COMMENTO AL VANGELO DELLA DODICESIMA DOMENICA DOPO LA TRINITÀ
Colletta
Dio onnipotente ed eterno, che sei più pronto ad ascoltare di quanto siamo noi a pregare, e che desideri donarci di più di quel che desideriamo o meritiamo; effondi su di noi l'abbondanza della tua misericordia; perdona ciò che turba la nostra coscienza e donaci quelle buone cose che non meritiamo di chiederti. Per i meriti e la mediazione di Gesù Cristo, tuo Figlio, nostro Signore. Amen.
Letture
2 Cor 3,4-9; Mc 7,31-37
Solo Marco, l'evangelista che si rivolge principalmente ai non ebrei, riferisce questo miracolo di guarigione compiuto da Gesù tra i pagani. L'episodio diviene, dunque, simbolo della loro conversione al Vangelo. Il modo in cui Gesù compie questa guarigione è piuttosto inusuale, perché mentre di solito è sufficiente la sua parola, solo in questo caso e in quello del cieco nato (Gv 9,6) egli mette in pratica una serie di azioni, toccando con la sua saliva il malato.
Il sordomuto è impossibilitato ad ascoltare la parola salvifica di Cristo; il cieco nato è incapace di contemplare il volto della Verità incarnata. In entrambi i casi è Gesù che viene incontro a chi abbisogna della sua grazia; se la donna affetta da emorragia si fece strada tra la folla prendendo essa stessa l'iniziativa per toccare un lembo del mantello di Gesù, nella convinzione di poter essere guarita, qui è Gesù stesso a toccare il sordomuto, dopo averlo tratto in disparte dalla folla.
Il Signore sa di cosa abbiamo bisogno, ci conduce in un luogo tranquillo, non disdegna di toccare con mano la nostra infermità e intercede per noi presso il Padre: "guardando quindi verso il cielo emise un sospiro" (Mc 7,34); in un territorio dove si cercava aiuto presso gli idoli Gesù insegna a guardare senza timore direttamente al creatore dell'universo. Il suo sospiro sembra anticipare la fatica sotto il peso della croce, carico di quel peccato che ha reso l'umanità soggetta alla malattia e al dolore; il suo Effatà, "apriti!" richiama l'imperativo con cui egli risuscita l'amico Lazzaro, agendo con l'autorità propria del Figlio di Dio. Nella sua passione Gesù renderà l'ultimo suo sospiro al Padre e sarà il Padre stesso ad aprire il suo sepolcro con la resurrezione.
Ma il Padre non tiene lo Spirito per sé. Lo dona ai suoi discepoli per annunciare il vangelo. Il sordomuto apre gli orecchi alla voce del Verbo e la sua lingua si scioglie "come stilo di scriba veloce" (Sal 44,2); così anche le folle, sebbene ammonite da Gesù a non dire nulla di quanto accaduto, suscitano discepoli, che riconoscono la missione salvifica di Gesù.
Giustamente Paolo afferma nella sua seconda lettera ai Corinzi: "Non però che da noi stessi siamo capaci di pensare qualcosa come proveniente da noi, ma la nostra capacità viene da Dio, che ci ha resi ministri adatti di una nuova alleanza, non della lettera ma dello Spirito; perché la lettera uccide, lo Spirito dà vita" (2 Cor 3,5-6). Quello Spirito che dà la vita, apre le nostre orecchie all'ascolto della Parola di Dio e scioglie le nostre lingue a proclamare quanto rivelato dall'angelo ai pastori: «vi annunzio una grande gioia, che sarà di tutto il popolo: oggi vi è nato nella città di Davide un salvatore, che è il Cristo Signore» (Lc 2,10).
- Rev. Dr. Luca Vona