Tra i monaci più amati nel deserto egiziano, ancora ai nostri giorni, vi è senz'altro Giovanni, igumeno di Scete vissuto a cavallo tra il VI e il VII secolo. La chiesa copta, che ne fa oggi memoria, ha inserito da tempo immemorabile il suo nome in tutte e tre le sue anafore eucaristiche: quella di Basilio, quella di Cirillo e quella di Gregorio di Nazianzo. Giovanni, il cui nome di battesimo era Arwat, nacque intorno al 585 nel villaggio egiziano di Gebromenenosin. All'età di diciotto anni entrò nel monastero di San Macario, dove fu ordinato presbitero per diventarne in seguito igumeno. Uomo dal cuore grande e misericordioso, seppe insegnare a moltissimi discepoli la mitezza e l'umiltà evangeliche, a dispetto delle persecuzioni che i cristiani copti dovettero subire sia da parte dei cristiani calcedonesi, sia da parte dei berberi del deserto. Nei lunghi anni passati in esilio, Giovanni imparò, grazie a un'assidua intimità con Dio, a usare misericordia e comprensione con tutti gli uomini, vivendo con tutto il suo essere il comandamento dell'amore.
Egli morì probabilmente nel 675, nel suo monastero di San Macario, dove aveva condotto alla pienezza dell'esperienza monastica un'intera generazione di monaci.
Tracce di lettura
L'opera della preghiera consiste nel non abbandonare mai il ricordo di Dio; invocatelo in ogni tempo, cercatelo continuamente e in ogni luogo, sia che mangiate, sia che beviate, sia che siate in cammino o qualsiasi cosa facciate. Perché pregando in tal modo sarà illuminata la vostra intelligenza, la sofferenza del vostro cuore troverà pace, il desiderio sarà saziato, il Divisore allontanato, il peccato verrà meno e si rinnoverà la vostra anima.
La preghiera, infatti, rende estraneo ogni peccato all'essere umano, come ha insegnato il nostro Salvatore nel vangelo: «Pregate, per non entrare in tentazione».
(Vita di Giovanni di Scete 228-230)
- Dal Martirologio ecumenico della Comunità monastica di Bose