'alleanza. Elia svolse pienamente la propria missione mostrando con tutta la sua vita il pathos stesso di Dio, la sollecitudine del Padre verso i propri figli, soprattutto verso i più piccoli e indifesi.
Vissuto nel IX secolo a.C., in un tempo di grande crisi, Elia dapprima si sdegnò di fronte all'idolatria di molti in Israele; ma in seguito fu chiamato da Dio al distacco e alla solitudine, per imparare che solo servendo la Parola attesa nel silenzio è possibile diventare «uomini di Dio».
Mandato in territorio pagano, Elia conobbe il bisogno di essere alimentato, oltre che da Dio, dai poveri, nella persona della vedova di Sarepta. Ritornò in patria, e la sua parola contro l'idolatria e le ingiustizie dei potenti lo condusse al celebre scontro con i profeti di Baal sul monte Carmelo. Ma la persecuzione che egli subì a seguito della sua momentanea vittoria sugli idolatri lo aiutò a comprendere, grazie alla voce silenziosa attraverso cui Dio gli parlò sull'Oreb, che il Dio che è fuoco divorante è anche pace, silenzio, tenerezza.
Rinnovato da questa ulteriore esperienza, Elia portò a termine la sua missione nel regno del Nord e fu rapito in cielo, secondo il racconto biblico, a significare che lo spirito di Elia continuerà sempre a essere presente nella storia di Israele.
Il suo ritorno è rimasto legato, nella tradizione ebraica e cristiana, alla venuta del Messia.

Tracce di lettura

[Elia] entrò in una caverna per passarvi la notte, quand'ecco il Signore gli disse: «Che fai qui, Elia?». 10 Egli rispose: «Sono pieno di zelo per il Signore degli eserciti, poiché gli Israeliti hanno abbandonato la tua alleanza, hanno demolito i tuoi altari, hanno ucciso di spada i tuoi profeti. Sono rimasto solo ed essi tentano di togliermi la vita». 11 Gli fu detto: «Esci e fermati sul monte alla presenza del Signore». Ecco, il Signore passò. Ci fu un vento impetuoso e gagliardo da spaccare i monti e spezzare le rocce davanti al Signore, ma il Signore non era nel vento. Dopo il vento ci fu un terremoto, ma il Signore non era nel terremoto. 12 Dopo il terremoto ci fu un fuoco, ma il Signore non era nel fuoco. Dopo il fuoco ci fu il mormorio di un vento leggero. 13 Come l'udì, Elia si coprì il volto con il mantello, uscì e si fermò all'ingresso della caverna. Ed ecco, sentì una voce che gli diceva: «Che fai qui, Elia?». 14 Egli rispose: «Sono pieno di zelo per il Signore, Dio degli eserciti, poiché gli Israeliti hanno abbandonato la tua alleanza, hanno demolito i tuoi altari, hanno ucciso di spada i tuoi profeti. Sono rimasto solo ed essi tentano di togliermi la vita». (1 Re 19,9-14)

- Dal Martirologio ecumenico della Comunità monastica di Bose

Fermati 1 minuto. Qui c'è di più!

Lettura

Matteo 12,38-42

38 Allora alcuni scribi e farisei presero a dirgli: «Maestro, noi vorremmo vederti fare un segno». 39 Ma egli rispose loro: «Questa generazione malvagia e adultera chiede un segno; e segno non le sarà dato, tranne il segno del profeta Giona. 40 Poiché, come Giona stette nel ventre del pesce tre giorni e tre notti, così il Figlio dell'uomo starà nel cuore della terra tre giorni e tre notti. 41 I Niniviti compariranno nel giudizio con questa generazione e la condanneranno, perché essi si ravvidero alla predicazione di Giona; ed ecco, qui c'è più che Giona! 42 La regina del mezzogiorno comparirà nel giudizio con questa generazione e la condannerà; perché ella venne dalle estremità della terra per udire la sapienza di Salomone; ed ecco, qui c'è più che Salomone!

Commento

A questo punto del Vangelo di Matteo Gesù ha operato numerosi miracoli di guarigione dalle malattie e di liberazione da spiriti maligni, ma gli scribi e farisei che si accostano a lui, adulandolo con il titolo di "Maestro", non sono ancora persuasi da quanto hanno visto e udito e gli chiedono "un segno dal cielo".

Poco prima, infatti, lo avevano accusato di compiere i suoi esorcismi per opera del principe dei demòni (Mt 12,22-32) e per tale ragione chiedono una testimonianza "dall'alto" della provenienza divina sul suo operato. Gesù risponde definendo i suoi interlocutori come appartenenti a una "generazione adultera", termine con cui i profeti dell'Antico Testamento si rivolgenvano spesso a Israele, riferendosi chiaramente a quell'adulterio spirituale che consiste nella violazione del Patto con Dio e nell'allontanamento dalla sua Legge.

Mentre i Niniviti, popolo pagano, di fronte al "segno di Giona", il quale stette tre giorni e tre notti nel ventre del grande pesce, si convertirono per la sua predicazione (Gio 2,1-3,10) gli scribi e i farisei dal cuore indurito, pur appartenenti al popolo eletto, non si convertiranno neanche di fronte alla morte e risurrezione di Gesù, qui da lui predetta con l'immagine del riposo "tre giorni e tre notti" nel cuore della terra. Anche la regina di Saba, che venne ad ascoltare Salomone "dalle estremità della terra" (1 Re 10,1-13) prefigura i pagani che saranno più pronti ad accogliere il messaggio di Gesù di quanto lo sarà il suo popolo.

Dio opera nelle nostre vite manifestando grazia su grazia; noi dobbiamo essere capaci di riconoscere queste meraviglie da lui compiute, per evitare di cadere nella tentazione di chiedergli "un segno"  eclatante, quando ne abbiamo ricevuti tanti, ma non abbiamo saputo prestarvi attenzione, perché troppo presi dal frastuono del mondo e dai nostri piccoli interessi personali. A volte chiediamo a Dio qualcosa e ci rattristiamo perché non ci viene concessa, quando Egli in realtà, nel suo Figlio non ci ha dato "qualcosa", ma ci ha dato "tutto". In un certo senso non è degno di Dio, chi chiede a Dio qualcosa di più piccolo di Dio. Se noi conoscessimo il dono di Dio! (Gv 1,10)

Se abbiamo fame e sete di Cristo e la nostra fede sarà ancorata al mistero della sua morte e risurrezione, stoltezza per il mondo ma sapienza di Dio (1 Cor 1,17,25), comprenderemo che "Qui c'è di più!" (v. 41).

Preghiera

Il tuo Spirito, Signore, apra i nostri occhi alle tue meraviglie; affinché possiamo riconoscerti e lodare la grandezza del tuo Nome. Amen.

- Rev. Dr. Luca Vona

domenica 19 luglio 2020

Il "sacro macello" dei protestanti della Valtellina

Siediti che ti racconto...

...qualcosa di una strage dimenticata, che iniziava in una notte come questa esattamente 400 anni fa, un vero e proprio bagno di sangue passato alla storia con il nome di "Sacro macello della Valtellina".

Nessuna descrizione della foto disponibile.

A Tirano manca poco alla mezzanotte del sabato 18 luglio 1620, ma per le strade c’è un insolito movimento, gruppetti di persone si muovono alla spicciolata e da sotto i mantelli spuntano spade, bastoni e coltelli.

Agli ordini di Giacomo Robustelli, un tizio che al collo porta appesa una grossa croce di ferro ed è conosciuto da tutti come un fervente Cattolico, hanno bloccato tutti gli ingressi del borgo e si sono dati appuntamento dietro il santuario della Madonna di Tirano.

Ma non sono lì per pregare.
Sono lì per uccidere.

Fra Cinquecento e Seicento la Valtellina è stata una della zone dove la tensione fra Cattolici e Protestanti era davvero pesante ed è ora sotto il controllo della Repubblica delle Tre Leghe, di fede riformata.

Dopo anni di persecuzioni, arresti ed esecuzioni più o meno sommarie commesse da entrambe le parti, la fazione Cattolica, filo spagnola, ha deciso che è arrivato il momento di regolare i conti, senza pietà e senza distinzioni fra uomini, donne, bambini e persino parenti e sta per dare inizio alla mattanza.

Poco dopo la mezzanotte le campane del santuario suonano a martello.
È il segnale.
Divisi in squadre i Cattolici assaltano le case e nella notte scannano oltre sessanta persone, compreso il podestà.

Il mattino seguente una parte della milizia Cattolica, si dirige a Teglio con l'intenzione di sorprendere i Protestanti all'uscita del culto.
Avvertiti del pericolo, quelli si rinchiudono nella chiesa e nel campanile, ma non servirà: tenuti sotto il tiro degli archibugi moriranno fra le fiamme appiccate alla torre campanaria e alla porta della chiesa stessa

Terza tappa Sondrio: qui i congiurati si accorderanno con i Cattolici del posto facendo credere di voler difendere il borgo dall'arrivo delle milizie, ma al momento opportuno si schiereranno con le truppe del Robustelli e passeranno a fil di spada i Protestanti, inseguendo i superstiti nella vicina val Malenco, a Berbenno, Caspano e Traona.

Solo un gruppo di 70 persone con le armi in pugno riuscirà a rifugiarsi in Engadina, mentre tutti gli altri, compresi i nobili, non avranno scampo.

Alla fine si conteranno 600 vittime, qualche anno più tardi il culto riformato verrà espressamente vietato e la Valtellina tornerà Cattolica.

Fonti

Francesco Ballarini, Gli felici progressi de catholici nella Valtellina per estirpatione dell’Heresie, cominciando dall’Anno del Signore 1618 sin all’anno 1623, Como, 1623

Gianvittorio Signorotto, Aspirazioni locali e politiche continentali. La questione religiosa nella Valtellina del '600, in "Bollettino della Società di Studi Valdesi", n. 117

- Ambra di Luce, Chiesa Valdese di San Secondo