Il Rev. Dr. Luca Vona
Un evangelico nel Deserto

Ministro della Christian Universalist Association

giovedì 14 novembre 2019

Gregorio Palamas e la preghiera incessante del Nome di Gesù

Nel 1359 muore nella sua sede episcopale di Tessalonica Gregorio Palamas (1296-1359), monaco e pastore tra i più amati nel mondo bizantino. Di famiglia costantinopolitana, Gregorio era stato coinvolto nel movimento di rinascita esicasta, che aveva fatto del monte Athos un grande polo di attrazione in un'epoca di forte declino dell'impero bizantino. Uomo molto colto, formatosi nelle migliori scuole della capitale, egli unì nella sua esperienza monastica una profondissima vita interiore, animata dalla pratica della preghiera di Gesù, a una notevole verve da polemista. Quando infatti Barlaam il Calabro accusò di eresia tutti quei monaci che fondavano la loro vita spirituale sulla ripetizione del Nome del Signore, Gregorio si gettò in prima persona nella difesa dei «santi esicasti», dando vita a una teologia al tempo stesso fedele alla tradizione patristica e tuttavia profondamente originale. Importante fu la sua distinzione fra l'essenza e le energie di Dio, che ebbe il merito di rendere ragione sia della radicale alterità di Dio rispetto all'uomo, sia del suo libero donarsi a coloro che vivono nella preghiera un'autentica esperienza spirituale. Coinvolto nelle controversie del tempo, Gregorio conobbe la scomunica e la prigionia inflittegli dal patriarca di Costantinopoli Giovanni Caleca, ma dal successore di quest'ultimo, Isidoro, fu poi riammesso alla comunione ecclesiale, fino a diventare arcivescovo di Tessalonica.
Cantore di un Dio che è «fuoco d'amore divorante», Palamas ha lasciato ai posteri una delle più alte e complete dottrine sulla divinizzazione dell'uomo, vero fine dell'economia divina secondo la tradizione orientale.

Tracce di lettura

Il Figlio di Dio, nel suo incomparabile amore per gli uomini, non si è limitato a unire la sua divina Ipostasi alla nostra natura, ricoprendosi di un corpo animato e di un'anima dotata d'intelligenza, per apparire sulla terra e vivere con gli uomini; ma poiché si unì - miracolo incomparabilmente sovrabbondante - alle ipostasi umane stesse, confondendosi con ogni fedele per la comunione al suo santo corpo - egli infatti diventa un sol corpo con noi e fa di noi un tempio della Divinità tutta, visto che nel corpo stesso di Cristo abita corporalmente tutta la pienezza della Divinità -, come non illuminerebbe egli coloro che comunicano degnamente al raggio divino del suo Corpo che è in noi, portando luce nella loro anima, come egli illumina gli stessi corpi dei discepoli sul Tabor? Allora questo corpo, fonte della luce della grazia, non era ancora unito ai nostri corpi; esso illuminava dal di fuori coloro che gli si accostavano e inviava l'illuminazione all'anima con la mediazione degli occhi sensibili; ma oggi, poiché è mescolato con noi ed esiste in noi, egli illumina l'anima proprio dal di dentro.
(Gregorio Palamas, Triadi  I,3,38)

- Dal Martirologio ecumenico della Comunità monastica di Bose