Il Rev. Dr. Luca Vona
Un evangelico nel Deserto

Ministro della Christian Universalist Association

sabato 27 gennaio 2018

Senza il timore di sporcarsi le mani


Liturgia della IV DOMENICA DOPO l’epifania


Colletta

O Dio, che sai che ci troviamo in mezzo a molti e grandi pericoli e che per la fragilità della nostra natura umana non possiamo neanche reggerci in piedi; concedici forza e protezione, per trovare supporto in ogni avversità e superare ogni tentazione. Amen.


Letture:

Rm 13,1-7; Mt 8,1-17

Prosegue nel ciclo liturgico anglicano la serie delle domeniche denominate “dopo l’Epifania”. Alcune chiese occidentali, tra cui quella cattolica romana, introducendo alcune modifiche nella seconda metà del ventesimo secolo, hanno ridefinito questo periodo “Tempo ordinario”, cambiando anche il lezionario; per tale motivo le letture della liturgia non coincidono più tra loro tra le diverse chiese occidentali. Troviamo, però, un certo “sentire comune”. Nelle scorse quattro settimane abbiamo ascoltato le letture sulle quattro grandi manifestazioni di Gesù come Dio e Redentore dell’umanità: la nascita a Betlemme, l’adorazione da parte dei Magi, il battesimo al Giordano, la trasformazione dell’acqua in vino alle nozze di Cana. Con la lettura di oggi entriamo in una dimensione un po’ più “quotidiana” e “ordinaria”, dentro la quale irrompe la straordinarietà del Figlio di Dio, con la sua predicazione e con diversi miracoli di guarigione e liberazione. Si tratta di parole e gesti spesso sovversivi nei confronti di alcune prassi della religiosità giudaica; a cominciare proprio dai due miracoli narrati nel Vangelo di oggi: la guarigione del lebbroso e la guarigione, a distanza, del servo del centurione.
Le due narrazioni si collocano subito dopo il lungo discorso sul monte, ai capitoli 6 e 7 del Vangelo di Matteo; discorso che dovrebbe costituire lo regola di vita di ogni cristiano. E sottolineo di ogni cristiano, non dei preti, dei consacrati o dei monaci, ma di ogni cristiano che voglia vivere seriamente la propria fede nella vita di ogni giorno. Quanto poi sia possibile mettere in pratica, con le sole proprie forze, quella regola di vita, è un altro discorso, che merita un approfondimento a sé. Dopo questo lungo sermone, dunque, Gesù scende dalla montagna e comincia subito a mettere in pratica quanto ha predicato. La prima persona in cui si imbatte è un lebbroso; la religiosità giudaica, attenendosi al libro del Levitico, considerava i lebbrosi impuri, e impuro diventava chiunque avesse avuto un contatto fisico con loro. Quest’uomo vive, dunque, non solo uno stato di profonda sofferenza fisica, ma anche morale, determinata dalla solitudine e dall’emarginazione, che spesso anche oggi caratterizzano lo status del malato. Ma il lebbroso è convinto che Gesù possa guarirlo. La sua fede rappresenta la risposta dell’uomo sofferente alla predicazione di Gesù. La fede, spesso definita un “dono”, che il Signore elargirebbe capricciosamente a chi più a chi meno e a chi niente, diventa invece qui la risposta attiva dell’uomo alla Parola di Dio. Il dono è la parola di Dio. La fede è ciò con cui siamo chiamati a rispondere a questo dono. Gesù, di fronte alla fede del lebbroso, che lo riconosce come Signore, adorandolo, e afferma “se vuoi, tu puoi mondarmi” contravviene apertamente alle regole della propria religione; davanti alle “grandi folle” che lo hanno seguito, “distesa la mano” (in segno di benedizione) “lo toccò”. E in quell’istante egli fu guarito. Ecco un’altra Epifania della potenza di Dio, nel quotidiano, nel tempo “ordinario”; Gesù viene riconosciuto come Signore e ci manifesta la natura profonda di Dio: un Dio che non ha timore di toccare con mano la nostra miseria, ma che la raggiunge e la sana con la sua benedizione, con la sua grazia. Così dovremmo agire anche noi con gli altri uomini, senza paura di “sporcarci le mani” per annunciare il Vangelo. Non siamo chiamati a formare “combriccole” di bigotti, ma a raggiungere e lasciarci raggiungere da ogni essere che condivide la nostra natura umana, ferita dal peccato e da mille infermità.
La conferma arriva anche dall’episodio immediatamente successivo, dove un centurione romano, considerato dai giudei un impuro perché pagano, e un nemico perché rappresentante del potere politico e militare che opprimeva la loro nazione, si presenta a Gesù per chiedere la guarigione di un servo che “giace in casa paralizzato e soffre grandemente”. La risposta di Gesù è ancora una volta sovversiva: “Io verrò e lo guarirò”. Gesù propone di andare a casa stessa del centurione, una azione “scandalosa”, perché contravveniva alle norme religiose che prevedevano il divieto di entrare in casa di un pagano, per di più nemico della nazione. Ma non poteva agire diversamente colui che aveva appena predicato l’amore per i propri nemici e che aveva detto: “Qual è l'uomo tra di voi, il quale, se il figlio gli chiede un pane, gli dia una pietra? Oppure se gli chiede un pesce, gli dia un serpente? Se dunque voi, che siete malvagi, sapete dare buoni doni ai vostri figli, quanto più il Padre vostro, che è nei cieli, darà cose buone a quelli che gliele domandano!” (Mt 7,9-11). Un altro raggio della rivelazione evangelica squarcia le nubi del timore per l’impurità rituale, manifestando il mistero della paternità universale di Dio; questa, si allarga oltre i confini del popolo eletto, all’intero genere umano, immerso, come ci ricorda la colletta di oggi, “in molti e grandi pericoli”, alla ricerca di “forza, protezione e supporto in ogni avversità e tentazione”.
Il centurione è pienamente consapevole di questo stato di miseria e fragilità che caratterizza la condizione umana, e lo attesta con le parole che ripetiamo ogni volta prima della comunione eucaristica “Signore, io non son degno che tu entri sotto il mio tetto”. E la sua risposta di fede nei confronti della Parola di Dio è altrettanto grande: “di’ soltanto una parola, e il mio servo sarà guarito”. E così avverrà.
È la Parola di Dio che guarisce, quella parola che la Lettera agli Ebrei (Eb 4,12) definisce “vivente ed efficace, più affilata di qualunque spada a due tagli”, capace di penetrare “fino alla divisione dell'anima e dello spirito, delle giunture e delle midolla”; quella parola con cui Dio ha creato il mondo e guidato il suo popolo attraverso il deserto e nella terra dell’esilio.
Dopo secoli in cui il popolo è stato tenuto lontano dalla Bibbia, anche oggi, che disponiamo di eccellenti traduzioni in ogni lingua, l’analfabetismo biblico è fortemente diffuso. Manca, persino tra i protestanti a volte, l’abitudine a confrontari abitualmente con la Parola di Dio, ad ascoltare cosa il Signore ha da dirci riguardo i nostri problemi, le nostre paure, i nostri dubbi. Altre volte manca una risposta di fede forte alla Parola, la fiducia nella sua efficacia, nella sua capacità di trasformare realmente la nostra vita.
Impegnamoci a riscoprire la lettura delle Sacre Scritture; non lasciamo la Bibbia a raccogliere polvere in uno scaffale. Ascoltiamola, meditiamola, confrontiamoci con essa nelle cose ordinarie e straordinarie di ogni giorno. La nostra vita personale, ma anche quella collettiva, gli avvenimenti politici, la sottomissione all’autorità, cui ci chiama San Paolo nella lettura di oggi, invitandoci a essere buoni cittadini, devono avvenire mediante l’esercizio di un senso critico, alla luce della Parola di Dio. Allora potranno essere sanate le nostre ferite, individuali e collettive. Dice infatti il Signore, per bocca del profeta Isaia (Is 55,10-11): “Come la pioggia e la neve scendono dal cielo e non vi ritornano senza avere annaffiato la terra, senza averla fecondata e fatta germogliare, in modo da dare il seme al seminatore e pane da mangiare, così sarà la mia parola, uscita dalla mia bocca: essa non ritornerà a me a vuoto, senza avere compiuto ciò che desidero e realizzato pienamente ciò per cui l'ho mandata”. E così sia.


Rev. Luca Vona
Missione Anglicana Tradizionalista Carlo I Stuart





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