Il Rev. Dr. Luca Vona
Un evangelico nel Deserto

Ministro della Christian Universalist Association

domenica 3 novembre 2019

Un tempo eravate tenebre

COMMENTO ALLA LITURGIA DELLA VENTESIMA DOMENICA DOPO LA TRINITÀ

Colletta

O Dio onnipotente e misericordioso, per la tua tenera bontà preservaci, ti supplichiamo, da ogni pericolo; affinché possiamo essere pronti, nell'anima e nel corpo, a compiere diligentemente tutte le cose che hai comandato. Per Cristo nostro Signore. Amen.

Letture

Ef 5,15-21; Mt 22,1-14

Commento

La parabola degli invitati a nozze riportata da Matteo si divide in due parti: la prima richiama il giudizio di Israele, per il suo rifiuto del Messia promesso; la seconda, che fa da "chiosa", si riferisce al giudizio individuale, e non è presente negli altri Vangeli.

Troviamo un racconto analogo nel Vangelo di Luca: quello del "gran convito" (Lc 14,15-24), dove il banchetto è preparato da un uomo benestante, mentre in Matteo si narra di un re, che invita alle nozze del proprio figlio. La parabola assume in Matteo un maggiore significato messianico e prefigura le persecuzioni e gli oltraggi che non solo i profeti dell'Antico Testamento, ma anche i discepoli e gli apostoli del Signore, in ogni tempo, subiscono per il suo nome.

Anche la reazione di colui che ha trasmesso l'invito è differente tra i due vangeli. In Luca gli invitati vengono rimpiazzati da mendicanti, mutilati, zoppi e ciechi. In Matteo il re decide di distruggere interamente la città di coloro che hanno rifiutato l'invito: "il re allora si adirò e mando i suoi eserciti per sterminare quegli omicidi e per incendiare la loro città" (Mt 22,7). Gerusalemme, la città di Dio, è ormai diventata "la loro città" perché Dio l'ha abbandonata in mano al nemico (Gerusalemme verrà distrutta dai romani pochi decenni dopo la morte di Cristo).  Già nel libro dell'Esodo vediamo che, dopo che Israele si è costruito il vitello d'oro, Dio si rivolge a Mosè chiamando Israele "il tuo popolo" e non più "il mio popolo" (Es 32,7).

A questo punto della vicenda terrena di Gesù vi è un cambio di rotta decisivo, rappresentato dalle parole del re ai suoi servitori: "andate ora ai crocicchi delle strade e tutti quelli che troverete, chiamateli alle nozze". Mentre fino a prima Gesù aveva intimato ai discepoli "Non andate tra i Gentili e non entrate in alcuna città dei Samaritani" (Mt 10,5), tale divieto è ora abolito; lo stesso si può dire della distinzione tra popolo e popolo. Possiamo dire con Paolo che "qui non c'è più Greco e Giudeo, circonciso e incirconciso, barbaro e Scita, servo e libero" (Col 3,11), ma tutti sono del pari peccatori, ai quali viene fatta l'offerta della salvezza in Cristo. Adesso le porte della mensa sono aperte a tutti.

A ben vedere non viene fatta una discriminazione neanche a partire dalle opere: "radunarono tutti quelli che trovarono cattivi e buoni e la sala delle nozze si riempì di commensali" (Mt 22,10). Che la possibilità di presentarsi al banchetto sia data per grazia è chiaro nella descrizione dei nuovi invitati nel Vangelo di Luca: i "mendicanti, mutilati, zoppi e ciechi" (Lc 14,21) rappresentano la nostra natura umana, segnata dalle ferite e dalla cecità del peccato, che ci impediscono di pervenire da soli alla salvezza.

Nel seguito della parabola matteana, invece, "il re, entrato per vedere i commensali, vi trovò un uomo che non indossava l'abito di nozze" (Mt 22,11). L'ingresso del re è l'immagine del giudizio finale e della separazione degli ipocriti dalla Chiesa di Cristo. Egli entra quando tutti gli invitati sono seduti a tavola, come era d'uso nell'antico Oriente.

La fede necessaria per presentarsi al convito è simboleggiata dall'abito di nozze, di cui uno degli invitati è sprovvisto. Era abitudine in oriente, che i re distribuissero agli invitati gli abiti per presentarsi alla festa. Era infatti inammissibile che qualcuno si presentasse con vestiti logori. Risulta chiara in questa immagine l'idea della grazia rifiutata e, dunque, della libertà della coscienza umana, di accogliere il Figlio di Dio e la sua parola salvifica.

Questa immagine è utilizzata anche dal profeta Isaia: "Io mi rallegrerò grandemente nell'Eterno, la mia anima festeggerà nel mio Dio, perché mi ha rivestito con le vesti della salvezza, mi ha coperto col manto della giustizia, come uno sposo che si mette un diadema, come una sposa che si adorna dei suoi gioielli" (Is 61,10).

Benché i peccatori siano invitati ad andare a Cristo nella condizione in cui si trovano e benché la salvezza si ottenga "senza denari e senza prezzo" (Is 55,1), Paolo riconosce che Dio "ci ha grandemente favoriti nell'amato suo figlio" (Ef 1,6), del quale siamo chiamati a rivestirci.

- Rev. Dr. Luca Vona