Il Rev. Dr. Luca Vona
Un evangelico nel Deserto

Ministro della Christian Universalist Association

venerdì 31 marzo 2023

Fermati 1 minuto. Sappiate e conosciate

Lettura

Giovanni 10,31-42

31 I Giudei portarono di nuovo delle pietre per lapidarlo. 32 Gesù rispose loro: «Vi ho fatto vedere molte opere buone da parte del Padre mio; per quale di esse mi volete lapidare?». 33 Gli risposero i Giudei: «Non ti lapidiamo per un'opera buona, ma per la bestemmia e perché tu, che sei uomo, ti fai Dio». 34 Rispose loro Gesù: «Non è forse scritto nella vostra Legge: Io ho detto: voi siete dèi? 35 Ora, se essa ha chiamato dèi coloro ai quali fu rivolta la parola di Dio (e la Scrittura non può essere annullata), 36 a colui che il Padre ha consacrato e mandato nel mondo, voi dite: Tu bestemmi, perché ho detto: Sono Figlio di Dio? 37 Se non compio le opere del Padre mio, non credetemi; 38 ma se le compio, anche se non volete credere a me, credete almeno alle opere, perché sappiate e conosciate che il Padre è in me e io nel Padre». 39 Cercavano allora di prenderlo di nuovo, ma egli sfuggì dalle loro mani.
40 Ritornò quindi al di là del Giordano, nel luogo dove prima Giovanni battezzava, e qui si fermò. 41 Molti andarono da lui e dicevano: «Giovanni non ha fatto nessun segno, ma tutto quello che Giovanni ha detto di costui era vero». 42 E in quel luogo molti credettero in lui.

Commento

La passione di Gesù si avvicina e il Vangelo di Giovanni illustra in uno scontro con i giudei increduli la sentenza che porterà alla sua condanna a morte. L'accusa che gli muovono è di farsi come Dio, commettendo, a loro giudizio, il più grande dei peccati, quello compiuto dai progenitori nell'Eden (Gn 3,5). 

Nella sua difesa contro i giudei, che per la terza volta cercano di lapidarlo, Gesù cita il Salmo 82; in esso i giudici iniqui sono chiamati "dèi" perché Dio ha assegnato loro la responsabilità di parlare per suo conto. Quanto più Gesù, che compie le stesse opere del Padre e che è a lui fedele, potrà essere chiamato "Figlio di Dio". 

Per aver fede in Gesù occorre aprire gli occhi e la mente alla contemplazione delle opere che manifestano la magnificenza e la misericordia di Dio. Quando acquisiamo familiarità con Cristo e ne facciamo esperienza riconosciamo tutto ciò che le Scritture affermano di lui. Crediamo per comprendere e comprendiamo per credere (Agostino d'Ippona). La fede non è un salto nel buio, ma la progressione nella conoscenza esperienziale di Dio: "sappiate e conosciate che il Padre è in me e io nel Padre" (v. 38). 

Gli avversari di Gesù credono di trovare nelle Scritture le ragioni per condannarlo, ma chi si avvicina ad esse con fede riconosce che esse parlano di lui: "Se credeste infatti a Mosè, credereste anche a me; perché di me egli ha scritto" (Gv 5,46). 

Spostandosi verso la Perea, nel luogo dove Giovanni battezzava, Gesù conclude il suo ministero, prima della crocifissione, dove è iniziato. Di lì a poco morirà per continuare a dire la verità su se stesso, sigillando sulla croce l'affermazione della propria identità, riconosciuta con stupore dal centurione pagano: "Davvero costui era Figlio di Dio!" (Mt 27,54).

Preghiera

Apri le nostre orecchie, Signore, all'ascolto della tua parola, e i nostri occhi alle meraviglie della tua grazia; affinchè possiamo conoscerti e farti conoscere agli uomini. Amen.

- Rev. Dr. Luca Vona

John Donne. La poesia come scienza di Dio

Nel marzo del 1631, dopo aver predicato il più bello dei suoi sermoni, si spegne all'età di 59 anni John Donne, presbitero e poeta fra i più grandi della letteratura inglese. Di famiglia cattolica, John era nato nel cuore di Londra, ed era rimasto molto presto orfano di padre. Da ragazzo era stato al tempo stesso uno studente serio e brillante e un ragazzo che amava la bella vita, secondo quanto trapela dai suoi componimenti giovanili.
Passato poco dopo i vent'anni alla Chiesa d'Inghilterra al termine di un lento ripensamento, Donne sposò Ann More, una ragazza ancora minorenne, senza il permesso del suo tutore. Imprigionato, egli perse tutte le prospettive di carriera che gli si erano dischiuse grazie al suo ingegno. Tuttavia, trovò nella famiglia (Ann gli darà dodici figli) un senso pieno per la propria vita. Poeta finissimo, capace di narrare in modo impareggiabile la bellezza dell'amore umano e di quello divino, Donne non scrisse tanto per la pubblicazione quanto per condividere la sua arte con gli amici a lui più cari.
Dopo aver più volte rifiutato l'ordinazione presbiterale che gli veniva offerta, Donne finì per accettarla un anno dopo essere stato eletto in parlamento, su richiesta del re Giacomo in persona. Nell'ultima fase della sua vita, egli impiegò la straordinaria capacità di scrivere che aveva ricevuto in dono per un'intensa attività di predicatore, che lo porterà a diventare decano della cattedrale londinese di San Paolo. I suoi sermoni, splendidi sul piano letterario, ricchissimi di citazioni bibliche e patristiche, costituiranno a lungo un modello di predicazione nella Chiesa d'Inghilterra.

John Donne (1571-1631)
Tracce di lettura

Nessun uomo è un'Isola,
intero in se stesso.
Ogni uomo è un pezzo del Continente,
una parte della Terra.
Se una Zolla viene portata via dall'onda del Mare,
la Terra ne è diminuita,
come se un Promontorio fosse stato al suo posto,
o una Magione amica o la tua stessa Casa.
Ogni morte d'uomo mi diminuisce,
perché io partecipo all'Umanità.
E così non mandare mai a chiedere per chi suona la Campana:
Essa suona per te. (John Donne, Nessun uomo è un'isola)

- Dal Martirologio ecumenico della Comunità monastica di Bose 

giovedì 30 marzo 2023

Giovanni Climaco e la Scala per il Paradiso

Le chiese ortodosse fanno oggi memoria di Giovanni il Sinaita, detto «Climaco».

Poco si sa della vita di questo monaco vissuto tra il VI e il VII secolo. Gli agiografi raccontano che attorno all'età di sedici anni si recò al monastero di Raithu, ai piedi del Sinai, dove Dio aveva rivelato il proprio Nome a Mosè, attratto dalla fama dei monaci del luogo.
Dopo vent'anni trascorsi nella comunità, Giovanni ne visse altrettanti in solitudine. Eletto igumeno del monastero del Sinai quando aveva sessant'anni, egli compose per i suoi discepoli una delle più celebri opere della spiritualità cristiana: la Scala del paradiso, che gli varrà lo pseudonimo di Climaco (da klîmax, «scala»). In essa, Giovanni descrive i gradini che il monaco deve ascendere per giungere all'incontro con Dio, aggiungendo via via, secondo le sue stesse parole, «giorno dopo giorno, fuoco al fuoco e desiderio al desiderio». Il monaco, per il grande maestro sinaita, è un uomo che deve tendere all'hesychía, alla quiete dell'anima, mediante la lotta contro i pensieri malvagi, che si combattono praticando le virtù ad essi contrarie.
Climaco morì verso il 649, e presso gli ortodossi è celebrato solennemente anche la quarta domenica di quaresima.
GIOVANNI CLIMACO, icona del XV sec.
Giovanni Climaco (+649 ca)

Tracce di lettura

La mitezza è lo stato costante dello spirito sempre uguale a se stesso dinanzi agli onori come dinanzi agli insulti. Sicché essa significa pure pregare per il prossimo che ti turba, in tutta tranquillità e serenità. Mitezza perciò vuol dire anche solidità nella pazienza e capacita di amare, in quanto essa è madre di carità, prova di discernimento spirituale. Il Signore, come sta scritto, «insegnerà ai miti le sue vie». La mitezza procura la remissione dei peccati nella preghiera fiduciosa. Essa è come terra disponibile per la fecondazione dello Spirito santo, come sta scritto: «Su chi volgerò lo sguardo, se non su un'anima mite e tranquilla?»
(Giovanni Climaco, La scala del paradiso 24,134)

- Dal Martirologio ecumenico della Comunità monastica di Bose

Fermati 1 minuto. Vedere oltre

Lettura

Giovanni 8,51-59

51 In verità, in verità vi dico: se uno osserva la mia parola, non vedrà mai la morte». 52 Gli dissero i Giudei: «Ora sappiamo che hai un demonio. Abramo è morto, come anche i profeti, e tu dici: "Chi osserva la mia parola non conoscerà mai la morte". 53 Sei tu più grande del nostro padre Abramo, che è morto? Anche i profeti sono morti; chi pretendi di essere?». 54 Rispose Gesù: «Se io glorificassi me stesso, la mia gloria non sarebbe nulla; chi mi glorifica è il Padre mio, del quale voi dite: "È nostro Dio!", 55 e non lo conoscete. Io invece lo conosco. E se dicessi che non lo conosco, sarei come voi, un mentitore; ma lo conosco e osservo la sua parola. 56 Abramo, vostro padre, esultò nella speranza di vedere il mio giorno; lo vide e se ne rallegrò». 57 Gli dissero allora i Giudei: «Non hai ancora cinquant'anni e hai visto Abramo?». 58 Rispose loro Gesù: «In verità, in verità vi dico: prima che Abramo fosse, Io Sono». 59 Allora raccolsero pietre per scagliarle contro di lui; ma Gesù si nascose e uscì dal tempio.

Commento

L'osservanza degli insegnamenti di Gesù è fonte di vita eterna (cfr. Gv 11,25), una vita che neanche la morte fisica potrà estinguere. Gesù esorta non solo ad ascoltare le sue parole, ma a osservarle: "Beati coloro che ascoltano la parola di Dio e la osservano!" (Lc 11,28). 

L'espressione "non vedrà mai la morte" equivale a "non morrà in eterno". Gli avversari di Gesù fraintendono la sue parole, prendendole alla lettera (v. 52). Non a caso sostituiscono il verbo "vedere" (gr. theoreo) con il conoscere (gr. geuomai), letteralmente "gustare", nel senso di "sperimentare". La fede in Gesù proietta il nostro sguardo oltre l'orizzonte della morte.

I giudei che si oppongono a Gesù restano scandalizzati dalla sua promessa, poiché egli, a differenza di Abramo e dei profeti, che come creature erano votati alla tomba, afferma di poter dare la vita a chi osserva la sua parola. Gesù non solo è più grande di Abramo e dei profeti ma in quanto Figlio eterno del Padre è il loro Dio. Soltanto la natura divina di Cristo può giustificare l'esigenza assoluta di conformarci a lui nella sequela del suo vangelo. Il Padre stesso rende testimonianza a Gesù, glorificandolo attraverso le grandi opere che egli compie e ancor più mediante la risurrezione.

Le parole di Gesù confermano la credenza presente nella tradizione ebraica secondo la quale Abramo vide i segreti delle epoche che dovevano venire. Tale credenza è richiamata anche dalla lettera agli Ebrei: "Nella fede morirono tutti costoro, pur non avendo conseguito i beni promessi, ma avendoli solo veduti e salutati di lontano" (Eb 11,13). Abramo, in particolare, vide in Isacco l'inizio della promessa di benedizione su tutte le nazioni (Gn 17,17; 21,6). Anche Paolo considera compiuta in Gesù la promessa fatta ad Abramo (Rm 4; Gal 3). Come Abramo si rallegrò nell'intravedere il giorno del Messia (v. 56) la fede in Cristo colma il cuore di gioia. I dottori della legge hanno perso la gioia perché hanno perso la fede. E in verità hanno perso anche la legge perché il cuore della legge è l'amore.

Con l'espressione "Io sono", che nell'Antico Testamento Dio utilizza per definire se stesso (Es 3,14; Dt 32,39; Is 41,4; 43,10) Gesù afferma la propria preesistente natura divina. I giudei comprendono bene cosa intende dire e raccolgono delle pietre per lapidarlo per bestemmia, come prescritto dalla legge mosaica (Lv 24,16). Gesù sfugge all'arresto e alla morte perché l'ora del compimento del suo sacrificio non è ancora giunta. Il suo allontanamento, a causa della cecità spirituale degli oppositori, è immagine dell'allontanamento della presenza di Dio dal Tempio (cfr. Ez 10-11). Quando l'uomo rifiuta Cristo egli "passa oltre", ma per chi lo accoglie egli è vita dell'anima, fonte di quella gioia che il mondo non conosce (Gv 14,17) e che non sarà mai tolta.

Preghiera

Concedici di contemplare il tuo volto, Signore, e di accoglierti come fonte di salvezza; affinché possiamo rallegrarci in te, restando fedeli al tuo vangelo. Amen.

- Rev. Dr. Luca Vona

mercoledì 29 marzo 2023

Fermati 1 minuto. Liberi perché autentici

Lettura

Giovanni 8,31-42

31 Gesù allora disse a quei Giudei che avevano creduto in lui: «Se rimanete fedeli alla mia parola, sarete davvero miei discepoli; 32 conoscerete la verità e la verità vi farà liberi». 33 Gli risposero: «Noi siamo discendenza di Abramo e non siamo mai stati schiavi di nessuno. Come puoi tu dire: Diventerete liberi?». 34 Gesù rispose: «In verità, in verità vi dico: chiunque commette il peccato è schiavo del peccato. 35 Ora lo schiavo non resta per sempre nella casa, ma il figlio vi resta sempre; 36 se dunque il Figlio vi farà liberi, sarete liberi davvero. 37 So che siete discendenza di Abramo. Ma intanto cercate di uccidermi perché la mia parola non trova posto in voi. 38 Io dico quello che ho visto presso il Padre; anche voi dunque fate quello che avete ascoltato dal padre vostro!». 39 Gli risposero: «Il nostro padre è Abramo». Rispose Gesù: «Se siete figli di Abramo, fate le opere di Abramo! 40 Ora invece cercate di uccidere me, che vi ho detto la verità udita da Dio; questo, Abramo non l'ha fatto. 41 Voi fate le opere del padre vostro». Gli risposero: «Noi non siamo nati da prostituzione, noi abbiamo un solo Padre, Dio!». 42 Disse loro Gesù: «Se Dio fosse vostro Padre, certo mi amereste, perché da Dio sono uscito e vengo; non sono venuto da me stesso, ma lui mi ha mandato.

Commento

La vita eterna è soltanto per fede, ma per essere veri discepoli occorre dimorare (gr. meìnete) continuamente in Cristo. L'obbedienza e la perseveranza alla parola di Gesù ci permette di fare esperienza della verità e della libertà (v. 31). Il riferimento non è a una verità frutto di speculazione intellettuale, ma alla verità che è Cristo stesso («Io sono la via, la verità e la vita»; Gv 14,6). Non si tratta di una semplice adesione della volontà ai contenuti della fede. Il cristianesimo autentico è l'esperienza di una relazione santificante con Cristo, che ci affranca dalle opere della legge per farci vivere nella grazia. 

I giudei che rispondono a Gesù protestando di non essere mai stati schiavi di alcuno non si riferiscono alla sfera politica, dal momento che Israele nel corso della sua storia è quasi sempre stato soggetto al dominio di altri popoli, ma alla schiavitù del peccato, dalla quale credono di essere liberi per la semplice discendenza carnale da Abramo e per il possesso della legge mosaica. 

Il tipo di schiavitù a cui Gesù si riferisce non è fisica ma spirituale, per questo egli non ha mai voluto essere identificato come un liberatore politico di Israele. Coloro che si lasciano affrancare da Gesù dalla schiavitù del legalismo sono realmente liberi. 

Gesù porta l'esempio pratico della differenza tra lo schiavo, che può essere venduto dal suo padrone e il figlio, che "resta per sempre nella casa" (v. 35). Poiché tutti, all'infuori di Cristo, hanno peccato, tutti sono schiavi del peccato; ma poiché Gesù è il figlio di Dio, chi rimane in lui è libero dalla pena del peccato mediante la giustificazione e dal potere del peccato mediante la santificazione. 

Nessun "lignaggio" è garanzia di salvezza, si tratti della figliolanza da Abramo, dell'appartenenza alla "stirpe cristiana" o di una presunta successione apostolica. Anche Paolo esorterà a "non aderire a favole e a genealogie interminabili, le quali sono più adatte a vane discussioni che non al disegno di Dio, che si attua nella fede" (1 Tim 1,3-4). 

Gesù ci insegna il profondo legame tra la verità e la libertà, invitandoci a rinunciare a quelle maschere che ci fanno sentire sicuri di noi stessi ma ci rendono schiavi della menzogna. Guardando in faccia ciò che realmente siamo potremo lasciarci trasformare da Dio, in un rapporto di autenticità che ci rende veri e pronti a conformarci alla sua immagine.

Preghiera

La tua verità ci renda liberi, Signore, affinché possiamo crescere in santità dimorando nella tua santa parola e compiendo le buone opere che ci hai chiamato a fare. Amen.

- Rev. Dr. Luca Vona

martedì 28 marzo 2023

Fermati 1 minuto. "Colui che mi ha mandato non mi ha lasciato solo"

Lettura

Giovanni 8,21-30

21 Di nuovo Gesù disse loro: «Io vado e voi mi cercherete, ma morirete nel vostro peccato. Dove vado io, voi non potete venire». 22 Dicevano allora i Giudei: «Forse si ucciderà, dal momento che dice: Dove vado io, voi non potete venire?». 23 E diceva loro: «Voi siete di quaggiù, io sono di lassù; voi siete di questo mondo, io non sono di questo mondo. 24 Vi ho detto che morirete nei vostri peccati; se infatti non credete che io sono, morirete nei vostri peccati». 25 Gli dissero allora: «Tu chi sei?». Gesù disse loro: «Proprio ciò che vi dico. 26 Avrei molte cose da dire e da giudicare sul vostro conto; ma colui che mi ha mandato è veritiero, ed io dico al mondo le cose che ho udito da lui». 27 Non capirono che egli parlava loro del Padre. 28 Disse allora Gesù: «Quando avrete innalzato il Figlio dell'uomo, allora saprete che Io Sono e non faccio nulla da me stesso, ma come mi ha insegnato il Padre, così io parlo. 29 Colui che mi ha mandato è con me e non mi ha lasciato solo, perché io faccio sempre le cose che gli sono gradite». 30 A queste sue parole, molti credettero in lui.

Commento

Nessuno può dimorare con Gesù senza la fede nella sua passione e risurrezione. Gesù va incontro alla croce consapevolmente e depone liberamente la sua vita (Gv 10,18), ma lungi dal rappresentare un suicidio la sua morte, con le braccia distese tra terra e cielo, sarà il segno definitivo del suo amore per l'umanità. 

Il mistero del sacrificio di Gesù è la porta per addentrarci nel cuore del Redentore, nella natura intima di Dio, che è amore incondizionato. La sua resa sulla croce non è una sconfitta ma la parola definitiva con la quale ci rivela il volto misericordioso di Dio. Una parola che non è frutto di umani ragionamenti, perché come afferma Paolo "la parola della croce è stoltezza per quelli cha vanno in perdizione, ma per quelli che si salvano, per noi, è potenza di Dio" (1 Cor 1,18). 

Gesù utilizza l'espressione "Io sono" (gr. ego eimi) secondo l'uso che ne viene fatto nell'Antico testamento per l'auto-identificazione di Dio, in particolare nel libro dell'Esodo (Es 3,14) e di Isaia (Is 40-55), dichiarando così la propria natura divina. I giudei che rifiutano Cristo mostrano la loro ignoranza, avendo egli portato numerose prove sulla sua identità fin dall'inizio del proprio ministero. Molti giudei, tuttavia, crederanno a Gesù dopo la sua morte, realizzando che coloro che avevano rifiutato era il Messia promesso (At 2,36.37.41). 

Gesù è colui che ha parlato dall'inizio di tutte le Scritture, come mediatore dell'alleanza divina e anche colui del quale tutte le Scritture parlano, come egli stesso rivelerà ai discepoli sulla via di Emmaus (Lc 24,27). Chi non crede si priva della comprensione di quell'orizzonte di luce che oltrepassa la sofferenza e la morte. 

"Colui che mi ha mandato è con me e non mi ha lasciato solo" (v. 29): all'udire queste parole del Signore molti giudei credettero. La fede ci fa scoprire che anche la nostra esistenza non è abbandonata a se stessa ma è abitata da una presenza di amore. Il nome divino "Io sono", che Gesù fa proprio, esprime la fedeltà di Dio nonostante l'infedeltà degli uomini e il suo favore per mille generazioni.

Preghiera

Apri i nostri occhi, Signore, alla comprensione del tuo mistero di salvezza, affinché possiamo vivere in comunione con te, fonte inesauribile di amore. Amen.

- Rev. Dr. Luca Vona

lunedì 27 marzo 2023

Fermati 1 minuto. Peccati scritti sulla sabbia

Lettura

Giovanni 8,1-11

1 Gesù si avviò allora verso il monte degli Ulivi. 2 Ma all'alba si recò di nuovo nel tempio e tutto il popolo andava da lui ed egli, sedutosi, li ammaestrava. 3 Allora gli scribi e i farisei gli conducono una donna sorpresa in adulterio e, postala nel mezzo, 4 gli dicono: «Maestro, questa donna è stata sorpresa in flagrante adulterio. 5 Ora Mosè, nella Legge, ci ha comandato di lapidare donne come questa. Tu che ne dici?». 6 Questo dicevano per metterlo alla prova e per avere di che accusarlo. Ma Gesù, chinatosi, si mise a scrivere col dito per terra. 7 E siccome insistevano nell'interrogarlo, alzò il capo e disse loro: «Chi di voi è senza peccato, scagli per primo la pietra contro di lei». 8 E chinatosi di nuovo, scriveva per terra. 9 Ma quelli, udito ciò, se ne andarono uno per uno, cominciando dai più anziani fino agli ultimi.
Rimase solo Gesù con la donna là in mezzo. 10 Alzatosi allora Gesù le disse: «Donna, dove sono? Nessuno ti ha condannata?». 11 Ed essa rispose: «Nessuno, Signore». E Gesù le disse: «Neanch'io ti condanno; va' e d'ora in poi non peccare più».

Commento

La legge mosaica (Lv 20,10; Dt 22,22) prescriveva la condanna a morte per l'adultera, mediante lapidazione se si trattava di una vergine fidanzata (Dt 22,23-24). Le prime pietre dovevano essere scagliate dai testimoni (Dt 17,7). 

La trappola tesa a Gesù dagli scribi e dai farisei in questo episodio narrato dal Vangelo di Giovanni vuole spingerlo a formulare un giudizio di condanna sulla donna, per far venir meno la sua reputazione di predicatore compassionevole e accusarlo di usurpare la funzione di giudice, oppure un giudizio di assoluzione per accusarlo di violare la legge mosaica. 

Gesù si china per scrivere per terra con un dito, così come Dio si chinò sul monte Sinai per scrivere con il suo dito le tavole della Legge. Con il suo atteggiamento Gesù si mostra sordo alla richiesta dei giudei di pronunciarsi in giudizio e scrivendo per terra è come se volesse prender tempo. Sembra invitarci così a non accusare i nostri fratelli davanti a Dio e a non pronunciare giudizi temerari. 

Il Signore, che non vuole la morte del peccatore, ma che si converta e viva (Ez 33,11) lascia aperta la possibilità al perdono, non scrivendo i nostri peccati sulla pietra con stilo di ferro, ma sulla sabbia, dove può cancellarli con la sua mano misericordiosa. 

Secondo il libro del Deuteronomio non potevano eseguire la condanna coloro che avevano partecipato allo stesso peccato. Gesù è l'unico che per la sua infinita purezza di cuore potrebbe scagliare  la prima pietra. Così gli scribi e i farisei si allontanano ad uno ad uno, a cominciare dai più anziani, la cui coscienza aveva più peccati da rimproverare. 

Gesù assolve l'adultera, ma le raccomanda anche di non peccare più. Non ci invita, dunque, ad abbandonare il senso del peccato, ma a rispondere all'amore di Dio con amore, per giungere alla piena maturità spirituale. Questo è il significato della conversione e della penitenza, un percorso di crescita interiore, risanati dalla grazia di Cristo.

Preghiera

La tua misericordia, Signore, ci renda tuoi imitatori, affinché possiamo essere pronti al perdono e camminare con i nostri fratelli e sorelle sulla via della santità. Amen.

- Rev. Dr. Luca Vona

domenica 26 marzo 2023

Credere a Gesù e credere in Gesù

COMMENTO ALLA LITURGIA DELLA QUINTA DOMENICA DI QUARESIMA

Colletta

Ti supplichiamo, Dio Onnipotente, di guardare misericordioso al tuo popolo; affinché possa essere sempre custodito e guidato dalla tua grande bontà, sia nel corpo che nell’anima. Per Gesù Cristo, nostro Signore. Amen.

Letture

Eb 9,11-15; Gv 8,46-59

Commento

L'itinerario quaresimale ci invita a riflettere, nella domenica detta "di Abramo", su colui del quale i fedeli dei tre grandi monoteismi (ebraismo, cristianesimo e islam) si considerano figli. 

Dio appare ad Abramo quando questi è ormai avanti negli anni, invitandolo a lasciare la regione di Ur e facendogli una triplice promessa: una terra, una discendenza e la benedizione in lui di tutte le famiglie della terra (Gn 12,1-3). Egli diventa così il padre di tutti i credenti e il patriarca di cui i giudei si riconoscono come "stirpe". 

Dobbiamo guardarci, però, dal porre le fondamenta della nostra religiosità sulla sabbia del “senso di appartenenza”, erroneamente inteso quale garanzia di salvezza; non basta dire “siamo figli di Abramo” (Gv 8,33.53), come non basta dire “siamo cristiani”. Non si tratta semplicemente di credere a Gesù e di professarlo Figlio di Dio, ma di credere in Gesù. 

Credere in qualcuno è molto di più che credere a qualcuno. Credere in Gesù significa rimetterci completamente a lui, proprio come Abramo, che esultò nella speranza di vedere il giorno di Cristo (Gv 8,56), fu capace di affidarsi incondizionatamente a Dio. Credere in Gesù significa riconoscerlo come il "mediatore della nuova alleanza" (Eb 9,15), che ci ha acquistato la redenzione eterna con il suo sangue. È il sangue di Cristo, richiamato ripetutamente nella Lettera agli Ebrei (Eb 9,12-14) che vivifica la Chiesa e purifica “la nostra coscienza dalle opere morte per servire il Dio vivente!” (Eb 9,14).

Abramo fu prima di tutto uomo dell’ascolto, capace di porgere l’orecchio a quanto Dio aveva da dirgli e di mettersi in cammino per obbedire al suo volere. Non così coloro che si contrappongono a Gesù, il quale ammonisce: “Chi è da Dio, ascolta le parole di Dio; perciò voi non le ascoltate, perché non siete da Dio” (Gv 8,47). 

Siamo chiamati a metterci in ascolto della parola di Dio, abbandonandoci fiduciosamente a lui; a ricercare il tempo per fare silenzio dentro e fuori di noi, per porre un freno alle “opere morte” e all’attivismo che perde di vista l’orizzonte ultimo delle cose; per lasciare andare le false sicurezze di una religiosità fondata sulla fede nelle nostre azioni e devozioni, più che nell’opera straordinaria e incredibile che Dio può compiere in noi.

- Rev. Dr. Luca Vona

venerdì 24 marzo 2023

Fermati 1 minuto. Il suo tempo, il nostro tempo

Lettura

Giovanni 7,1-30

1 Dopo queste cose, Gesù se ne andava per la Galilea, non volendo fare altrettanto in Giudea perché i Giudei cercavano di ucciderlo.
2 Or la festa dei Giudei, detta delle Capanne, era vicina. 3 Perciò i suoi fratelli gli dissero: «Parti di qua e va' in Giudea, affinché anche i tuoi discepoli vedano le opere che tu fai. 4 Poiché nessuno agisce in segreto quando cerca di essere riconosciuto pubblicamente. Se tu fai queste cose, manifèstati al mondo». 5 Poiché neppure i suoi fratelli credevano in lui. 6 Gesù quindi disse loro: «Il mio tempo non è ancora venuto; il vostro tempo, invece, è sempre pronto. 7 Il mondo non può odiare voi; ma odia me, perché io testimonio di lui che le sue opere sono malvagie. 8 Salite voi alla festa; io non salgo a questa festa, perché il mio tempo non è ancora compiuto». 9 Dette queste cose, rimase in Galilea.
10 Ma quando i suoi fratelli furono saliti alla festa, allora vi salì anche lui; non palesemente, ma come di nascosto. 11 I Giudei dunque lo cercavano durante la festa, e dicevano: «Dov'è quel tale?» 12 Vi era tra la folla un gran mormorio riguardo a lui. Alcuni dicevano: «È un uomo per bene!» Altri dicevano: «No, anzi, svia la gente!» 13 Nessuno però parlava di lui apertamente, per paura dei Giudei.
14 Verso la metà della festa, Gesù salì al tempio e si mise a insegnare. 15 Perciò i Giudei si meravigliavano e dicevano: «Come mai conosce le Scritture senza aver fatto studi?» 16 Gesù rispose loro: «La mia dottrina non è mia, ma di colui che mi ha mandato. 17 Se uno vuole fare la volontà di lui, conoscerà se questa dottrina è da Dio o se io parlo di mio. 18 Chi parla di suo cerca la propria gloria; ma chi cerca la gloria di colui che l'ha mandato, è veritiero e non vi è ingiustizia in lui. 19 Mosè non vi ha forse dato la legge? Eppure nessuno di voi mette in pratica la legge! Perché cercate d'uccidermi?» 20 La gente rispose: «Tu hai un demonio! Chi cerca di ucciderti?» 21 Gesù rispose loro: «Un'opera sola ho fatto, e tutti ve ne meravigliate. 22 Mosè vi ha dato la circoncisione (non che venga da Mosè, ma viene dai padri); e voi circoncidete l'uomo in giorno di sabato. 23 Se un uomo riceve la circoncisione di sabato affinché la legge di Mosè non sia violata, vi adirate voi contro di me perché in giorno di sabato ho guarito un uomo tutto intero? 24 Non giudicate secondo l'apparenza, ma giudicate secondo giustizia».
25 Perciò alcuni di Gerusalemme dicevano: «Non è questi colui che cercano di uccidere? 26 Eppure, ecco, egli parla liberamente, e non gli dicono nulla. Che i capi abbiano riconosciuto per davvero che egli è il Cristo? 27 Eppure, costui sappiamo di dov'è; ma quando il Cristo verrà, nessuno saprà di dove egli sia». 28 Gesù dunque, insegnando nel tempio, esclamò: «Voi certamente mi conoscete e sapete di dove sono; però non sono venuto da me, ma colui che mi ha mandato è veritiero, e voi non lo conoscete. 29 Io lo conosco, perché vengo da lui, ed è lui che mi ha mandato». 30 Cercavano perciò di arrestarlo, ma nessuno gli mise le mani addosso, perché l'ora sua non era ancora venuta.

Commento

La festa delle capanne aveva inizio il 15 del settimo mese (Tishri) del calendario ebraico (tra settembre e ottobre). In origine era una celebrazione agricola di ringraziamento per il raccolto, in seguito è associata alla permanenza di Israele nel deserto sotto le tende (Lc 23,39-43; Dt 16,13-15). Le persone che vivevano nella aree rurali costruivano piccole capanne in cui dimorare durante la settimana della festa; quelle delle aree urbane costruivano simili strutture nel cortile delle case. La festa era anche caratterizzata dall'accensione di molte luci.

I fratelli di Gesù menzionati in questo passo evangelico - in numero di quattro secondo Matteo (13,55) e Marco (6,3) - non sono mai presentati come discepoli fin dopo la risurrezione (At 1,4). Poiché Gesù è nato da un parto virginale si tratta di fratellastri.
La richiesta di una dimostrazione pubblica dei poteri di Gesù da parte dei suoi parenti potrebbe riflettere un'argomentazione giudaica contro l'identificazione cristiana di Gesù come il Messia.

Nella discussione con i suoi fratelli Gesù mostra una contrapposizione tra due diversi tempi. Il termine kairos (v. 6) indica il "tempo opportuno"; qui è sinonimo di ora della morte e risurrezione di Gesù. Il tempo dei fratelli di Gesù "è sempre pronto", sempre opportuno, diversamente da quello di Gesù che è regolato dalla volontà di Dio. Tutta la storia della salvezza è proiettata verso quell'ora suprema in cui Gesù "Prima della festa di Pasqua, sapendo che era giunta la sua ora di passare da questo mondo al Padre, dopo aver amato i suoi che erano nel mondo, li amò sino alla fine." (Gv 13,1). Con quell'ora dovrà confrontarsi la porzione di tempo che costituisce la nostra personale storia in questo mondo. Dedicando a Cristo il nostro lavoro, la nostra preghiera, la nostra vita, la sua ora diventa la nostra ora ed egli ci guida verso la pienezza della sua gloria.

A metà della solennità Gesù decide di andare alla festa in incognito (non è ancora il momento dell'ingresso solenne che precederà la sua Passione) e sale al tempio per insegnare; è la prima volta che lo fa a Gerusalemme. Le sue parole creano sorpresa e sconcerto. Gesù ribadisce la legittimità della guarigione del paralitico compiuta di sabato, comparandola all'atto della circoncisione che si può eseguire senza violare il riposo sabbatico, poiché la sua istituzione, di epoca patriarcale, è precedente alla legge mosaica. Gesù afferma anche la contradditorietà di chi si preoccupa di una parte del corpo con la circoncisione ma non della salute del corpo intero ("voi vi sdegnate contro di me perché ho guarito interamente un uomo di sabato?"; v. 23).

La reazione della folla, composta da capi giudei, galilei ed ebrei della diaspora giunti a Gerusalemme per la festa, è contrastante: per alcuni egli "è buono", per altri "inganna la gente" (v. 11). C'è persino chi accusa Gesù di essere posseduto da uno spirito demoniaco, da cui un tempo veniva fatta derivare la pazzia. Molti non riconoscono il carattere messianico di Gesù perché non sono capaci di accogliere la sua umanità, la natura divina che si rivela nella carne, la meraviglia che si cela dietro ciò che è apparentemente ordinario.

Gesù non tenta di dimostrare quanto afferma, si limita a indicare la stretta relazione tra il compimento della volontà di Dio e la capacità di discernere la verità (v. 17). La parola di Dio, che nel rivelarsi illumina e rende saggio il semplice (Sal 119,130), è parola vivente, parola che si è fatta uomo. Tanto più ci conformeremo a Cristo, tanto più parteciperemo della divina sapienza.

Preghiera

Apri i nostri occhi, Signore, alla contemplazione della tua gloria; affinché possiamo discernere ciò che è a te gradito e riconoscere in te la fonte della nostra salvezza. Amen.

- Rev. Dr. Luca Vona

giovedì 23 marzo 2023

Fermati 1 minuto. Cristo, il tesoro nascosto nelle Scritture

Lettura

Giovanni 5,31-47

31 Se fossi io a render testimonianza a me stesso, la mia testimonianza non sarebbe vera; 32 ma c'è un altro che mi rende testimonianza, e so che la testimonianza che egli mi rende è verace. 33 Voi avete inviato messaggeri da Giovanni ed egli ha reso testimonianza alla verità. 34 Io non ricevo testimonianza da un uomo; ma vi dico queste cose perché possiate salvarvi. 35 Egli era una lampada che arde e risplende, e voi avete voluto solo per un momento rallegrarvi alla sua luce.
36 Io però ho una testimonianza superiore a quella di Giovanni: le opere che il Padre mi ha dato da compiere, quelle stesse opere che io sto facendo, testimoniano di me che il Padre mi ha mandato. 37 E anche il Padre, che mi ha mandato, ha reso testimonianza di me. Ma voi non avete mai udito la sua voce, né avete visto il suo volto, 38 e non avete la sua parola che dimora in voi, perché non credete a colui che egli ha mandato. 39 Voi scrutate le Scritture credendo di avere in esse la vita eterna; ebbene, sono proprio esse che mi rendono testimonianza. 40 Ma voi non volete venire a me per avere la vita.
41 Io non ricevo gloria dagli uomini. 42 Ma io vi conosco e so che non avete in voi l'amore di Dio. 43 Io sono venuto nel nome del Padre mio e voi non mi ricevete; se un altro venisse nel proprio nome, lo ricevereste. 44 E come potete credere, voi che prendete gloria gli uni dagli altri, e non cercate la gloria che viene da Dio solo? 45 Non crediate che sia io ad accusarvi davanti al Padre; c'è già chi vi accusa, Mosè, nel quale avete riposto la vostra speranza. 46 Se credeste infatti a Mosè, credereste anche a me; perché di me egli ha scritto. 47 Ma se non credete ai suoi scritti, come potrete credere alle mie parole?».

Commento

Secondo la legge mosaica i giudici non potevano affidarsi a un unico testimone, ma era necessaria la testimonianza di due o tre persone (Dt 17,6; 19,15; Nm 35,30). L'identità messianica di Gesù è confermata in questo passo del Vangelo di Giovanni da quattro testimoni: il ministero di Giovanni il Battista (vv. 32-35); le opere compiute da Gesù; il Padre, che ha parlato nel battesimo al Giordano e che si rivolge direttamente alle coscienze (vv. 37-38); le Scritture (vv. 39-40) e in paticolare Mosè (i libri del Pentateuco). 

Affermando che le Scritture gli rendono testimonianza Gesù si svela come il mistero racchiuso in esse e ci offre una chiave per interpretare il loro senso più autentico. Così riconobbe Filippo, quando affermò "Abbiamo trovato colui del quale hanno scritto Mosè nella Legge e i Profeti (Gv 1,45); e lo stesso evangelista Giovanni, al termine del prologo del suo Vangelo: "La legge fu data per mezzo di Mosè, la grazia e la verità vennero per mezzo di Gesù Cristo" (Gv 1,16-18). 

Gesù è il tesoro nascosto nel campo delle Scritture, per il quale vale la pena vendere tutti i nostri beni; chi conosce lui infatti ha la vita eterna (1 Gv 5,11). Egli è però un Messia diverso da quello che si sono rappresentati i dottori di Israele, non è un liberatore politico perché non riceve gloria dagli uomini (v. 41); la sua volontà è unicamente quella di compiacere il Padre. 

L'errore dei farisei è di credere che la mera conoscenza delle Scritture possa guadagnare loro la vita eterna, ma non riescono a riconoscere il Messia da esse annunciato. Anche noi possiamo essere sviati dal sentirci depositari di una sapienza millenaria. L'assenza di rettitudine di intenzione - ovvero la ricerca della gloria umana - e l'interpretazione tendenziosa delle Scritture, guidati dai preconcetti che cercano solo conferme alle proprie convinzioni, ci tengono lontani dalla Verità. 

Ma se la parola di Dio penetra in profondità nelle nostre anime, se la assimiliamo meditandola frequentemente, consultandola in ogni occasione, conformandoci ad essa nelle parole e nelle azioni, allora darà testimonianza a Cristo, rendendo noi stessi testimoni di Cristo. Venire a lui - che è la Verità fattasi uomo - significa porsi all'ombra della grazia; egli infatti non è venuto per accusare, perché è la legge che accusa l'uomo di peccato. 

Gesù è venuto come nostro avvocato per la nostra giustificazione, portatore di quella grazia che non annulla le Scritture antiche ma le porta a perfezione. La sua persona le rende vive, capaci di interpellarci qui ed ora, se siamo capaci di metterci in ascolto con umiltà.

Preghiera

Suscita in noi, Signore, un desiderio ardente di conoscerti; affinché meditando e custodendo la tua parola possiamo far risplendere la tua luce fra gli uomini. Amen.

- Rev. Dr. Luca Vona

martedì 21 marzo 2023

Benedetto. Padre del monachesimo occidentale

Oggi ricorre nel calendario monastico la festa di Benedetto, padre del monachesimo d'occidente.
«Vi fu un uomo di vita venerabile, Benedetto per grazia e per nome»: così inizia il secondo libro dei Dialoghi, in cui Gregorio Magno narra la vita del più famoso monaco latino, nato a Norcia intorno al 480. Inviato a Roma per compiere gli studi, Benedetto abbandonò la città, «sapientemente ignorante e saggiamente incolto, desideroso di piacere a Dio solo». Conobbe le diverse forme di vita monastica del suo tempo: il semianacoretismo ad Affile, l'eremitismo in una grotta vicino a Subiaco, infine il cenobitismo indisciplinato e decadente di quell'epoca. Dopo un tentativo fallito di riformare un monastero già esistente, Benedetto tornò nella solitudine, raggiunto ben presto da molti, che desideravano mettersi sotto la sua paternità spirituale. Egli organizzò per i suoi discepoli delle piccole comunità, assegnando loro degli abati e istruendoli nella conoscenza delle Scritture, nella vita fraterna e nella preghiera.
Nel 529 Benedetto si trasferì con alcuni monaci a Montecassino, per dar vita a un nuovo tipo di monastero. Per questo cenobio, unico e con un solo abate, egli scrisse la sua Regola, che testimonia il suo grande discernimento e la sua misura, e che sarebbe diventata il riferimento essenziale per tutto il monachesimo d'occidente. Benedetto organizzò le giornate della comunità contemperando tempi di preghiera e di lavoro, da lui ritenuti ugualmente imprescindibili per la vita del monaco.
Secondo un'antica tradizione, il padre dei monaci latini morì il 21 marzo del 547.

Benedetto (ca 480-547)

Tracce di lettura

Dice il Signore: «Chi è l'uomo che vuole la vita e che desidera vedere giorni felici?». Ecco, il Signore nel suo grande affetto ci mostra la via della vita: percorriamo sotto la guida dell'Evangelo le sue vie, per giungere a vedere colui che ci ha chiamati al suo regno.
È perciò necessario che istituiamo una scuola del servizio divino, all'interno della quale speriamo di non stabilire nulla di aspro o di gravoso; ma se anche, in ragione di un necessario equilibrio, ne risultasse qualcosa di un poco appena più ristretto, in vista della correzione dei vizi e del mantenimento della carità, non tornare indietro, atterrito per lo spavento, dalla via della salvezza. Man mano infatti che si avanza nella vita di conversione e di fede, si corre sulla via dei comandamenti con il cuore dilatato nell'inesprimibile dolcezza dell'amore.
(Benedetto, Prologo della Regola).

- Dal martirologio ecumenico della Comunità monastica di Bose

Fermati 1 minuto. Non rassegnarti a mendicare

Lettura

Giovanni 5,1-16

1 Vi fu poi una festa dei Giudei e Gesù salì a Gerusalemme. 2 V'è a Gerusalemme, presso la porta delle Pecore, una piscina, chiamata in ebraico Betzaetà, con cinque portici, 3 sotto i quali giaceva un gran numero di infermi, ciechi, zoppi e paralitici. 4 [Un angelo infatti in certi momenti discendeva nella piscina e agitava l'acqua; il primo ad entrarvi dopo l'agitazione dell'acqua guariva da qualsiasi malattia fosse affetto.] 5 Si trovava là un uomo che da trentotto anni era malato. 6 Gesù vedendolo disteso e, sapendo che da molto tempo stava così, gli disse: «Vuoi guarire?». 7 Gli rispose il malato: «Signore, io non ho nessuno che mi immerga nella piscina quando l'acqua si agita. Mentre infatti sto per andarvi, qualche altro scende prima di me». 8 Gesù gli disse: «Alzati, prendi il tuo lettuccio e cammina». 9 E sull'istante quell'uomo guarì e, preso il suo lettuccio, cominciò a camminare.
Quel giorno però era un sabato. 10 Dissero dunque i Giudei all'uomo guarito: «È sabato e non ti è lecito prender su il tuo lettuccio». 11 Ma egli rispose loro: «Colui che mi ha guarito mi ha detto: Prendi il tuo lettuccio e cammina». 12 Gli chiesero allora: «Chi è stato a dirti: Prendi il tuo lettuccio e cammina?». 13 Ma colui che era stato guarito non sapeva chi fosse; Gesù infatti si era allontanato, essendoci folla in quel luogo. 14 Poco dopo Gesù lo trovò nel tempio e gli disse: «Ecco che sei guarito; non peccare più, perché non ti abbia ad accadere qualcosa di peggio». 15 Quell'uomo se ne andò e disse ai Giudei che era stato Gesù a guarirlo. 16 Per questo i Giudei cominciarono a perseguitare Gesù, perché faceva tali cose di sabato.

Commento

Il miracolo riportato in questa pagina del Vangelo di Giovanni si compie in un luogo dai nomi estremamente evocativi: la piscina di Betzaetà, ovvero la "casa della misericordia", presso la "porta delle pecore". Quasi a voler rinviare a quella porta che è Cristo, attraverso la quale dobbiamo passare per ottenere l'abbondanza della sua grazia.

La credenza sui poteri curativi associati all'acqua termale della piscina era dovuta al suo ribollire di tanto in tanto, attribuito - secondo il versetto che alcuni manoscritti antichi non riportano - all'intervento di un angelo. Gesù guarisce un uomo che non è in grado di procurarsi da solo la salvezza gettandosi nella piscina al momento giusto. Quest'uomo diventa il simbolo di quei limiti che non riusciamo a superare da soli nel nostro processo di crescita spirituale. 

È Gesù che prende l'iniziativa; è lui che viene incontro, senza bisogno di altri intermediari. La sua azione però è preceduta da una domanda che potrebbe apparire scontata: "Vuoi guarire?" (v. 6). Gesù vuole capire se quest'uomo desidera uscire dalla sua rassegnazione. La stessa domanda la dobbiamo considerare rivolta a noi, soprattutto di fronte alle nostre infermità spirituali, la peggiore delle quali è rappresentata dal rifugiarsi in una zona confortevole in cui non si va né avanti né indietro, paralizzati dalla mediocrità. 

Per diverse ragioni possiamo trovarci stesi a terra a mendicare un po' di felicità. Ma Gesù, che si fa presente nelle infermità, è in grado di restituire alla nostra vita integrità e pienezza di senso. "Alzati... prendi... cammina": la formula imperativa rievoca la stessa parola efficace di Dio, che operava nella creazione del mondo. 

La lunga durata della malattia dell'uomo presso la piscina di Betzetà - quasi quarant'anni - rende incontrovertibile il miracolo, ma anziché cercare Gesù per ricevere la sua benedizione i Giudei decidono di perseguitarlo "perché faceva tali cose di sabato" (v. 16). In realtà le Scritture chiedono di santificare il Sabato astenendosi dal lavoro, ma non specificano di più. Fu la tradizione orale a stabilire trentanove attività proibite nel giorno del riposo. 

La legge mosaica non è dunque stata violata né da Gesù né dall'uomo che egli ha guarito. Ma la presupposta ortodossia, la dottrina, è anteposta dai farisei all'ortoprassi, ovvero all'agire rettamente e compiere il bene. 

Il lettuccio che il paralitico sanato - ubbidendo a Gesù - porta con sé, attesta la sua completa guarigione, ma egli lo deporrà per recarsi nel tempio a lodare Dio. Anche noi ci portiamo dietro il ricordo dei nostri sbagli, ma giunge il momento in cui liberarsi da questo fardello per fare spazio alla lode della misericordia di Dio; vi è un momento per chiedere la guarigione, ma anche un momento in cui la nostra preghiera deve diventare adorazione pura, in cui non c'è più spazio per il timore e per il rammarico, ma solo per la lode.

Preghiera

Vieni a visitarci, Signore, quando siamo prostrati nelle nostre infermità; risollevaci con la tua destra, affinché possiamo testimoniare la tua misericordia. Amen.

- Rev. Dr. Luca Vona

lunedì 20 marzo 2023

Fermati 1 minuto. Come spirito sulle acque calme

Lettura

Matteo 1,16-24

16 Giacobbe generò Giuseppe, lo sposo di Maria, dalla quale è nato Gesù chiamato Cristo. 17 La somma di tutte le generazioni, da Abramo a Davide, è così di quattordici; da Davide fino alla deportazione in Babilonia è ancora di quattordici; dalla deportazione in Babilonia a Cristo è, infine, di quattordici. 18 Ecco come avvenne la nascita di Gesù Cristo: sua madre Maria, essendo promessa sposa di Giuseppe, prima che andassero a vivere insieme si trovò incinta per opera dello Spirito Santo. 19 Giuseppe suo sposo, che era giusto e non voleva ripudiarla, decise di licenziarla in segreto. 20 Mentre però stava pensando a queste cose, ecco che gli apparve in sogno un angelo del Signore e gli disse: «Giuseppe, figlio di Davide, non temere di prendere con te Maria, tua sposa, perché quel che è generato in lei viene dallo Spirito Santo. 21 Essa partorirà un figlio e tu lo chiamerai Gesù: egli infatti salverà il suo popolo dai suoi peccati». 22 Tutto questo avvenne perché si adempisse ciò che era stato detto dal Signore per mezzo del profeta: 23 Ecco, la vergine concepirà e partorirà un figlio che sarà chiamato Emmanuele, che significa Dio con noi. 24 Destatosi dal sonno, Giuseppe fece come gli aveva ordinato l'angelo del Signore e prese con sé la sua sposa.

Commento

Un uomo innamorato della sua futura moglie si trova davanti al timore di essere stato tradito. Giuseppe non è solo giusto, osservante della legge del Signore, ma anche misericordioso, poiché non vuole esporre Maria alla pubblica accusa e preferisce allontanarla in segreto, con un divorzio privato. 

Il fidanzamento ebraico era considerato nell'antichità come un moderno matrimonio. Poteva essere sciolto solo con un formale atto di ripudio, in presenza di due testimoni. I fidanzati erano considerati dal punto di vista legale come marito e moglie e sebbene l'unione fisica non fosse stata ancora consumata l'adulterio era punito con la lapidazione. Il modo di comportarsi di Giuseppe ci suggerisce di giudicare con delicatezza e prudenza il nostro prossimo, presupponendo sempre la sua innocenza piuttosto che la colpevolezza, ma ci invita anche ad accogliere quanto di incredibile accade nelle nostre vite. 

Giuseppe viene visitato da Dio mentre "stava pensando a tutte queste cose" (v. 20). Dio rivela la sua volontà a coloro che la ricercano e considerano interiormente i segni della sua presenza. Egli appare nel momento di maggiore quiete, come spirito che si muove sulle acque calme. Così Giuseppe, che custodisce la fiducia in Dio, si convince dell'innocenza di Maria venendo visitato in sogno da un angelo, il cui messaggio sconvolge i suoi piani e ogni aspettativa sul nascituro. Questi sarà chiamato Gesù, ovvero "il Signore salva" e infatti salverà il suo popolo dai suoi peccati. Emmanuele (v. 23) - "Dio con noi" - non è il nome proprio di Cristo ma ne descrive perfettamente la natura e l'ufficio: egli è Dio incarnato e solleva la nostra umanità dalla miseria, elevandola alle altezze divine. 

Dio aveva camminato con Israele nel deserto, nella forma di una nube rinfrescante di giorno e luminosa di notte; per questo il suo popolo poteva domandarsi "qual grande nazione ha la divinità così vicina a sé, come il Signore nostro Dio è vicino a noi ogni volta che lo invochiamo?" (Dt 4,7). Ma con il mistero dell'incarnazione Dio non si fa solo vicino, viene ad abitare la nostra carne, per condurla verso la risurrezione. Ricevuto l'annuncio dell'angelo, Giuseppe si desta dal sonno (v. 24) e fa subito come gli è stato ordinato. Anche noi siamo chiamati a rispondere senza tardare alla volontà del Signore: "Per questo sta scritto: «Svègliati, o tu che dormi, déstati dai morti e Cristo ti illuminerà»" (Ef 5,14).

Preghiera

Donaci la saggezza, Signore, di discernere la tua volontà tra le pieghe della nostra vita e la grazia per compierla con sollecitudine; affinché la luce di Cristo possa risplendere nel mondo. Amen.

- Rev. Dr. Luca Vona

domenica 19 marzo 2023

Giuseppe, padre di Gesù secondo la Legge e uomo del silenzio

Giuseppe era discendente di David, e il vangelo di Matteo lo definisce sobriamente: «Lo sposo di Maria, dalla quale è nato Gesù, chiamato il Cristo» (Mt 1,16) e «uomo giusto» (Mt 1,19). Egli ebbe il compito di legare Gesù alla discendenza davidica, di riassumere le figure dei patriarchi, che spesso avevano ricevuto in sogno la rivelazione di Dio, e di far ripercorrere al piccolo Gesù il cammino dell'esodo, inserendolo pienamente nella storia di Israele per renderlo erede delle promesse. Uomo del silenzio, Giuseppe apprese nella sua quiete orante, giorno dopo giorno, la volontà del Signore. Dopo il ritorno dall'Egitto, nulla ci è detto a suo riguardo. Un'antica leggenda vuole che egli abbia terminato i suoi giorni in una grande pace, indicando nel figlio Gesù, riconosciuto come Messia, il motivo della sua serenità di fronte alla fine della vita terrena. Per questo motivo, nella tradizione occidentale si cominciò presto a invocarne l'intercessione per ricevere il dono di una buona morte.
Le chiese bizantine ricordano Giuseppe assieme a David e a Giacomo fratello del Signore nei giorni che seguono il Natale. Nella chiesa copta la sua memoria era celebrata già nel V secolo. In occidente, invece, una vera e propria festa di Giuseppe si sviluppò soltanto in epoca moderna e divenne festa di precetto nel 1621.
In epoca recente, malgrado il suo inserimento nel Canone romano per volere di papa Giovanni XXIII, la festa di Giuseppe è stata privata della solennità che da poco aveva acquisito, quasi a segnare la discrezione e il silenzio che accompagnano sin dai primi secoli la memoria di colui che fu il padre di Gesù secondo la Legge.

Tracce di lettura

Giuseppe dalle labbra chiuse è l'uomo dell'interiore; fa parte di quella coorte di silenziosi per i quali parlare è perdere tempo, è soprattutto tradire l'Intraducibile, l'Ineffabile. Giuseppe dalle labbra chiuse è l'uomo che comincia là dove Giobbe finisce, che nasce con la mano sulla bocca. Ha un senso enorme di Dio, della dismisura del suo Essere e della sua pazzia d'amore.
Dopo il ritorno dall'Egitto, Giuseppe scompare. Credetemi, questa morte, questo transitus del beato Giuseppe non ha nulla di triste. Il suo silenzio è lo stesso di Dio. È riempito dalla forza dell'Amore.
(L.-A. Lassus, Pregare è una festa)

- Dal Martirologio ecumenico della Comunità monastica di Bose

Che cos'è questo per tanta gente?

 COMMENTO ALLA LITURGIA DELLA QUARTA DOMENICA DI QUARESIMA

Colletta

Dio Onnipotente, ti supplichiamo, sebbene meritevoli della tua punizione per i nostri peccati, di essere risollevati dal conforto della tua grazia. Per il nostro Signore Gesù Cristo. Amen

Letture

Gal 4,21-31; Gv 6,1-15

Commento

C’è una contesa in corso tra il figlio della schiava e il figlio della libera, ci spiega Paolo nella sua lettera ai Galati, richiamandosi al racconto della Genesi sui figli di Abramo. Il figlio della schiava è la Gerusalemme di quaggiù, ma il figlio della libera è la Gerusalemme celeste, che è “libera” e “la madre di tutti noi” (Gal 4,26). 

Questa lotta si svolge al tempo stesso nel nostro cuore e nel mondo. Fuori di noi, tra coloro che sono stati rigenerati nella fede e le forze che si oppongono al messaggio liberante del vangelo. Dentro di noi, fra la nostra umanità segnata dalla sua fragilità, dai suoi limiti, e la grazia che ci è donata in Cristo, la quale opera incessantemente per dare alla luce l’uomo nuovo e realizzare quella “rinascita dall’alto” di cui parla Gesù nel dialogo notturno con Nicodemo (Gv 3,1-21). 

La povertà delle nostre risorse e la fallacia dell’essere umano sono fin troppo evidenti, nelle piccole e grandi sconfitte che subiamo ogni giorno come cristiani che cercano di conformare la propria vita al vangelo; e per questo motivo è in agguato la tentazione di lasciarci andare allo sconforto e alla rinuncia nella ricerca della nostra santificazione e del bene comune. Ma noi come credenti siamo chiamati a credere e sperare oltre ogni speranza che colui il quale ci ha dato la promessa sarà fedele, nonostante le nostre infedeltà. Dio infatti, sa prendere la nostra povertà e trasformarla in abbondanza. 

È questo il senso del miracolo dei pani e dei pesci. Gesù rifugiatosi sul monte e seguito dalle folle, chiede agli apostoli di sfamarle. Ciò che gli apostoli hanno a disposizione è davvero poco, come afferma Filippo, con parole che sembrano velate di ironia: “Duecento denari di pane non basterebbero per loro, perché ognuno possa averne un pezzetto” (Gv 6,7). Andrea, più pragmatico, si da da fare, e trova un ragazzo con “cinque pani d’orzo e due piccoli pesci”; ma deve riconoscere sconfortato: “che cos’è questo per tanta gente?” (Gv 6,9). 

La bontà di Dio è capace di moltiplicare i nostri miseri talenti, saziando tutti coloro che hanno "fame e sete di giustizia" (Mt 5,6), e facendoci tornare a casa addirittura con l'eccedenza: “raccolsero e riempirono dodici canestri con i pezzi dei cinque pani d'orzo, avanzati a coloro che avevano mangiato.” (Gv 6, 13). 

Rallegriamoci, dunque, anche se a volte siamo come una sterile che non partorisce nulla; “perché i figli dell’abbandonata saranno più numerosi di quelli di colei che aveva marito” (Gal 4,27). Siamo infatti “i figli della promessa” (Gal 4,28) e Dio porterà a compimento la sua opera in noi.

- Rev. Dr. Luca Vona

venerdì 17 marzo 2023

Patrizio, evangelizzatore dell'Irlanda

La chiesa cattolica d'occidente, la chiesa anglicana, la chiesa luterana e la chiesa veterocattolica ricordano oggi Patrizio, evangelizzatore e primo vescovo dell'Irlanda.
Nato nella Cornovaglia britannica attorno al 390, non ancora sedicenne Patrizio era stato catturato da pirati irlandesi che lo avevano rivenduto come schiavo in Irlanda. Nei sei anni di cattività, in cui Patrizio fece il pastore, la sua solitudine fu colmata dalla presenza sempre più consolante del Signore nel suo cuore. Fuggito dall'Irlanda, Patrizio si preparò all'ordinazione presbiterale, e forse soggiornò per un certo tempo in qualche monastero della Gallia. 

San Patrizio (ca 390-461)

Non si sa con certezza se abbia mai emesso i voti monastici, anche se è chiaro il grande amore che aveva per i monaci e per la loro intimità con il Signore. Patrizio si nutrì con assiduità della Scrittura, nella quale infine troverà la sua vocazione di annunciatore del vangelo sino agli estremi confini della terra. Nel 432 Patrizio venne inviato come vescovo in Irlanda. Da quel momento, per trent'anni egli percorse in lungo e in largo l'isola diffondendo il vangelo, costituendo comunità e dando un'organizzazione agli sparuti gruppi di cristiani che già esistevano in quella terra. Spesso disprezzato dagli ibernici perché straniero, contrastato in seno alla chiesa per la sua cultura approssimativa, Patrizio riuscì tuttavia, grazie alla sua grande umanità e alla sua passione per il vangelo, a portare a termine con gioia la missione ricevuta, come testimonia la sua Confessione, documento autobiografico nel quale egli narra con toni altamente evangelici la propria esperienza missionaria. Egli morì, forse nel 461, non si sa bene dove. Sulla sua vita fiorì un'enorme messe di leggende, che lo resero uno dei santi più amati di tutto il medioevo.

Tracce di lettura

Non devo nascondere il dono che Dio mi elargì nella terra della mia prigionia, perché allora tenacemente lo cercai e là lo trovai e mi salvò da tutte le mie colpe in virtù dell'inabitazione del suo Spirito, che ha operato fino ad oggi in me. Perciò rendo incessantemente grazie al mio Dio, che mi ha conservato fedele nel giorno della prova, così che oggi con fiducia posso osare offrirgli in sacrificio come offerta viva la mia vita per Cristo Signore, che mi ha salvato da tutte le mie angosce, e così posso dire: «Chi sono io, Signore, quale vocazione è la mia, se tu hai operato al mio fianco con tutta la forza della tua divinità: ecco, siamo testimoni, il vangelo è stato predicato fino agli estremi confini della terra».
(Patrizio, Confessione 33-34)

- Dal Martirologio ecumenico della Comunità monastica di Bose

Preghiera

Cristo con me, Cristo davanti a me, Cristo dietro di me.
Cristo alla mia destra, Cristo alla mia sinistra,
Cristo quando mi corico, Cristo quando mi siedo,
Cristo quando mi alzo,
Cristo in ogni cuore che mi pensa,
Cristo in ogni bocca che mi parla,
Cristo in ogni occhio che mi guarda,
Cristo in ogni orecchio che mi ascolta.

(Lorica attribuita a Patrizio)

Fermati 1 minuto. L'imperativo del verbo "amare"

Lettura

Marco 12,28-34

28 Allora si accostò uno degli scribi che li aveva uditi discutere, e, visto come aveva loro ben risposto, gli domandò: «Qual è il primo di tutti i comandamenti?». 29 Gesù rispose: «Il primo è: Ascolta, Israele. Il Signore Dio nostro è l'unico Signore; 30 amerai dunque il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta la tua mente e con tutta la tua forza. 31 E il secondo è questo: Amerai il prossimo tuo come te stesso. Non c'è altro comandamento più importante di questi». 32 Allora lo scriba gli disse: «Hai detto bene, Maestro, e secondo verità che Egli è unico e non v'è altri all'infuori di lui; 33 amarlo con tutto il cuore, con tutta la mente e con tutta la forza e amare il prossimo come se stesso val più di tutti gli olocausti e i sacrifici». 34 Gesù, vedendo che aveva risposto saggiamente, gli disse: «Non sei lontano dal regno di Dio». E nessuno aveva più il coraggio di interrogarlo.

Commento

La questione decisiva posta dallo scriba è in che cosa consista il cuore della legge. La risposta di Gesù riassume tutto il suo insegnamento e diventa il modello al quale fare riferimento per la vita. L'amore verso Dio è il primo grande comandamento e il suo naturale riflesso è l'amore verso il prossimo: l'uno e l'altro nel totale dono di sé. 

Dio è unico, ma non è solitario. Dio è comunione, del Figlio con il Padre, nello Spirito Santo. Dio è comunione dei redenti nel Figlio; e la comunione con Dio è il destino della stessa creazione, che "aspetta con impazienza la manifestazione dei figli di Dio" (Rm 8,19). Lo "Shemà, Israel" (Dt 6,4-9) richiamato da Gesù, diventa nel vangelo svelamento dell'intima relazione tra unicità e comunione, definendo il nostro rapporto con Dio e con il prossimo. 

Il cuore dell'uomo è stato creato per amare e come afferma Sant'Agostino (Confessioni, I,1.1) è inquieto finché non riposa in Dio, ovvero nell'Amore. E così si esprime Dio con Caterina da Siena: "L’anima non può vivere senza amore, sempre vuole avere qualche cosa da amare, poiché è costituita d'amore avendola Io per amore creata" (Caterina da Siena, Dialogo della Divina Provvidenza, 51). 

L'amore di Dio unifica le nostre facoltà e ne esprime il massimo potenziale; siamo infatti chiamati ad amarlo con tutta la mente, con tutto il cuore e con tutte le nostre forze (v. 30). Amare Dio significa anche amare tutto ciò che egli ama. 

La prima parola dello "Shemà" - "Ascolta" - attesta che questo amore sovrabbondante può essere riversato nel nostro cuore solo a partire dall'ascolto; non è semplicemente frutto di un nostro sforzo di volontà ma è lo stesso amore dello Spirito, che ama attraverso di noi, e al quale possiamo attingere nella misura in cui il nostro cuore si apre a Dio. 

Il dono di sé è un sacrificio superiore a qualsiasi olocausto, e a questo ci esorta anche l'apostolo Paolo: "Vi esorto dunque, fratelli, per la misericordia di Dio, a presentare i vostri corpi in sacrificio vivente, santo, gradito a Dio; questo è il vostro culto spirituale" (Rm 12,1). Siamo chiamati a farci come Cristo altare, oblazione e fuoco sacrificale. A bruciare d'amore in lui. 

Il nuovo comandamento del vangelo supera quello della legge antica: dobbiamo amare il prossimo non solo come noi stessi (Lv 19,18), ma come Gesù ci ha amati (Gv 15,12). Questa è la differenza tra l'essere vicini al regno di Dio ed esserne parte.

Preghiera

Colma i nostri cuori del tuo amore, Signore; affinché possiamo donarci a te e agli uomini come sacrificio a te gradito, nel vincolo dell'unità. Amen.

- Rev. Dr. Luca Vona

giovedì 16 marzo 2023

Fermati 1 minuto. La guardia affidabile del palazzo

Lettura

Luca 11,14-23

14 Gesù stava scacciando un demonio che era muto. Uscito il demonio, il muto cominciò a parlare e le folle rimasero meravigliate. 15 Ma alcuni dissero: «È in nome di Beelzebùl, capo dei demòni, che egli scaccia i demòni». 16 Altri poi, per metterlo alla prova, gli domandavano un segno dal cielo. 17 Egli, conoscendo i loro pensieri, disse: «Ogni regno diviso in se stesso va in rovina e una casa cade sull'altra. 18 Ora, se anche satana è diviso in se stesso, come potrà stare in piedi il suo regno? Voi dite che io scaccio i demòni in nome di Beelzebùl. 19 Ma se io scaccio i demòni in nome di Beelzebùl, i vostri discepoli in nome di chi li scacciano? Perciò essi stessi saranno i vostri giudici. 20 Se invece io scaccio i demòni con il dito di Dio, è dunque giunto a voi il regno di Dio.
21 Quando un uomo forte, bene armato, fa la guardia al suo palazzo, tutti i suoi beni stanno al sicuro. 22 Ma se arriva uno più forte di lui e lo vince, gli strappa via l'armatura nella quale confidava e ne distribuisce il bottino.
23 Chi non è con me, è contro di me; e chi non raccoglie con me, disperde.

Commento

A Dio è sufficente un dito per sconfiggere Satana. Quello stesso dito che scrisse i comandamenti sulle tavole in pietra della legge interviene ora a liberare l'uomo dalla schiavitù alla quale è sottoposto dal Maligno.

Gesù non minimizza l'azione del diavolo, definito "forte e ben armato" (v.21). Non è un nemico che possiamo sconfiggere confidando in noi stessi, ma ricorrendo alla grazia di Cristo: questi è capace di vincerlo e di "distribuire il suo bottino". 

In questo episodio del Vangelo di Luca l'uomo muto diventa immagine dell'incapacità di relazionarsi con il prossimo e con Dio. Quando il cuore si converte al vangelo, l'uomo pone al servizio del regno di Dio tutti quei beni e quelle facoltà che fino a prima erano degli idoli che lo rendevano schiavo. La guardia del suo "palazzo", la custodia della sua vita e dei suoi talenti, non sono più affidate alle potenze di questo mondo. Tutto è al sicuro nelle mani di Dio, e il "bottino" sottratto al Maligno è ora distribuito con generosità (v. 22).

Quando siamo liberati dai lacci del male la nostra lingua si scioglie nella lode del Signore. Per questo l'accusa mossa a Gesù di scacciare i demòni per opera del capo dei demòni è del tutto illogica: “Nessuno può dire: Gesù è il Signore, se non nello Spirito Santo” (1 Cor 12,3). 

Guardiamoci, dunque, dall'errore di coscienza, spesso dettato dall'invidia, che fa vedere il male laddove c'è il bene. Gesù dichiara che chi non è con lui è contro di lui, ma poco dopo farà un'affermazione del tutto speculare, dicendo che chi non è contro di lui è con lui (Lc 11,23). Le parole di Gesù sono un invito all'unità nel suo nome, perché "ogni regno diviso in se stesso va in rovina" (v. 17). Lasciamo dunque che la grazia ci apra gli occhi per vedere lo Spirito di Dio in azione in ogni scorcio di bontà e di bellezza.

Preghiera

Stendi la tua mano Signore, e liberaci da ogni male; affinché affrancati dalla grazia possiamo magnificare la tua gloria. Amen.

- Rev. Dr. Luca Vona

mercoledì 15 marzo 2023

Fermati 1 minuto. Il codice dell'amore

Lettura

Matteo 5,17-19

17 Non pensate che io sia venuto ad abolire la Legge o i Profeti; non son venuto per abolire, ma per dare compimento. 18 In verità vi dico: finché non siano passati il cielo e la terra, non passerà neppure un iota o un segno dalla legge, senza che tutto sia compiuto. 19 Chi dunque trasgredirà uno solo di questi precetti, anche minimi, e insegnerà agli uomini a fare altrettanto, sarà considerato minimo nel regno dei cieli. Chi invece li osserverà e li insegnerà agli uomini, sarà considerato grande nel regno dei cieli.

Commento

Lo iota è la nona lettera dell'alfbeto greco, corrispondente alla decima dell'alfabeto ebraico (jod), che è la più piccola. Il termine greco keraia, tradotto con "segno", significa "corno", "apice" e indica probabilmente il piccolo segno aggiunto a scopo decorativo a numerose consonanti dell'alfabeto ebraico. Il senso delle parole di Gesù è che nessun particolare della legge potrà essere trascurato, ma dovrà giungere a compimento.

Gesù è un ebreo osservante, ma allo stesso tempo fa nuove tutte le cose: riafferma i dieci comandamenti, ma li arricchisce con il "discorso della montagna"; osserva il Sabato, ma non si esime in quel giorno dal compiere miracoli e guarigioni; difende la purità rituale del Tempio, scacciando venditori e cambiavalute, ma proclama il nuovo culto "in spirito e verità"; celebra la Pasqua ebraica, ma con la sua Croce inaugura la nuova Pasqua, della quale l'antica era solo una prefigurazione.

Il "compimento" di cui si proclama artefice Gesù è il realizzarsi delle profezie antiche; egli non solo porta a perfezione la legge morale ma realizza in se stesso l'incarnazione della legge cerimoniale, simbolo del suo sacrificio pieno, perfetto e sufficiente, realizzato sulla croce.

Il riferimento alla legge e ai profeti è presente, poco più avanti nel Vangelo di Matteo, nell'enunciazione, da parte di Gesù, della "regola d'oro": "'Tutto quanto volete che gli uomini facciano a voi, anche voi fatelo a loro: questa infatti è la Legge ed i Profeti'" (Mt 7,12).

Gesù afferma l'autorità delle Scritture dell'Antico Testamento come parola di Dio. Ciò implica che il Nuovo Testamento non soppianta l'Antico, ma lo completa e ne spiega il significato. La verità nascosta nelle Scritture ebraiche rimane valida e risplende ora alla luce del vangelo.

Natura non facit saltus affermavano gli antichi: la natura non procede per gradini, ma attraverso un piano inclinato, per progressive integrazioni. Così è per alcune pagine dell'Antico Testamento, che possono risultare "scandalose" per l'uomo di oggi, intrise di violenza, inganni, e piene di precetti che fatichiamo a comprendere. Ma c'è una progressività della rivelazione, che conduce fino all'epifania di Cristo.

Coloro che custodiranno e insegneranno la parola di Dio saranno ritenuti grandi nel regno dei cieli (v. 19): "Per questo ogni scriba divenuto discepolo del regno dei cieli è simile a un padrone di casa che estrae dal suo tesoro cose nuove e cose antiche" (Mt 13,52).

In Gesù abbiamo la pienezza della rivelazione. Egli non si propone come semplice interprete della Legge ma si colloca al di sopra di essa, come sua fonte. Gesù è la Parola che si è fatta carne (Gv 1,14), per farci conoscere il codice dell'amore, il cui giogo è dolce e il carico leggero.

Preghiera

Signore Gesù Cristo, aiutaci a riconoscerti come norma di vita e a conformarci a te, per progredire nell'amore e testimoniare la tua giustizia. Amen.

- Rev. Dr. Luca Vona

mercoledì 8 marzo 2023

Fermati 1 minuto. Essere... per...

Lettura

Matteo 20,17-28

17 Mentre saliva a Gerusalemme, Gesù prese in disparte i dodici e lungo la via disse loro: 18 «Ecco, noi stiamo salendo a Gerusalemme e il Figlio dell'uomo sarà consegnato ai sommi sacerdoti e agli scribi, che lo condanneranno a morte 19 e lo consegneranno ai pagani perché sia schernito e flagellato e crocifisso; ma il terzo giorno risusciterà».
20 Allora gli si avvicinò la madre dei figli di Zebedèo con i suoi figli, e si prostrò per chiedergli qualcosa. 21 Egli le disse: «Che cosa vuoi?». Gli rispose: «Di' che questi miei figli siedano uno alla tua destra e uno alla tua sinistra nel tuo regno». 22 Rispose Gesù: «Voi non sapete quello che chiedete. Potete bere il calice che io sto per bere?». Gli dicono: «Lo possiamo». 23 Ed egli soggiunse: «Il mio calice lo berrete; però non sta a me concedere che vi sediate alla mia destra o alla mia sinistra, ma è per coloro per i quali è stato preparato dal Padre mio».
24 Gli altri dieci, udito questo, si sdegnarono con i due fratelli; 25 ma Gesù, chiamatili a sé, disse: «I capi delle nazioni, voi lo sapete, dominano su di esse e i grandi esercitano su di esse il potere. 26 Non così dovrà essere tra voi; ma colui che vorrà diventare grande tra voi, si farà vostro servo, 27 e colui che vorrà essere il primo tra voi, si farà vostro schiavo; 28 appunto come il Figlio dell'uomo, che non è venuto per essere servito, ma per servire e dare la sua vita in riscatto per molti».

Commento

Dirigendosi verso Gerusalemme per l'ultima volta Gesù intraprende il suo viaggio verso la croce. Per la terza volta parla ai suoi discepoli della sua passione. Pietro, Giacomo e Giovanni lo avevano sentito discutere di essa anche con Mosè ed Elia, durante la trasfigurazione. L'annuncio è una verità dura da comprendere e non viene rivolto alle folle, ma soltanto a coloro che lo seguono da vicino. 

L'incomprensione si fa subito manifesta nella richiesta di Salome, madre dei figli di Zebedeo: Giacomo e Giovanni. Questi desiderano regnare con Cristo, ma ciò comporta l'estremo dono di sé. Il calice di cui parla Gesù è metaforicamente, il destino stabilito da Dio, sia esso di benedizione o di giudizio. Qui si riferisce alla sua passione e alla sua morte. 

Se Giacomo e Giovanni hanno frainteso la missione del Figlio venuto per servire, gli altri discepoli, gelosi della loro richiesta, non sono da meno. Ma i modelli politici del potere temporale non si accordano con le esigenze del regno dei cieli. Volontà di dominio e prevaricazione dovranno essere bandite dalla Chiesa di Cristo. I credenti sono chiamati a servire e donare se stessi per gli altri, sull'esempio di Gesù; proprio in questo l'esistenza acquisisce pienezza di senso. Quando sembrerà che ci stiamo privando della nostra vita sarà proprio allora che la troveremo (Mt 16,25). 

Il riscatto pagato da Gesù, rappresenta il suo sacrificio sostitutivo che ottiene la vita eterna a coloro che sono schiavi del peccato. Soffrendo per mano dei giudei e dei gentili, egli riconcilierà entrambi con la sua croce. La salvezza non esclude nessuno, come potrebbe fare pensare la parola "molti" (gr. pollon), da intendere come un semitismo (cfr. Is 53,12) per rappresentare l'intera comunità che trae beneficio dal servizio di uno. 

La sofferenza di Gesù non è solo un atto di soddisfazione vicaria dei nostri peccati. Il suo dare la vita "per molti" costituisce anche una teofania dell'intima natura di Dio. Dio non è soltanto l'Essere ("Io sono colui che sono"; Es 3,14), ma è l'"Essere per": Dio si dona all'uomo, nell'incarnazione del Figlio, il quale "abita" la nostra umanità fino alla sofferenza e alla morte. Ma rivelandosi come dono Dio chiama anche l'uomo, creato a sua immagine e somiglianza, a farsi egli stesso relazione. Alla luce degli eventi pasquali della morte e risurrezione di Cristo l'apostolo Giovanni comprenderà questa verità ultima, ben espressa nella sua prima lettera: "Noi abbiamo riconosciuto e creduto all'amore che Dio ha per noi. Dio è amore" (1 Gv 4,16).

Preghiera

Donaci, Signore, lo spirito per accettare le sofferenze del momento presente, consapevoli che non sono paragonabili alla gloria futura che hai preparato per noi; affinché possiamo testimoniare con coraggio il tuo nome. Amen.

- Rev. Dr. Luca Vona