Il Rev. Dr. Luca Vona
Un evangelico nel Deserto

Ministro della Christian Universalist Association

mercoledì 15 gennaio 2020

Paolo di Tebe, primo eremita. Una pietra nascosta nel tempio della Chiesa

Incomincia e finisce da solo. Non fa neppure un discepolo. Nemmeno ci pensa. Sarà considerato il primo degli eremiti cristiani, forse, ma non gli importa che ce ne sia un secondo. Avvolto nel mistero e affascinante, questo Paolo: non ha lasciato scritti o parole memorabili, morendo all’insaputa di tutti in un posto sconosciuto a moltissimi. E poi accade che, a otto secoli circa dalla sua morte, nasca una comunità religiosa col nome di “Ordine di San Paolo Primo Eremita” o “Eremiti di San Paolo”: una comunità che, allo spirare del XX secolo, sarà ancora viva e conosciutissima, avendo la sua casa generalizia in Polonia, presso il santuario mariano di Czestochowa, a contatto con milioni di pellegrini.

Guercino, San Paolo eremita nutrito dal corvo, olio su tela, 178 x 233 cm, Pinacoteca Nazionale di Bologna

Però è da vedere se questo Paolo corra dalla città al deserto già con quell’idea di vivere in solitudine e preghiera fino alla morte. Sappiamo che è di famiglia egiziana nobile, già cristiano. E che fugge verso il deserto inizialmente per salvare insieme la fede e la vita. E’ cominciata infatti la persecuzione ordinata dall’imperatore Decio a metà del III secolo, nel tentativo di ridare unità al mondo romano attorno alle antiche divinità pagane. Una persecuzione breve, ma dura e capillare, perché si chiede a ognuno di partecipare personalmente a riti pagani, come segno di lealtà allo Stato. Chi accetta può vivere tranquillo, ricevendo una sorta di certificato di buona condotta. E molti cristiani difatti accettano, in modo più o meno convinto, per salvare la vita. Paolo non rende omaggio agli dèi; si salva con la fuga.
Presto l’imperatore Decio muore combattendo in Tracia contro i Goti (anno 251) e la persecuzione cessa. Ma Paolo non ritorna. Non lo si vede più: il deserto e la solitudine lo hanno conquistato. Lo appagano, lo fanno sentire realizzato e mai più bisognoso di tornare indietro verso la città, la famiglia, i beni. Un luogo montagnoso con nascondigli propizi; una fontana, e quindi degli alberi, dei frutti: questo diventa per lui il migliore dei mondi. Ci resterà per sessant’anni, morendo vecchissimo. San Gerolamo (ca. 347-420) scriverà su di lui un libro ricco di avventure entusiasmanti, ma sprovvisto di notizie certe.
Un santo bizzarro: senza data sicura della morte, senza che una sola parola sua ci sia pervenuta. C’è in Egitto un monastero, di fronte al Sinai (eretto forse nel VI secolo da Giustiniano), che, secondo la tradizione, conserva la sua cella. Niente altro abbiamo che ci colleghi materialmente a quest’uomo del silenzio. Tuttavia la Chiesa ne conserva il ricordo, con questa aureola di isolamento radicale. Sappiamo che Antonio abate, maestro di monaci, andò a visitarlo da vecchio. E che, tornando dopo alcuni anni, non l’ha più trovato vivo. Anche all’incontro con la morte Paolo l’egiziano è andato da solo. Nessuno ha saputo quando e come.

- Domenico Agasso