La Chiesa luterana celebra oggi la memoria di Jacob Böhme (1575 – 1624), filosofo, teologo, mistico e luterano tedesco. Egli è stato uno dei principali esponenti del misticismo cristiano moderno, ed era detto dai suoi contemporanei «Philosophus teutonicus».
Jacob Böhme nacque nell'aprile del 1575 nella tedesca Seidenberg, ora parte di Sulików. Figlio di contadini, frequentò per poco tempo la scuola del villaggio dove era nato, poi fu mandato nella vicina Görlitz ad imparare il mestiere di calzolaio, che esercitò come maestro in una bottega presso le mura alla porta del Neiße fin verso il 1613.
Nei sette anni successivi unì la predicazione ad attività commerciali, e solo negli ultimi quattro anni della sua vita si sarebbe dedicato esclusivamente alla ricerca mistico-religiosa.
Nel 1599 sposò la figlia di un macellaio, Catharina Kunschmanns, dalla quale ebbe quattro figli. Per il resto egli condusse, per quanto gli fu possibile, la vita modesta di un uomo mite e paziente.
La diffusione della sua prima opera, manoscritta e pubblicata a sua insaputa da parte di un suo estimatore, gli attirò la diffidenza del pastore di Görlitz, Gregorius Richter, che lo accusò di eresia e rimase suo oppositore per tutta la vita. Quando, nel 1624, Böhme fu chiamato a Dresda per giustificare le proprie opere dinanzi a un consesso di religiosi, i suoi scritti vennero colpiti da interdetto. Richter morì appena qualche mese prima di Böhme, consentendo a quest'ultimo di morire, a sua volta, riabilitato, grazie alla confessione evangelica raccolta dal nuovo pastore.
La sua esperienza mistica, il fatto stesso che egli ne parlasse e si sforzasse di descriverla, aveva rappresentato per il suo paese un forte motivo di scandalo, esponendolo agli attacchi della comunità religiosa locale, che dopo la sua morte giunse ad oltraggiarne la tomba. D'altro canto ebbe anche parecchi sostenitori a livello personale, che lo veneravano al punto da farne quasi oggetto di culto.
Böhme aveva ricevuto una educazione luterana, come era normale nel suo paese e nella sua classe sociale. Per via della sua scarsa istruzione, disse di sé: «Ho letto un solo libro, il mio libro, dentro di me». Il bisogno di comunicare le proprie esperienze mistiche, tuttavia, lo spinse verso i libri e la scrittura. Ampliò la sua educazione luterana studiando da autodidatta severo, mediante letture delle opere della tradizione mistica tedesca del Trecento (Eckhart, Taulero, Suso), oltre ai mistici naturalisti del Cinquecento (Paracelso, J.B. Van Helmont, S. Franck, V. Weigel). Insieme ai mistici, dunque, legge anche opere di alchimia, astrologia e cabala.
Il rigido luteranesimo imperante all'epoca condannava ogni possibilità di trascendenza diretta e ogni atteggiamento di tipo ascetico o mistico. Eppure, Jakob si trova a vivere esperienze estatiche diverse volte nella sua vita. Una prima, nel 1600, poi nel 1610 e ancora nel 1617. Tali esperienze, coinvolgenti tutto il suo essere fisico e spirituale, hanno la durata di alcuni giorni ciascuna. Egli le vive come esperienze che illuminano la sua conoscenza di Dio più che come un'unione diretta con Dio e ineffabile. Da esse riceve lo stimolo continuo a studiare le Scritture ed approfondire le sue conoscenze, in modo che potessero rendere più esplicite (a parole) le esperienze vissute.
Böhme era convinto che l'uomo avesse la capacità di comprendere il mistero di Dio, da lui concepito come la realtà informe e originaria da cui prende vita la creazione. Per tale motivo, il suo misticismo difficilmente poteva conciliarsi con il cristianesimo protestante, in quanto metteva in discussione il nodo teologico della Riforma, che indica nella Bibbia l'unica fonte del contatto tra l'uomo e Dio, sottolineando l'inattingibilità di quest'ultimo per vie diverse. Proprio per questa ragione il luteranesimo, essendo in quei decenni tutto proteso a fondare la propria teologia in antagonismo con quella di Roma, non ammetteva possibilità di santificazione del singolo uomo che nell'aldilà, e dunque giudicava negativamente la venerazione di cui Böhme era fatto oggetto.
Per certi aspetti egli apparve più vicino alle posizioni del cattolicesimo, che riconosce la possibilità di una teologia naturale e di un contatto diretto, immediato e personale con la divinità, sebbene Böhme se ne discostasse per l'esaltazione del primato della fede. È comunque attestata la sua profonda venerazione per la Vergine Maria.
Rifacendosi alle concezioni tradizionali, l'uomo è per Böhme un microcosmo, in quanto in lui, quale coronamento della creazione, stanno tutte le cose, Dio e gli angeli, il cielo e l'inferno. Ultimo nel processo creativo di Dio, egli ha il compito di risalire la corrente e tornare verso il Principio. Per fare ciò deve essere un'immagine compiuta di Dio e possedere una volontà libera. In questo però sta la grandezza unitamente al pericolo: se l'uomo volge la propria volontà verso l'esterno (le creature e il mondo), realizza in sé l'aspetto tenebroso del divino, costruendosi l'inferno per la propria anima. Se invece si distacca dalle creature e dal mondo in genere, annullando la propria visione particolaristica e la propria volontà separata per lasciare spazio alla volontà divina, in lui si realizza l'amore di Dio, la luce del Paradiso. Se l'uomo si rivolge al male, non lo fa che per ignoranza o cecità, in quanto, essendo immagine di Dio, egli non può che cercare sempre e comunque il bene. La libertà della volontà dell'uomo consente dunque di conoscere ed esperire la dolorosa lontananza da Dio. All'uomo decaduto non spetta che effettuare un cenno di rinuncia al male (essendo la presenza luminosa di Dio costante e sempre in attesa di rivelarsi): a quel punto, la volontà che passa dall'esteriore all'interiore permette la nascita di Cristo in sé.
Secondo Böhme, in Dio è presente una polarità di forze contrapposte: per un verso Egli è il Nulla, un abisso insondabile e indeterminato, dal quale però scaturisce un incontenibile desiderio di vita, attraverso il quale prendono forma le diverse realtà in cui si esplica la Creazione. Dio racchiude in sé sia il Bene che il Male, lo spirito e la materia, la luce e le tenebre. Rifacendosi alla tradizione neoplatonica che vedeva in Dio l'unità dei contrari, come potenza che si attua dinamicamente nel mondo, Böhme tuttavia va oltre la concezione agostiniana del male inteso come semplice non-essere, riconoscendo anche la positività del negativo.
Jacob Böhme (1575-1624) |
Riepilogo essenziale
Gli scritti di Böhme sono stati considerati complessi, oscuri, difficili nella lettura e nella comprensione, a parte alcuni passaggi, che possono essere considerati anche affascinanti. È però possibile enucleare il suo pensiero a grandi linee:
- se desideriamo contemplare ciò che è divino ed eterno, dobbiamo credere che il divino e l'eterno possano rivelarsi nella costituzione stessa dell'uomo, come principio spirituale insito nell'uomo stesso e che non vada cercato altrove;
- la Parola di Dio, la Scrittura deve essere interiorizzata, passando dalla "storia all'essenza": in tal modo si attua la redenzione dell'uomo da parte di Dio e della sua Parola;
- non basta la speculazione teorica sulle cose che appartengono allo Spirito nell'uomo per giungere alla sua comprensione;
- l'uomo deve riconoscere l'esistenza di un principio divino al suo stesso interno, arrivando fino al fondo della propria anima, scendendo in un abisso che è la Divinità stessa (che in realtà è senza fondo per garantirne la trascendenza);
- l'uomo che desidera avvicinarsi a Dio, penetrando sempre di più nell'abisso, deve arrendersi a Dio, rimettendo a Lui la propria volontà, consegnando se stesso alla divinità. La volontà che non si consegna non permette di incontrare Dio e la sua Sapienza: in tal modo non riusciamo a vedere Dio, ma la propria volontà malata riesce a vedere soltanto il mondo e il diavolo (il bene pervertito);
- il modo in cui Dio può essere percepito nella sua Parola e nella sua Essenza è che l'uomo giunga ad uno stato di unità con se stesso, abbandoni ogni cosa che riguardi il suo sé personale (beni, denaro, padre e madre, fratelli, sorelle, moglie, figli, il proprio corpo e la propria vita) e che tale sé divenga un nulla per lui; deve cedere ogni cosa e divenire povero come un uccello del cielo, senza nessun nido per il proprio cuore;
- ciò non significa che la persona debba abbandonare la propria casa e i propri familiari, uccidersi o vendere le proprietà, ma soltanto smettere di pretendere tutte queste cose come possesso, uccidendo o annichilendo soltanto la propria volontà;
- l'uomo che ha ceduto se stesso a Dio entra nell'unione divina con Cristo, è rigenerato da Cristo (nato nuovamente in lui) così da vedere Dio stesso, parlare con Dio, conoscere veramente la sua Parola e la sua Essenza.
Böhme è certamente un caso esemplare non solo di mistica protestante (capace di raccogliere anche la tradizione cattolica "renana", la filosofia naturale e la tradizione esoterica ebraica e alchemica), ma di "pensiero cristiano alternativo" che ha dato vita a diversi filoni della Riforma radicale.
I seguaci di Böhme, detti behmenisti, si diffusero ovviamente in Germania, dove l'erede spirituale di Böhme fu Abraham von Franckenberg (1593-1652), e in Olanda, dove Abraham Willemsz van Beyerland (1586/7-1648) provvide alla stampa dell'intera opera letteraria. Quest'ultimo influenzò il diplomatico Michel le Blon (1587-1658), responsabile della successiva diffusione degli scritti di Böhme in Svezia, dove interessarono la famosa regina Cristina (1626-1689), e in Inghilterra.
In quest'ultimo paese, dove per la verità, i suoi lavori circolavano già dagli anni '40 del XVII secolo, si svilupparono gruppi di seguaci del pensiero di Böhme. Alcuni behmenisti inglesi si fusero in seguito con il movimento dei quaccheri, il cui fondatore, George Fox era rimasto particolarmente colpito dal pensiero del "Calzolaio di Görlitz". Anche il familista reverendo James Pordage fu un suo accanito lettore. Assieme a Jane Leade, Pordage fondò la Società dei Filadelfi (The Philadelphian Society) nel 1670 proprio per promuovere un maggiore interesse nel pensiero di Böhme.
- Fonti: Wikipedia, Mistica.info, Eresie.com