Liturgia della V domenica dopo l’Epifania
Colletta
O
Signore, ti supplichiamo di mantenere la tua Chiesa e la tua casa nella verità
della fede; affinché coloro che confidano unicamente nella tua grazia celeste
possano essere sempre difesi dalla tua potenza. Per Gesù Cristo nostro Signore.
Amen.
Letture:
Col 3,12-17; Mt 13,24-30
Il Capitolo 13 del Vangelo di Matteo ci mostra
Gesù che ammaestra le folle, seduto in riva al mare, creando per loro delle
splendide parabole, delle quali oggi, la liturgia, ci offre quella del grano e
della zizziania. Le parabole sono racconti metaforici, di contenuto morale, che
attingono le loro immagini da cose della vita quotidiana, in modo da comunicare
la riflessione teologica attraverso concetti e contesti familiari. Dopo tanti
secoli, però, la nostra familiarità con alcune delle immagini utilizzate nelle
parabole si è affievolita. È il caso della zizzania, che in una civilità
post-agricola come la nostra è una pianta conosciuta solo da pochi, per lo più
lavoratori dei campi, abitanti di contesti rurali, o studenti di botanica. Questa
pianta è un’erba infestante, che quando è ancora verde è quasi impossibile
distinguere dal grano, ma giungendo a maturazione produce chicchi scurie
allungati. I discepoli rimasero molto colpiti da questa parabola, della quale
faticarono a comprenderne immediatamente il significato. Infatti, tornando a
casa, chiesero a Gesù di spiegarglielo (Mt 13,36-43). La parabola di oggi ci
offre una risposta sulle origini del male e sul perché Dio permetta il suo
proliferare nel mondo. Il manifestarsi di quest’erba malvagia nello stesso
campo in cui cresce il buon grano rappresenta quasi una epifania negativa,
speculare al manifestarsi della buona opera del Signore. La Parola di Dio, che
San Paolo nella lettera ai Colossesi ci invita a fare abitare fra noi
copiosamente (Col 3,16) produce frutto laddove è accolta dalla buona terra (Mt
13,8.23). Vi è però un nemico, che cerca non solo di portare via il seme buono
prima che possa germinare (Mt 13,4.19), ma mentre gli uomini dormono (Mt 13,25)
getta nel terreno un cattivo seme. L’intento del nemico è chiaro: mettere in
cattiva luce il padrone del campo e ostacolare la crescita del buon grano.
All’apparire della zizzania, i servi, infatti, chiedono al padrone: “Signore,
non hai seminato buon seme nel tuo campo?” (Mt 13,27), e proporranno la
soluzione di estirpare l’erba infestante. Ma il padrone decide di lasciare
crescere il grano e la zizzania insieme, perché lo sradicamento dell’erba
malviagia potrebbe condurre alla distruzione anche delle piante di grano buono.
Perché Dio non elimina il male? Perché Dio consente ai malvagi di prosperare?
Questa domanda viene rivolta spesso a noi credenti, e in verità se la era posta
già tanti secoli fa l’autore del salmo 73, il quale affermava: “quasi
inciampava il mio piede… perché portavo invidia ai vanagloriosi, vedendo la
prosperità dei malvagi… Ecco costoro sono empi, eppure sono sempre tranquilli… Invano
dunque ho purificato il mio cuore… Perché sono colpito tutto il giorno e
castigato ogni mattina. Allora ho cercato di comprendere questo, ma la cosa mi
è parsa molto difficile. Finché sono entrato nel santuario di Dio e ho
considerato la fine di costoro. Certo tu li metti in luoghi sdrucciolevoli…
Come un sogno al risveglio, così tu, o Signore, quando ti risveglierai,
disprezzerai la loro vana apparenza”. Mentre nella parabola della zizzania il
sonno aveva colto gli uomini, e proprio mentre questi dormivano il nemico era
andato a mettere il seme cattivo nel terreno, qui abbiamo la curiosa immagine
di Dio che “dorme” e al suo risveglio ristabilisce la giustizia. Anche questo
“sonno di Dio” è una metafora accattivante, per descrivere il tempo della misericordia
del Signore, che ci separa dal tempo del suo suo Giudizio. Perché Dio, che
appare in tutte le Scritture, “lento all’ira e di grande benignità” (Sal
103,8), egli che non vuole la morte dell’empio, ma che si converta e viva (Ez
33,2) ha stabilito un tempo per il pentimento e la conversione. Ecco perché
consente al male di prosperare insieme al bene, non solo nel mondo, ma purtropo
anche nelle nostre vite. Molti vorrebbero che Dio eliminasse tutto il male
subito. Come è possibile che possa tollerare la vita di esseri umani capaci di
diffondere sofferenza e morte? Ma se dovesse sposare le nostre agitazioni
interventiste dove si dovrebbe fermare la mano di Dio? Dove si dovrebbe fermare
la mano di un Dio infinitamente puro, infinitamente buono, l’unico di cui possa
essere predicata in modo assoluto e veritiero la bontà? Dovrebbe Dio togliere
di mezzo l’uomo che ha ordinato lo sterminio di milioni di altri uomini? O
basterebbe uccidere un solo uomo per meritare la morte da parte di Dio? E la
mole di ingiustizie, indifferenza, superficialità, quel male silenzioso e apparerentemente
“banale” che provoca immense sofferenze a tanti esseri umani? Non dovrebbe
essere punito anche quello? A dire il vero basta esaminare le nostre coscienze,
senza lanciarsi in grandi analisi geopolitiche e sociali, per vedere quanto
grano e quanta zizzania ci siano nelle nostre singole vite, nel nostro cuore.
Un’altra domanda pressante è infatti: perché, nonostante la grazia e la parola
di Dio che operano in me sono ancora tanto imperfetto? Siamo capaci di renderci
docili alla parola di Dio e di consentire a questa di portare buoni frutti, ma
cadiamo spesso addormentati e consentiamo al nemico di seminare e far germinare
in noi il male: pensieri, parole, azioni che infestano la nostra vita e quella
di chi ci circonda, drenando energie a noi stessi e agli altri, ostacolando il
benessere e la crescita spirituale, il fruttificare della parola di Dio in noi
e nel mondo. Meno male, allora, che Dio è misericordioso; i suoi tempi sono i
tempi dell’agricoltore paziente, non quelli del broker spietato, alla ricerca di utili immediati.
Per questo il Signore, che nel battesimo ci ha
donato la sua luce e la sua grazia, conoscendo la nostra fragilità, ha
predisposto il sacramento della penitenza, invitandoci a confessare i nostri
peccati, a lui, e l’un l’altro, per ottenere l’annuncio del suo perdono. E
mentre il battesimo può essere dato una volta sola, la penitenza può essere
reiterata più volte, come una medicina, che assumo ogni volta che mi ammalo.
Per questo la nostra chiesa Anglicana, pur riformando la prassi penitenziale ed
eliminando alcuni abusi che si erano andati affermando nel corso dei secoli, ha
mantenuto la pratica della confessione, sia quella pubblica e generale, durante
la liturgia, sia quella privata, con il sacerdote. Sebbene per quest’ultima non
esista un formulario preciso nel Book of
Common Prayer, troviamo in esso numerose formule di confessione e anche
alcune formule di assoluzione di tipo deprecativo, nelle quali, cioè il
sacerdote chiede a Dio il perdono dei peccati per il penitente. Queste erano la
forma comune di assoluzione nell’alto medioevo e solo in maniera piuttosto
tardiva è comparsa la formula indicativa “Io ti assolvo”.
Il ministero delle chiavi, che il Signore ha concesso
ai suoi apostoli, conferendogli il potere di legare e di sciogliere i peccati
sulla terra, facendo sì che fossero legati e sciolti anche in Cielo, non deve
farci dimenticare chi è l’autore del perdono e della grazia. Deve farci
desistere, non solo i saccerdoti, ma noi tutti come credenti, dalla tentazione
di esercitare una giustizia preventiva e sommaria. Deve farci desistre dalla
smania di “fare pulizia” di tutto il male e subito, tutt’intorno a noi. Ci
vuole una grande pazienza, con il nostro prossimo e con noi stessi, per gungere
a un buon raccolto.
Il profeta Elia era pieno di zelo per il Signore e
aveva sterminato tutti i profeti di Baal, una divinità pagana che avevano
iniziato ad adorare anche gli Israeliti. Fuggito sul monte Horeb, Dio, che era
apparso in precedenza a Mosé nel fuoco e nel tuono, si manifestò a Elia, dopo
una serie di sconvolgimenti naturali: prima un vento impetuoso, poi un
terremoto, poi un incendio devastante; infine, una brezza leggera, “una voce,
come un dolce sussurro” (1 Re 19, 12); ed egli si coprì il volto perché
comprese che proprio in quella era presente il Signore.
Rispettiamo, dunque i modi e i tempi di Dio, per
il quale mille anni sono come un giorno solo (2 Pt 3,8), e obbediamo alla sua
volontà, lasciando che grano e la zizzania maturino insieme. Allora i suoi
servi li separeranno. Il radicalismo esasperato, la fretta di giungere subito
al risultato finale, può arrecare grossi danni alla nostra e alla altrui vita
spirituale, stroncandola sul nascere; può portare anche a grandi disastri nella
società e nel mondo, per il desiderio di intervenire contro il “nemico” di
turno. Ma il nemico è innanzitutto interno e soprattutto, spirituale e
invisibile. Dobbiamo vincerlo vegliando e pregando, senza stancarci (Lc 18,1;
Lc 21,36; 1 Ts 5,17); meditando e custodendo la Parola di Dio nel nostro cuore,
come una brezza leggera che accarezza un terreno fertile.
Rev. Luca Vona