COMMENTO ALLA LITURGIA DELLA SESTA DOMENICA DOPO L'EPIFANIA
Colletta
O Dio, il cui unico Figlio si è manifestato per distruggere le opere del male e fare di noi i figli di Dio e gli eredi della vita eterna; concedici, ti supplichiamo, mediante questa speranza, di purificare noi stessi come egli stesso è puro; affinché quando apparirà di nuovo con potenza e grande gloria, possiamo essere trasformati come lui nel suo regno glorioso; dove con te, o Padre, e con lo Spirito Santo, vive e regna, unico Dio, nei secoli dei secoli. Amen.
Letture
1 Gv 3,1-8; Mt 24,23-31
La lettura di oggi rivela il senso ultimo della manifestazione di Gesù come il Signore, nonché l’atto finale di questo processo in cui la sua gloria divina si dispiega nella storia, a partire dal mistero dell'incarnazione. Il perché della sua manifestazione lo dice chiaramente Giovanni nella sua prima Lettera: “egli è stato manifestato per togliere via i nostri peccati” (1 Gv 3,5); ma anche “per questo è stato manifestato il Figlio di Dio: per distruggere le opere del diavolo”.
L’atto finale dell'epifania di Cristo si compirà alla fine dei tempi, e ne offre una vivida descrizione Gesù stesso, le cui parole sono riportate da Matteo, che dedica due lunghi capitoli del suo Vangelo al sermone profetico, proposto in parte dalla liturgia odierna.
Scopriamo innanzitutto che la nostra storia ha un senso, una direzione, un polo di attrazione; non è il succedersi di eventi scollegati tra loro, sullo sfondo del ciclico ripetersi delle stagioni, degli anni e degli eventi naturali. I primi teologi cristiani ripresero due vocaboli greci per distinguere due diverse definizioni del tempo: kronos, che indica la dimensione puramente quantitativa del tempo, la scansione delle ore, dei giorni, delle stagioni, degli anni; e kairòs, che indica la dimensione qualitativa del tempo, un qualche cosa di specifico che accade e si sta svolgendo, tra un “già” e un “non ancora”.
Cristo è il Signore del tempo, inteso come kairòs. Colui che ha vinto la morte, ha vinto anche kronos, il tempo divoratore, che consuma ogni cosa. Cristo domina il tempo, conducendone le trame verso lo svolgimento finale della storia umana. Anche per culture come quella greca o quelle dell’estremo oriente, che avevano una visione circolare della storia, intesa come “eterno ritorno”, nel continuo ripetersi di eventi simili, vi era la credenza in un tempo situato “oltre” questa circolarità, che i greci definivano aion. È questo il tempo dell’eternità, e i primi cristiani identificarono in Cristo il Signore che ha gettato un ponte fra queste due dimensioni della temporalità. La storia si chiuderà con il suo ritorno.
Questo secondo Avvento sarà completamente diverso dal primo, perché, ci dice il Vangelo, sarà “come il lampo che esce da levante e sfolgora fino a ponente” (Mt 24,27).
Il monaco inglese Beda il Venerabile, vissuto tra il VII e l'VIII secolo ci ha lasciato nella sua Historia ecclesiastica gentis Anglorum, il racconto della conversione del potente re Edwin al cristianesimo. La decisione viene presa dal re dopo aver ascoltato i suoi consiglieri, uno dei quali gli offre una parabola molto suggestiva della nostra esistenza, paragonandola a quella di un passero che, durante un temporale, entra da una finestra aperta nella stanza dove il re sta banchettando con i suoi nobili, per fuoriuscire subito da un’altra finestra del salone. In quel breve momento, in cui giunge nella stanza come un lampo, il passero è al riparo dal temporale, ma un attimo dopo ritorna nel freddo e oscuro inverno da cui è venuto. Secondo il consigliere del re, così è la nostra breve ed effimera esistenza: di quel che c’è prima e di quel che c’è dopo non sappiamo nulla e se questa nuova religione ci dà una certezza è giusto seguirla.
Il racconto del consigliere di re Edwin, riferito da Beda e ripreso dalla scrittrice Marguerite Yourcenar nella sua opera Il Tempo, grande scultore, offre una rappresentazione drammaticamente realistica della nostra vita terrena, ma le letture di oggi ci conducono molto al di là una religiosità vissuta in modo consolatorio. Perché capovolgendo le immagini appena descritte potremmo dire che il mondo e il tempo in cui siamo inseriti rappresentano l’infuriare della tempesta, mentre la presenza di Gesù tra gli uomini durante la sua vita terrena e l’esperienza che facciamo di lui nella fede, rappresenta come un bagliore nella notte.
L’umanità e la nostra anima trovano in Cristo una tregua dall’infuriare della tempesta del mondo, quel mondo che, ci ricorda Giovanni, ci odia, perché prima ha odiato Gesù (Gv 15,18; 1 Gv 3,1); quel mondo che è nelle mani del nemico. Questi sarà definitivamente “cacciato fuori” (Gv 12,31) nel compimento del tempo presente, quando le sue opere verranno distrutte (1 Gv 8).È questa speranza che ci purifica e ci rende santi. Non dunque una speranza come puro stato psicologico ed emotivo. Ma una speranza intesa come virtù cristiana, suscitata dallo Spirito Santo, che abbiamo ricevuto nella fede.
L’esperienza di Dio nella fede ci offre di lui una visione furtiva, come un bagliore nel temporale; inafferrabile, come un passero che attraversa la tavola imbandita delle cose caduche di questo mondo. Eppure, il fulmine ci indica uno squarcio, un varco nel cielo; il passero ci indica una direzione, anche se, come lo Spirito, non sai da dove viene e dove va (Gv 3,8).
- Rev. Dr. Luca Vona
COMMENTO ALLA LITURGIA DELLA SESTA DOMENICA DOPO L'EPIFANIA
Colletta
O Dio, il cui unico Figlio si è manifestato per distruggere le opere del male e fare di noi i figli di Dio e gli eredi della vita eterna; concedici, ti supplichiamo, mediante questa speranza, di purificare noi stessi come egli stesso è puro; affinché quando apparirà di nuovo con potenza e grande gloria, possiamo essere trasformati come lui nel suo regno glorioso; dove con te, o Padre, e con lo Spirito Santo, vive e regna, unico Dio, nei secoli dei secoli. Amen.
Letture
1 Gv 3,1-8; Mt 24,23-31
La lettura di oggi rivela il senso ultimo della manifestazione di Gesù come il Signore, nonché l’atto finale di questo processo in cui la sua gloria divina si dispiega nella storia, a partire dal mistero dell'incarnazione. Il perché della sua manifestazione lo dice chiaramente Giovanni nella sua prima Lettera: “egli è stato manifestato per togliere via i nostri peccati” (1 Gv 3,5); ma anche “per questo è stato manifestato il Figlio di Dio: per distruggere le opere del diavolo”.
L’atto finale dell'epifania di Cristo si compirà alla fine dei tempi, e ne offre una vivida descrizione Gesù stesso, le cui parole sono riportate da Matteo, che dedica due lunghi capitoli del suo Vangelo al sermone profetico, proposto in parte dalla liturgia odierna.
Scopriamo innanzitutto che la nostra storia ha un senso, una direzione, un polo di attrazione; non è il succedersi di eventi scollegati tra loro, sullo sfondo del ciclico ripetersi delle stagioni, degli anni e degli eventi naturali. I primi teologi cristiani ripresero due vocaboli greci per distinguere due diverse definizioni del tempo: kronos, che indica la dimensione puramente quantitativa del tempo, la scansione delle ore, dei giorni, delle stagioni, degli anni; e kairòs, che indica la dimensione qualitativa del tempo, un qualche cosa di specifico che accade e si sta svolgendo, tra un “già” e un “non ancora”.
Cristo è il Signore del tempo, inteso come kairòs. Colui che ha vinto la morte, ha vinto anche kronos, il tempo divoratore, che consuma ogni cosa. Cristo domina il tempo, conducendone le trame verso lo svolgimento finale della storia umana. Anche per culture come quella greca o quelle dell’estremo oriente, che avevano una visione circolare della storia, intesa come “eterno ritorno”, nel continuo ripetersi di eventi simili, vi era la credenza in un tempo situato “oltre” questa circolarità, che i greci definivano aion. È questo il tempo dell’eternità, e i primi cristiani identificarono in Cristo il Signore che ha gettato un ponte fra queste due dimensioni della temporalità. La storia si chiuderà con il suo ritorno.
Questo secondo Avvento sarà completamente diverso dal primo, perché, ci dice il Vangelo, sarà “come il lampo che esce da levante e sfolgora fino a ponente” (Mt 24,27).
Il monaco inglese Beda il Venerabile, vissuto tra il VII e l'VIII secolo ci ha lasciato nella sua Historia ecclesiastica gentis Anglorum, il racconto della conversione del potente re Edwin al cristianesimo. La decisione viene presa dal re dopo aver ascoltato i suoi consiglieri, uno dei quali gli offre una parabola molto suggestiva della nostra esistenza, paragonandola a quella di un passero che, durante un temporale, entra da una finestra aperta nella stanza dove il re sta banchettando con i suoi nobili, per fuoriuscire subito da un’altra finestra del salone. In quel breve momento, in cui giunge nella stanza come un lampo, il passero è al riparo dal temporale, ma un attimo dopo ritorna nel freddo e oscuro inverno da cui è venuto. Secondo il consigliere del re, così è la nostra breve ed effimera esistenza: di quel che c’è prima e di quel che c’è dopo non sappiamo nulla e se questa nuova religione ci dà una certezza è giusto seguirla.
Il racconto del consigliere di re Edwin, riferito da Beda e ripreso dalla scrittrice Marguerite Yourcenar nella sua opera Il Tempo, grande scultore, offre una rappresentazione drammaticamente realistica della nostra vita terrena, ma le letture di oggi ci conducono molto al di là una religiosità vissuta in modo consolatorio. Perché capovolgendo le immagini appena descritte potremmo dire che il mondo e il tempo in cui siamo inseriti rappresentano l’infuriare della tempesta, mentre la presenza di Gesù tra gli uomini durante la sua vita terrena e l’esperienza che facciamo di lui nella fede, rappresenta come un bagliore nella notte.
L’umanità e la nostra anima trovano in Cristo una tregua dall’infuriare della tempesta del mondo, quel mondo che, ci ricorda Giovanni, ci odia, perché prima ha odiato Gesù (Gv 15,18; 1 Gv 3,1); quel mondo che è nelle mani del nemico. Questi sarà definitivamente “cacciato fuori” (Gv 12,31) nel compimento del tempo presente, quando le sue opere verranno distrutte (1 Gv 8).
È questa speranza che ci purifica e ci rende santi. Non dunque una speranza come puro stato psicologico ed emotivo. Ma una speranza intesa come virtù cristiana, suscitata dallo Spirito Santo, che abbiamo ricevuto nella fede.
L’esperienza di Dio nella fede ci offre di lui una visione furtiva, come un bagliore nel temporale; inafferrabile, come un passero che attraversa la tavola imbandita delle cose caduche di questo mondo. Eppure, il fulmine ci indica uno squarcio, un varco nel cielo; il passero ci indica una direzione, anche se, come lo Spirito, non sai da dove viene e dove va (Gv 3,8).
- Rev. Dr. Luca Vona