Il Rev. Dr. Luca Vona
Un evangelico nel Deserto

Ministro della Christian Universalist Association

lunedì 31 agosto 2020

John Bunyan. Non tema di cadere chi si tiene basso

Il 31 agosto 1688 muore a Londra John Bunyan, predicatore e scrittore inglese.
Nato a Elstow, vicino a Bedford, Bunyan ereditò dal padre la professione di calderaio. A venticinque anni iniziò a frequentare gli ambienti battisti di Bedford e a predicare il vangelo.
Non avendo tuttavia ricevuto l'autorizzazione alla predicazione, egli trascorse più di dodici anni in prigione, poiché non voleva promettere che avrebbe desistito dal suo fermo proposito di annunciare il vangelo; in carcere, dove aveva come uniche letture la Bibbia e il Libro dei martiri di George Fox, compose una splendida autobiografia spirituale, assieme a Il viaggio del pellegrino, opera che lo renderà noto e amato in tutto il mondo della Riforma di lingua inglese.
Uomo estremamente aderente alla realtà, Bunyan dovette alla sua educazione calvinista, che dapprima respinse ma che costituirà poi l'elemento strutturante della sua personalità, la scarsa propensione a fughe spiritualiste e il coraggio con cui affrontò quella che ritenne essere la sua unica vocazione: annunciare la Parola del Signore. Uscito dal carcere e divenuto ormai famoso, egli poté finalmente svolgere il suo ministero itinerante, che compì fedelmente sino alla fine dei suoi giorni.

Tracce di lettura

Non tema di cader chi si tien basso: | Non tema orgoglio chi si vive umile; | Iddio lo guiderà per ogni passo. (Pastorello: II; p. 263)

Lettore, guarda alla sostanza del mio dire.
Scosta la tenda, guarda dietro il velo,
scopri le metafore e non mancare
di trovar cose che, se bene cercherai,
a mente onesta potranno giovare.
Quanto trovi di scorie, abbi il coraggio
di gettarlo, ma pur conserva l'oro.
Che importa se nel sasso l'oro è chiuso?
Non getti via la mela per il torsolo.
Ma se ti sembra tutto da gettare,
forse forse, ritornerò a sognare!
(J. Bunyan, Il viaggio del pellegrino)

- Dal Martirologio ecumenico della Comunità monastica di Bose

John Bunyan (1628-1688)

Fermati 1 minuto. Oggi, Gesù passa in mezzo a noi

Lettura

Luca 4,16-30

16 Si recò a Nazaret, dove era stato allevato; ed entrò, secondo il suo solito, di sabato nella sinagoga e si alzò a leggere. 17 Gli fu dato il rotolo del profeta Isaia; apertolo trovò il passo dove era scritto:
18 Lo Spirito del Signore è sopra di me;
per questo mi ha consacrato con l'unzione,
e mi ha mandato per annunziare ai poveri un lieto messaggio,
per proclamare ai prigionieri la liberazione
e ai ciechi la vista;
per rimettere in libertà gli oppressi,
19 e predicare un anno di grazia del Signore.
20 Poi arrotolò il volume, lo consegnò all'inserviente e sedette. Gli occhi di tutti nella sinagoga stavano fissi sopra di lui. 21 Allora cominciò a dire: «Oggi si è adempiuta questa Scrittura che voi avete udita con i vostri orecchi». 22 Tutti gli rendevano testimonianza ed erano meravigliati delle parole di grazia che uscivano dalla sua bocca e dicevano: «Non è il figlio di Giuseppe?». 23 Ma egli rispose: «Di certo voi mi citerete il proverbio: Medico, cura te stesso. Quanto abbiamo udito che accadde a Cafarnao, fàllo anche qui, nella tua patria!». 24 Poi aggiunse: «Nessun profeta è bene accetto in patria. 25 Vi dico anche: c'erano molte vedove in Israele al tempo di Elia, quando il cielo fu chiuso per tre anni e sei mesi e ci fu una grande carestia in tutto il paese; 26 ma a nessuna di esse fu mandato Elia, se non a una vedova in Sarepta di Sidone. 27 C'erano molti lebbrosi in Israele al tempo del profeta Eliseo, ma nessuno di loro fu risanato se non Naaman, il Siro».
28 All'udire queste cose, tutti nella sinagoga furono pieni di sdegno; 29 si levarono, lo cacciarono fuori della città e lo condussero fin sul ciglio del monte sul quale la loro città era situata, per gettarlo giù dal precipizio. 30 Ma egli, passando in mezzo a loro, se ne andò.

Commento

Mentre nel Vangelo di Marco il ministero di Gesù si inaugura con l'annuncio del Regno e in quello di Giovanni con il miracolo alle nozze di Cana, nel vangelo di Luca, è a Nazaret, luogo in cui Gesù era cresciuto, che egli proclama l'adempimento delle promesse dell'Antico Testamento. 

La partecipazione al culto del sabato nella sinagoga - pratica osservata regolarmente da Gesù e continuata dai primi cristiani - è l'occasione in cui egli applica su di sé, nell'"oggi" che inaugura gli ultimi tempi, alcune parole del profeta Isaia (Is 61,1-2; 58,6), presentandosi come il Cristo, che ha ricevuto l'unzione dello Spirito santo. 

Lo scetticismo dei suoi concittadini - «Non è il figlio di Giuseppe?» (v. 22) - è dettato dal fraintendimento della missione di Gesù e dalla loro incapacità di comprendere il senso della profezia. Pur "meravigliati delle parole di grazia che uscivano dalla sua bocca" (v. 22), si attendono qualche miracolo, sono più interessati al suo potere di guarigione che alla sua Parola. 

Nell'oggi di cui parla Gesù è proclamata invece l'inaugurazione del giubileo spirituale del Signore, venuto a liberare gli oppressi, a evangelizzare i poveri, a guarire i cuori feriti. Il giubileo, prescritto dal Levitico (Lv 25,10) con l'affrancamento degli schiavi e la restituzione dei beni patrimoniali, è qui l'immagine della porta della salvezza, spalancata dal Signore nei tempi ultimi. Dalla meraviglia, gli ascoltatori di Gesù passano presto a una reazione di rabbia omicida, non tanto per il mancato miracolo, quanto per il suo sermone, le cui parole lasciano intendere con gli esempi di Elia ed Eliseo, il rivolgersi della grazia agli stranieri a causa della durezza di cuore di Israele. 

Questo testo iniziale del Vangelo di Luca determina una circolarità con le ultime pagine relative alla passione. Vediamo infatti, in esso, prefigurate numerose immagini di quest'ultima: dalle parole di Gesù «Medico cura te stesso» (v. 23) che richiamano il dileggio da parte dei capi del tempio sotto la croce («Ha salvato gli altri, salvi se stesso, se è il Cristo di Dio, il suo eletto»; Lc 23,35), alla sua cacciata fuori della città - così come l'esecuzione della condanna avverrà fuori dalle mura di Gerusalemme; "fin sul ciglio del monte" - che richiama la crocifissione sul Gòlgota. 

Ma l'epilogo di questo episodio e della missione terrena di Gesù non è la croce. Il passaggio - questo uno dei significati della parola "Pasqua" (ebraico: pesach) - dalla morte alla vita, con la risurrezione e l'andarsene salendo al cielo dopo le apparizioni ai suoi discepoli sembrano richiamate dalle ultime parole di questa narrazione: "passando in mezzo a loro se ne andò" (v. 30).

Il Signore passa, nell'oggi del tempo escatologico inaugurato con la sua incarnazione; passa nell'oggi delle nostre vite, con la sua parola di speranza e liberazione. Sta a noi scegliere se seguirlo, se ignorare il suo messaggio o, peggio, opporci ad esso. Chi vediamo in lui? Il semplice figlio del carpentiere o il Messia annunciato dai profeti? Un semplice maestro delle Scritture e un taumaturgo o "il Figlio del Dio vivente?" (Mt 16,16).

Proprio nella ultime pagine del Vangelo di Luca, apparendo ai discepoli di Emmaus (Lc 24,13-35) Gesù "cominciando da Mosè e da tutti i profeti spiegò loro in tutte le scritture ciò che si riferiva a lui". Dal principio del suo ministero fino alla sua ascensione egli ci guida alla comprensione del piano salvifico di Dio per noi. La sua parola non è lettera morta ma è viva, animata da quello Spirito che si manifestò durante il battesimo al Giordano e che egli ci ha donato dopo la sua ascensione. Questi ci guiderà alla verità tutta intera (Gv 16,13).

Preghiera

Signore, tu attraversi le nostre vite con la tua parola di salvezza; donaci uno spirito pronto ad accoglieri, affinché possiamo seguirti fedelmente, cosicché possiamo giungere alla gloria della risurrezione. Amen.

- Rev Dr. Luca Vona

domenica 30 agosto 2020

Il Signore tocca con mano la nostra infermità

COMMENTO AL VANGELO DELLA DODICESIMA DOMENICA DOPO LA TRINITÀ

Colletta

Dio onnipotente ed eterno, che sei più pronto ad ascoltare di quanto siamo noi a pregare, e che desideri donarci di più di quel che desideriamo o meritiamo; effondi su di noi l'abbondanza della tua misericordia; perdona ciò che turba la nostra coscienza e donaci quelle buone cose che non meritiamo di chiederti. Per i meriti e la mediazione di Gesù Cristo, tuo Figlio, nostro Signore. Amen.

Letture

2 Cor 3,4-9; Mc 7,31-37

Solo Marco, l'evangelista che si rivolge principalmente ai non ebrei, riferisce questo miracolo di guarigione compiuto da Gesù tra i pagani. L'episodio diviene, dunque, simbolo della loro conversione al Vangelo. Il modo in cui Gesù compie questa guarigione è piuttosto inusuale, perché mentre di solito è sufficiente la sua parola, solo in questo caso e in quello del cieco nato (Gv 9,6) egli mette in pratica una serie di azioni, toccando con la sua saliva il malato. 

Il sordomuto è impossibilitato ad ascoltare la parola salvifica di Cristo; il cieco nato è incapace di contemplare il volto della Verità incarnata. In entrambi i casi è Gesù che viene incontro a chi abbisogna della sua grazia; se la donna affetta da emorragia si fece strada tra la folla prendendo essa stessa l'iniziativa per toccare un lembo del mantello di Gesù, nella convinzione di poter essere guarita, qui è Gesù stesso a toccare il sordomuto, dopo averlo tratto in disparte dalla folla. 

Il Signore sa di cosa abbiamo bisogno, ci conduce in un luogo tranquillo, non disdegna di toccare con mano la nostra infermità e intercede per noi presso il Padre: "guardando quindi verso il cielo emise un sospiro" (Mc 7,34); in un territorio dove si cercava aiuto presso gli idoli Gesù insegna a guardare senza timore direttamente al creatore dell'universo. Il suo sospiro sembra anticipare la fatica sotto il peso della croce, carico di quel peccato che ha reso l'umanità soggetta alla malattia e al dolore; il suo Effatà, "apriti!" richiama l'imperativo con cui egli risuscita l'amico Lazzaro, agendo con l'autorità propria del Figlio di Dio. Nella sua passione Gesù renderà l'ultimo suo sospiro al Padre e sarà il Padre stesso ad aprire il suo sepolcro con la resurrezione. 

Ma il Padre non tiene lo Spirito per sé. Lo dona ai suoi discepoli per annunciare il vangelo. Il sordomuto apre gli orecchi alla voce del Verbo e la sua lingua si scioglie "come stilo di scriba veloce" (Sal 44,2); così anche le folle, sebbene ammonite da Gesù a non dire nulla di quanto accaduto, suscitano discepoli, che riconoscono la missione salvifica di Gesù. 

Giustamente Paolo afferma nella sua seconda lettera ai Corinzi: "Non però che da noi stessi siamo capaci di pensare qualcosa come proveniente da noi, ma la nostra capacità viene da Dio, che ci ha resi ministri adatti di una nuova alleanza, non della lettera ma dello Spirito; perché la lettera uccide, lo Spirito dà vita" (2 Cor 3,5-6). Quello Spirito che dà la vita, apre le nostre orecchie all'ascolto della Parola di Dio e scioglie le nostre lingue a proclamare quanto rivelato dall'angelo ai pastori: «vi annunzio una grande gioia, che sarà di tutto il popolo: oggi vi è nato nella città di Davide un salvatore, che è il Cristo Signore» (Lc 2,10).

- Rev. Dr. Luca Vona

sabato 29 agosto 2020

Cristianofobia. L'accanimento giudiziario sulla parlamentare finlandese Päivi Räsänen

Päivi Räsänen, un membro del parlamento finlandese ed ex ministro del governo, è stata convocata per il terzo interrogatorio di polizia.

Alle 10 del mattino del 25 agosto 2020 presso la stazione di polizia di Pasila (Helsinki) ha dovuto rispondere a causa del sospetto di discriminazione nei confronti di un gruppo di minoranza, un reato che secondo il codice penale della Finlandia potrebbe portare a una pena detentiva fino a due anni.

Päivi Räsänen, a member of parliament of the Christian Democractic Party in Finland. ,
Päivi Räsänen, Parlamentare del partito cristiano democratico finalndese

È stato un ulteriore passo nel caso aperto contro di lei dal Procuratore generale della Finlandia nelle indagini preliminari avviate nel 2019, quando Räsänen ha pubblicato un versetto biblico sull'omosessualità con un messaggio personale sui suoi account sui social media in cui ha criticato il fatto che la Chiesa luterana finlandese aveva apertamente sostenuto gli eventi LGBTQ Pride del paese.

Un talk show radiofonico

Questa volta, la politica del Partito Democratico Cristiano ha dovuto fornire spiegazioni sulle sue osservazioni in una serie di talk show del sistema radiotelevisivo finlandese sul tema "Cosa penserebbe Gesù dell'omosessualità?". Nella puntata radiofonica andata in onda il 20 dicembre 2019 e condotta da Ruben Stiller, Räsänen ha parlato dell'insegnamento della Bibbia e di Gesù, sulla creazione dell'uomo, il peccato, l'ultimo giudizio e la salvezza.

"Ho sottolineato che tutti gli uomini, indipendentemente dal loro orientamento sessuale, sono sulla stessa linea davanti a Dio, tutti preziosi, ma anche tutti peccatori e bisognosi dell'opera redentrice di Gesù per ereditare la vita eterna", ha detto Räsänen. "È inconcepibile per me che il programma sia sospettato di essere diffamatorio in qualsiasi parte".

Dopo la denuncia di un cittadino sconosciuto, la polizia ha deciso che non sarebbe stata avviata un'indagine preliminare, poiché le osservazioni di Räsänen erano espressione di una certa visione teologica, ed erano quindi "protette dalla libertà di religione e di parola".

Tuttavia, il Procuratore generale, contrariamente alla decisione della polizia, ha ordinato un'indagine preliminare. “Mi chiedo quali siano le giustificazioni concrete richieste dal Criminal Investigation Act che necessitano in questo caso di un'indagine preliminare con un interrogatorio. La polizia non ha trovato alcuna giustificazione del genere”, ha detto Räsänen in una dichiarazione inviata a Evangelical Focus.

Un quarto caso

La rappresentante politica cristiana ha anche appena appreso che contro di lei è stato aperto un quarto procedimento, relativo alla sua apparizione in una puntata del programma "Maria Veitola, Pernottamento in visita". “La denuncia penale fatta sulla mia apparizione in questo episodio presenta citazioni che non ho nemmeno detto nell'episodio”, ha spiegato. “Il procuratore generale ha ordinato le indagini penali (5 marzo 2020) senza nemmeno esaminare l'episodio”.

Cosa c'è dietro le indagini?

In una dichiarazione ai media finlandesi, Päivi ha commentato che "volentieri" avrebbe "discusso ancora una volta con la polizia di questi problemi", ma che era "preoccupata" che le indagini e gli interrogatori causassero il timore di limitare la libertà di religione e la libertà di parola.

Il politico cristiano si chiede “se queste indagini abbiano lo scopo di provocare censura e intimidazioni tra le persone che hanno una convinzione cristiana”.

Ha anche sollevato perplessità sul fatto che "queste indagini, che richiedono molto tempo, siano un modo giusto per utilizzare le scarse risorse della polizia".

Ora pensa che il caso contro di lei potrebbe diventare "un processo giudiziario di diversi anni".

Secondo una dichiarazione inviata a Evangelical Focus da un portavoce, “Päivi sostiene le sue dichiarazioni basate sulla Bibbia. Crede che l'alfabetizzazione religiosa e la conoscenza della Bibbia siano diminuite così tanto che gli accusatori e coloro che fanno denunce penali non comprendono i concetti basilari del cristianesimo sulla creazione dell'uomo, il peccato e la salvezza ”.

- Evangelical Focus, 29 agosto 2020

Martirio di Giovanni il Battista. L'ultimo e il più grande dei profeti

L'attività del Precursore giunse al suo compimento con l'effusione del sangue, prezzo pagato per la fedeltà alla propria missione, sino alla fine. Il re Erode Antipa e sua moglie Erodiade non permisero al Battista di continuare a denunciare la loro trasgressione della Legge. 
Arrestato e sottoposto a una dura prigionia a Macheronte, sulla sponda orientale del mar Morto, Giovanni venne ucciso nel modo più insensato, da una guardia mandata a decapitarlo per un capriccio di Salomè, figlia di Erodiade. Come era stato in vita, così anche nella morte Giovanni appare l'ultimo e il più grande dei profeti. Egli riepiloga la drammatica storia dei profeti inviati incessantemente da JHWH al suo popolo e dal popolo costantemente respinti. Dopo la trasfigurazione, Gesù aveva detto: «Sì, verrà Elia e ristabilirà ogni cosa. Ma io vi dico, Elia è già venuto e non l'hanno riconosciuto; anzi, l'hanno trattato come hanno voluto. Così anche il Figlio dell'uomo dovrà soffrire per opera loro» (Mt 17,11-12).
Il rifiuto e la morte del Battista, reso oggetto in mano al delirio dei potenti, prefigurano il rifiuto e la morte di Gesù, e per questo la chiesa fin dai primi secoli ha ricordato in questo giorno il suo martirio.

Tracce di lettura

Sono rari coloro che sanno penetrare l'animo del Precursore. Si è più facilmente attratti dall'animo del discepolo amato, colui che ha riposato sul cuore di Gesù e alla cui gioia si vorrebbe prender parte; chi di noi non l'ha desiderato? Troppo spesso il Battista resta solo. Non se ne comprendono la forza, la dolcezza e le tenerezze; sono troppo nascoste e sofferte. Gli si passa a fianco senza conoscerlo, perché egli stesso si ritrae. Ma penetrare nel mistero del suo cuore e farlo amare... Giovanni Battista non ha riposato sul cuore del Maestro, ma lo ha compreso e intuito nella sua solitudine; lo ha indicato agli altri. Non ha voluto goderne per se stesso, si è fatto da parte nella sua delicatezza. La sua personalità era troppo forte; avrebbe turbato le dolci intimità di Gesù e del discepolo amato. E' scomparso, contento del suo segreto, di aver intuito il cuore del Maestro, sul quale un altro, meno spezzato dalla vita, avrebbe potuto riposare.
(Un certosino)

- Dal Martirologio ecumenico della Comunità monastica di Bose

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Giovanni il Battista, icona di Bose

Fermati 1 minuto. Ascoltare volentieri non basta

Lettura

Marco 6,17-29

17 Poiché Erode aveva fatto arrestare Giovanni e lo aveva fatto incatenare in prigione a motivo di Erodiade, moglie di Filippo suo fratello, che egli, Erode, aveva sposata. 18 Giovanni infatti gli diceva: «Non ti è lecito tenere la moglie di tuo fratello!» 19 Perciò Erodiade gli serbava rancore e voleva farlo morire, ma non poteva. 20 Infatti Erode aveva soggezione di Giovanni, sapendo che era uomo giusto e santo, e lo proteggeva; dopo averlo udito era molto perplesso, e l'ascoltava volentieri.
21 Ma venne un giorno opportuno quando Erode, al suo compleanno, fece un convito ai grandi della sua corte, agli ufficiali e ai notabili della Galilea. 22 La figlia della stessa Erodiade entrò e ballò, e piacque a Erode e ai commensali. Il re disse alla ragazza: «Chiedimi quello che vuoi e te lo darò». 23 E le giurò: «Ti darò quel che mi chiederai; fino alla metà del mio regno». 24 Costei, uscita, domandò a sua madre: «Che chiederò?» La madre disse: «La testa di Giovanni il battista». 25 E, ritornata in fretta dal re, gli fece questa richiesta: «Voglio che sul momento tu mi dia, su un piatto, la testa di Giovanni il battista». 26 Il re ne fu molto rattristato; ma, a motivo dei giuramenti fatti e dei commensali, non volle dirle di no; 27 e mandò subito una guardia con l'ordine di portargli la testa di Giovanni. 28 La guardia andò, lo decapitò nella prigione e portò la testa su un piatto; la diede alla ragazza e la ragazza la diede a sua madre. 29 I discepoli di Giovanni, udito questo, andarono a prendere il suo corpo e lo deposero in un sepolcro.

Commento

Il peccato di Erode verso la Legge è duplice: egli non solo ha commesso adulterio ma anche un incesto sposando la moglie del proprio fratellastro. Giovanni è un modello di predicazione priva di ipocrisia, pusillanimità e prudenza dettata da ragioni opportunistiche. Come egli non aveva temuto di riprendere il popolo, né i dottori della legge quando venivano a farsi battezzare al Giordano, così non ha temuto riprendere il Tetrarca Erode per la sua condotta. 

Allo stesso modo l'apostolo Paolo esorterà Timoteo: "Ti scongiuro davanti a Dio e a Cristo Gesù, che verrà a giudicare i vivi e i morti, per la sua manifestazione e il suo regno: annuncia la Parola, insisti al momento opportuno e non opportuno, ammonisci, rimprovera, esorta con ogni magnanimità e insegnamento" (2 Tim 4,1-2). 

Le nostre chiese e i singoli cristiani tengono presente questo modello nell'evangelizzazione? Non possiamo ridurre la predicazione a una canna sbattuta dal vento (Mt 11,7) né rivestirla sempre di dolcezza e di indulgenza. Giovanni è stato la "voce che grida nel deserto" (Mc 1,3); le nostre chiese e noi come cristiani abbiamo il diritto nonché il dovere di parlare e agire  secondo giustizia, piuttosto che piegarci allo spirito del mondo, al vento del momento.

Al grido di Giovanni Battista nel deserto si contrappone, quasi come un dittico pittorico, il suo silenzio durante la prigionia e al momento della morte. Egli è consapevole che il martirio porrà il suggello definitivo sulla sua predicazione, esprimendo quella radicalità che non si ferma neanche davanti al rischio di perdere la vita. 

Precursore di Cristo nel preparare la via alla predicazione del vangelo egli anticipa in sé anche lo spirito delle beatitudini: «Beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e, mentendo, diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia» (Mt 5,11). 

Per contro, l'atteggiamento di Erode verso Giovanni si mostra come un pesante monito verso di noi. Egli lo rispettava e lo "ascoltava volentieri" (Mc 6,20), ma aveva più scrupolo riguardo i propri commensali e il desiderio per Erodiade era superiore a quello per la giustizia verso Dio. 

Possa il nostro cuore custodire le parole di Gesù: «Chi si vergognerà di me e delle mie parole davanti a questa generazione adultera e peccatrice, anche il Figlio dell'uomo si vergognerà di lui, quando verrà nella gloria del Padre suo con gli angeli santi» (Mc 8,38).

Preghiera

Non prevalgano su di noi, Signore, le passioni disordinate, ma ci guidi la forza del tuo Spirito; affinché animati dal distacco per le cose terrene possiamo cercare quelle celesti. A lode della tua gloria. Amen.

- Rev. Dr. Luca Vona



giovedì 27 agosto 2020

Fermati 1 minuto. Vigili e responsabili.

 Lettura


Matteo 24,42-51

42 Vegliate dunque, perché non sapete in quale giorno il Signore vostro verrà. 43 Questo considerate: se il padrone di casa sapesse in quale ora della notte viene il ladro, veglierebbe e non si lascerebbe scassinare la casa. 44 Perciò anche voi state pronti, perché nell'ora che non immaginate, il Figlio dell'uomo verrà.
45 Qual è dunque il servo fidato e prudente che il padrone ha preposto ai suoi domestici con l'incarico di dar loro il cibo al tempo dovuto? 46 Beato quel servo che il padrone al suo ritorno troverà ad agire così! 47 In verità vi dico: gli affiderà l'amministrazione di tutti i suoi beni. 48 Ma se questo servo malvagio dicesse in cuor suo: Il mio padrone tarda a venire, 49 e cominciasse a percuotere i suoi compagni e a bere e a mangiare con gli ubriaconi, 50 arriverà il padrone quando il servo non se l'aspetta e nell'ora che non sa, 51 lo punirà con rigore e gli infliggerà la sorte che gli ipocriti si meritano: e là sarà pianto e stridore di denti.

Commento

«Sentinella, quanto resta della notte?» si domanda la vedetta nella profezia di Isaia (Is 21,11); "Al posto di osservazione, Signore, io sto sempre, tutto il giorno, e nel mio osservatorio sto in piedi, tutta la notte" (Is 21,8) e il salmista: "Gli occhi miei prevengono le veglie della notte, per meditare la tua parola"  (Sal 118,148). Gesù richiama questo invito a restare vigili, per essere pronti al suo ritorno.

Come nessuno sa quando il ladro irromperà nella notte, così nessuno conosce l'ora in cui il Signore verrà a visitarci con la sua grazia. Ma la visita del Signore non ha a che fare solo con una dimesione escatologica, non ha a che fare solo con "la fine dei tempi". Egli sta alla porta e bussa (Ap 3,20). Egli ci visita attraverso le ispirazioni interne, le persone che ci circondano, i fatti che vanno succedendosi nella nostra vita. Egli è sempre presente dentro di noi; ma noi siamo presenti a lui?

Siamo dèsti e pronti a riceverlo, o siamo ottenebrati dalle molteplici distrazioni con cui il mondo ci seduce? La sua visita ci chiama a rendere conto di come abbiamo impiegato la nostra vita, le nostre abilità naturali e la nostra ricchezza. La parabola dei talenti, che Gesù pronuncierà poco più avanti, riprende proprio questo insegnamento.

Vivere con consapevolezza, "in allerta" - questo il significato della parola greca gregoreo - significa vivere in un modo che possa compiacere il Signore in ogni tempo, prendendosi cura delle necessità del prossimo (v. 45). Ma significa anche vivere in profondità, oltre il flusso di stimoli e distrazioni con cui il mondo "ci seduce", ci stanca, drena le nostre energie mentali, riducendo la nostra capacità di stare alla presenza di Dio.

L'incapacità di vegliare, di vivere consapevolmente, frantuma la nostra coscienza e ci allontana da Dio, realtà ultima e pienezza dell'essere. Beati coloro che riescono a vincere il torpore in cui vorrebbe imprigionarci il mondo, per attendere colui che "verrà a visitarci dall'alto come sole che sorge" (Lc 1,78).

Preghiera

La luce della fede illumini la nostra notte, Signore, affinché possiamo vegliare nell'attesa della tua venuta. Donaci la saggezza per amministrare rettamente quanto ci hai affidato ed essere trovati come servi fedeli al tuo ritorno. Amen.

- Rev. Dr. Luca Vona



mercoledì 26 agosto 2020

Tichon di Zadonsk e la teologia della Croce

Nel 1783 muore Tichon di Zadonsk, monaco e vescovo della locale diocesi russa.
Nato a Korotsk nel 1724, Timoteo Savelič Sokolov entrò sedicenne nel seminario di Novgorod. Nel 1758 ricevette la tonsura monastica e fu ordinato presbitero. Eletto vescovo di Voronež nel 1763, Tichon si ritirò dopo soli cinque anni nel monastero di Zadonsk a motivo dei suoi gravi problemi di salute. Conoscitore della teologia latina e del pietismo tedesco, egli contribuì a diffondere una spiritualità improntata alla contemplazione del mistero dell'amore di Dio rivelatosi nel Cristo sofferente. 
L'attenzione rivolta al mistero della croce lo aiutò così ad affrontare i suoi grandi limiti nei rapporti con la gente - era molto lunatico e collerico - fino a fargli imparare l'accoglienza e la mitezza soprattutto nei riguardi dei piccoli del suo tempo, che non mancò mai di difendere quando se ne presentava la necessità. Per questo divenne uno starec molto caro alla povera gente, e uno dei santi più amati della Russia moderna. Dostoevskij si ispirò anche a lui nel tratteggiare la celebre figura dello starec Zosima nel suo capolavoro I fratelli Karamazov. Tichon trascorse gli ultimi quattro anni della propria esistenza come recluso, preparandosi nella solitudine e nella preghiera all'incontro faccia a faccia con Dio.

Tracce di lettura

O amore puro, sincero e perfetto!
O luce sostanziale!
Dammi la luce affinché in essa
io riconosca la tua luce.
Dammi la tua luce affinché veda il tuo amore.
Dammi la tua luce affinché veda le tue viscere di padre.
Dammi un cuore per amarti,
dammi occhi per vederti,
dammi orecchi per udire la tua voce,
dammi labbra per parlare di te,
il gusto per assaporarti.
Dammi l'olfatto per sentire il tuo profumo,
dammi mani per toccarti
e piedi per seguirti.
Sulla terra e nel cielo
non desidero che te, mio Dio!
Tu sei il mio solo desiderio,
la mia consolazione,
la fine di ogni angoscia e sofferenza.
(Tichon di Zadonsk, Dammi luce)

- Dal Martirologio ecumenico della Comunità monastica di Bose

TICHON, icona russa del IXX sec.
Tichon di Zadonsk (1724-1783)

La Rivista teologica dell'Alleanza Evangelica Mondiale diventa gratuita in formato digitale

L'Evangelical Review of Theology (ERT), rivista trimestrale della Commissione Teologica della World Evangelical Alliance (WEA) dal 1977, si è trasferita online ed è ora disponibile gratuitamente in formato PDF scaricabile. Sarà disponibile anche in formato cartaceo, pubblicato da Wipf & Stock, per biblioteche, università e altri che preferiscono ricevere copie stampate.

WEA Leaders Meet with Chinese Government Minister and Church ...

"La nuova ERT sarà una risorsa inestimabile per raggiungere il corpo di Cristo e i nostri partner in tutto il mondo con messaggi strategici preparati con cura", ha affermato il dott. Thomas Schirrmacher, segretario generale associato WEA per le preoccupazioni teologiche e redattore generale della pubblicazione. "Il nuovo status di ERT ci consentirà di attirare articoli da alcune delle voci cristiane più importanti al mondo, nonché di comunicare le intuizioni dei leader di talento della WEA su una piattaforma molto più ampia".

Bp Efraim Tendero, Segretario generale della WEA, ha commentato: “Con una storia di 44 anni nell'offerta di prospettive teologiche e approfondimenti su questioni contemporanee, siamo molto lieti di offrire ora l'ERT online gratuitamente. Confidiamo che questa selezione di contributi da diverse parti del mondo sarà stimolante e istruttiva".

About Bishop Ef - Bishop Efraim Tendero
Efraim Tendero, Presidente dell'Alleanza Evangelica Mondiale

Bp Tendero ha contribuito con un saggio di due pagine al numero di agosto che riassume le sue riflessioni sulla pandemia COVID-19 e il suo impatto sull'attività evangelica globale. Altri argomenti nel numero di agosto includono una nuova collaborazione con la più grande organizzazione musulmana del mondo per rimodellare le norme etiche globali e contrastare l'estremismo islamico; la correlazione tra la crescita della chiesa e il discepolato; i vantaggi di abbracciare la diversità religiosa sul posto di lavoro; e altro ancora.

L'edizione di agosto può essere scaricata qui.

Per iscriverti alle future edizioni elettroniche, registrati qui.

Le copie cartacee di ogni numero saranno ancora disponibili al costo di $ 16 ciascuna più le spese di spedizione da Wipf e Stock Publishers all'indirizzo orders@wipfandstock.com.

Fermati 1 minuto. Non un sepolcro ma una sorgente di vita

Lettura

Matteo 23,27-32

27 Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, che rassomigliate a sepolcri imbiancati: essi all'esterno son belli a vedersi, ma dentro sono pieni di ossa di morti e di ogni putridume. 28 Così anche voi apparite giusti all'esterno davanti agli uomini, ma dentro siete pieni d'ipocrisia e d'iniquità.
29 Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, che innalzate i sepolcri ai profeti e adornate le tombe dei giusti, 30 e dite: Se fossimo vissuti al tempo dei nostri padri, non ci saremmo associati a loro per versare il sangue dei profeti; 31 e così testimoniate, contro voi stessi, di essere figli degli uccisori dei profeti. 32 Ebbene, colmate la misura dei vostri padri!

Commento

Secondo la legge cerimoniale (Num 19,16) chiunque aveva toccato le ossa di un morto, o un sepolcro, era impuro per sette giorni. Per tale motivo gli ebrei dipingevano di bianco l'esterno delle tombe, cosicché le persone di pasaggio non potessero inavvertitamente essere contaminate. 

Gesù paragona la religiosità dei farisei a un lieve strato di intonaco che nasconde a malapena un cuore pieno di corruzione, capace di contagiare chi ne viene a contatto. Egli rimprovera ai farisei di innalzare monumenti ai profeti ma di essere "figli degli uccisori" dei profeti stessi. Essi infatti respingono e perseguitano Gesù, profeta dei tempi ultimi, pur mostrandosi devoti a quelli del passato. 

Gesù condanna la loro ipocrisia nell'innalzare sontuosi monumenti ai testimoni della fede, per rivestirsi di una apparenza di giustizia, ignorando i segni dei tempi e camminando nell'iniquità. La chiesa non è esente da questo pericolo; è facile "nascondersi" dietro le grandi opere di architettura religiosa, le preziose urne per le ossa dei martiri, la memoria liturgica dei testimoni della fede. 

Si tratta di un rischio trasversale a tutte le confessioni cristiane: innalzare monumenti ai santi, adorare la Scrittura o custodire con gelosia le tradizioni dei Padri non sono garanzia di fedeltà al messaggio evangelico.

Ogni singolo credente è chiamato a esaminare se stesso, per evitare di essere una scatola adorna all'esterno, ma vuota o, peggio, piena di malvagità all'interno. La nostra giustizia prima ancora che davanti agli uomini deve risplendere davanti a Dio. Solo così la tradizione potrà essere non un monumento funebre, ma "tradizione vivente" e vivificante.

Preghiera

Possano i nostri cuori, o Padre, essere sorgente di vita per noi e per chi ci circonda. La memoria del tuo Figlio e dei testimoni che ne hanno seguito le orme possa tradursi in una vita conforme all'evangelo. Amen.

- Rev. Dr. Luca Vona

martedì 25 agosto 2020

Fermati 1 minuto. Il sabotaggio della nostra coscienza

Lettura

Matteo 23,23-26

23 Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, che pagate la decima della menta, dell'anèto e del cumìno, e trasgredite le prescrizioni più gravi della legge: la giustizia, la misericordia e la fedeltà. Queste cose bisognava praticare, senza omettere quelle. 24 Guide cieche, che filtrate il moscerino e ingoiate il cammello!
25 Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, che pulite l'esterno del bicchiere e del piatto mentre all'interno sono pieni di rapina e d'intemperanza. 26 Fariseo cieco, pulisci prima l'interno del bicchiere, perché anche l'esterno diventi netto!

Commento

Questo pasaggio delle Scritture fa parte di una serie di sette "guai", o maledizioni, che Gesù indirizza all'ipocrisia degli scribi e dei farisei. In particolare qui rimprovera di avere esteso il pagamento della decima, prevista dalla legge mosaica per i prodotti della terra, anche alle erbe più piccole; segno, questo, della loro preoccupazione per le cose di poco conto, mentre trascurano ciò che vi è di più importante agli occhi di Dio. 

Le parole di Gesù richiamano quelle del profeta Michea: «Uomo, ti è stato insegnato ciò che è buono e ciò che richiede il Signore da te: praticare la giustizia, amare la pietà, camminare umilmente con il tuo Dio» (Mi 6,8). 

Gesù non dice che le prescrizioni rabbiniche non vanno considerate, ma ristabilisce la giusta priorità nel sistema della legge e in un certo senso lo supera ponendo l'amore per il prossimo - la giustizia e la misericordia - e la fedeltà verso Dio al centro della vita del credente. 

Troppe volte le religioni, non solo quella rabbinica, ma certamente anche quella cristiana, si sono compiaciute di offrire elenchi di azioni "pure" e "impure", azioni rituali vòlte a rimuovere l'impurità esteriore, "l'esterno del piatto e del bicchiere" (v. 25). Sembra questa una strategia inconscia o una tentazione sempre in agguato, per sabotare ciò che vi è di moralmente più importante e impegnativo. 

A volte sono i "dottori della legge" a farci sentire "sporchi", a volte siamo noi stessi a sentirci tali. Diventa relativamente facile sentirci "puliti" attraverso una confessione del peccato ridotta ad atto puramente esteriore. Confessione che non tiene conto degli egoismi, delle rapine e dei soprusi verso il prossimo. 

Più difficile è giungere a una radicale trasformazione del cuore, che solo la grazia può operare, laddove decidiamo - per richiamare ancora una volta le parole del profeta Michea - "di camminare umilmente con il nostro Dio".

Preghiera

Aiutaci a discernere Signore, la tua volontà; la tua legge sia lampada per i nostri passi, per andare incontro alle necessità del nostro prossimo e glorificare il tuo santo Nome. Amen.

- Rev. Dr. Luca Vona



lunedì 24 agosto 2020

La strage degli ugonotti o Notte di San Bartolomeo

Huguenot, termine in origine dispregiativo e di etimo incerto, divenne attorno alla metà del XVI secolo il modo in cui venivano chiamati i protestanti francesi di tendenza calvinista. Il protestantesimo si era diffuso tra la nobiltà e la borghesia francesi nella prima metà del XVI secolo. Il calvinismo, eccetto che in piccole zone, si diffuse meno nelle campagne ma ebbe una certa diffusione presso alcuni ceti popolari delle città, in particolar modo i lavoranti di professioni nuove e innovative per l'epoca (tipografi, vetrai, stampatori, barbieri...), nonché tra la nobiltà provinciale.

La notte di San Bartolomeo è il nome con il quale è passata alla storia la strage compiuta nella notte tra il 23 e il 24 agosto 1572 dalla fazione cattolica ai danni degli ugonotti a Parigi in un clima di rivincita indotto dalla battaglia di Lepanto e dal crescente prestigio della Spagna. La vicenda è nota anche come strage di San Bartolomeo o massacro di San Bartolomeo.

Il massacro ebbe luogo a partire dall'ordine di Carlo IX di uccidere l'ammiraglio Gaspard de Châtillon, ferito pochi giorni prima in un attentato, e altri esponenti protestanti. Il contesto erano le nozze fra la sorella del re, Margherita di Valois (la nota "regina Margot"), e il protestante Enrico IV di Borbone, re di Navarra e futuro re di Francia, considerate un atto di riconciliazione tra cattolici e protestanti, in occasione delle quali erano confluiti a Parigi migliaia di ugonotti.

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François Dubois (1529–1584), Il massacro di San Bartolomeo

La fazione cattolica facente capo ai duchi di Guisa e appoggiata dal re, dal fratello Enrico (poi Enrico III) e dalla regina madre Caterina de' Medici, nella notte tra il 23 e 24 agosto scatenò la caccia agli ugonotti convenuti in città.

Sembra che il segnale d'inizio della strage fosse fissato dallo scoccare delle 3 di mattina delle campane della chiesa di Saint-Germain-l'Auxerrois, vicina al Louvre, dove molti dei nobili protestanti abitavano. Lo stesso Enrico di Guisa guidò gli armati che si recarono all'Hotel de Béthizy, dove soggiornava l'ammiraglio ferito. Il de Coligny fu ucciso nel suo letto e scaraventato dalla finestra; i corpi degli uccisi, trascinati per le strade, furono ammassati nel cortile del Louvre.

Parte della popolazione, scoperta la strage al mattino, partecipò ai massacri che durarono diversi giorni, incoraggiati dai preti che incitarono a sterminare anche gli studenti stranieri e i librai, considerati tutti protestanti. Molti cadaveri furono gettati nella Senna, come quello del de Coligny, poi ripescato, evirato e impiccato.

L'eccidio divenne indiscriminato, estendendosi ad altri centri urbani e alle campagne e durando diverse settimane. Secondo le stime moderne morirono tra 5.000 e 30.000 persone, compresi donne e bambini. A nulla valse l'ordine, giunto dal re il 24 agosto, di cessare immediatamente gli omicidi: la strage proseguì, diventando - secondo una definizione diffusa - «il peggiore dei massacri religiosi del secolo» e macchiando il matrimonio reale con il nome di «nozze vermiglie».

A lungo la tradizione storiografica ha ritenuto che la strage fosse stata organizzata da Caterina de' Medici e dal fratello del re, e avallata dallo stesso Carlo IX, per evitare che una controffensiva dei protestanti colpisse la famiglia reale dopo il tentato omicidio di Coligny. In ciò hanno giocato un ruolo considerazioni nazionalistiche (Caterina era pur sempre considerata una straniera) e la vasta propaganda politica che si mise in moto già subito dopo l'evento. A ogni modo, la strage, colpendo gli ugonotti con l'uccisione di molti nobili influenti e numerosi soldati, segnò una svolta nelle guerre di religione francesi, contribuendo a «imprimere, nelle menti dei protestanti, l'indelebile convinzione che il cattolicesimo fosse una religione sanguinaria e traditrice».
Come conseguenza immediata, la strage provocò l'inizio della quarta guerra di religione. Pose inoltre in discussione gli stessi fondamenti di fedeltà al re, come si vide durante l'assedio de La Rochelle, quando gli assediati invocarono come loro sovrano di diritto Elisabetta d'Inghilterra.

- Fonte: Wikipedia

Bartolomeo. Dal fico della Legge alla sequela di Cristo

Le chiese d'occidente ricordano oggi l'apostolo Bartolomeo.
Originario di Cana di Galilea, nel quarto vangelo egli è chiamato Natanaele ("dono di Dio"), ed è salutato da Gesù come «un israelita senza falsità». Uomo dedito allo studio della Torah, come indica secondo la tradizione rabbinica l'episodio del fico sotto cui lo vede Gesù, egli scruta le Scritture in attesa dell'arrivo del Messia. Teso dunque a riconoscere in Gesù il Messia, Natanaele è tuttavia restio ad accogliere una figura che va al di là delle sue conoscenze e aspettative, come mostra la sua perplessa reazione alla parola rivoltagli da Filippo: «Abbiamo trovato colui del quale hanno scritto Mosè nella Legge e i Profeti, Gesù figlio di Giuseppe di Nazaret» (Gv 1,45). Ma nel mistero dell'incontro narrato da Giovanni, Natanaele oltre a proclamare Gesù re d'Israele, cioè Messia, lo proclama anche figlio di Dio, riconoscendo che colui che si manifesta ai suoi occhi è legato da un particolarissimo legame d'intimità con il Dio d'Israele. Dopo la Pentecoste, secondo alcune tradizioni, Bartolomeo si recò a evangelizzare l'India e l'Armenia, dove morì martire, scorticato vivo.

Icone dei Santi
Bartolomeo-Natanaele

In occidente non si può tacere che la sua ricorrenza è legata a uno dei più drammatici momenti della storia cristiana: la Notte di san Bartolomeo, quando nel 1572 avvenne a Parigi e poi in tutta la Francia la strage di trentamila protestanti francesi con l'innegabile complicità di moltissimi esponenti, talora di prestigio, della chiesa cattolica.
Le chiese ortodosse ricordano Bartolomeo assieme a Barnaba, l'11 giugno.

Tracce di lettura

Natanaele ascoltò attentamente il vangelo recatogli da Filippo in quanto con estrema esattezza aveva appreso il mistero che riguardava il Signore, e sapeva che sarebbe provenuta da Betlemme la prima apparizione di Dio nella carne e che, siccome sarebbe vissuto tra i nazareni, sarebbe stato chiamato «nazoreo».
Natanaele allora, essendosi incontrato con colui che gli aveva fatto vedere lo splendore di tale conoscenza, se ne uscì con queste parole: «Da Nazaret può mai venire qualcosa di buono?». Allora Filippo gli si fece risolutamente guida e gli disse: «Vieni e vedi». Con ciò Natanaele, lasciato il fico della Legge, raggiunse Gesù.
E così il Logos gli conferma che egli è un puro, non un falso israelita, perché aveva mostrato che in lui si era conservata quella caratteristica che era stata del patriarca: «Ecco, disse, un vero israelita, in cui non vi è inganno».
(Gregorio di Nissa, Omelie sul Cantico dei Cantici 15)

- Dal Martirologio ecumenico della Comunità monastica di Bose

Fermati 1 minuto. La croce di Cristo, scala verso il Cielo

Lettura

Giovanni 1,45-51

45 Filippo incontrò Natanaèle e gli disse: «Abbiamo trovato colui del quale hanno scritto Mosè nella Legge e i Profeti, Gesù, figlio di Giuseppe di Nazaret». 46 Natanaèle esclamò: «Da Nazaret può mai venire qualcosa di buono?». Filippo gli rispose: «Vieni e vedi». 47 Gesù intanto, visto Natanaèle che gli veniva incontro, disse di lui: «Ecco davvero un Israelita in cui non c'è falsità». 48 Natanaèle gli domandò: «Come mi conosci?». Gli rispose Gesù: «Prima che Filippo ti chiamasse, io ti ho visto quando eri sotto il fico». 49 Gli replicò Natanaèle: «Rabbì, tu sei il Figlio di Dio, tu sei il re d'Israele!». 50 Gli rispose Gesù: «Perché ti ho detto che ti avevo visto sotto il fico, credi? Vedrai cose maggiori di queste!». 51 Poi gli disse: «In verità, in verità vi dico: vedrete il cielo aperto e gli angeli di Dio salire e scendere sul Figlio dell'uomo».

Commento

A dispetto della loro umile condizione i discepoli chiamti a sé da Gesù avevano certamente familiarità con le Scritture, tale da riconoscere che egli è «colui del quale hanno scritto Mosè nella Legge e i Profeti» (v. 45). Essi non tengono per sé questa "scoperta" ma la condividono con gioia con i propri parenti e amici; è il caso, ad esempio di Andrea con il fratello minore Simone e di Filippo con l'amico Natanaèle. Quest'ultimo è comunemente identificato con l'apostolo Bartolomeo, per diverse ragioni. 

In Giovanni 21,2 il suo nome è messo insieme a coloro che erano stati chiamati all'apostolato; mentre il nome di Natanaèle non compare mai nei sinottici, parimenti il nome di Bartolomeo non compare mai in Giovanni, cosa che depone a favore dell'identificazione dell'uno con l'altro; inoltre Bartolomeo è chiaramente un patronimico che significa "figlio di Tolomeo", mentre Natanaèle è un nome proprio.

Natanaèle era certo un uomo pio, che come Simeone e Anna, attendeva "la consolazione d'Israele", ovvero la manifestazione del Messia. Le parole «un Israelita in cui non c'è falsità» (v. 47) lo pongono, come Zaccaria ed Elisabetta tra i giusti al cospetto di Dio. Non indicano l'assenza di peccato, ma l'assenza di ipocrisia, la semplicità di mente e di cuore, che lo rendevano disponibile ad accogliere la Parola di Dio. 

Il suo scetticismo nel ritenere che da Nazaret fosse potuto venire qualcosa di buono era probabilmente dettato dal fatto che questa era una piccola e insignificante cittadina in mezzo alle colline della Galilea e forse anche dalla tendenza dei Giudei del sud a mostrare un certo disprezzo per i Galilei, a causa del loro dialetto e dei più frequenti contatti con i gentili. La risposta di Filippo è lapidaria: «vieni e vedi» (v. 46). 

Natanaèle era avvezzo alla meditazione delle Scritture, cosa che possiamo desumere dall'espressione di Gesù «Prima che Filippo ti chiamasse, io ti ho visto quando eri sotto il fico» (v. 48): è questo un semitismo che indica lo studio della Legge, che veniva spesso condotto in un luogo appartato, come un giardino, sotto la frescura di una pianta. Tuttavia la frequentazione e ruminazione assidua delle Scritture è solo il punto di partenza per l'incontro con il Cristo, che può avvenire mediante l'esperienza diretta, dalla sua sequela: "Gustate e vedete quanto è buono il Signore" afferma il salmista (Sal 33,8); e la promessa di Gesù fatta a Natanaèle è di vedere colui che fu prefigurato dalla scala di Giacobbe (Gn 28,12): il mediatore tra la terra e il Cielo, tra Dio e l'umanità. 

Se il primo uomo, Adamo, con il suo peccato, aveva chiuso i cieli alla sua posterità, Gesù, il Figlio dell'uomo, il secondo Adamo, è colui che li apre nuovamente, non solo ad Israele ma a tutta l'umanità. Gli angeli salgono e scengono continuamente per servire coloro che appartengono alla Gerusalemme celeste non per "privilegio etnico" quali figli di Israele, ma in quanto credenti "nei quali non c'è falsità". Costoro divengono testimoni dei tesori celesti, di ciò che supera le loro stesse aspettative.

Il Figlio di Dio è il mediatore attraverso il quale la grazia discende a noi dal Cielo e la nostra anima, liberata dai suoi nemici può ascendervi, gradino dopo gradino, crescendo in santità e giustizia (Lc 1,75).

Preghiera

Signore, tu ci scruti e ci conosci; concedici di cercarti con cuore sincero, nutrendoci della tua parola; chiamaci per nome, affinché seguendoti senza esitazione possiamo contemplare e condividere i tesori del tuo regno. Amen.

- Rev. Dr. Luca Vona

domenica 23 agosto 2020

Una lezione di preghiera da parte di Gesù

COMMENTO ALLA LITURGIA DELLA UNDICESIMA DOMENICA DOPO LA TRINITA'

Colletta

O Dio, che hai manifestato la tua onnipotenza principalmente mostrando la tua pietà e misericordia; concedici benigno la tua grazia in abbondanza, affinché noi, correndo sulla via dei tuoi comandamenti, possiamo ottenere la ricompensa promessa e prendere parte al tuo regno celeste. Per Gesù Cristo nostro Signore Amen.

Letture

1 Cor 15,1-11; Lc 18,9-14

Commento

Le parole con cui Luca introduce la parabola del pubblicano e del fariseo ci informano che egli la pronunciò per coloro che “erano persuasi di essere giusti e disprezzavano gli altri (Lc 18,9). I protagonisti della parabola rappresentano due tipologie di credenti e la tentazione di sentirsi tra coloro che appartengono “alla chiesa giusta”, al popolo degli “eletti”, biasimando, o quantomeno compatendo, “quelli di fuori”.

Il vangelo di Luca, dopo averci riportato, in questo stesso capitolo, l’esortazione di Gesù a pregare continuamente “senza stancarsi” (Lc 18, 1), ci offre questa parabola in cui viene spiegato come bisogna pregare.

La preghiera del fariseo, apparentemente, è una preghiera di ringraziamento a Dio. In realtà, il fariseo è completamente centrato su se stesso, nella presunzione di non essere “come gli altri uomini” (Lc 18,11). Compie diverse opere buone, andando anche molto al di là di ciò che è richiesto dalla legge mosaica: digiuna due volte a settimana, mentre all’ebreo osservante era comandato di digiunare una volta l'anno in occasione della memoria annuale della distruzione del primo tempio; paga la decima di tutto, mentre in realtà la decima era richiesta solo su alcuni prodotti.

Ciò che Gesù mette in discussione non sono le opere buone del fariseo, ma il suo atteggiamento interiore, contrapposto a quello del pubblicano, che risulta molto diverso. Il fariseo prega stando ritto in piedi - una posizione che sembra testimoniare una grande sicurezza di sé davanti a Dio - e parlando “dentro di sé” (Lc 18,11), trasformando la sua preghiera in una mormorazione contro il prossimo, rendendola dunque una sorta di bestemmia.

Il pubblicano, invece, proclama ad alta voce il suo status di peccatore. D’altra parte, era un peccatore “pubblico”, per il suo ruolo di agente della risocossione delle tasse per conto dell’occupante romano (e spesso tale riscossione, già considerata riprovevole di per sé, si macchiava ulteriormente di disonestà). Ma egli non respinge le accuse che gli vengono rivolte: ciò che il fariseo mormora dentro di sé contro il pubblicano questi lo riconosce, portando la propria vergogna davanti a Dio. Di qui la sua preghiera, a sguardo basso e a debita distanza dal Santo dei Santi, il luogo del Tempio che rappresentava la presenza di Dio sulla terra: “stando lontano, non ardiva neppure alzare gli occhi al cielo” (Lc 18,1). Il pubblicano non ha nulla di cui gloriarsi, soltando chiede a Dio “sii placato verso me peccatore” (Lc 18,14).

Gesù non condanna le buone opere del fariseo, né sminuisce il peccato del pubblicano; ma loda il suo modo di pregare, ovvero il modo in cui egli si relaziona con Dio e, di conseguenza, con il prossimo. Il pubblicano appare consapevole del male arrecato e del suo essersi posto lontano da Dio e dai suoi comandamenti. Questa è la condizione di tutti noi, compreso il fariseo, con il suo perfezionismo spirituale. 

Così Paolo, nella sua Prima lettera ai Corinzi, rappresenta i cardini della nostra fede: “Il vangelo che vi ho annunziato (…) e nel quale state saldi, e mediante il quale siete salvati (…) Cristo è morto secondo i nostri peccati, secondo le scritture (…) fu sepolto e risuscitò (1Cor 15,1-4)”.

Paolo, in una lezione di umiltà, che non scade nella falsa modestia, si considera “il minimo degli apostoli, neppure degno di essere chiamato apostolo (1Cor 15,9), ma riconosce anche che “la grazia verso di me non è stata vana, anzi ho faticato più di tutti loro, non io però, ma la grazia di Dio che è con me (1 Cor 10). Questa consapevolezza è strettamente correlata alla fede nella resurrezione di Cristo: non sapere riconoscere che la grazia può operare e certamente opera in noi, per santificarci dopo averci giustificati, significa rendere vana la resurrezione di Cristo.

La parabola del fariseo e del pubblicano, ci insegna che pregare bene significa essere veritieri con se stessi, riconoscendosi bisognosi di salvezza; e significa essere veritieri con Dio, riconoscendolo come un Dio misericordioso, che in Cristo, ha donato se stesso per la nostra salvezza.

- Rev. Dr. Luca Vona

sabato 22 agosto 2020

Fermati 1 minuto. Il privilegio della grazia

Lettura

Luca 1,26-38

26 Nel sesto mese, l'angelo Gabriele fu mandato da Dio in una città della Galilea, chiamata Nazaret, 27 a una vergine, promessa sposa di un uomo della casa di Davide, chiamato Giuseppe. La vergine si chiamava Maria. 28 Entrando da lei, disse: «Ti saluto, o piena di grazia, il Signore è con te». 29 A queste parole ella rimase turbata e si domandava che senso avesse un tale saluto. 30 L'angelo le disse: «Non temere, Maria, perché hai trovato grazia presso Dio. 31 Ecco concepirai un figlio, lo darai alla luce e lo chiamerai Gesù. 32 Sarà grande e chiamato Figlio dell'Altissimo; il Signore Dio gli darà il trono di Davide suo padre 33 e regnerà per sempre sulla casa di Giacobbe e il suo regno non avrà fine».
34 Allora Maria disse all'angelo: «Come è possibile? Non conosco uomo». 35 Le rispose l'angelo: «Lo Spirito Santo scenderà su di te, su te stenderà la sua ombra la potenza dell'Altissimo. Colui che nascerà sarà dunque santo e chiamato Figlio di Dio. 36 Vedi: anche Elisabetta, tua parente, nella sua vecchiaia, ha concepito un figlio e questo è il sesto mese per lei, che tutti dicevano sterile: 37 nulla è impossibile a Dio». 38 Allora Maria disse: «Eccomi, sono la serva del Signore, avvenga di me quello che hai detto». E l'angelo partì da lei.

Commento

Maria è la prima creatura ad essere evangelizzata, ricevendo la parola di salvezza sull'avvento del Messia atteso da Israele. Se l'annuncio della nascita di Giovanni il Battista era avvenuto a Gerusalemme - centro del giudaismo - a un sacerdote, nel mezzo del culto divino, qui l'angelo appare a un'umile donna, in un piccolo villaggio della Galilea, regione che a parte aver dato i natali ai profeti Giona e Nahum, era tenuta in poco conto nel Paese. 

La donna si chiama Maria, trasposizione latina del nome ebraico Miriam - lo stesso della sorella di Mosè e Aronne - il cui significato è "esaltata" (da Dio). La vergine è promessa sposa di un uomo, Giuseppe, la cui genealogia ne attesta la discendenza da Davide. Non siamo certi, invece, della discendenza davidica di Maria; tuttavia, l'attribuzione a Gesù del titolo "Figlio di Davide" pur essendo nato da Maria senza che vi sia stata un'unione di questa con Giuseppe, fanno propendere per la discendenza davidica di Maria stessa. 

Gesù è presentato, dunque, come il legittimo re di Israele, sebbene il regno che egli inaugura "non è di questo mondo" (Gv 18,36) e non avrà fine (v. 33). Gesù è il "Figlio dell'Altissimo" (v. 32), titolo che gli sarà riconosciuto a più riprese: dal Padre, durante il battesimo al Giordano (Lc 3,22), da Pietro («Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente»; Mt 16,16), dall'indemoniato gadareno («Che c'è fra me e te, Gesù, Figlio del Dio altissimo?»; Mc 5,7); dal centurione presso la croce («Veramente, costui era Figlio di Dio»; Mt 27,54). 

Il saluto dell'angelo non presenta l'abituale formula ebraica Shalom (pace) ma è indicato con il greco chàire, ovvero "rallegrati", che sembra alludere a diversi passi messianici dell'Antico testamento. La parola che segue, kecharitoméne significa letteralmente "favorita dalla grazia", a indicare il particolare privilegio cui è innalzata Maria. Da qui il suo turbamento, nella consapevolezza del proprio limite creaturale, destinatario di un disegno sorprendente da parte di Dio. Le parole "il Signore è con te" (v. 28) richiamano anch'esse un'espressione che ricorre spesso nell'Antico Testamento, per indicare l'assistenza di Dio in una missione.

La risposta-domanda di Maria "come è possibile?" (v. 34) non indica un dubitare sulla capacità di Dio di farla concepire senza conoscere uomo, quanto invece la sorpresa per una scelta di elezione di ciò che è umile e nascosto. L'ombra che si stenderà su di lei rappresenta il mistero delle operazioni straordinarie di Dio e al contempo richiama la nube che accompagnava Israele nel suo esodo dall'Egitto alla terra promessa. L'annunciazione assume così una connotazione pasquale, di "nuovo esodo", in quanto la nascita del Messia segnerà il passaggio dalla schiavitù del peccato alla libertà della grazia. 

L'ombra che si stende su Maria è immagine dello Spirito Santo, che agisce nei credenti nell'ascolto e nella ruminazione della parola di Dio: "Maria, da parte sua, serbava tutte queste cose meditandole nel suo cuore" (Lc 2,19). L'evento dell'annunciazione e la risposta di Maria costituiscono per ogni credente un invito ad accogliere la volontà di Dio, nella certezza dell'efficacia della grazia: «Eccomi, sono la serva del Signore, avvenga di me quello che hai detto» (v. 38). Il "sì" che Maria pronuncia condiziona tutta la sua vita e le sorti dell'intero genere umano. La capacità di compiere decisioni radicali e definitive come quella di Maria potrà dare forma nelle nostre vite ai grandi progetti che Dio ha per noi.

Preghiera

Noi ci rallegriamo, Signore, all'ascolto della tua parola di salvezza. Che essa possa generare nelle nostre anime, per l'azione del tuo Spirito, il Verbo eterno; affinché possiamo cantare la tua misericordia. Amen.

- Rev. Dr. Luca Vona

venerdì 21 agosto 2020

Per il delegato pontificio Enzo Bianchi deve volatilizzarsi

Non basta l'aver abbracciato una vita semieremitica in un edificio poco distante dal monastero il Vaticano vorrebbe che Enzo Bianchi, fondatore della Comunità monastica di Bose, si volatilizzasse, levandosi dai piedi una volta per tutte. Gli viene rimproverato di vivere troppo in prossimità con il monastero, ma anche di ricevere alcuni fratelli e di spostarsi di tanto in tanto in auto "per diverse ragioni". Praticamente l'anziano ex-priore (77 anni), che dal 2017 ha rinunciato a ogni carica e si è recentemente dichiarato "disponibile a dare e ricevere misericordia", dovrebbe vivere al confino e in isolamento e non ci è stato ancora specificato bene quali sarebbero le ragioni precise, a parte "la soluzione tesa e problematica per quanto riguarda l'esercizio dell'autorità" in seno alla Comunità di Bose.

Enzo Bianchi non ha ancora lasciato Bose»
Enzo Bianchi, Fondatore della Comunità di Bose

"Enzo Bianchi si trova tuttora nel suo «eremo», cioè nello stesso edificio composto da più locali e situato a poche decine di metri dal nucleo centrale della Comunità, nel quale vive da oltre quindici anni".
Lo precisa in una nota padre Amedeo Cencini, delegato pontificio per la Comunità monastica di Bose, che continua: "Lì, oltre al fratello che provvede alle necessità quotidiane, riceve regolarmente altri membri della Comunità, e da lì si muove, da solo o con altri, in auto, per diverse ragioni, come ha sempre fatto. Non ha pertanto ancora dato seguito alla promessa da lui fatta di accettare, eseguendoli, i provvedimenti notificati con il decreto del 13 maggio 2020, che – osserva padre Cencini – a conclusione della visita apostolica, è stato consegnato a lui come agli altri tre destinatari".
Il delegato pontificio e la Comunità "sono fiduciosi comunque che la situazione possa sbloccarsi al più presto".

A parte l'utilizzo delle virgolette per la parola eremo, che lascia intendere come per il delegato pontificio Amedeo Cencini sia tale soltanto un a spelonca in cima a una montagna (contrariamente a tante declinazioni della vita eremitica, anche in ambito urbano), questa la risposta di Enzo Bianchi via Twitter:

"Non ascoltate notizie fantasiose su di me. Mi sono allontanato dalla comunità da tre mesi, senza aver avuto più contatti con essa. Vivo in radicale solitudine in un eremo fuori comunità e date le mie condizioni di salute (non sono più autonomo) ho un fratello che mi visita. Amen".

Di stupidaggini ne abbiamo sentite tante nel corso degli anni, e ancor più degli ultimi mesi, su Enzo Bianchi:

"Si è autoproclamato monaco": il monachesimo è una intuizione, poco dopo il riconoscimento del cristianesimo come religione di stato, e dunque il conseguente raffreddamento degli animi, nata spontaneamente e istituzionalizzata solo in seguito. Nessuna norma del diritto canonico "romano" vieta a chicchessia di abbracciare lo stile di vita monastico, cenobitico o eremitico (anzi per quanto riguarda quest'ultimo alcuni canoni ne riconoscono lo status anche quando vissuto senza voti pubblici), al di fuori di istituti di vita consacrata che hanno avuto un riconoscimento pontificio.

"Si è inventato una regola": perché san Benedetto, san Francesco, e tanti altri uomini e donne che animati da uno specifico carisma cosa hanno fatto? Non hanno chiesto una regola al Papa, ma ne hanno redatto una e solo successivamente vi è stato un riconoscimento pontificio - spesso non senza un "addomesticamento" della regola primitiva, come è accaduto a più riprese con i francescani. Peraltro Bose rientra tra le Associazioni di fedeli laici e non necessita, dunque, di un inquadramento tra gli Istituti di vita religiosa. La stessa definizione di "monaco laico", utilizzata con disprezzo verso Bianchi dai suoi detrattori è ridicola. Il monachesimo nasce sostanzialmente come fenomeno laico e solo successivamente si assisterà a una sua clericalizzazione. Tralasciando la lunga tradizione nelle chiese orientali di monaci non sacerdoti, basti ricordare per l'occidente l'esempio di san Benedetto che, appunto, era un semplice monaco, non avendo mai ricevuto gli ordini sacri.

"Ha dato vita a una strana comunità in cui si pregano Buddha e il Mahatma Gandhi, ma sono state abolite le feste mariane e quella del Sacro Cuore di Gesù": Bose è una comunità ecumenica, che riunisce cattolici, protestanti e ortodossi ed è aperta al dialogo interreligioso; è più che normale che abbia un martirologio proprio, in cui non solo si ricordano figure significative nella storia della spiritualità, ma si cerca anche di trovare un denominatore comune, accettabile dalle diverse confessioni cristiane. maria è ricordata il primo gennaio e il 15 agosto, rispettivamente con la festa della Theotokos (Madre di Dio) e del suo Transito; è quindi una menzogna affermare che non viene ricordata. Semplicemente si è mantenuta una certa sobrietà nel calendarizzare quelle feste che sono tali anche per le principali confessioni protestanti, quali gli anglicani e i luterani, evitando soprattutto il proliferare di Madonne che ha caratterizzato il calendario romano, con non poco sconcerto da parte ortodossa e riformata. La festa del Sacro Cuore di Gesù è l'esito di un culto principiato in alcuni ambienti spirituali del tardo medioevo e fu celebrata liturgicamente in ambito locale (Francia) nel diciassettesimo secolo e in tutta la chiesa cattolica occidentale a partire dal diciannovesimo secolo. Gli ortodossi non amano quelle forme di devozione che "sezionano" parti specifiche del Cristo (il Sacro Cuore, il Preziosissimo sangue, le Cinque piaghe, ecc.); ancor meno una tale spiritualità incontra lo spirito genuinamente biblico del protestantesimo. Si può vivere anche facendone a meno, specie se si è una comunità ecumenica.

Forse per troppo tempo Padre Bianchi (ritengo lo si possa chiamare così, in quanto fondatore di una comunità religiosa) è stato una spina nel fianco - specificamente quello destro - della chiesa cattolica romana e questa volontà di neutralizzarne la presenza, ai limiti della damnatio memoriae, rappresenta l'ennesimo tentativo di far rientrare tra le righe e clericalizzare un'esperienza religiosa fortemente carismatica, che ha saputo offrire molto a tanti cristiani, cattolici e non, e a tante persone che erano lontane da Cristo.

- Rev. Dr. Luca Vona

Fermati 1 minuto. Il grande comandamento

Lettura

Matteo 22,34-40

34 I farisei, udito che egli aveva chiuso la bocca ai sadducei, si radunarono; 35 e uno di loro, dottore della legge, gli domandò, per metterlo alla prova: 36 «Maestro, qual è, nella legge, il gran comandamento?» 37 Gesù gli disse: «"Ama il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente". 38 Questo è il grande e il primo comandamento. 39 Il secondo, simile a questo, è: "Ama il tuo prossimo come te stesso". 40 Da questi due comandamenti dipendono tutta la legge e i profeti».

Commento

Dopo avere messo alla prova Gesù con la pericolosa domanda se fosse lecito pagare il tributo a Cesare i farisei "tornano all'attacco" ponendogli una questione che non rischia questa volta di attirargli l'ostilità delle autorità politiche romane, ma delle diverse correnti farisaiche, in disputa tra loro per l'interpretazione delle Scritture. 

Viene dunque chiesto a Gesù qual è il più grande dei precetti della legge. I comandamenti riconosciuti dai maestri ebrei sono in tutto 613, di cui 365 negativi (proibizioni) e 248 positivi. Sarebbe stato facile, dunque, offrire una risposta capace di suscitare una disputa e inimicarsi coloro che lo riconoscevano come  maestro della legge. 

Gesù si spinge oltre e indica non solo quello che ritiene essere il primo comandamento e il più grande, ma anche il secondo, simile - nel testo greco omoía, della stessa sostanza - a questo, che è "Ama il tuo prossimo come te stesso" (v. 39). In questi due comandamenti Gesù riassume le due tavole della Legge: la prima, con i doveri verso Dio, e la seconda, con i doveri verso il prossimo. 

Allo stesso tempo indica che precetti, astensioni e azioni rituali hanno senso solo se suscitati dall'amore. "L'amore è l'adempimento della legge", affermerà, fedelmente al vangelo, l'apostolo Paolo nella sua lettera ai romani (Rm 13,10). Mentre Giovanni nella sua prima lettera evidenzia chiaramente il nesso tra i due comandamenti: "Se uno dice: «Io amo Dio», ma odia suo fratello, è bugiardo; perché chi non ama suo fratello che ha visto, non può amare Dio che non ha visto" (1 Gv 4,20). L'esercizio della carità, verso l'uomo fatto a immagine di Dio e riscattato dal sangue del suo Figlio, è il parametro  per comprendere quanto è grande il nostro amore verso Dio.

E tuttavia, pur nella loro complementarietà i due comandamenti mostrano un'importante differenza: mentre Dio va amato "con tutto il cuore, con tutta l'anima e con tutta la mente" (v. 37), il prossimo va amato "come te stesso" (v. 39). La carità messa in pratica dal cristiano è diversa dal semplice attivismo sociale, non nasce da un'utopia determinata da una visione puramente orizzontale.

La croce descrive la dimesione duplice del "più grande comandamento" (v. 36), declinato al singolare ma articolato in due regole di vita. L'asse verticale, proiettato verso l'alto - verso Dio - consente a quello orizzontale di abbracciare un panorama più ampio, estendendo le braccia della carità verso ogni uomo.

Preghiera

O Dio, noi riconosciamo verso di te un debito di amore senza misura; e poiché hai tanto amato l'uomo da donargli il tuo Figlio unigenito ci impegnamo ad amare i nostri fratelli e le nostre sorelle a gloria del tuo nome. Amen.

- Rev. Dr. Luca Vona