Il 27 febbraio la Chiesa Anglicana celebra la memoria di George Herbert (Montgomery, 3 aprile 1593 – Bemerton, 1º marzo 1633), presbitero, poeta e oratore inglese.
Nonostante sia vissuto solo fino a 40 anni, la sua importanza, come poeta è sempre più aumentata anche se, è da notare, nessuna delle sue opere è stata pubblicata mentre era in vita. I poemi dei suoi ultimi anni, scritti quando era pastore a Bemerton vicino a Salisbury sono tra i più riusciti della letteratura del suo tempo, combinando una profonda spiritualità con una inesausta sperimentazione ed il loro linguaggio rimane fresco e ispirato anche ai nostri giorni.
La famiglia di Herbert era ricca, eminente, intellettuale ed amante dell'arte, la madre, Magdalen, era patrona e amica di John Donne e altri poeti, il fratello Edward Herbert, primo barone di Cherbury, nominato cavaliere e Lord Herbert di Cherbury da re Giacomo I d'Inghilterra, fu un poeta e filosofo che cercava di riconciliare il cristianesimo con il razionalismo ed è spesso citato come il "padre del deismo inglese".
Herbert bilanciò una iniziale carriera secolare con gli ultimi anni di contemplazione teologica e di umile lavoro parrocchiale.
Dopo aver conseguito la laurea al Trinity College di Cambridge Herbert ebbe il posto di "pubblico oratore" di Cambridge, responsabile di porgere ampollosi saluti in latino ai visitatori importanti; una posizione cui probabilmente teneva date le sue capacità poetiche. Nel 1624 divenne membro del Parlamento. Entrambe queste attività indicano un intento di intraprendere una carriera a corte. Tuttavia, nel 1625 si verifico la morte di Giacomo I, che aveva mostrato di favorirlo e forse di volerlo nominare ambasciatore. Da qui la scelta - per certi versi pragmatica - di Herbert di scegliere quella che probabilmente era la sua iniziale inclinazione: una carriera nella Chiesa d'Inghilterra.
Nel 1626 prese gli ordini e la cura di una parrocchia rurale nel Wiltshire a circa 75 miglia a sud ovest di Londra dove si rivelò un onesto e coscienzioso pastore, attento alla cura spirituale e anche fisica dei parrocchiani, dei quali cercò di alimentare la vita spirituale attraverso la recita quotidiana dell'ufficio delle ore, e mediante la composizione di una grande quantità di inni e di poemi liturgici.
Sul letto di morte consegnò il manoscritto "The Temple" (il Tempio), la sua raccolta di poesie, a Nicholas Ferrar, il fondatore di una comunità religiosa semi-monastica a Little Gidding (un nome oggi molto più conosciuto attraverso le poesie di T. S. Eliot). Herbert chiese a Ferrar di pubblicare le poesie se le riteneva capaci di "essere di aiuto a qualche anima bisognosa" oppure di bruciarle. Prima del 1680 The Temple aveva raggiunto le tredici edizioni. Sempre postumo nel 1652 venne pubblicato Priest to the Temple, or, The Country Parson his Character and Rule of Holy Life (Sacerdote al tempio o il parroco di campagna, suo carattere e ruolo nella vita spirituale), trattato sulla devozione, in prosa.
Tracce di lettura
L’Amore mi accolse; ma l’anima mia indietreggiò,
colpevole di polvere e peccato.
Ma chiaroveggente l’Amore, vedendomi esitare
fin dal mio primo passo,
mi si accostò, con dolcezza
domandandomi se qualcosa mi mancava..
«Un invitato» risposi «degno di essere qui».
L’Amore disse: «Tu sarai quello».
Io, il malvagio, l’ingrato? Ah! mio diletto,
non posso guardarti.
L’Amore mi prese per mano, sorridendo rispose:
«Chi fece quest’occhi, se non io?»
«È vero, Signore, ma li ho insozzati;
che vada la mia vergogna dove merita».
«E non sai tu» disse l’Amore «chi ne prese il biasimo su di sé?»
«Mio diletto, allora servirò».
«Bisogna tu sieda», disse l’Amore «che tu gusti il mio cibo».
Così mi sedetti e mangiai. (George Herbert, Love)
Tracce di lettura
L’Amore mi accolse; ma l’anima mia indietreggiò,
colpevole di polvere e peccato.
Ma chiaroveggente l’Amore, vedendomi esitare
fin dal mio primo passo,
mi si accostò, con dolcezza
domandandomi se qualcosa mi mancava..
«Un invitato» risposi «degno di essere qui».
L’Amore disse: «Tu sarai quello».
Io, il malvagio, l’ingrato? Ah! mio diletto,
non posso guardarti.
L’Amore mi prese per mano, sorridendo rispose:
«Chi fece quest’occhi, se non io?»
«È vero, Signore, ma li ho insozzati;
che vada la mia vergogna dove merita».
«E non sai tu» disse l’Amore «chi ne prese il biasimo su di sé?»
«Mio diletto, allora servirò».
«Bisogna tu sieda», disse l’Amore «che tu gusti il mio cibo».
Così mi sedetti e mangiai. (George Herbert, Love)