Il Rev. Dr. Luca Vona
Un evangelico nel Deserto

Ministro della Christian Universalist Association

giovedì 29 settembre 2022

Festa di San Michele arcangelo e di tutti gli angeli

Le chiese d'occidente fanno oggi memoria di Michele arcangelo e di tutti gli angeli, messaggeri del Signore.
Gli angeli, secondo tutta la tradizione biblica, riassunta nella Lettera agli Ebrei, «sono spiriti inviati da Dio al servizio di coloro che devono ereditare la salvezza» (Eb 1,14). A loro, nella prima come nella nuova alleanza, Dio affida il compito di trasmettere la sua volontà al popolo d'Israele o a uomini da lui prescelti per una missione particolare. Certo, Paolo ricorda che «uno solo è Dio e uno solo il mediatore fra Dio e gli uomini: l'uomo Cristo Gesù» (1Tm 2,5), tuttavia le chiese cristiane hanno fin da principio riconosciuto un ruolo ai messaggeri di Dio nell'economia del Verbo: nel Nuovo Testamento è agli angeli che viene affidato l'incarico di annunciare l'incarnazione del Figlio di Dio, di custodirne il cammino terreno, di proclamarne la resurrezione, di spiegame l'ascensione, di accompagnarne il ritorno glorioso. Secondo la testimonianza degli antichi testi eucaristici d'oriente e d'occidente, i messaggeri di Dio celebrano alla presenza del Signore un'ininterrotta liturgia celeste, alla quale la liturgia della chiesa sulla terra non fa che unirsi per proclamare Dio tre volte Santo.

Tracce di lettura

La mediazione non è sostanzialmente più necessaria, là dove il Figlio ha il Padre presso di sé e dimora anzi nel seno del Padre e agisce a partire dal proprio vedere, ascoltare e toccare il Padre, in forza della propria potestà ricevuta direttamente dal Padre. E tuttavia gli angeli non possono mancare, in primo luogo perché fanno parte della gloria celeste del Figlio dell'uomo, ma in secondo luogo e soprattutto perché devono rendere visibile il carattere sociale del regno dei cieli, nel quale il cosmo dev'essere trasformato. Non deve sorgere l'impressione che il regno che il Figlio è venuto a fondare e che certamente incarna nella sua totalità (come autobasileía), sia un luogo solitario nell'assoluto. Piuttosto questo luogo in Dio, al quale devono essere condotti i redenti della terra, è fin dall'inizio «la città del Dio vivente, la Gerusalemme celeste», con le sue innumerevoli schiere di angeli, la comunità festosa dei primi nati. (H. U. von Balthasar,  Gloria I. La percezione della forma)

- Dal Martirologio ecumenico della Comunità monastica di Bose

Preghiera

Dio onnipotente ed eterno che hai e costituito il servizio degli angeli e degli uomini in un ordine meraviglioso, concedici, ti supplichiamo, che come gli Angeli santi ti offrono un perpetuo servizio nei cieli, allo stesso, modo, secondo l'incarico che gli hai affidato, possano soccorrerci e difenderci sulla terra. Per Gesù Cristo, nostro Signore. (The Book of Common prayer)




Chiesa di San Michele arcangelo, Amburgo

1 Minute Gospel. A wonderful order

Reading

John 1:47-51

47 When Jesus saw Nathanael approaching, he said of him, “Here truly is an Israelite in whom there is no deceit.”
48 “How do you know me?” Nathanael asked.
Jesus answered, “I saw you while you were still under the fig tree before Philip called you.”
49 Then Nathanael declared, “Rabbi, you are the Son of God; you are the king of Israel.”
50 Jesus said, “You believe because I told you I saw you under the fig tree. You will see greater things than that.” 51 He then added, “Very truly I tell you, you will see ‘heaven open, and the angels of God ascending and descending on’ the Son of Man.”

Comment

The angels, heavenly "messengers" (Gr. Anghelos; Heb. Malak), are present in several pages of the Old Testament and we also find them in some crucial moments in the life of Jesus; in particular, in the desert, after he had overcome the temptations of the devil - "angels attended him" (Mk 1:13) - and before his passion, during the prayer in the garden of olives - "An angel from heaven appeared to him and strengthened him"(Lk 22:43). Subsequently, they act as custodians of his tomb, announcing his resurrection to the women of Jesus' entourage.

In the Gospel passage in which John reports the dialogue between Jesus and Nathanael, is recalled the vision of Jacob's ladder (Gen 28:10-22). The patriarch was fleeing from his brother Esau, to go and take refuge with his uncle Laban; Jacob dreamed of a ladder that extended from the earth to heaven and the angels ascended and descended upon it; God spoke to him, promising him the land on which he was sleeping, an offspring as numerous as the sand of the sea, the blessing in him of all the families of the earth. This blessing is realized in Christ, who is the true mediator between God and men, himself "ladder" through which the angels descend to administer the grace of God on earth and go back to God, carrying the petitions of the Church.

Far from representing the remnant of mythological beliefs, angels in the Scriptures are spiritual beings created by God, placed in his service and in the service of man. Their action as messengers is attested in the New Testament in the account of the Annunciation to Mary, in the invitation to the shepherds to go and worship the newborn Messiah in Bethlehem, in the dream warning to Joseph to flee to Egypt to save the baby Jesus from Herod. In the Acts of the Apostles, we witness Peter's release from prison by an angel.

The Jewish and Christian worship of the early church does not provide for the adoration of angels, as we read in the book of Revelation: "I, John, am the one who heard and saw these things. And when I had heard and seen them, I fell down to worship at the feet of the angel who had been showing them to me. But he said to me, “Don’t do that! I am a fellow servant with you and with your fellow prophets and with all who keep the words of this scroll. Worship God!”" (Rev 22:8-9). But at the moment in which we entrust ourselves to God, we are confident that he assists us through intelligent and spiritual powers, which serve him and give him praise in heaven and help and defend us on earth, in the name of Jesus Christ. For this reason, with the psalmist, we raise our praise to him: "Praise him, all his angels; praise him, all his heavenly hosts" (Ps 148:2).

Prayer

Almighty God, you have ordained and established the service of angels and men in a wonderful order; graciously grant that just as the angels always serve you in Heaven, they may, by your assignment, help us and defend us on earth. For Jesus Christ, our Lord. Amen.

- Rev. Dr. Luca Vona



Fermati 1 minuto. Un ordine meraviglioso

Lettura

Giovanni 1,47-51

47 Gesù intanto, visto Natanaèle che gli veniva incontro, disse di lui: «Ecco davvero un Israelita in cui non c'è falsità». 48 Natanaèle gli domandò: «Come mi conosci?». Gli rispose Gesù: «Prima che Filippo ti chiamasse, io ti ho visto quando eri sotto il fico». 49 Gli replicò Natanaèle: «Rabbì, tu sei il Figlio di Dio, tu sei il re d'Israele!». 50 Gli rispose Gesù: «Perché ti ho detto che ti avevo visto sotto il fico, credi? Vedrai cose maggiori di queste!». 51 Poi gli disse: «In verità, in verità vi dico: vedrete il cielo aperto e gli angeli di Dio salire e scendere sul Figlio dell'uomo».

Commento

Gli angeli, "messaggeri" (gr. anghelos; ebr. malak) celesti, sono presenti in diverse pagine dell'Antico testamento e li troviamo anche in alcuni momenti cruciali della vita di Gesù; in particolare, nel deserto, dopo che egli ha vinto le tentazioni del demonio - "gli angeli lo servivano" (Mc 1,13) - e prima della sua passione, durante la preghiera nell'orto degli ulivi - "gli apparve un angelo dal cielo a confortarlo"(Lc 22,43). Successivamente, fanno da custodi alla sua tomba, annunciando alle donne del seguito di Gesù la sua risurrezione. 

Nel passo evangelico in cui Giovanni riporta il dialogo tra Gesù e Natanaèle viene richiamata la visione della scala di Giacobbe (Gen 28,10-22). In quel frangente il patriarca stava fuggendo dal fratello Esaù, per andarsi a rifugiare dallo zio Labano; Giacobbe sognò una scala che dalla terra si protendeva fino al cielo e gli angeli salivano e scendevano sopra di essa; Dio gli parlava, promettendogli la terra sulla quale stava dormendo, una discendenza numerosa come la sabbia del mare, la benedizione in lui di tutte le famiglie della terra. Tale benedizione si realizza in Cristo, il quale è il vero mediatore tra Dio e gli uomini, egli stesso "scala" attraverso la quale gli angeli discendono ad amministrare la grazia di Dio sulla terra e risalgono a Dio, portando le suppliche della Chiesa. 

Gli angeli nelle Scritture sono esseri spirituali creati da Dio, posti al suo servizio e a servizio dell'uomo. La loro azione di messaggeri è attestata nel Nuovo testamento nel racconto dell'annunciazione a Maria, nell'invito ai pastori ad andare ad adorare il Messia appena nato a Betlemme, nell'avvertimento in sogno a Giuseppe di fuggire in Egitto per salvare il bambino Gesù da Erode. Negli Atti degli apostoli assistiamo alla liberazione di Pietro dalla prigione per opera di un angelo. 

Il culto ebraico e quello cristiano della chiesa primitiva non prevede l'adorazione degli angeli, come leggiamo nel libro dell'Apocalisse: "Udite e vedute che le ebbi, mi prostrai in adorazione ai piedi dell'angelo che me le aveva mostrate. Ma egli mi disse: «Guardati dal farlo! Io sono un servo di Dio come te e i tuoi fratelli, i profeti, e come coloro che custodiscono le parole di questo libro. È Dio che devi adorare»" (Ap 22,8-9). Ma nel momento in cui ci affidiamo a Dio siamo certi che egli ci assiste mediante intelligenze e potenze spirituali, che lo servono e gli danno lode in cielo e ci soccorrono e difendono sulla terra, nel nome di Gesù Cristo. Per questo, con il salmista, innalziamo a lui la nostra lode: "Lodatelo, voi tutti, suoi angeli, lodatelo, voi tutte, sue schiere" (Sal 148, 2).

Preghiera

Dio onnipotente, che hai ordinato e stabilito il servizio degli angeli e degli uomini in un ordine meraviglioso; concedi misericordioso che così come gli angeli ti servono sempre in Cielo, possano, per tuo incarico, soccorrerci e difenderci sulla terra. Per Gesù Cristo, nostro Signore. Amen.

- Rev. Dr. Luca Vona

mercoledì 28 settembre 2022

1 Minute Gospel. The plowman who looks back

Reading

Luke 9:57-62

57 As they were walking along the road, a man said to him, “I will follow you wherever you go.”
58 Jesus replied, “Foxes have dens and birds have nests, but the Son of Man has no place to lay his head.”
59 He said to another man, “Follow me.”
But he replied, “Lord, first let me go and bury my father.”
60 Jesus said to him, “Let the dead bury their own dead, but you go and proclaim the kingdom of God.”
61 Still another said, “I will follow you, Lord; but first let me go back and say goodbye to my family.”
62 Jesus replied, “No one who puts a hand to the plow and looks back is fit for service in the kingdom of God.”

Comment

In this passage, which has a parallel in Matthew (Mt 8:18-22), the Evangelist Luke refers to three different ways of replying to the call of Jesus.

The first protagonist who enters the scene is a "volunteer", who approaches the Lord while he is on the road. Matthew tells us that he was a scribe, therefore a person used to living in comfort. In the hasty offering of himself, he seems not to realize the costs of discipleship which, far from offering a high social position and economic security, exposes to uncertainty and great sacrifices.

All of Christ's activity will almost always be misunderstood by the doctors of the law, who expected a Messiah who would establish a strong and prosperous earthly kingdom. For this, he will often clash with misunderstanding while preaching the gospel and even more in the event of his passion. From the Son of God, from the Son of man, to use a messianic expression (cf. Dn 7:13-14) that Christ often applies to himself was expected a manifestation of power and glory.

A second aspiring disciple is a young man, called directly by Jesus ("Follow me"; v. 59). He is eager to accept the invitation but first wishes to take care of his father, postponing discipleship after his death. The words of the young man are in fact a Semitism that certainly does not indicate the celebration of his father's funeral - if he had died that day the young man would not have even been there where he was, as it is mandatory for Jewish law to celebrate funerals on the day of death - but it meant looking after the elderly father until his death. The young man, therefore, expected his father's death, and probably also to receive his inheritance. Clearly, such an approach to discipleship can only find the Lord's reprobation.

The third "candidate" offers himself to Jesus but asks to first take leave of his relatives. Jesus understands that this man's heart is still torn between the world and the demands of the kingdom of God: the plowman who does not look ahead while plowing can only trace crooked furrows.

The words of this Gospel page do not concern only those who consecrate themselves to a particular ministry in the Church, but every baptized person, who as such is invested with the sacerdotal, royal, and prophetic ministry of Christ. He cannot find us hesitant. Welcoming the gospel means discovering in it the joy in the simplicity and newness of life, in which the apostle puts himself completely into the hands of the heavenly Father.

Prayer

Remove, o Lord, from our lives and our hearts, what stands in the way of your grace, and make us preachers of the kingdom, not with a mercenary spirit but for the sake of your Name. Amen.

- Rev. Dr. Luca Vona


Fermati 1 minuto. L'aratore che si volge indietro

Lettura

Luca 9,57-62

57 Mentre andavano per la strada, un tale gli disse: «Ti seguirò dovunque tu vada». 58 Gesù gli rispose: «Le volpi hanno le loro tane e gli uccelli del cielo i loro nidi, ma il Figlio dell'uomo non ha dove posare il capo». 59 A un altro disse: «Seguimi». E costui rispose: «Signore, concedimi di andare a seppellire prima mio padre». 60 Gesù replicò: «Lascia che i morti seppelliscano i loro morti; tu va' e annunzia il regno di Dio». 61 Un altro disse: «Ti seguirò, Signore, ma prima lascia che io mi congedi da quelli di casa». 62 Ma Gesù gli rispose: «Nessuno che ha messo mano all'aratro e poi si volge indietro, è adatto per il regno di Dio».

Commento

In questo brano, che ha un parallelo in Matteo (Mt 8,18-22), l'evangelista Luca ci riferisce tre modi diversi di porsi verso la sequela di Gesù. 

Il primo protagonista che entra in scena è un "volontario", che avvicina il Signore mentre questi è per la strada. Matteo ci riferisce che si trattava di uno scriba, dunque di una persona abituata a vivere nell'agiatezza. Nell'offerta precipitosa di sé egli sembra non rendersi conto dei costi del discepolato che, lungi dall'offrire una posizione sociale elevata e sicurezze economiche, espone all'incertezza e a grandi sacrifici. 

Tutta l'attività di Cristo sarà quasi sempre fraintesa dai dottori della legge, i quali si attendevano un Messia che avrebbe instaurato un regno terreno forte e prospero. Per questo egli si scontrerà spesso con l'incomprensione predicando il vangelo e ancora più nell'evento della sua passione. Dal Figlio di Dio, dal Figlio dell'uomo, per utilizzare una espressione messianica (cfr. Dn 7,13-14) che Cristo spesso applica a sé, ci si aspettava una manifestazione di potenza e gloria.

Il secondo aspirante discepolo è un giovane, chiamato direttamente da Gesù («Seguimi»; v. 59). Costui è desideroso di accogliere l'invito ma desidera prima occuparsi del padre, rimandando il discepolato dopo la morte di questi. Le parole del giovane sono infatti un semitismo che non indica certamente la celebrazione del funerale del padre - se fose morto quel giorno il giovane non si sarebbe trovato neanche lì dove stava, essendo obbligatorio per la legge ebraica a celebrare i funerali il giorno stesso della morte - ma significava l'occuparsi del padre anziano fino alla sua  morte. Il giovane dunque, aspettava la morte del padre, e probabilmente anche di riceverne l'eredità. Chiaramente un simile approccio al discepolato non può che trovare la riprovazione del Signore. 

Il terzo "candidato" si offre a Gesù ma chiede di potersi prima congedare dai suoi parenti. Gesù capisce che il cuore di quest'uomo è ancora diviso tra il mondo e le esigenze del regno di Dio: l'aratore che non guarda avanti mentre ara non può che tracciare solchi storti. 

Le parole di questa pagina evangelica non riguardano soltanto chi si consacra a un ministero particolare nella chiesa, ma ogni battezzato, che in quanto tale è rivestito del ministero sacerdotale, regale e profetico di Cristo. Questi non può trovarci esitanti. Accogliere il vangelo significa scoprire in esso la gioia nella semplicità e novità di vita, in cui l'apostolo si rimette completamente nelle mani del Padre celeste.

Preghiera

Rimuovi, Signore, dalle nostre vite e dai nostri cuori, quanto si frappone alla tua grazia e rendici predicatori del regno, non per spirito mercenario ma per amore del tuo Nome. Amen.

- Rev. Dr. Luca Vona

martedì 27 settembre 2022

Vincenzo de Paoli. Trasmettere il fuoco ai cuori degli uomini

La Chiesa Cattolica, i Luterani e gli Anglicani celebrano oggi la memoria di Vincenzo de Paoli.

Il 27 settembre del 1660 si spegne serenamente a Parigi Vincenzo de Paoli (Vincent Depaul), fondatore della Congregazione della Missione e di una miriade di attività caritative a favore dei poveri e degli emarginati. Vincent era nato nel 1581 nel borgo rurale di Pouy, nei pressi di Dax (sud-ovest della Francia). L'infanzia di povero contadino, alla quale pure egli sembrò ribellarsi a un certo punto della sua vita, ebbe una profonda influenza sulla sua spiritualità. Avviato al sacerdozio per consentirgli di migliorare la propria condizione sociale, il giovane Vincent, ordinato presbitero a soli 19 anni, attraversò diverse peripezie prima di approdare a Parigi nel 1608. Nella capitale francese egli fu segnato dall'incontro con il cardinale de Bérulle, che lo aiutò a riscoprire la gioia profonda che deriva dalla povertà materiale e spirituale. Ritrovata la pace, Vincent fu nominato cappellano generale delle galere francesi, e soprattutto incontrò il disperato bisogno di misericordia dei poveri delle campagne. Da quel momento egli farà di tutto per recare ai poveri il lieto annuncio dell'amore senza limiti del Dio rivelato da Gesù Cristo. Per promuovere l'evangelizzazione delle campagne Vincent diede vita a «confraternite di carità» e a numerose missioni popolari. A questo scopo egli favorì la creazione di seminari maggiori per la formazione di presbiteri preparati e maturi.
Nel 1625, anche grazie all'incontro che Vincent ebbe con François de Sales, fu ufficialmente fondata la Congregazione della Missione, detta dei Vincenziani o dei Lazzaristi perché sorta attorno al priorato parigino di Saint-Lazare. Alla morte di Vincent Depaul, i lazzaristi, che per statuto continuavano a rimanere presbiteri diocesani, erano ormai più di 130, con 25 case in tutta l'Europa.

Tracce di lettura

La nostra vocazione è di andare non in una parrocchia, e neppure soltanto di visitare il territorio di una diocesi, ma di percorrere tutta la terra. E che dobbiamo fare? Trasmettere il fuoco ai cuori degli uomini, fare ciò che ha fatto il Figlio di Dio, lui che è venuto a portare il fuoco sulla terra per infiammarla con il suo amore. Che altro potremo perciò desiderare, se non che arda sino a consumarsi?
Dunque è ben vero che io sono inviato non solo per amare Dio, ma per farlo amare. Non mi basta amare Dio se il mio prossimo non è preso anch'egli dal suo amore.
(Vincenzo de Paoli, Ai preti della missione)

- Dal Martirologio ecumenico della Comunità monastica di Bose

Vincenzo de Paoli (1581-1660)

Fermati 1 minuto. Sottrarsi alle logiche del mondo

Lettura

Luca 9,51-56

51 Mentre stavano compiendosi i giorni in cui sarebbe stato tolto dal mondo, si diresse decisamente verso Gerusalemme 52 e mandò avanti dei messaggeri. Questi si incamminarono ed entrarono in un villaggio di Samaritani per fare i preparativi per lui. 53 Ma essi non vollero riceverlo, perché era diretto verso Gerusalemme. 54 Quando videro ciò, i discepoli Giacomo e Giovanni dissero: «Signore, vuoi che diciamo che scenda un fuoco dal cielo e li consumi?». 55 Ma Gesù si voltò e li rimproverò. 56 E si avviarono verso un altro villaggio.

Commento

Come già all'inizio del ministero in Galilea, anche il viaggio di Gesù verso Gerusalemme, che conclude la sua parabola terrena, comincia con un rifiuto, da parte dei Samaritani.

Ma si tratta solo in apparenza di una parabola discendente, perché il rifiuto, la passione e la morte di Gesù segnano il principio della sua "assunzione", come suggerisce il verbo greco analèmpis (sollevamento, innalzamento), utilizzato per indicare il suo "essere tolto" dal mondo.

La risolutezza con cui Gesù si dirige verso Gerusalemme, letteralmente "indurendo il suo volto" (gr. prosòpon estèrisen) richiama la stessa espressione semitica utilizzata nel libro di Isaia per descrivere l'atteggiamento del servo sofferente: "rendo la mia faccia dura come pietra" (Is 50,7).

I messaggeri inviati da Gesù hanno il compito di trovare un posto per dormire e qualcosa da mangiare a Gerusalemme, dove Gesù celebrerà la pasqua. Il rifiuto espresso dai samaritani è motivato dal fatto che Gesù "era diretto verso Gerusalemme", città per la quale essi nutrivano un'antica ostilità. I samaritani, abitanti di una regione centrale della Palestina, si erano mescolati in tempi lontani con le popolazioni importate in quella terra dagli assiri e avevano elaborato un culto ibrido tra giudaismo e paganesimo, con un suo tempio nel monte Gerizim; per questo, al ritorno degli ebrei dall'esilio babilonese (VI sec. a. C.) furono da questi respinti come "impuri".

Il linguaggio di Giacomo e Giovanni (v. 55) richiama il secondo libro dei Re, in cui Elia per due volte chiama il fuodo dal cielo per distruggere i suoi avversari (2 Re 1,10.12). Il rimprovero di Gesù è reso con la parola greca epitìmesen, che indica il "vincere con un comando", minacciare, richiamando i suoi esorcismi, in quanto i due discepoli si oppongono al suo cammino verso la croce proponendogli una visione trionfalistica del messianismo. 

Di fronte al rifiuto dei samaritani Gesù sceglie semplicemente di cambiare strada. A volte la migliore testimonianza nei confronti dell'ostilità del mondo al messaggio evangelico è di sottrarsi alle sue logiche, alla sua influenza - evèrtere, più che sovvertire -, perseverando sulla via che conduce al compimento della volontà del Padre.

Preghiera

Guidaci, Signore, sulle vie della mitezza, affinché anche i tuoi nemici possano diventare per noi campo di missione, mediante la predicazione del tuo vangelo con le parole e con la testimonianza di vita. Amen.

- Rev. Dr. Luca Vona

lunedì 26 settembre 2022

Fermati 1 minuto. Accogliere un Dio che si fa bambino

Lettura

Luca 9,46-50

46 Frattanto sorse una discussione tra loro, chi di essi fosse il più grande. 47 Allora Gesù, conoscendo il pensiero del loro cuore, prese un fanciullo, se lo mise vicino e disse: 48 «Chi accoglie questo fanciullo nel mio nome, accoglie me; e chi accoglie me, accoglie colui che mi ha mandato. Poiché chi è il più piccolo tra tutti voi, questi è grande». 49 Giovanni prese la parola dicendo: «Maestro, abbiamo visto un tale che scacciava demòni nel tuo nome e glielo abbiamo impedito, perché non è con noi tra i tuoi seguaci». 50 Ma Gesù gli rispose: «Non glielo impedite, perché chi non è contro di voi, è per voi».

Commento

Gesù ha appena annunciato l'approssimarsi della sua passione, ma i discepoli non hanno compreso e sono impauriti. (Lc 9,44-45); non riescono a cogliere la grandezza del sacrificio che si sta per compiere e si mettono a discutere tra di loro su chi sia il più grande. 

Capita anche a noi credenti, come individui, e forse ancor più alle chiese, come istituzioni religiose: una tendenza all'autoreferenzialità, a sentirsi depositari della vera ortodossia e ortoprassi. Così l'unica Chiesa di Cristo si è frammentata nei secoli in decine, centinaia, di denominazioni, lacerando il suo Corpo mistico e rinnovando nella storia la sua passione. 

Proprio Giovanni, l'evangelista che più di tutti insiste sulla natura di Dio come amore, pone a Gesù il quesito se sia giusto che uno "che non è con noi tra i tuoi seguaci" scacci i demòni nel nome di Gesù. Ma il Signore, che aveva invitato a giudicare l'albero dai frutti, respinge ogni settarismo. 

Gesù prende un bambino, se lo mette vicino (v. 47) e lo addita come esempio per chi vuole essere grande tra i discepoli. Un bambino è totalmente dipendente dai genitori e così il vero discepolo deve tenere a mente che nulla può fare senza la grazia che opera in lui. 

Gesù, che non considerando un tesoro geloso la sua uguaglianza con Dio si è fatto obbediente fino alla morte (Fil 2,6-8), rivela lo stretto legame tra l'incarnazione e la passione, tra la culla e la croce. 

Il parallelo che egli pone tra la sua natura e quella di un fanciullo mostra un Dio che si fa bisognoso delle nostre cure, per non "scomparire" tra le malvagità del mondo e che ci chiama a custodire il dono fragile e prezioso che abbiamo ricevuto.

Preghiera

Donaci l'umiltà, Signore, per superare le divisioni ed operare nel tuo nome contro il male. La tua grazia ci trovi sempre docili all'azione dello Spirito, affinché possiamo crescere in santità e giustizia davanti ai tuoi occhi. Amen.

- Rev. Dr. Luca Vona

domenica 25 settembre 2022

A master who takes care of us

COMMENT ON THE LITURGY OF THE FOURTEENTH SUNDAY AFTER TRINITY

Collect

Almighty and everlasting God, give unto us the increase of faith, hope, and charity; and, that we may obtain that which thou dost promise, make us to love that which thou dost command; through Jesus Christ our Lord. Amen.

Readings

Gal 5:16-24; Lc 17:11-19

Comment

Jesus is on the borders of Israel, between Samaria and Judea, in a territory with a mixed population, partly of Jewish ethnicity, partly of foreign ethnic groups. The Samaritans, as well as coming from different nationalities, practiced a syncretic cult in a temple on Mount Gerizim; their religiosity held the Pantateuch in great consideration but combined the fear for the biblical God with the cult of pagan idols. For these reasons they were greatly despised by the people of Israel.

The same fate of the disease had united the lepers who were the protagonists of this Gospel episode - partly Jews and partly Samaritans - in a life outside of society. In fact, the lepers had to follow specific provisions of the Levitical law (Lv 13), live outside the cities and keep at a great distance from those they would meet, loudly announcing their own impurity.

At the sight of Jesus their cry of pain turns towards him, who is recognized not as a simple didàskalos, "teacher", but as a "master", epistàta (cf. Lk 5: 5), one who cares of his pupils; this title in the Gospel of Luke is normally attributed to him by the disciples.

Jesus performs the healing but asks the lepers to first go and show themselves to the priests. In fact, the law has not yet been abolished, the veil of the temple has not yet been torn by his death. The lepers heal along the way, but only one goes back to thank Jesus and, having prostate, recognizes his divinity.

Why did the other nine not return to glorify the one from whom they had begged for healing? Perhaps they considered it to be owing, they attributed the miracle performed by Jesus to their own merits. They show themselves as those who have escaped the danger but lack of gratitude.

We too risk being ready to turn to God with faith in difficulties, but we often forget to thank him when our prayers are answered. How much space is there in our prayer for supplication and how much for praise?

Jesus invites the Samaritan to stand up and proclaims his salvation by faith. Not only was he healed of an illness that kept him out of civil society, but he was spiritually enlightened by grace by recognizing Jesus as Lord.

Christ purifies us from those sins and from those wounds that keep us separate from fraternal communion, he does not look at our past history and makes no distinctions. On the other hand, as Paul notes in his letter to the Galatians: "The promises were spoken to Abraham and to his seed. Scripture does not say “and to seeds,” meaning many people, but “and to your seed,” meaning one person, who is Christ" (Gal 3:16). In Christ we are saved, not by law, but by the promise made to Abraham, patriarch of inheritance as numerous as the sand of the sea.

- Rev. Dr. Luca Vona



Un maestro che si prende cura

COMMENTO ALLA LITURGIA DELLA QUATTORDICESIMA DOMENICA
DOPO LA TRINITÀ

Colletta

Dio onnipotente ed eterno, accresci in noi la fede, la speranza e la carità; affinché possiamo ottenere ciò che hai promesso, compiendo ciò che hai comandato. Per Gesù Cristo nostro Signore. Amen.

Letture

Gal 5,16-24; Lc 17,11-19

Commento

Gesù si trova ai limiti di Israele, tra la Samaria e la Giudea, in un territorio a popolazione mista, in parte di etnia ebraica, in parte di etnie straniere. I samaritani, oltre che provenire da diverse nazionalità, praticavano un culto sincretico in un tempio sul Monte Gherizim; la loro religiosità teneva in gran considerazione il Pantateuco ma affiancava al timore per il Dio biblico il culto di idoli pagani. Per tali ragioni erano grandemente disprezzati dal popolo di Israele.

La comune sorte della malattia aveva unito i lebbrosi protagonisti di questo episodio evangelico, in parte ebrei e in parte samaritani, nella vita al di fuori della società. I lebbrosi infatti dovevano seguire precise disposizioni della legge levitica (Lv 13), abitare fuori dalle città e mantenersi ad ampia distanza da chi avrebbero incontrato, annunciando a gran voce la propria impurità.

Alla vista di Gesù il loro grido di dolore si volge verso di lui, che viene riconosciuto non come semplice didàskalos, "insegnante", ma come "maestro", epistàta (cfr. Lc 5,5), cioè come colui che si prende cura dei suoi allievi; questo titolo nel Vangelo di Luca gli è attribuito normalmente dai discepoli.

Gesù compie la guarigione ma chiede ai lebbrosi di andare prima a mostrarsi ai sacerdoti. La legge infatti non è stata ancora abolita, il velo del tempio non è stato ancora squarciato dalla sua morte. I lebbrosi guariscono strada facendo, ma solo uno torna indietro a ringraziare Gesù e, prostatosi, ne riconosce la natura divina. 

Gli altri nove, perché non sono tornati a glorificare colui dal quale avevano implorato la guarigione? Forse la ritenevano come dovuta, attribuivano ai propri meriti il miracolo compiuto da Gesù. Si mostrano come coloro che scampato il pericolo, mancano di gratitudine. 

Anche noi rischiamo di essere pronti a ricorrere a Dio con fede nelle difficoltà, ma spesso ci dimentichiamo di ringraziarlo quando le nostre preghiere vengono esaudite. Quanto spazio vi è nella nostra preghiera per la supplica e quanto per la lode?

Gesù invita il samaritano ad alzarsi e ne proclama la salvezza per fede. Questi non solo è guarito da un male che lo teneva al di fuori della società civile, ma è stato illuminato spiritualmente dalla grazia riconoscendo Gesù come Signore.

Cristo ci purifica da quei peccati e da quelle ferite che ci tengono separati dalla comunione fraterna, non guarda alla nostra storia passata e non fa distinzioni. D'altronde, come nota Paolo nella sua lettera ai Galati: "le promesse furono fatte ad Abrahamo e alla sua discendenza: non dice «E alle discendenze» come se si trattasse di molte, ma come di una sola: «E alla tua discendenza», cioè Cristo" (Gal 3,16). In Cristo siamo salvati, non mediante la legge, ma mediante la promessa fatta ad Abramo, patriarca di un'eredità numerosa come la sabbia del mare.

- Rev. Dr. Luca Vona

giovedì 22 settembre 2022

1 Minute Gospel. We see what we are looking for

Reading

Luke 9:7-9

7 Now Herod the tetrarch heard about all that was going on. And he was perplexed because some were saying that John had been raised from the dead, 8 others that Elijah had appeared, and still others that one of the prophets of long ago had come back to life. 9 But Herod said, “I beheaded John. Who, then, is this I hear such things about?” And he tried to see him.

Comment

The fame of Jesus has spread from his earthly days to today to every corner of the earth, but how many can really recognize him for what he is? Herod's interest in Jesus narrated by the evangelist Luke prepares what the tetrarch will show during the passion. He, who killed John the Baptist, will later try to kill Jesus too (Lk 31:33), and when he is sent to him by Pilate to be judged, Herod will rejoice because "he was greatly pleased, because for a long time he had been wanting to see him. From what he had heard about him, he hoped to see him perform a sign of some sort" (Lk 23:8).

Faced with the silence of Jesus, who does not comply with this request, Herod will react by making him insult and mocked by his soldiers and sending him back to Pilate. Herod is confused about the identity of Jesus because his curiosity keeps him at a superficial level of understanding; he tries to see it, but only to satisfy the desire to witness some prodigy.

Herod does not care about the search for truth, goodness, and justice of God. For this reason, the incarnate truth withdraws from him, not revealing his own nature and his own power. The relationship between Jesus and Herod attests to the fact that what we find in Jesus depends on what we are looking for.

Thus Nicodemus finds in him the truth he sought in the Scriptures; the scribes and Pharisees who are hostile to him believe they are facing an impostor and a blasphemer; Pilate sees in him an innocent man but is unable to go further; while the centurion who witnesses his death exclaims «Surely he was the Son of God!» (Mt 27:54).

The idea we have of Jesus is fundamental in the relationship we establish with him, for this reason, he asks the Twelve: «Who do you say I am?»; «God’s Messiah» (Lk 9:20), replies Peter, speaking in the name of the disciples, and of all those whose eyes are opened to understanding through faith.

Prayer

The knowledge of you, o Lord, may satisfy our desire for truth and justice, so that we become your disciples in the world, bearing witness to the incarnate Son of God. Amen.

- Rev. Dr. Luca Vona



Fermati 1 minuto. Vediamo quel che cerchiamo

Lettura

Luca 9,7-9

7 Intanto il tetrarca Erode sentì parlare di tutti questi avvenimenti e non sapeva che cosa pensare, perché alcuni dicevano: «Giovanni è risuscitato dai morti», 8 altri: «È apparso Elia», e altri ancora: «È risorto uno degli antichi profeti». 9 Ma Erode diceva: «Giovanni l'ho fatto decapitare io; chi è dunque costui, del quale sento dire tali cose?». E cercava di vederlo.

Commento

La fama di Gesù si è diffusa dai suoi giorni terreni a oggi fino a ogni angolo della terra, ma quanti riescono davvero a riconoscerlo per quello che egli è? L'interesse di Erode verso Gesù narrato dall'evangelista Luca prepara quello che il tetrarca mostrerà durante la passione. Egli, che ha ucciso Giovanni il Battista, cercherà in seguito di uccidere anche Gesù (Lc 31,33), e quando questi verrà a lui inviato da Pilato per essere giudicato, Erode si rallegrerà "perché da molto tempo desiderava vederlo per averne sentito parlare e sperava di vedere qualche miracolo fatto da lui" (Lc 23,8). 

Di fronte al silenzio di Gesù, che non accondiscende a tale richiesta, Erode reagirà facendolo insultare e schernire dai suoi soldati e rimandandolo da Pilato. Erode è confuso in merito all'identità di Gesù, perché la sua curiosità lo fa restare a un livello superficiale di comprensione; cerca di vederlo, ma unicamente per appagare il desiderio di assistere a qualche prodigio. 

A Erode non interessa niente della ricerca della verità, della bontà, della giustizia di Dio. Per questo la verità incarnata si sottrae a lui, non disvelando la propria natura e la propria potenza. Il rapporto tra Gesù ed Erode attesta il fatto che ciò che troveremo in Gesù dipende da ciò che stiamo cercando. 

Così Nicodemo trova in lui la verità che cercava nelle Scritture; gli scribi e i farisei che gli sono ostili credono di avere di fronte un impostore e un bestemmiatore; Pilato vede in lui un uomo innocente ma non riesce ad andare oltre; mentre il centurione che assiste alla sua morte escalama «Davvero costui era Figlio di Dio!» (Mt 27,54). 

L'idea che abbiamo di Gesù è fondamentale nella relazione che stabiliamo con lui, per questo egli domanda rivolto ai Dodici: «Ma voi chi dite che io sia?»; «Il Cristo di Dio» (Lc 9,20), risponde Pietro, prendendo la parola a nome dei discepoli, e di tutti coloro i cui occhi si aprono alla comprensione mediante la fede.

Preghiera

La conoscenza di te, Signore, possa appagare il nostro desiderio di verità e giustizia, per essere tuoi discepoli nel mondo, testimoniando il Figlio di Dio che si è incarnato, è morto e risorto per noi. Amen.

- Rev. Dr. Luca Vona

mercoledì 21 settembre 2022

1 Minute Gospel. Jesus, doctor and medicine for our souls

Reading

Matthew 9:9-13

9 As Jesus went on from there, he saw a man named Matthew sitting at the tax collector’s booth. “Follow me,” he told him, and Matthew got up and followed him.
10 While Jesus was having dinner at Matthew’s house, many tax collectors and sinners came and ate with him and his disciples. 11 When the Pharisees saw this, they asked his disciples, “Why does your teacher eat with tax collectors and sinners?”
12 On hearing this, Jesus said, “It is not the healthy who need a doctor, but the sick. 13 But go and learn what this means: ‘I desire mercy, not sacrifice.’ For I have not come to call the righteous, but sinners.”

Comment

Among the most despised people in Jewish society in Jesus' day were the tax collectors, because they not only kept part of the sums collected for themselves but worked directly for the Roman rulers.

Jesus calls Matthew (Mark and Luke refer to this tax collector as Levi) while he is still in sin. The one pronounced by Jesus is a single word, declined to the imperative: "Follow me". Matthew's response is instantaneous, he "got up and followed him". There is no rhetorical artifice in Jesus' call: a single word is capable of persuading and transforming reality, as we see in many of his healings, deliveries from demons, and the miracles of resurrection (Lazarus and the daughter of Jairus).

His word is an efficacious word. The answer of the true disciple is also unconditional: Matthew neither discusses nor goes away saddened like the young man who had asked Jesus what he should have done to obtain eternal life but did not feel like giving away his wealth (Mt 19:22 ). Perhaps Matthew had listened to the preaching of the Baptist or had heard of Jesus, but when Jesus passes in person in front of him and calls him he is immediately fascinated.

After the conversion follows the image of the banquet, probably prepared in the home of Matthew himself, together with other tax collectors. The banquet in the ancient east was a symbol of a deep sharing of souls among the guests. For this reason, the Pharisees murmur and are scandalized by the familiarity that Jesus shows towards sinners. And here the Lord defines sin as a disease, a reality that cannot be simply condemned but must be healed; and implicitly he presents himself as a doctor and medicine.

He asks us for a similar attitude, recalling the words of the prophet Hosea: "I desire mercy, not sacrifice" (Hos 6:6). The banquet following Matthew's conversion recalls what follows the return of the prodigal son in the parable dedicated to him. Jesus promised for those who love him to dine with him (Rev 3:20) and take up residence with him (Jn 14:23); Will his word capture our hearts or find it closed to his mercy?

Prayer

O Lord Jesus Christ who called us from the death of sin to life in grace, grant us to rejoice with you and to share the gift of your salvation with every man. Amen

- Rev. Dr. Luca Vona


Matteo evangelista e Gesù come nuovo Mosè

Oggi le chiese d'oriente e d'occidente ricordano Matteo, apostolo ed evangelista.
Levi-Matteo, figlio di Alfeo, era un esattore delle tasse a Cafarnao. Chiamato da Gesù alla sua sequela, egli fu tra coloro che lasciarono tutto - casa, fratelli e sorelle, padre e madre, amici, lavoro e beni - per andare dietro al Signore. Gli evangeli raccontano che Matteo il pubblicano diede un banchetto d'addio per i suoi amici, pubblicani e peccatori come lui, e che Gesù si recò a casa sua e pranzò con loro, mostrando così di essere venuto nel mondo non per i giusti ma per i peccatori. Matteo, secondo la tradizione, è l'autore del Vangelo che porta il suo nome, destinato ai credenti in Gesù Messia venuti dall'ebraismo, e probabilmente scritto a qualche anno di distanza dalla redazione del Vangelo secondo Marco. Quale scriba divenuto discepolo del regno dei cieli, egli fu capace di trarre dal proprio tesoro cose nuove e cose antiche, per rispondere ai problemi posti ai suoi interlocutori dalla distruzione del Tempio di Gerusalemme. Gesù, nell'opera matteana, è presentato come il nuovo Mosè che, con autorità divina, risale alla volontà stessa del Legislatore e porta così a compimento la rivelazione data da Dio sul Sinai. Non sappiamo con certezza in quali regioni Matteo abbia predicato il vangelo. Secondo la tradizione, in Siria o in Etiopia.

Tracce di lettura

Nel chiamare qualcuno, Gesù gli diceva che ormai gli restava una sola possibilità di credere in lui, cioè quella di abbandonare tutto e di andare con il Figlio di Dio fatto uomo. Con questo primo passo colui che si pone alla sequela è messo nella situazione di poter credere. Se non si mette a seguire, se resta indietro, non impara a credere. Colui che è chiamato deve uscire dalla propria situazione, in cui non gli è possibile credere, per entrare nella sola situazione in cui è possibile credere. Questo passo non ha in sé un valore programmatico, è giustificato solo dalla comunione con Gesù Cristo che così viene raggiunta. Finché Levi resta alla dogana o Pietro attende alle reti, essi possono esercitare onestamente la propria professione, possono avere antiche o nuove conoscenze di Dio, ma se vogliono imparare a credere in Dio, devono seguire il Figlio di Dio fatto uomo, devono andare con lui. (D. Bonhoeffer, Sequela)

- Dal Martirologio ecumenico della Comunità monastica di Bose

Caravaggio, San Matteo e l'angelo, Chiesa di San Luigi dei Francesi, 1602

Fermati 1 minuto. Gesù, medico e medicina per le nostre anime

Lettura

Matteo 9,9-13

9 Andando via di là, Gesù vide un uomo, seduto al banco delle imposte, chiamato Matteo, e gli disse: «Seguimi». Ed egli si alzò e lo seguì. 10 Mentre Gesù sedeva a mensa in casa, sopraggiunsero molti pubblicani e peccatori e si misero a tavola con lui e con i discepoli. 11 Vedendo ciò, i farisei dicevano ai suoi discepoli: «Perché il vostro maestro mangia insieme ai pubblicani e ai peccatori?». 12 Gesù li udì e disse: «Non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati. 13 Andate dunque e imparate che cosa significhi: Misericordia io voglio e non sacrificio. Infatti non sono venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori».

Commento

Tra le persone più disprezzate nella società ebraica ai tempi di Gesù vi erano gli esattori delle imposte, perché non solo trattenevano per sé parte delle somme riscosse, ma lavoravano direttamente per i dominatori romani. 

Gesù chiama Matteo (Marco e Luca si riferiscono a questo pubblicano con il nome Levi) mentre egli è ancora nel peccato. Quella pronunciata da Gesù è un'unica parola, declinata all'imperativo: «Seguimi». La risposta di Matteo è istantanea, "si alzò e lo seguì". Non c'è alcun artificio retorico nella chiamata di Gesù: una sola parola è capace di persuadere e di trasformare la realtà, come vediamo in molte sue guarigioni, liberazioni da demoni e nei miracoli di resurrezione (Lazzaro e la figlia di Giairo). 

La sua parola è parola efficace. La risposta del vero discepolo è altresì incondizionata: Matteo non discute né se ne va rattristato come il giovane che aveva chiesto a Gesù cosa avrebbe dovuto fare per ottenere la vita eterna ma non se la sentiva di dare via le proprie ricchezze (Mt 19,22). Forse Matteo aveva ascoltato la predicazione del Battista o aveva sentito parlare di Gesù, ma quando questi passa di persona davanti a lui e lo chiama egli resta immediatamente affascinato. 

Segue nel Vangelo l'immagine del banchetto, probabilmente preparato a casa di Matteo stesso, insieme ad altri pubblicani. Il banchetto nell'antico oriente era simbolo di una condivisione d'animi profonda tra i commensali. Per questo i farisei mormorano e si scandalizzano per la familiarità che Gesù mostra verso i peccatori. E qui il Signore definisce il peccato come una malattia, una realtà che non può essere semplicemente condannata ma che va guarita; e implicitamente presenta se stesso come medico e medicina. 

A noi chiede un atteggimento simile, richiamando le parole del profeta Osea: "misericordia io voglio e non sacrificio" (Os 6,6). Il banchetto che segue la conversione di Matteo rammenta quello che segue il ritorno del figliol prodigo nella parabola a lui dedicata. Gesù ha promesso per chi lo ama di cenare con lui (Ap 3,20) e prendere dimora presso di lui (Gv 14,23); la sua parola catturerà il nostro cuore oppure lo troverà chiuso alla sua misericordia?

Preghiera

Signore Gesù Cristo che ci hai chiamato dalla morte del peccato alla vita nella grazia, concedici di gioire con te e di condividere con ogni uomo il dono della tua salvezza. Amen

- Rev. Dr. Luca Vona

martedì 20 settembre 2022

Dizionario della Musica Anglicana. Albertus Bryne

Albertus Bryne (varianti: Albert Bryan; Albert Brian) (1621 ca. – 2 dicembre 1668) è stato un organista e compositore inglese.

Il suo insegnante fu John Tomkins, organista della Cattedrale di St. Paul, ruolo in cui gli succedette nel 1638. Fu licenziato dall'incarico dai puritani e, durante il Commonwealth, insegnò il clavicembalo. Tornò a St. Paul's durante la Restaurazione, ma non gli fu accolta la richiesta di essere nominato organista della Chapel Royal. Assunse un incarico a Westminster Abbey dopo il Grande Incendio di Londra e alla sua morte nel 1668 gli successe John Blow. Continuò a ricevere uno stipendio da St. Paul's fino alla sua morte. Secondo Anthony Wood, fu sepolto nel chiostro dell'Abbazia di Westminster, ma non è più possibile individuare la sua tomba.

Fu rispettato ai suoi tempi come "quel famoso organista dalle dita di velluto" (J. Batchiler, The Virgin's Pattern, 1661) e "un musicista eccellente" (Wood). Fu uno dei migliori compositori di clavicembalo inglesi dell'epoca e esercitò un'influenza significativa sui compositori successivi. Le sue suite sono tra i primi esempi inglesi sopravvissuti con quattro movimenti.

Albertus Bryne II

Suo figlio, chiamato anch'egli Albertus, lavorò con lui alla Cattedrale di St. Paul fino al gennaio 1671 e fu organista al Dulwich College dal 1671 al 1677. Probabilmente fu lui l'organista di All Hallows-by-the-Tower dal 1676 fino alla sua morte nel 1713, sebbene fosse chiamato "Mr. Bryan" non è noto per aver composto musica.




1 Minute Gospel. What kind of Christian family?

Reading

Luke 8:19-21

19 Now Jesus’ mother and brothers came to see him, but they were not able to get near him because of the crowd. 20 Someone told him, “Your mother and brothers are standing outside, wanting to see you.”
21 He replied, “My mother and brothers are those who hear God’s word and put it into practice.”

Comment

We do not know if the "brothers" of Jesus mentioned in this passage were children of Mary or, as it happened according to a Semitic custom, the Greek term Adelphos (f. Adelphe) must be understood as "cousins", "nephews", "half brothers" (see for example Gn 14:16; 29:15; Lv 10:4). An ancient and widespread patristic tradition affirms Mary's virginity even after giving birth to Jesus.

All this matters little for the interpretation of Luke's account. What it transmits to us is that, without despising the natural family, Jesus places above it the family that he "chose for himself", that of those who hear the word of God and put it into practice (v. 21). The Gospel passage, "softened" compared to the parallel of Mark (Mk 3,31-35) - in which Jesus says "«Who are my mother and my brothers?»". (Mk 3,33) - he relates that "they could not approach him", "they were outside" and "wished to see him", but all this was prevented by the crowd.

There is a distance, an impenetrable barrier that stands between Jesus and his family. In an even more "hard" passage from Mark, we are told that Jesus' family members, on another occasion "When his family heard about this, they went to take charge of him, for they said, «He is out of his mind»"(Mk 3:21)". Elsewhere Jesus affirms: "«A prophet is despised only in his country, among his relatives and in his house»" (Mk 6:4).

Jesus relativizes the family institution; he does not make it "a cage", a closed and self-referential context, but places it in the background with respect to the belonging to the family of believers. In this sense, "«everyone who has left houses or brothers or sisters or father or mother or wife or children or fields for my sake will receive a hundred times as much and will inherit eternal life»" (Mt 19:29) . Elsewhere Jesus affirms: "«Do not suppose that I have come to bring peace to the earth. I did not come to bring peace, but a sword. For I have come to turn “‘a man against his father, a daughter against her mother, a daughter-in-law against her mother-in-law»" (Mt 10: 34-35).

But if the word of God is a sword that can sever family ties, it is also a bond that can strengthen them, and enrich them with a supernatural force of union. Then the family becomes something more than a kind of "clan"; it becomes the hearth of the Word of God, where two or three gathered in the name of Jesus make it present in their midst; it becomes a fruitful nucleus for evangelization outside of it.

Prayer

Guard our families o Lord, so that your word may be present among us, to enliven our relationships and make us apostles of the gospel. Amen.

- Rev. Dr. Luca Vona



Assidui e concordi nella preghiera. Commento al Salterio - Salmo 10

Lettura

Salmi 10

1 Al maestro del coro. Di Davide.
Nel Signore mi sono rifugiato, come potete dirmi:
«Fuggi come un passero verso il monte»?
2 Ecco, gli empi tendono l'arco,
aggiustano la freccia sulla corda
per colpire nel buio i retti di cuore.
3 Quando sono scosse le fondamenta,
il giusto che cosa può fare?
4 Ma il Signore nel tempio santo,
il Signore ha il trono nei cieli.
I suoi occhi sono aperti sul mondo,
le sue pupille scrutano ogni uomo.
5 Il Signore scruta giusti ed empi,
egli odia chi ama la violenza.
6 Farà piovere sugli empi
brace, fuoco e zolfo,
vento bruciante toccherà loro in sorte;
7 Giusto è il Signore, ama le cose giuste;
gli uomini retti vedranno il suo volto.

Commento

Il Salmo 11 è un salmo di fiducia. Di fronte al pericolo imminente l'autore non fugge verso le montagne (nascondiglio tradizionale), come consigliato dagli amici, ma cerca rifugio in Dio, nel suo santo tempio (v. 4). Nella storia biblica si trovano diversi casi di giusti perseguitati che trovano scampo nella fuga "ai monti" del deserto del Sud (cfr. 1 Mc 1,28).

Il salmista si è rifugiato nel Signore (v. 1), nonostante sia indifeso come un passero, tra gli uccelli uno dei più piccoli, di cui tuttavia Dio non manca di prendersi cura; così affermerà Gesù: "Due passeri non si vendono forse per un soldo? Eppure neanche uno di essi cadrà a terra senza che il Padre vostro lo voglia" (Mt 10,29).

Il "tendere l'arco" degli empi richiama l'immagine del cacciatore appostato in attesa della preda da colpire, presente anche in altri salmi (cfr. Sal 7,13-14; 10,29-30).

Al pessimismo dei suoi consiglieri il salmista oppone la sua fede in Dio. Egli è certo che nella casa del Signore - il tempio di Gerusalemme, immagine della sua sede nei cieli (cfr. Eb 8,5) - nessuno potrà fargli alcun male. L'abbandono a Dio gli dà quella sicurezza che gli altri non hanno, perché restano paralizzati e condizionati dalle umane paure.

L'autore si domanda cosa possa fare il giusto "quando sono scosse le fondamenta" (v. 3); queste non sono da intendere come i pilastri che reggono il mondo, bensì come i princìpi-cardine della convivenza sociale, fondati sul bene e la giustizia (un pensiero analogo si trova nel Salmo 82,5).

Egli sa che il Signore vede dentro i cuori (v. 5); discerne i giusti e gli empi, riservando loro ciò che meritano: i primi saranno ammessi al suo cospetto (v. 7), mentre i secondi avranno in sorte la punizione (v. 5). Il fuoco e lo zolfo richiamano la punizione di Sodoma e Gomorra (cfr. Gen 19,24), che hanno peccato contro il dovere dell'ospitalità verso i messaggeri del Signore. 

Il testo originale si riferisce alla sorte degli empi come alla loro "parte di calice". Cristo, il giusto per eccellenza, ha bevuto questo calice fino in fondo nella sua passione, così che il peccatore può trovare rifugio nella sua misericordia. In sintonia con l'ultimo versetto del salmo ("gli uomini retti vedranno il suo volto") sta l'evangelica beatitudine proclamata da Gesù sulla montagna per i puri di cuore, i quali "vedranno Dio" (Mt 5,8). Ma la rettitudine di cuore è un dono della grazia, che ci fa scalare le vette della santità.

- Rev. Dr. Luca Vona


 

Fermati 1 minuto. Quale famiglia cristiana?

Lettura

Luca 8,19-21

19 Un giorno andarono a trovarlo la madre e i fratelli, ma non potevano avvicinarlo a causa della folla. 20 Gli fu annunziato: «Tua madre e i tuoi fratelli sono qui fuori e desiderano vederti». 21 Ma egli rispose: «Mia madre e miei fratelli sono coloro che ascoltano la parola di Dio e la mettono in pratica».

Commento

Non sappiamo se i "fratelli" di Gesù menzionati in questo brano fossero figli di Maria o, come accadeva secondo una usanza semitica, il termine greco adelphos (f. adelphe) va inteso come "cugini", "nipoti", "fratellastri" (vedi ad es. Gn 14,16; 29,15; Lv 10,4). Una antica e diffusa tradizione patristica afferma la verginità di Maria anche dopo aver partorito Gesù. 

Tutto ciò poco conta ai fini dell'interpretazione del racconto di Luca. Ciò che esso ci trasmette è che, senza disprezzare la famiglia naturale, Gesù pone al di sopra di essa la famiglia che egli "si è scelto", quella di coloro che ascoltano la parola di Dio e la mettono in pratica (v. 21). Il passo evangelico, "ingentilito" rispetto al parallelo di Marco (Mc 3,31-35) - in cui Gesù afferma «Chi è mia madre e chi sono i miei fratelli?». (Mc 3,33) - riferisce che "non potevano avvicinarlo", "stavano fuori" e "desideravano vederlo", ma tutto ciò gli era impedito dalla folla. 

Vi è una distanza, una barriera impenetrabile che si frappone tra Gesù e i suoi familiari. In un passo ancor più "duro" di Marco ci viene riferito che i familiari di Gesù, in altra occasione "uscirono per andare a prenderlo; poiché dicevano: «È fuori di sé» (Mc 3,21)". Altrove Gesù afferma: «Un profeta non è disprezzato che nella sua patria, tra i suoi parenti e in casa sua» (Mc 6,4). 

Gesù relativiza l'istituto familiare; non ne fa "una gabbia", un contesto chiuso e autoreferenziale, ma lo pone in secondo piano rispetto al senso di appartenenza alla famiglia dei credenti. In questo senso, «chiunque avrà lasciato case, o fratelli, o sorelle, o padre, o madre, o figli, o campi per il mio nome, riceverà cento volte tanto e avrà in eredità la vita eterna» (Mt 19,29). Altrove Gesù afferma: «Non crediate che io sia venuto a portare pace sulla terra; non sono venuto a portare pace, ma una spada. Sono venuto infatti a separare il figlio dal padre, la figlia dalla madre, la nuora dalla suocera. (Mt 10,34-35)». 

Ma se la parola di Dio è una spada che può recidere i legami familiari è anche un vincolo che può rafforzarli, arricchirli di una forza di unione soprannaturale. Allora la famiglia diventa qualcosa di più di una sorta di "clan"; diviene il focolare della Parola di Dio, laddove due o tre riuniti nel nome di Gesù lo rendono presente in mezzo a loro; diventa nucleo fecondo per l'evangelizzazione al di fuori di essa.

Preghiera

Custodisci le nostre famiglie Signore, affinché la tua parola possa rendersi presente in mezzo a noi, per vivificare le nostre relazioni e renderci apostoli del vangelo. Amen.

- Rev. Dr. Luca Vona

lunedì 19 settembre 2022

Teodoro di Tarso, monaco alla guida della chiesa inglese

Il 19 settembre 690 muore Teodoro, arcivescovo di Canterbury. Teodoro era nato a Tarso, in Cilicia; aveva compiuto gli studi ad Atene e si era fatto monaco in terra ellenica. Giunto a Roma all'età di sessantasei anni forse per motivi di studio, egli fu in breve tempo ordinato diacono e poi vescovo da papa Vitaliano, che gli assegnò la sede vacante di Canterbury. Aiutato dall'ottima salute, malgrado l'età avanzata, Teodoro si diede anima e corpo al ministero episcopale, iniziando anzitutto a viaggiare per tutto il territorio inglese, al fine di conoscere in prima persona la terra e la gente di cui era stato eletto pastore. Egli riorganizzò in profondità la vita della chiesa inglese, indicendo il primo concilio della storia britannica a Hertford nel 673, ricucendo le molte divisioni tra i cristiani di origine celtica e quelli di origine anglosassone, e aprendo a Canterbury una scuola di studi superiori dove vennero insegnate le discipline classiche dell'antichità. Dalla sua scuola usciranno i principali vescovi e rinnovatori del cristianesimo occidentale precarolingio. Teodoro morì a Canterbury quasi novantenne, dopo aver posto le basi della nuova chiesa anglosassone.

Tracce di lettura

Teodoro giunse nella sua chiesa nel secondo anno dopo la consacrazione, e vi trascorse ventun anni, tre mesi e ventisei giorni. Intraprese subito a visitare tutta l'isola, dovunque vi fossero degli Angli, e da tutti era accolto e ascoltato molto volentieri. E poiché era istruito a fondo nelle lettere sia sacre sia profane, diffondeva ogni giorno fiumi di dottrina salutare per irrigare i loro cuori. Le aspirazioni di tutti erano infatti rivolte alle gioie del regno celeste, di cui da poco avevano sentito parlare, e chiunque desiderava essere istruito nella sacra Scrittura aveva a disposizione maestri pronti a insegnare a interpretarla. (Beda il Venerabile, Storia ecclesiastica degli Angli 4,2)

- Dal Martirologio ecumenico della Comunità monastica di Bose

Teodoro di Tarso (ca 602-690)

1 Minute Gospel. Light that makes itself a gift

Reading

Luke 8:16-18

16 “No one lights a lamp and hides it in a clay jar or puts it under a bed. Instead, they put it on a stand, so that those who come in can see the light. 17 For there is nothing hidden that will not be disclosed, and nothing concealed that will not be known or brought out into the open. 18 Therefore consider carefully how you listen. Whoever has will be given more; whoever does not have, even what they think they have will be taken from them.”

Comment

Knowledge of the mysteries of the kingdom is not esoteric or Gnostic, that is, reserved only for a sect, but must be shared with others. Indeed, Christ came into the world to make the truth known, not to hide it.

The purpose for which light must become a gift is explained in the parallel passage of Matthew's Gospel: «let your light shine before others, that they may see your good deeds and glorify your Father in heaven» (Mt 5:16 ).

The efficacy of the Word does not depend exclusively on its intrinsic value, but also on the way in which it is received. God gives greater intelligence to those who accept the revealed mystery, while he takes it away from those who do not accept it.

Projecting the light of the Gospel on the world means overcoming the distinction between "temporal" and "spiritual", allowing the love of Christ to be incarnated in society. In these terms, and not according to merely economic or technological growth, we can speak of the real development of humanity.

Prayer

Enlighten, Lord, humanity awaiting the dawn of your kingdom, that brings justice and truth. Amen.



Fermati 1 minuto. La luce che si fa dono

Lettura

Luca 8,16-18

16 Nessuno accende una lampada e la copre con un vaso o la pone sotto un letto; la pone invece su un lampadario, perché chi entra veda la luce. 17 Non c'è nulla di nascosto che non debba essere manifestato, nulla di segreto che non debba essere conosciuto e venire in piena luce. 18 Fate attenzione dunque a come ascoltate; perché a chi ha sarà dato, ma a chi non ha sarà tolto anche ciò che crede di avere».

Commento

La conoscenza dei misteri del regno non è esoterica o gnostica, riservata cioé solo ad una setta, ma dev'essere condivisa con gli altri. Cristo, infatti, è venuto nel mondo per far conoscere la verità, non per nasconderla.

Il fine per cui la luce deve farsi dono è spiegato nel passo parallelo del Vangelo di Matteo: "risplenda la vostra luce davanti agli uomini, perché vedano le vostre opere buone e rendano gloria al vostro Padre che è nei cieli" (Mt 5,16).

L'efficacia della Parola non dipende esclusivamente dal suo valore intrinseco, ma anche dal modo in cui viene accolta. Dio dà maggiore intelligenza a chi accetta il mistero rivelato; mentre la toglie a quelli che non l'accolgono.

Proiettare la luce del vangelo sul mondo significa superare la distinzione fra "temporale" e "spirituale", consentire all'amore di Cristo di incarnarsi nella società. In questi termini, e non secondo la crescita meramente economica o tecnologica, si può parlare di reale sviluppo dell'umanità.

Preghiera

Illumina, Signore, l'umanità in attesa dell'alba del tuo regno, portatore di giustizia e di verità. Amen.

domenica 18 settembre 2022

There is no law against love

COMMENT ON THE LITURGY OF THE THE THIRTEENTH SUNDAY AFTER TRINITY

Collect

Almighty and merciful God, of whose only gift it cometh that thy faithful people do unto thee true and laudable service; Grant, we beseech thee, that we may so faithfully serve thee in this life, that we fail not finally to attain thy heavenly promises; through the merits of Jesus Christ our Lord. Amen.

Readings

Gal 3:16-22; Lc 10:23-37

Comment

To love God with all our hearts and our neighbor as ourselves. There is no dispute between the scribe and Jesus as to whether this is the first and greatest commandment. Note that Matthew's parallel passage adds "All the Law and the Prophets hang on these two commandments", while Mark adds "There is no commandment greater than these", using the singular for the two commandments as if to indicate that these are the two sides of the same coin: "For whoever does not love their brother and sister, whom they have seen, cannot love God, whom they have not seen" (1 Jn 4:20).

But who is our neighbor according to Jesus? In the Old Testament, every member of the people of Israel or the foreigner who lives among the Jews is considered a neighbor. In later times, pagan proselytes were also included, but the Samaritans, with whom the Jews shared an ancient hostility, were certainly not included. Precisely on this point, the question of the doctor of the law to Jesus focuses: Who is my neighbor? Jesus responds with a parable, the protagonist of which is a man robbed and beaten up. First a priest, then a Levite, and last a Samaritan pass along the way.

The first two "go straight", perhaps also out of fear of contracting a ritual impurity, touching a "half dead" man; the corpses were in fact considered unclean. The Samaritans, to which the third traveler belongs, did not worship God at the temple in Jerusalem but carried out a syncretistic cult on Mount Gerizim. Hence the hostility of the Israelites.

Yet love unites what is far away. It does not cancel the differences, but overcomes "the fear of contagion". As Paul affirms in his letter to the Galatians, love is a fruit of the Spirit (Gal 5:22), together with "love, joy, peace, forbearance, kindness, goodness, faithfulness, gentleness and self-control" (Gal 5:22-23). No religious norm can ever exempt us from taking care of those wounded, from loving those who have fallen on the street "under the blows of brigands", under the lash of temptations and the wounds of sin. Like the Samaritan, we are called to soothe the wounds and entrust to the "owner of the inn" - who is Christ himself - the man "half dead", because God does not want the sinner to die but to convert and live (Ez 18:23).

Jesus extends the duty of charity beyond the confines of our social, cultural, and ethnic fences: our brother is one who needs an evangelization that is above all the gift of a living and effective word. Christ revealed to us that the face of the invisible God is hidden in man and that a purely legalistic religiosity is not authentic, without repercussions on our way of being in the world. This is the condition for inheriting eternal life (v. 25) because it belongs to that faith which becomes action, not to win merit, but to show gratitude to God who first helped us. "Do this and you will live" (v. 28),  and "Go and do likewise" (v. 37). The verb "to do" opens and closes this Gospel narration.

- Rev. Dr. Luca Vona


Contro l'amore non c'è legge

COMMENTO ALLA LITURGIA DELLA TREDICESIMA DOMENICA DOPO LA TRINITÀ

Colletta

Dio onnipotente e misericordioso, dal quale proviene ogni dono al popolo fedele affinché ti serva con lodevole servizio; concedici, ti supplichiamo, di poterti servire fedelmente in questa vita, per non mancare di ricevere le tue promesse celesti; per i meriti di Gesù Cristo nostro Signore. Amen.

Letture

Gal 3,16-22; Lc 10,23-37

Commento

Amare Dio con tutto il cuore e il nostro prossimo come noi stessi. Non vi è controversia tra lo scriba e Gesù riguardo il fatto che questo sia il primo e il più gran comandamento. Si noti che il passo parallelo di Matteo aggiunge "Da questi due comandamenti dipendono tutta la legge e i profeti", mentre Marco aggiunge "Non c'è altro comandamento più importante di questi", utilizzando per i due comandamenti il singolare, come a indicare che si tratta delle due facce della stessa medaglia: "Chi infatti non ama il proprio fratello che vede, non può amare Dio che non vede" (1 Gv 4,20).

Ma chi è il nostro prossimo secondo Gesù? Nell'Antico Testamento si considera prossimo ogni membro del popolo di Israele o lo straniero che abita tra gli ebrei. In epoca più tarda sono inclusi anche i proseliti pagani, ma sicuramente non venivano inclusi i samaritani, con i quali i giudei condividevano una antica ostilità. Proprio su questo punto si concentra l'interrogativo del dottore della legge a Gesù: Chi è il mio prossimo? Gesù risponde con una parabola, il cui protagonista è un uomo derubato e malmenato. Lungo la via passano prima un sacerdote, poi un levita e infine un samaritano.

I primi due "tirano dritto", forse anche per il timore di contrarre un'impurità rituale, toccando un uomo "mezzo morto"; i cadaveri erano infatti considerati impuri. Il popolo dei samaritani, cui appartiene il terzo viandante, non adorava Dio presso il tempio di Gerusalemme, ma svolgeva un culto sincretistico sul monte Gherizim. Da qui l'ostilità degli israeliti. 

Eppure l'amore congiunge ciò che è lontano. Non annulla le differenze, ma supera "la paura del contagio". Come afferma Paolo nella sua lettera ai Galati l'amore è un frutto dello Spirito, insieme a "gioia, pace, pazienza, gentilezza, bontà (...) Contro tali cose non c'è legge" (Gal 5,22-23). Nessuna norma religiosa potrà mai esimerci dal prenderci cura di chi è ferito, dall'amare chi è caduto per strada "sotto i colpi dei briganti", sotto la sferza delle tentazioni e le piaghe del peccato. Come il samaritano siamo chiamati a lenire le ferite e affidare al "padrone della locanda" - che è Cristo stesso - l'uomo "mezzo morto", perché "Dio non vuole la morte del peccatore ma che si converta e viva" (Ez 18,23).

Gesù estende il dovere della carità oltre i confini dei nostri steccati sociali, culturali, etnici: nostro fratello è chi ha bisogno di un'evangelizzazione che è innanzitutto dono di una parola vivente ed efficace. Cristo ci ha rivelato che nell'uomo è nascosto il volto del Dio invisibile e non è autentica una religiosità meramente cultuale, priva di ricadute sul nostro modo di essere nel mondo. È questa la condizione per ereditare la vita eterna (v. 25) perché essa appartiene a quella fede che diventa azione, non per conquistare meriti, ma per mostrare riconoscenza verso Dio che ci ha soccorso per primo. «Fà questo e vivarai» (v. 28), «Va' e fa' anche tu lo stesso» (v. 37). Il verbo "fare" apre e chiude questa narrazione evangelica.

- Rev. Dr. Luca Vona