Il Rev. Dr. Luca Vona
Un evangelico nel Deserto

Ministro della Christian Universalist Association

giovedì 27 maggio 2021

Fermati 1 minuto. Gettare via il mantello

Lettura

Marco 10,46-52

46 E giunsero a Gerico. E mentre partiva da Gerico insieme ai discepoli e a molta folla, il figlio di Timèo, Bartimèo, cieco, sedeva lungo la strada a mendicare. 47 Costui, al sentire che c'era Gesù Nazareno, cominciò a gridare e a dire: «Figlio di Davide, Gesù, abbi pietà di me!». 48 Molti lo sgridavano per farlo tacere, ma egli gridava più forte: «Figlio di Davide, abbi pietà di me!».
49 Allora Gesù si fermò e disse: «Chiamatelo!». E chiamarono il cieco dicendogli: «Coraggio! Alzati, ti chiama!». 50 Egli, gettato via il mantello, balzò in piedi e venne da Gesù. 51 Allora Gesù gli disse: «Che vuoi che io ti faccia?». E il cieco a lui: «Rabbunì, che io riabbia la vista!». 52 E Gesù gli disse: «Va', la tua fede ti ha salvato». E subito riacquistò la vista e prese a seguirlo per la strada.

Meditazione

Protagonista di questa porzione di vangelo è Bartimèo, un nome che significa "figlio di Timeo" e che quindi ci dice solo di chi è figlio; l'altra cosa che viene detta è che egli è cieco. Privato di una vera e propria identità egli è così semplicemente "il cieco". La sua persona è identificata con la sua malattia. 

Anche noi a volte siamo vittime o responsabili verso gli altri di questo "riduzionismo", che semplifica le relazioni ingabbiando le persone in uno sterotipo ma impedisce di vedere la ricchezza che vi sta dietro. Spesso siamo noi stessi prigionieri di quel mantello che ci siamo cuciti addosso.

Gesù viene ad aprire i nostri occhi per renderci capaci di ammirare la bellezza delle opere di Dio che si esprime anche nella diversità e unicità di ogni sua creatura.

La cecità di Bartimèo lo rende improduttivo ed egli può mantenersi solo chiedendo l'elemosina. Finché non siamo toccati dalla grazia possiamo solo accontentarci di beni che soddisfano le esigenze più immediate, ma non possono donarci la libertà dei figli di Dio.

La preghiera "gridata" di Bartimèo (vv. 47-48) esprime l'angoscia nel tentativo di colmare la distanza tra l'uomo e Dio, ma è anche come il gemito di un neonato, che non lascia indifferente chi lo ha generato alla vita.

Bartimèo chiama Gesù "mio maestro" (v. 51) e confessa la sua fede in lui come "figlio di Davide" (47-48), il Messia atteso da Israele. Solo assumendo Cristo come guida potremo incamminarci verso l'orizzonte di un asservimento da ogni schiavitù.

Quando il Signore ci chiama è per aprire i nostri occhi alla contemplazione della sua gloria: nel creato, nella storia della salvezza e nelle nostre vite. Il balzo di Bartimèo verso Gesù (v. 50) rappresenta la fede capace di colmare la distanza tra il nostro stato di infermità spirituale e la pienezza della grazia che ci chiama. A volte credere di poter superare ciò che ci limita non è facile come compiere un piccolo passo ma nella parola di salvezza che ci raggiunge troviamo il coraggio e la forza per il cambiamento.

Riacquistata la vista Bartimèo abbandona il mantello (v. 50) che probabilmente utilizzava per raccogliere le elemosine. In questo gesto è raffigurata l'emancipazione dal ruolo nel quale chi gli intimava di tacere (v. 48) lo voleva tenere costretto.

Bartimèo diventa immagine del catecumeno nell'itinerario verso il battesimo, mistero dell'iniziazione cristiana che i primi credenti chiamavano "illuminazione" (photismòs). La sua fede coraggiosa e tenace non solo gli ha procurato la guarigione, ma gli ottiene anche di diventare discepolo di Gesù. Con lui si incammina verso Gerusalemme (v. 52), per partecipare al suo mistero di salvezza.

Preghiera

Signore Gesù, noi ti riconosciamo come nostro maestro e liberatore; apri i nostri occhi alla fede, affinché possiamo contemplare e proclamare le grandi opere che hai compiuto per noi. Amen.

- Rev. Dr. Luca Vona