Il Rev. Dr. Luca Vona
Un evangelico nel Deserto

Ministro della Christian Universalist Association

lunedì 17 agosto 2020

Fermati 1 minuto. L'illusione della ricchezza

Lettura

Matteo 19,16-22

16 Ed ecco un tale gli si avvicinò e gli disse: «Maestro, che cosa devo fare di buono per ottenere la vita eterna?». 17 Egli rispose: «Perché mi interroghi su ciò che è buono? Uno solo è buono. Se vuoi entrare nella vita, osserva i comandamenti». 18 Ed egli chiese: «Quali?». Gesù rispose: «Non uccidere, non commettere adulterio, non rubare, non testimoniare il falso, 19 onora il padre e la madre, ama il prossimo tuo come te stesso». 20 Il giovane gli disse: «Ho sempre osservato tutte queste cose; che mi manca ancora?». 21 Gli disse Gesù: «Se vuoi essere perfetto, va', vendi quello che possiedi, dallo ai poveri e avrai un tesoro nel cielo; poi vieni e seguimi». 22 Udito questo, il giovane se ne andò triste; poiché aveva molte ricchezze.

Commento

Nel passo parallelo del vangelo di Luca (Lc 18,18-23) il giovane di questa parabola è definito "uno dei capi". Si trattava probabilmente, di uno dei capi della sinagoga e, dunque, di un uomo molto ricco. Marco, invece, ci informa che il giovane "corse" da Gesù e "si inginocchiò davanti a lui" (Mc 10,17), a indicare il suo sincero e ardente desiderio di incontrarlo. Sia Marco che Luca riferiscono che nel suo preambolo il giovane chiama Gesù "maestro buono". 

Se in altri passi evangelici vediamo che molti sacerdoti e dottori della legge, avvicinano Gesù per metterlo alla prova e cercare di coglierlo in fallo, in questo caso c'è un autentico desiderio del giovane di sapere cosa deve fare di buono per ottenere la vita eterna. Gesù introduce la sua risposta con la premessa che "uno solo è buono"; in Marco e Luca la frase è integrata da "nessuno è buono, tranne uno solo, cioè Dio" (Mc 10,18; Lc 18,19). Gesù non intende certo sconfessare la propria divinità; al contrario  cerca di suscitarne il riconoscimento, rifiutando di essere relegato tra uno dei tanti maestri della legge considerati buoni, anziché come il Figlio di Dio. 

Il giovane è invitato da Gesù a osservare i comandamenti e, tra questi, elenca i cinque che costituivano la seconda tavola della legge, relativi al rispetto e all'amore del prossimo. Probabilmente perché come sacerdote levitico questo capo della sinagoga poteva più facilmente illudersi di osservare quelli relativi all'amore di Dio, come anche noi, d'altra parte possiamo credere di amare Dio per qualche buon sentimento nei suoi confronti e le azioni di culto che gli rendiamo. Più difficile è illudersi sull'amore del prossimo nel momento in cui lo defraudiamo dai suoi beni o desideriamo ciò che gli appartiene. 

Il giovane crede avventatamente di aver rispettato "tutte queste cose", ma non si rende conto della profondità spirituale della legge. Come proclamato da Gesù nel Discorso sul monte, anche solo gli atteggiamenti interiori disordinati costituiscono una violazione della legge: "fu detto agli antichi: Non uccidere... ma io vidico chiunque si adira con il proprio fratello sarà sottoposto a giudizio" (Mt 5,21-22); "fu detto: Non commettere adulterio... ma chiunque guarda una donna per desiderarla, ha già commesso adulterio con lei nel suo cuore" (Mt 5,27-28). 

Il giovane che interpella Gesù non comprende che la nuova giustizia è superiore all'antica e che davvero nessuno, di fronte ad essa può essere detto "buono" se non Dio e il suo "figlio prediletto". Crede di potersi salvare con le proprie opere e per questo chiede a Gesù cosa gli manca ancora per raggiungere la perfezione, presumento di poter compiere un'opera ancora più grande. Ma la perfezione cristiana, consiste in un distacco integrale da tutte le proprie ricchezze. A questa perfezione noi tutti siamo chiamati e non solo le persone che svolgono qualche minstero ecclesiastico.

Relegare la chiamata a una totale consacrazione di sé e dei propri beni al Signore a pastori o preti, frati, suore e monache non ha alcun senso cristiano. Il Vangelo è l'unica regola di vita per ogni battezzato e invita tutti a lasciare i molteplici idoli che questo mondo ci mette davanti.

Donare le nostre ricchezze ai poveri significa coltivare un totale distacco del cuore delle cose materiali e persino da quelle spirituali. A cosa gioverebbe infatti dare tutti i nostri beni ai poveri se poi diventiamo preda della vanagloria e ci convinciamo di esserci salvati, non per la grazia che opera in noi e attraverso di noi, ma illudendoci di aver meritato una ricompensa compiendo qualcosa di buono? 

Beati coloro che hanno uno spirito "povero", distaccato, "perché di essi è il regno dei cieli" (Mt 5,3). Ma il giovane ricco non lo comprese e come venne a Gesù correndo, pieno di gioia, così se ne andò, rattristato. Vogliamo andarcene anche noi? (Gv 6,67)

Preghiera

Signore Gesù Cristo, che hai rinunciato alla tua stessa uguaglianza con Dio per abbassarti fino a noi e guadagnarci la savezza; concedici di rinunciare con gioia a ciò che ci fa sentire ricchi, per poter entrare nel tuo regno. Amen.

- Rev. Dr. Luca Vona