Le chiese ortodosse, i greco-cattolici, i maroniti e i siro-orientali celebrano oggi la memoria di Efrem (siriaco Aphrēm) il Siro, santo e dottore della Chiesa. - È fra i più antichi scrittori di lingua siriaca e il più importante fra essi. Nacque a Nisibi, sentinella avanzata dell'impero romano nella Siria orientale, fra il 306 e il 307; suo padre, sacerdote idolatrico, lo scacciò di casa a 15 anni, allorché manifestò le prime simpatie per il cristianesimo, e il ragazzo, accolto da Giacobbe vescovo della città, fu battezzato a 18 anni. È dubbia la notizia che E. accompagnasse il suo vescovo al concilio di Nicea (325). Nella tradizionale lotta fra l'impero romano e il persiano, E. ebbe occasione di manifestare praticamente il suo amore per Nisibi nei varî assedi che la città subì dai Persiani (338, 346, 350). Nello stesso tempo coltivò gli studî, da autodidatta, e vi progredì al punto che il vescovo Giacobbe lo pose a capo della scuola di tipo catechetico che aveva aperta nella sua città poco dopo il concilio di Nicea. Dopo la disastrosa campagna persiana di Giuliano l'Apostata (363), Nisibi passò ai Persiani, ma E. con molti altri concittadini preferì alla sottomissione ai Persiani ritirarsi in territorio romano, e si trasferì a Edessa. Ivi, pur continuando il suo insegnamento e l'apostolato cristiano, abbracciò la vita monastica, che rispondeva alle sue inclinazioni ascetiche. È probabile che poco dopo il 370 E. si recasse a Cesarea a visitare il celebre Basilio (v.); è invece inverosimile che facesse una lunga dimora anche in Egitto. Invasioni di barbari e carestie gli offrirono occasione negli ultimi due o tre anni della sua vita di prodigarsi in favore dei bisognosi. Tornato alla sua vita monastica, morì nelle vicinanze di Edessa il 373, probabilmente il 9 giugno. Efrem fu soltanto diacono, non sacerdote: è anche più probabile che ricevesse tale ordinazione da Giacobbe di Nisibi (prima del 338), che non da Basilio in occasione della visita fatta a costui, come vorrebbero molti documenti. Venerato fin dalla prima metà del sec. V nella chiesa sira, e poi in quelle greche, il suo culto fu riconosciuto anche da Roma ed esteso alla chiesa universale con l'enciclica di Benedetto XV Principi Apostolorum (del 5 ottobre 1920), la quale dichiarò anche S. Efrem dottore della Chiesa. La sua festa è fissata, in Occidente, al 18 giugno.
Efrem il Siro (306-373) |
Efrem fu uno degli scrittori più fecondi dell'antichità cristiana: questa sua produzione colpì già gli antichi che ne dànno varî computi, tutti naturalmente approssimativi; così, ad es., Sozomeno nella biografia che fa di E. (in Patrol. Graec., LVII, 1086-94) dice che egli scrisse trecento miriadi (3.000.000) di stichi. Quantunque E. abbia scritto solo in siriaco, tuttavia la sua produzione si cominciò a tradurre in greco fin dallo scorcio della sua vita. Assai presto fu tradotto in armeno, latino, e, anche parzialmente, arabo, copto, etiopico, slavo; attraverso queste traduzioni si è conservata qualche opera perduta nell'originale siriaco.
Ma, come norma generica, delle antiche traduzioni di E. è poco da fidarsi. Non di rado le traduzioni, fatte da chi conosceva poco il siriaco, sono inesatte: spesso sono infarcite di ampliamenti e rimanipolazioni: anche più spesso sono composizioni spurie. Qualche falsa attribuzione si può trovare anche nei testi siriaci. Questi sono solo in minor parte in prosa, principalmente i commenti alla Scrittura; la maggior parte invece è in forma metrica (prosa metrica e composizioni poetiche). La prosa metrica è rappresentata dai mīmrē("discorsi"), costituiti da serie illimitate di eptasillabi, senza levatura poetica. Le composizioni poetiche sono i madhrāshē ("odi"), strofi di vario tipo, staccate l'una dall'altra dal ritornello o "responsorio" (‛ūnīthā). Queste canzoni furono scritte da E. per essere eseguite dal popolo (soprattutto per opporsi alla diffusione degli inni gnostici di Bardesane e di suo figlio Armonio), e le loro strofi erano cantate da solisti, ai quali rispondeva il popolo ripetendo il ritornello. Lo stile di E. è sovrabbondante e prolisso, ma è anche ricco di sentimento, e nelle sue composizioni poetiche si trovano pagine che devono essere annoverate fra le migliori d'ogni letteratura.
E. è il rappresentante più autorevole del cristianesimo siriaio fino a 50 anni dopo il concilio di Nicea; e anche dopo gli scismi cristologici, che divisero quella nazione nelle due sette dei nestoriani e dei monofisiti, si continuò ad appellarsi a lui come a indiscussa autorità. Né minore prestigio godé egli presso altre nazioni, come è attestato dall'accennata abbondanza di traduzioni in altre lingue, le quali cominciarono a esser redatte e lette nelle chiese, anche greche, quando E. era ancora in vita. Il tipo del suo pensiero teologico, ben differente da quello della scuola d'Alessandria, è notevolmente affine a quello della scuola d'Antiochia; egli infatti seguì i principî esegetici dalla scuola di Edessa, ch'era già stata in continue relazioni con Antiochia. Buona parte degli scritti di E. sono di polemica anti-gnostica. Di valore particolare per la teologia cattolica è il pensiero di E. sulla Trinità, sulla cristologia e sulla mariologia; nell'escatologia E. ha subito l'influenza della dottrina comune fra i Siri, secondo la quale l'anima del giusto dopo morte non entra subito nella pienezza della beatitudine, ma subisce un periodo d'attesa fino alla resurrezione del corpo.
- Enciclopedia Treccani