Uno dei propositi di questo blog e del suo Martirologio e di riflettere sulle ferite che le chiese hanno inflitto l'una all'altra al fine di purificare la propria memoria e intraprendere un cammino di riconciliazione.
Ieri abbiamo ricordato uno dei frutti di santità della Chiesa anglicana, il vescovo James Hannington, primo martire cristiano in Uganda.
Oggi la Chiesa cattolica e, in particolare, l'Ordine Domenicano, ricorda i beati Terenzio-Alberto e Peter Higgins, martirizzati durante la presa del potere in Inghilterra da parte di Oliver Cromwell. Quest'ultimo aveva occupato l'Irlanda e durante l'assedio di Limerick, durante il quale morirono diverse persone di fame e di peste, i due Beati decisero di consegnarsi all'avversario, per concedere al resto della popolazione di mettersi in salvo.
Dagli scritti di fra Domenico O'Daly, O.P. (Initium incrementa et exitus familiae Geraldinorum Desmoniae comitum..., Lisbonae 1655, pp. 335-336, 344-348).
[ndr: chiedo scusa se qualcuno si offenderà perché riporto fedelmente la parola "eretici" quando usata nel testo originale, ma è chiaro che essa debba essere contestualizzata nel periodo in cui l'autore scrive, inquadrandola, in particolare, nella comprensione teologica e nei conflitti politico-religiosi dell'epoca]
Il primo a scendere nell'arena fu il R.P. Fr. Pietro Higghins, priore del convento di Naas esimio predicatore della parola di Dio.Catturato fu condotto a Dublino davanti al vicerè di Iralnda e qui accusato di combattere la confessione anglicana e di provocare sedizioni tra il popolo.
Tenuto in prigione per un certo tempo e non essendo possibile provare che avesse perpetrato qualche crimine punibile a norma di legge con la pena capitale il vicerè gli promise libertà e ricchi doni se fosse passato dalla fede romana alla confessione anglicana. Il giorno in cui doveva essere condotto al patibolo, gli giunse in carcere un messaggio del vicerè con benigne proposte. ma il padre intrepido e prudente rispose: "oggi sono condotto al patibolo e non vi è dubbio che la natura, mal sopportando la morte, nulla stimi più prezioso della vita; né per quanto mi riguarda, ho a noia la vita tanto da desiderare che si affretti il momento della morte se non a causa della necessità che incombe. Perciò il vicerè mi faccia pervenire il documento autografo delle sue promesse, lasciando a mia completa disposizione di scegliere tra la vita e la morte in modo che se per brama di vivere avrò abdicato alla confessione della fede, almeno la presenza stessa della morte mi scusi in qualche modo dall'infamia".
Il vicerè, convinto di trovarsi di fronte a un uomo spaventato e quasi sconfitto, firma il fogio delle promesse, che viene consegnato al loro padre mentre sale il primo gradino del patibolo. Questi prende il foglio sorridendo e, giunto sul palco dell'esecuzione, lo agita in mano e si rivolge ai cattolici presenti con queste parole: "Carissimi fratelli della santa romana Chiesa, da quando caddi nelle mani crudeli di questi eretici, dovetti sopportare lunghi periodi di fame, molti oltraggi e la permanenza in carceri oscure e maleodoranti; pareva quasi che non fosse chiaro il motivo del mio arresto e mi sembrava che si allontanasse la palma del martirio, dal momento che non è la sofferenza come tale a costituire un martire ma la causa per cui si soffre. ma dio provvidente ed onnipotente, custode della mia innocenza, disponendo ogni cosa con soavità condusse gli avvenimenti in modo che, sebbene accusato di sedizione ed altro secondo le leggi dello stato, oggi sono condotto a morte per la sola causa della fede cattolica. Chiamo Dio e gli uomini a testimoni che respingo tutto ciò e che volentieri e con gioia affronto questo combattimento per la fede professata".
Percosso dai colpi del carnefice e gettato a terra, con un forte sospiro esclamò: "Deo gratias".
Il terzo per ordine fu Terenzio, ovvero Alberto O'Brien, priore provinciale d'Irlanda e successivamente vescovo di Emly. Nell'esercizio del ministero episcopale era tanto zelante per la causa della fede cattolica che dava l'impressione di agire come fosse uno solo e nello stesso tempo tutta la comunità: così gli eretici lo presero di mira più di ogni altro.
trovandosi nella città assediata di Limerick, no sfuggì il pericolo. Il capitano gli promise subito un dono di quarantamila monete d'oro e l'assicurazione di transitare incolume dove voleva, purché desistesse dal sostenere la resistenza del popolo e collaborasse alla capitolazione della città. con animo eroico rifiutò le offerte, preferendo conservare la fede anche a rischio della vita.
Ma allora che fece l'insana disonestà del tiranno? Con altri venti lo privò non solo della libertà di transito, ma anche dell'incolumità; anzi ne prese per così dire a pegno l'anima costringendo i cittadini a consegnargli il capo del vescovo e di quanti facevano resistenza o di rinunciare alla propria vita. Fu sollevata la questione se fosse lecito consegnare un innocente al tiranno che teneva l'assedio e lo chiedeva in cambio dell'incolumità degli altri. Riuniti e consultati duecento ecclesiastici, il nostro vescovo si dichiara pronto a subire la decapitazione, se gli altri lo ritengono opportuno: ma tutti costoro rifiutano. Mentre essi pensano invano di risparmiargli la vita, egli si augura con certezza la morte.
Alla fine prevalse il parere che la città si arrendesse e l'opinione di gran parte dei cittadini fu che ciascuno doveva provvedere a salvarsi. Furono introdotti i nemici e il vescovo venne catturato, privato di processo, di contraddittorio e di avvocato difensore, condannato al patibolo e sospeso alla forca.