Il 25 gennaio (7 febbraio secondo il calendario gregoriano) del 1918, viene ucciso dai rivoluzionari bolscevichi Vladimir, metropolita di Kiev e di Halyč. Raggiunto nella Lavra delle Grotte di Kiev, Vladimir fu sommariamente processato e condannato a morte. Morì benedicendo i suoi uccisori.
Con la sua tragica fine, divenne ormai evidente l'inconciliabilità tra gli ideologi della Rivoluzione d'ottobre e l'ala più radicalmente evangelica dei cristiani in terra russa.
In realtà già nel 1905, con l'assassinio dei presbiteri Vladimir Troepolskij e Costantino Chitrov da parte dei primi rivoluzionari, si era profilata una nuova stagione di testimonianza fino al sangue per i cristiani russi.
Nel 1910 venne poi assassinato a Tbilisi l'arcivescovo Nicon, esarca della Georgia.
Allo scoppio della Rivoluzione d'ottobre fu ucciso l'arciprete Kočurov. Nel 1918 nella sola città di Voronež furono martirizzati centosessanta presbiteri, compreso l'arcivescovo Tichon, impiccato alla porta della cattedrale.
Il numero di martiri cristiani sotto il dominio sovietico fu incalcolabile, come impressionante fu il numero globale di vittime del regime: quasi venti milioni di persone persero la vita, a volte dopo anni di esilio e di tormenti.
Nella chiesa, a fasi alterne, furono soprattutto i vescovi, i preti e i monaci a essere perseguitati, torturati e uccisi.
Nonostante le dure persecuzioni, il cristianesimo in Russia è sopravvissuto, a riprova che davvero il sangue dei martiri è il suo seme più fecondo. La memoria odierna, dapprima celebrata soltanto dalla Chiesa russa in esilio, è oggi patrimonio comune di tutti gli ortodossi russi e ucraini.
- Dal Martirologio ecumenico della comunità monastica di Bose