Dio è solitario, e lo è essenzialmente: perché, presente in tutti gli esseri, non si mescola con nessuno, i suoi attributi lo tengono infinitamente distante dal nulla e dall'imperfezione delle creature: "Io, il Signore, sono il primo e io stesso sono con gli ultimi" (Is 40,4b) Ma questa separazione, che la natura divina esige tra lui e ciò che non è lui, non può però portare all'indifferenza o al disprezzo per tutto ciò che è uscito dalle sue mani. Al contrario, egli per amore l'ha chiamato all'esistenza e la sua carità lo avvolge da tutte le parti: "tu ami tutte le cose esistenti e nulla disprezzi di quanto hai creato" (Sap 11,24). Tutti i beni della creazione provengono da questo abisso della divinità, che è impenetrabile per quella.
C'è anche un abisso tra il bene e il male. Tra quel che Dio ha fatto e tra quel che egli non ha fatto. Il peccato, l'imperfezione, non è opera sua, ma frutto dell'uomo: così, per separarci maggiormente dal male e da ciò che è imperfetto, viviamo lontani dal mondo, dalla sua mentalità e dalle sue vanità. Più noi rimaniamo estranei al mondo, attenti solo all'unico necessario, più saremo per il mondo dei serbatoi e dei canali del flusso divino. Tutto ciò che ci riavvicina al mondo diminuisce contemporaneamente la nostra azione sulle anime che devono essere salvate.
Stiamo attenti a non fare della nostra vita solitaria una vita di egoismo, occupati unicamente nei nostri interessi, anche spirituali. S. Giovanni Crisostomo definisce sterile una simile "filosofia" presso i monaci. Senza dubbio siamo venuti nel deserto per trovare Dio e per godere di lui, bramosi di partecipare quaggiù, per quel che ci è possibile, della beatitudine che l'Altissimo possiede nella sua infinita semplicità. Ora, la Bontà senza misura si comunicherebbe forse ad un anima senza al tempo stesso inondarla con il torrente di amore che si effonde sugli esseri creati?
Viviamo nella solitudine con il desiderio della purezza di cuore e di dissetare la nostra brama del Bene supremo; ma al tempo stesso la nostra solitudine sia per il mondo una sorgente di grazia, per l'ardore delle nostre intercessioni e per la generosità dei nostri sacrifici.
Louis M. Baudin (+1926), Méditation cartusiennes, t. 2, pp. 226-228)
Un monaco certosino in preghiera nella sua cella |