Il Rev. Dr. Luca Vona
Un evangelico nel Deserto

Ministro della Christian Universalist Association

mercoledì 30 giugno 2021

Enzo Bianchi. Ecco perché benedire chi cerca di amarsi

Da secoli noi cattolici abbiamo un modo di porci che oggi è sentito come fastidioso, insopportabile da molta gente, soprattutto dalle nuove generazioni: vogliamo dare una risposta e una “buona risposta” su tutto. In questa pretesa, che si manifesta anche in un’ansia cosiddetta “pastorale”, in realtà si danno risposte preconfezionate, ricevute dal passato in modo acritico e inerte, risposte che non tengono conto delle realtà mutevoli, delle diversità culturali delle epoche e delle terre, e soprattutto del vissuto delle persone. Nello spazio ecclesiale si reagisce di fronte alla diversità e alla novità delle situazioni e delle storie personali con la sicumera di chi sa tutto, di chi ha sempre una parola definitiva e indiscutibile su ogni cosa. Così l’altro non si sente né raggiunto né compreso, e saturo di tanta certezza se ne va cercando il più possibile di turarsi le orecchie.

Il Fondatore della Comunità monastica di Bose, Enzo Bianchi

A volte, soprattutto quando si accende una discussione sull’etica e in particolare sulla sessualità, mi sento uno straniero che non riesce neppure a comprendere la lingua in cui ci si esprime “in fedeltà alla tradizione”. E mi domando: “Se gli altri mi trattassero come noi trattiamo loro?”. Le parole di Gesù: “Con il giudizio con il quale giudicate sarete giudicati voi e con la misura con la quale misurate sarà misurato a voi” (Mt 7,2) non sono solo un invito alla misericordia, ma a un discernimento da applicarsi nel giudizio! Sono scandalizzato da come nelle chiese a volte alcuni che giudicano con severità e predicano tuonando minacciosi contro certi peccati che vengono imputati agli altri, siano in realtà i primi a commetterli; ma così facendo li rimuovono da se stessi e infieriscono perché sono attratti dal ministero di condanna.

Nella nostra epoca emerge continuamente, in circostanze diverse, il dibattito sull’orientamento sessuale. Dopo secoli di un silenzio che lasciava posto solo alla condanna, oggi forse se ne parla fin troppo, ma senza utilizzare un linguaggio che sia semplicemente capace di accogliere la diversità. Diversità che non sta nello spazio della patologia, né dipende dalle scelte della persona, ma emerge in varie situazioni senza che ne sappiamo il perché: come la rosa fiorisce perché è una rosa! Non abbiamo una risposta all’enigma dell’orientamento sessuale che va comunque preso sul serio perché parte della realtà complessa dell’umano. So bene che su questo tema l’Antico Testamento e nel Nuovo l’apostolo Paolo hanno assunto posizioni severe nell’indicare ciò che è bene e ciò che è male, ma questo non deve vietarci di accedere a un linguaggio e a una comprensione diversa rispetto al passato. Qualunque sia l’orientamento sessuale di un essere umano, questo è sempre innanzitutto una creatura voluta e amata senza pentimento da Dio. Se è cristiano attraverso il battesimo è anche conforme a Cristo, parte del suo corpo, capace di essere suo testimone e quindi “un santo” nella chiesa di Dio. Qualunque sia il suo orientamento sessuale gli è chiesto di vivere il comandamento nuovo dell’amore reciproco, di saper dare la vita per gli amici, di vivere ogni storia d’amore nella gratuità e nella fedeltà; gli è chiesto di combattere contro la philautía, l’egoismo narcisista che uccide ogni amore e impedisce di vivere il vangelo, né più né meno come è chiesto a ogni altro discepolo di Gesù.

Per questo non sopporto che ci sia una pastorale differenziata sulla base dell’orientamento sessuale, non sopporto i ghetti che rinchiudono ed etichettano gli esseri umani con la scusa di offrire aiuto. In ogni incontro con l’altro mai ho chiesto o indagato sul suo orientamento sessuale: ho davanti a me un uomo, una donna e basta, e io devo stare semplicemente di fronte a lui, a lei, con cuore misericordioso e accogliente. E su tutti chiedo che scenda la benedizione di Dio, perché là dove c’è un uomo, una donna, lo Spirito santo aleggia su di loro e attende l’epiclesi, attende di essere chiamato a scendere per riposare nel loro cuore. Un uomo, una donna, sono molto più grandi del loro orientamento sessuale, come lo sono anche dei loro peccati.

- Enzo Bianchi, Jesus, giugno 2021

Fermati 1 minuto. La differenza tra riconoscere e amare

Lettura

Matteo 8,28-34

28 Giunto all'altra riva, nel paese dei Gadarèni, due indemoniati, uscendo dai sepolcri, gli vennero incontro; erano tanto furiosi che nessuno poteva più passare per quella strada. 29 Cominciarono a gridare: «Che cosa abbiamo noi in comune con te, Figlio di Dio? Sei venuto qui prima del tempo a tormentarci?».
30 A qualche distanza da loro c'era una numerosa mandria di porci a pascolare; 31 e i demòni presero a scongiurarlo dicendo: «Se ci scacci, mandaci in quella mandria». 32 Egli disse loro: «Andate!». Ed essi, usciti dai corpi degli uomini, entrarono in quelli dei porci: ed ecco tutta la mandria si precipitò dal dirupo nel mare e perì nei flutti. 33 I mandriani allora fuggirono ed entrati in città raccontarono ogni cosa e il fatto degli indemoniati. 34 Tutta la città allora uscì incontro a Gesù e, vistolo, lo pregarono che si allontanasse dal loro territorio.

Commento

L'episodio dei due indemoniati gadareni mostra che anche gli spiriti maligni conoscono Gesù come Figlio di Dio. Così è anche tra gli uomini: vi è chi riconosce la vera identità di Cristo, ma non si decide a stare dalla sua parte. Una cosa è conoscere la verità, altra cosa amarla.

I demòni "rimproverano" a Gesù di essere venuto a tormentarli "prima del tempo" (v.29). Era credenza diffusa tra i giudei che gli spiriti maligni avrebbero avuto potere sull'umanità fino all'instaurazione del regno di Dio; qui abbiamo la dimostrazione che esso ha già cominciato a farsi strada nel mondo.

L'allevamento dei maiali, considerati impuri dalla legge giudaica, sta a indicare che ci troviamo in un ambiente di non ebrei. Ai demòni non è concesso di uccidere l'uomo, ma possono, con il permesso di Dio, attaccare i suoi beni, privarlo della libertà, escluderlo dal consesso sociale (come testimonia il libro di Giobbe). Così è nel caso della richiesta dei demòni che tormentano i due uomini di Gadara, che chiedono a Gesù di poter entrare nel gregge di maiali (v. 31) e ottengono il suo consenso.

I Gadareni chiedono a Gesù di allontanarsi dal loro territorio (v. 34), perché la preoccupazione della perdita economica subìta è maggiore del riconoscimento della sua potenza e della gratitudine per la liberazione dei due uomini indemoniati. Abbiamo qui la rappresentazione del prevalere degli interessi personali sul riconoscimento di Cristo come salvatore e sul senso di solidarietà umana con i sofferenti. 

Gesù ha il potere di liberare l'uomo dal male, ma all'uomo è lasciata la capacità di accoglierlo o di respingerlo. Dio non si impone ma rispetta la nostra libertà. Lasciamolo entrare nel territorio delle nostre vite.

Preghiera

Signore del Cielo e della terra, liberaci dai lacci del maligno; affinché possiamo accoglierti come nostro personale salvatore e lodare la potenza del tuo Nome. Amen.

- Rev. Dr. Luca Vona

martedì 29 giugno 2021

Fermati 1 minuto. Solo la fede ci apre alla comprensione

Lettura

Matteo 16,13-19

13 Essendo giunto Gesù nella regione di Cesarèa di Filippo, chiese ai suoi discepoli: «La gente chi dice che sia il Figlio dell'uomo?». 14 Risposero: «Alcuni Giovanni il Battista, altri Elia, altri Geremia o qualcuno dei profeti». 15 Disse loro: «Voi chi dite che io sia?». 16 Rispose Simon Pietro: «Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente». 17 E Gesù: «Beato te, Simone figlio di Giona, perché né la carne né il sangue te l'hanno rivelato, ma il Padre mio che sta nei cieli. 18 E io ti dico: Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia chiesa e le porte degli inferi non prevarranno contro di essa. 19 A te darò le chiavi del regno dei cieli, e tutto ciò che legherai sulla terra sarà legato nei cieli, e tutto ciò che scioglierai sulla terra sarà sciolto nei cieli».

Commento

In un momento di riposo dal suo ministero Gesù coglie l'occasione per domandare ai suoi discepoli cosa pensa la gente di lui. Le opinioni sono diverse. D'altra parte Gesù ha detto che sarebbe venuto a portare divisione (Lc 12,51). Molte ipotesi sul suo conto sono buone: alcuni credono che egli sia Elia, Geremia o Giovanni Battista tornati dai morti. Ma non sono opinioni all'altezza della sua vera natura. 

Egli non è un semplice profeta, ma "il Figlio del Dio vivente" (v. 16) e questa verità è professata da Simon Pietro, che parla per primo, forse per il suo carattere un po' irruento, ma facendosi anche portavoce degli altri apostoli. 

Dio apre il suo cuore alla conoscenza della natura di Cristo per fede. Pietro non esprime una tesi "accademica" riguardo l'identità di Gesù; la sua è una confessione personale resa possibile dalla rigenerazione interiore operata dallo Spirito. Solo chi crede può comprendere la vera natura di Gesù di Nazaret. 

Simone riceve un nuovo nome, "Pietro", "roccia", diventando il padre della Chiesa, l'assemblea di coloro che si riuniscono nel nome di Gesù, così come Abramo, che pure ricevette un nome nuovo, divenne, con la sua fede, padre di tuti i credenti. Le parole dette da Gesù a Pietro attestano che la Chiesa non è una mera istituzione umana ma è fondata sulla fede nel Cristo. Con la sua confessione di fede Pietro pone la pietra fondativa di questa costruzione divina.

A capo della Chiesa, proprio in quanto istituzione soprannaturale, vi è Cristo stesso, come testimonianto da numerosi passi neotestamentari (At 4,11; 1 Cor 11, Ef 5,23), da Gesù in prima persona (Mt 21,41) e da Pietro nella sua prima epistola: "Onore dunque a voi che credete; ma per gli increduli la pietra che i costruttori hanno scartato è divenuta la pietra angolare" (1 Pt 2,7). 

Significativo è anche l'utilizzo dell'aggettivo possessivo, "la mia Chiesa" (gr. mou ten ekklesian) da parte di Gesù, a sottolineare che egli ne è il costruttore, proprietario e Signore. La Chiesa non è la chiesa di Pietro, la chiesa di qualche particolare confessione cristiana, ma è la Chiesa di Cristo. Così afferma l'apostolo Paolo: "Mi riferisco al fatto che ciascuno di voi dice: 'Io sono di Paolo', 'Io invece sono di Apollo', 'E io di Cefa', 'E io di Cristo!'. Cristo è stato forse diviso? Forse Paolo è stato crocifisso per voi, o è nel nome di Paolo che siete stati battezzati?" (1 Cor 1,12-13). 

Gesù rappresenta gli inferi come una fortezza cinta da mura, le cui "porte" simboleggiano il potere della morte, l'arma definitiva di Satana, dalla quale la Chiesa sarà preservata. Anche il sangue dei martiri, infatti, lungi dall'indebolire la Chiesa, sarà seme di nuovi credenti. 

"Legare" e "sciogliere" equivalgono a "proibire" e "permettere". Questo potere conferito a Pietro lo costituisce garante dell'insegnamento di Gesù nella Chiesa. Inteso come possibilità di rimettere i peccati, il potere di "legare" e "sciogliere" va considerato alla luce di quanto poco più avanti affermato da Gesù (Mt 18,15-18), dove la stessa autorità è riconosciuta a tutti i discepoli e la possibilità di allontanare un peccatore dalla Chiesa è affidata all'assemblea: "se non ascolterà neanche l'assemblea sia per te come un pagano e un pubblicano" (Mt 18,17). 

Il giudizio dell'assemblea non potrà essere arbitrario, ma fondato sulla Parola di Dio, della quale gli apostoli sono depositari, custodi e annunciatori. L'autorità della Chiesa nel corso della storia dovrà dunque fondarsi sulla dottrina apostolica, come testimoniata dalle Scritture. Il giudice non fa la legge ma dichiara ciò che ne è conforme. 

Anche a noi è dato di dischiudere i segreti del Regno agli uomini, nella misura in cui resteremo fedeli all'insegnamento del vangelo. Saremo allora beati come Pietro (v. 17) e fonte di beatitudine per chi incontreremo sul nostro cammino.

Preghiera

Signore Gesù Cristo, noi ti riconosciamo come Figlio del Dio vivente e pastore della tua Chiesa; edificaci in essa come pietre vive, per testimoniare la tua gloria. Amen.

- Rev. Dr. Luca Vona



Euro2020. Calcio e fede. Non tutti i giocatori sono atei secolarizzati

Mentre milioni di persone in Europa e nel mondo seguono la competizione calcistica europea, raccogliamo alcune storie interessanti che hanno legami con la fede cristiana.

 
La Francia, campione del mondo e grande favorita di Euro 2020, è fuori dal torneo dopo una partita da brivido contro la Svizzera, che ha battuto i bleus ai rigori (3-3 e 5-4).

Ci sono diversi giocatori svizzeri che hanno parlato pubblicamente della loro fede. Uno di questi è il centrocampista Rubén Vargas, che firma tutti i suoi post su Instagram con #conDiosdelante, in spagnolo: “Con Dio davanti a me” (suo padre è dominicano).

In un'intervista a un quotidiano svizzero, spiega perché molti vedono in lui un approccio umile alla sua carriera calcistica: “Sono cresciuto in quanto rimango con i piedi per terra anche nei momenti belli. Questo atteggiamento mi accompagnerà per tutta la mia vita”.

Jeff Fountain racconta le origini del calcio nel Medioevo, le regole del XIX secolo e le grandi differenze con gli "sport" dell'impero romano.

“Che ci crediate o no, il calcio britannico stesso è stato plasmato nel 19° secolo da un movimento chiamato “Cristianesimo muscolare” che incoraggiava il gioco per i suoi benefici sociali e fisici. E per conquistare giovani per la chiesa”.

"Chiese e scuole domenicali hanno fondato alcuni dei club della Premier League di oggi come l'Everton (la chiesa metodista di San Domingo), il Manchester City (la chiesa anglicana di San Marco), il Southampton (la chiesa di Santa Maria) e il Celtic (la chiesa cattolica di St. Mary's, Glasgow)".

"Inni come Abide with me, Swing low sweet chariot e When the saints go marching in sono ancora una parte tradizionale della scena calcistica britannica".

Fountain conclude: “Il calcio, come molti altri aspetti della vita europea, è stato plasmato dalla verità del Vangelo più di quanto pensiamo”.

Per la prima volta nella sua storia, l'Austria si è qualificata per gli ottavi di finale di Euro2020, dopo aver battuto l'Ucraina per 0-1.

Due dei suoi giocatori, Louis Schaub e David Alaba, parlano spesso pubblicamente della loro fede.

Il centrocampista e attaccante Louis Schaub, che ha segnato sei gol in 21 partite internazionali, ha già giocato in tre paesi di lingua tedesca; dopo Rapid Wien e FC Köln e HSV, Schaub ora gioca per l'FC Luzern.

Gli è stato chiesto del suo motto nella vita, e ha citato il Salmo 18, versetto 30: “Con il mio Dio posso saltare i muri”.

Ma il giocatore austriaco più famoso all'Euro202 è il suo capitano David Alaba.

La nuova stella del Real Madrid con radici nigeriane, filippine e austriache esprime regolarmente la sua fede cristiana. L'anno scorso durante la celebrazione del titolo di Champions League con l'FC Bayern München, ha tolto la maglia della sua squadra e ha indossato una maglia bianca con il messaggio "La mia forza sta in Gesù" scritto a grandi lettere nere.

Tra l'altro, l'83 volte nazionale (14 gol) ha postato anche sui social un video in cui leggeva il Salmo 23 e poi invitava le persone a cercare Dio e camminare con lui.
 
Olivier Giroud è uno dei giocatori di Euro2020 che è stato più esplicito sulla sua fede cristiana. La sua squadra, la Francia, è stata una delle favorite per vincere il campionato, insieme a Germania, Italia e Belgio.

Giorni prima dell'inizio della competizione, Giroud ha dichiarato: “La fede mi aiuta a relativizzare le cose. Saper perdonare è qualcosa che mi tranquillizza, mi dà molta serenità”.

Con 46 gol finora, Olivier è il secondo miglior marcatore nella storia della nazionale francese, dietro solo al giocatore in pensione Thierry Henry.

Giroud è un membro di una chiesa evangelica a Londra, è stato coinvolto nei corsi Alpha evangelistici e ha sostenuto i cristiani perseguitati.

“Ogni volta che leggo le parole della Bibbia, mi sento grato per tutto quello che mi è successo”, ha detto un paio di anni fa.

Il calcio in Inghilterra

Il calcio moderno è stato inventato in Inghilterra e la nazione è rappresentata a Euro2020 – insieme a Galles e Scozia, anche dal Regno Unito.

Sapevi che un terzo di tutte le squadre che sono mai state in Premier League (la più alta competizione in Inghilterra) sono state avviate dalle chiese? Questo include grandi club come Manchester City, Liverpool e Tottenham.

È quanto condivide Gavin Calver dell'Alleanza Evangelica del Regno Unito in un articolo in cui sottolinea anche il lato brutto del calcio d'élite. “La ricerca degli accademici dell'università di Lancaster ha scoperto che il numero di casi segnalati di abusi domestici è aumentato del 38% quando l'Inghilterra ha perso. Anche gli abusi razzisti nei confronti dei calciatori sono assolutamente inaccettabili. Il razzismo non ha posto nel calcio o addirittura nella società in generale. Anche le scommesse sono un problema serio che va riconosciuto e affrontato con forza”.

Calver conclude: "Spero e prego che questi problemi non emergano quest'estate e che le persone possano godersi questo bellissimo gioco senza soffrire di alcuni degli aspetti più brutti dell'industria".

L'inno svizzero

La Svizzera ha probabilmente l'inno nazionale più cristiano di Euro2020.

Prima di ogni partita, i giocatori cantano (o almeno ascoltano con rispetto) il “Salmo svizzero”. Fu composto nel 1841 da Alberich Zwyssig e include frasi come:

“Verso di noi nella tempesta selvaggia in arrivo,
Tu stesso [Signore] ci dai resistenza e fortezza,
Tu, onnipotente governo, salvataggio!
Durante l'orrore e le notti dei temporali
Confidiamo in Lui come bambini!
Sì, sentiamo e capiamo;
Sì, sentiamo e capiamo;
Che Dio abita in questa terra.
Che Dio abita in questa terra”.

Da anni, nella Svizzera sempre più secolarizzata, in molti chiedono di “aggiornare” l'inno e togliere i riferimenti a Dio (cosa che alcuni chiedono anche sulla costituzione).

Attraverso un concorso ufficiale, nel 2015 sono stati proposti testi alternativi omettendo la parola “Dio”, ma il parlamento nazionale non sembra avere fretta di aprire il controverso dibattito sul cambiamento di questo elemento identitario centrale.

- Evangelical Focus, 29 giugno 2021

Santi Pietro e Paolo, colonne della Chiesa

Le chiese d'oriente e d'occidente celebrano oggi la solennità dei santi apostoli Pietro e Paolo, nella data in cui, secondo un'antica tradizione, sarebbe avvenuto nel 64 il loro martirio a Roma.
Pietro «nostro padre», come lo definisce la liturgia copta, era un pescatore originario di Betsaida di Galilea e fratello di Andrea, il quale lo presentò a Gesù. Testimone privilegiato della Trasfigurazione e del Getsemani, ricevette da Gesù il compito di riconfermare i fratelli dopo aver lui stesso conosciuto la misericordia di Dio nel perdono del suo rinnegamento. Egli che per rivelazione del Padre aveva confessato Gesù come il Cristo, il Figlio del Dio vivente, guidò la prima comunità nella testimonianza del Risorto, accolse i pagani nella chiesa e annunciò il vangelo fino a Roma, dove morì martire. Origene testimonia che morì come uno schiavo, crocifisso con la testa all'ingiù.
Paolo, che dalla liturgia copta è chiamato «nostro maestro», era originario di Tarso, in Cilicia, ed era stato istruito nella fede ebraica secondo la tradizione dei farisei. Dopo aver riconosciuto in Gesù il Messia, egli divenne l'annunciatore del vangelo alle genti e percorse le regioni dell'Asia Minore e della Grecia, affrontando pericoli e fatiche e portando in sé la sollecitudine per tutte le chiese. Cittadino romano, egli fu, secondo la tradizione, decapitato a Roma presso la via Ostiense.
La festa di Pietro e Paolo apostoli era celebrata a Roma nella data del 29 giugno già attorno alla metà del IV secolo.

Santi Pietro e Paolo, icona del Monastero di Bose

Tracce di lettura

Al beato Pietro, il primo degli apostoli, l'ardente amante di Cristo, fu dato di ascoltare: «E io ti dico che tu sei Pietro». Egli infatti aveva detto: «Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente». E Cristo a lui: «E io ti dico che tu sei Pietro, e sopra questa pietra edificherò la mia chiesa». Sopra questa pietra edificherò la fede che tu confessi, sopra ciò che hai detto: «Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente», edificherò la mia chiesa. Da pietra Pietro, non pietra da Pietro; così come cristiano da Cristo.
Paolo invece viene da Saulo, come un agnello uscito da un lupo. Prima avversario, poi apostolo; prima persecutore, poi predicatore. Il Signore gli mostrò quelle cose che bisognava patisse per il suo Nome, lo sostenne nella passione e lo fece pervenire a questo giorno.
Unico il giorno della passione per i due apostoli, ma essi erano del resto una cosa sola.
(Agostino,  Discorsi 295)

- Dal Martirologio ecumenico della Comunità monastica di Bose

lunedì 28 giugno 2021

Fermati 1 minuto. Siamo veramente liberi?

Lettura

Matteo 8,18-22

18 Vedendo Gesù una gran folla intorno a sé, ordinò di passare all'altra riva. 19 Allora uno scriba si avvicinò e gli disse: «Maestro, io ti seguirò dovunque tu andrai». 20 Gli rispose Gesù: «Le volpi hanno le loro tane e gli uccelli del cielo i loro nidi, ma il Figlio dell'uomo non ha dove posare il capo».
21 E un altro dei discepoli gli disse: «Signore, permettimi di andar prima a seppellire mio padre». 22 Ma Gesù gli rispose: «Seguimi e lascia i morti seppellire i loro morti».

Commento

Gesù sta per passare all'altra riva del lago di Gennesaret e dalla folla emergono due personaggi che vogliono seguirlo nel suo ministero itinerante. Egli coglie l'occasione per delineare la qualità del vero discepolo: il distacco da una vita "comoda" e dai beni materiali.

Uno scriba riconosce in Gesù un maestro (v. 19) più grande dei suoi compagni, dottori della legge. Di fronte al suo desiderio di seguirlo, Gesù gli presenta le sofferenze e il rigore cui va incontro chi diventa suo discepolo.

Il termine "Figlio dell'uomo" (v. 20) è il titolo che più frequentemente Gesù utilizza per se stesso. Compare 83 volte nei Vangeli e ha un chiaro riferimento all'umanità e umiltà di Cristo. Nel libro di Daniele (Dn 7,13-14) è un titolo che si riferisce al Messia, del quale sono profetizzati il potere universale e l'eternità del suo regno.

La radicalità espressa dall'esortazione di Gesù a lasciare i morti seppellire i loro morti sta nel fatto che chi vuole seguirlo deve lasciar passare in secondo piano tutto il resto, anche il dovere della sepoltura - molto importante nel mondo ebraico ed ellenistico -, persino quando si tratti della sepoltura del padre. Il termine greco nekros non si riferisce solo ai defunti veri e propri ma anche a coloro che rifiutano di seguire Gesù sulla strada verso la vita eterna.

L'espressione "permettimi di andar prima a seppellire mio padre" (v. 21), infatti, non indica necessariamente che il padre del discepolo fosse morto, ma era comunemente utilizzata per indicare il desiderio di attendere di ricevere la propria eredità. In tal senso, attesta l'anteporre i beni terreni alle esigenze del regno dei cieli.

Gesù è esigente con i suoi discepoli, ma egli è la verità che ci fa liberi (Gv 8,32), e la libertà non ha prezzo. Siamo pronti a passare con lui all'altra riva?

Preghiera

Donaci, Signore, la libertà dei figli di Dio; affinché non anteponendo nulla al tuo amore, possiamo ordinare la nostra vita alle esigenze del vangelo. Amen.

- Rev. Dr. Luca Vona

Ireneo di Lione e la riconciliazione di ogni creatura in Cristo

Gli anglicani, i Cattolici d'occidente, i luterani e i maroniti fanno memoria oggi di Ireneo vescovo di Lione (+ 202) e forse martire durante la persecuzione di Settimio Severo.
Originario dell'Asia Minore, di famiglia pagana, Ireneo fu discepolo di Policarpo di Smirne, che gli trasmise ciò che a sua volta aveva appreso dagli apostoli.
Nel 177 era presbitero nelle giovani chiese di Lione e di Vienne durante la persecuzione che colpì quelle comunità, e fu chiamato a succedere al vescovo Potino, morto martire in quell'anno. Come pastore Ireneo esercitò un'intensa attività missionaria tra le popolazioni della Gallia, correggendone le deviazioni dalla fede apostolica e rappacificando le chiese già allora segnate dalla divisione e dalle controversie.
Partendo dalla Scrittura, letta nella sua totalità e unità e interpretata alla luce del canone di verità rappresentato dalla predicazione degli apostoli, Ireneo narrò con grande passione l'esperienza di fede della chiesa, che si tramanda di generazione in generazione come un deposito che ringiovanisce.
Per Ireneo la fede cristiana è la fede in un Padre buono, che non ha abbandonato l'uomo, sua creatura, ma che ha continuato a parlargli e a prepararlo alla salvezza recata dall'incarnazione del Figlio.
Ireneo testimoniò nei suoi scritti, che sono anche i primi esempi di teologia cristiana, la bontà delle realtà create e dell'uomo, immagine e somiglianza di Dio, chiamato a diventare la gloria di Dio sulla terra. Prima di morire si adoperò per riconciliare le chiese d'oriente e d'occidente, divise sulla data di celebrazione della Pasqua, dando un ulteriore segno della propria totale dedizione alla riconciliazione. La riconciliazione di ogni creatura, ricapitolata in Cristo, del resto, era per Ireneo il cuore del lieto annuncio cristiano.

Tracce di lettura

Coloro che vedono la luce sono nella luce e partecipano del suo splendore. Allo stesso modo, coloro che contemplano Dio sono in Dio, partecipando del suo splendore. Perché lo splendore di Dio vivifica!
Perciò il Verbo divenne dispensatore della grazia paterna a vantaggio degli uomini, per i quali ha stabilito così grandi economie, mostrando Dio agli uomini e presentando l'uomo a Dio: salvaguardando l'invisibilità del Padre affinché l'uomo non divenisse disprezzatore di Dio e avesse sempre un punto verso il quale progredire, ma nello stesso tempo mostrando Dio visibile agli uomini per mezzo delle molte economie, affinché l'uomo, privo totalmente di Dio, non cessasse di esistere.
Infatti la gloria di Dio è l'uomo vivente, e la vita dell'uomo è la manifestazione di Dio. Ora se la manifestazione di Dio che avviene attraverso la creazione dà la vita a tutti gli esseri che vivono sulla terra, molto più la manifestazione del Padre mediante il Verbo darà la vita a coloro che contemplano Dio
(Ireneo di Lione, Contro le eresie 4,20,5-7).



Ireneo di Lione (+ ca 202), vetrata di Lucien Bégule (1901), Chiesa di S. Ireneo, Lione

domenica 27 giugno 2021

Tutto il mondo creato è in travaglio

COMMENTO ALLA LITURGIA DELLA QUARTA DOMENICA DOPO LA TRINITÀ

Colletta

O Dio, protezione di tutti coloro che confidano in te, senza il quale non c’è nulla di forte, nulla di santo; accresci e moltiplica su di noi la tua misericordia; affinché con te come guida e governatore, possiamo passare attraverso le cose temporali senza perdere le cose eterne. Concedici questo, o Padre celeste, per l’amore di Gesù Cristo, nostro Signore. Amen.

Letture

Rm 8,18-23; Lc 6,36-42

Commento

Gesù ci comanda di essere misericordiosi come il Padre (Lc 6,36) e di perdonare il nostro prossimo, perché noi per primi siamo stati perdonati. Nessuno di noi può pensare di non avere avuto bisogno e di non avere continuamente bisogno del perdono di Dio.

Come afferma San Paolo nella Lettera ai Romani, citando i Salmi (Sal 14,3 e 53,1-3): “non c’è alcun giusto, neppure uno” (Rm 3,10). Per questo nella preghiera che ci ha insegnato Gesù chiediamo al Padre di rimetere i nostri debiti come noi li rimettiamo ai nostri debitori.

Il comandamento della misericordia scandalizza, perché ci è più facile pensare a una giustizia di Dio strettamente retributiva, che punisce i peccatori e premia i giusti. È più facile pensare di esserci meritati un premio da parte di Dio, piuttosto che pensare alla gratuità della salvezza. Una gratuità che lungi dall’istigarci all’irresponsabilità ci esorta alla riconoscenza e dunque alla rettitudine come risposta al bene che Dio ci ha mostrato per primo e come imitazione del suo agire nel mondo.

Fu proprio nel predicare la misericordia di Dio che Gesù incontrò le maggiori contestazioni e ostilità. Anche perché la sua predicazione non si fermava alle parole, ma si concretizzava in gesti che determinavano una rottura con le pratiche legalistiche del tempo: egli guarisce di sabato, tocca i lebbrosi mosso da compassione, mangia con le prostitute e i pubblici peccatori.

Siamo tutti feriti dal peccato; e anche il nostro occhio è ferito dal peccato. per questo spesso non sappiamo vedere le cose come le vede Dio. Nella misura in cui saremo in grado di comprendere quanto siamo noi per primi bisognosi del perdono del Padre saremo capaci di donare perdono e misericordia al nostro prossimo e mostrarci compassionevoli verso l’intera creazione, che geme attendendo la manifestazione dei figli di Dio (Rm 8,19). 

La perfezione non è solo qualcosa da cui siamo decaduti e che ricordiamo con nostalgia, ma una mèta cui la coscienza tende come in una visione profetica, animata dalla speranza e guidata dallo Spirito.

Il messaggio evangelico ci dona la buona notizia che il Signore fa nuove tutte le cose, restaurando in noi la sua immagine e chiamandoci a curare le ferite di ogni uomo.

Cristo ci chiede di operare attivamente per riportare nel mondo pace e riconciliazione, tra l'uomo e Dio, tra uomo e uomo e tra l'uomo e l'intera realtà creata.

- Rev. Dr. Luca Vona

sabato 26 giugno 2021

Thomas Schirrmacher - Cattolici ed evangelici e le loro relazioni future - Parte 3

Un documento del Presidente dell'Alleanza Evangelica Mondiale (WEA)

[Segue da Parte 2]

3. Considerarsi oggetto della missione

Dieci anni dopo il suo completamento, i principali leader cristiani di tutti i campi fanno riferimento alla firma del citato documento "Testimonianza cristiana in un mondo multireligioso" da parte del Vaticano, del Consiglio Ecumenico delle Chiese e dell'Alleanza Evangelica Mondiale nel 2011 come un momento cruciale, un evento nella storia della chiesa. Il documento parla di come i cristiani dovrebbero testimoniare agli aderenti a religioni non cristiane.

Ci sono molti evangelici che collocano i cattolici in quella categoria, vale a dire, come non cristiani. A volte non vedono nemmeno i convertiti evangelici come veri credenti salvati dall'opera di Gesù sulla croce, se rimangono membri ufficiali della Chiesa cattolica. D'altra parte, molti cattolici vedono gli evangelici o i pentecostali come settari o eretici, come estremisti, o un pericolo per la società. Papa Francesco si è gentilmente scusato per tali atteggiamenti quando ha visitato la Chiesa Pentecostale a Caserta, in Italia, il 28 luglio 2014 e ha chiesto ai leader della Chiesa cattolica di astenersi da tale linguaggio, ma non tutti lo hanno ascoltato. Geoff Tunnicliffe, allora segretario generale della WEA, lo ha ringraziato lo stesso giorno su Radio Vaticana, si è scusato per i peccati da parte evangelica e ha promesso che anche l'Alleanza Evangelica Mondiale avrebbe cambiato lingua.

C'è anche la questione irrisolta che la Chiesa cattolica vede le chiese protestanti non affatto come chiese (secondo i documenti del Vaticano II), ma come "comunità cristiane", e l'affermazione che solo la Chiesa cattolica è la chiesa nella sua espressione a tutto tondo (nel documento Dominus Iesus). In molti paesi asiatici e in altri paesi, il cattolicesimo e il protestantesimo sono ufficialmente visti come due religioni diverse e la maggior parte dei cristiani in quei paesi segue questa opinione..

Ebbene, anche se qualcuno nelle relazioni cattolico-evangeliche vede la controparte come non facente parte del corpo di Cristo, tutto ciò che è affermato in “Testimonianza cristiana in un mondo multireligioso” si applica! Usare il potere politico, la corruzione, la manipolazione o la menzogna contro altri, inclusi cattolici ed evangelici, è contro la volontà di Gesù! Quel documento usava 1 Pietro 3,15–17 come motto scritturale: “Ma nei vostri cuori mettete da parte Cristo come Signore. Siate sempre pronti a dare una risposta a tutti coloro che vi chiedono di dare ragione della speranza che avete. Ma fatelo con dolcezza e rispetto e con una retta coscienza”. Il documento dichiara: "Se i cristiani si impegnano con metodi inappropriati nell'esercizio della missione ricorrendo all'inganno e a mezzi coercitivi, tradiscono il Vangelo e possono causare sofferenza ad altri".

Un cattolico che mostra un comportamento immorale nei confronti degli evangelici sta tradendo il Vangelo, e così è un evangelico che mostra un comportamento immorale nei confronti dei cattolici! Chi segue Gesù comandare e predicare agli altri deve anche seguire tutti gli altri comandamenti di Gesù stesso.

Ecco le frasi di apertura del documento “Testimonianza Cristiana”: “La missione appartiene all'essere stesso della chiesa. Pertanto, l'annuncio della Parola di Dio e la testimonianza al mondo sono essenziali per ogni cristiano. Tuttavia, è necessario farlo secondo i principi evangelici, nel pieno rispetto e amore per tutti gli esseri umani». Quindi, anche se desideri convincere l'altra parte a passare dalla tua parte, entrambe le parti meritano di essere trattate secondo la mentalità di Gesù. I cristiani vedono gli altri sempre come a immagine di Dio, anche se sono totalmente in disaccordo con loro. Nel cristianesimo, i loro diritti umani non derivano dall'essere cristiani, ma dall'essere creati come uomini e donne, perché Dio ha creato tutte le persone e le ha create uguali.

Questa è la nostra terza chiamata: trattatevi l'un l'altro con la mentalità di Gesù. Anche se pensi che gli altri non siano credenti o non vere chiese, questa non è una scusa per agire in modo contrario ai principi del Vangelo insegnati da Gesù e dai suoi apostoli. Vi sia amore, rispetto e pacifica discussione teologica, ma asteniamoci dall'usare gli uni contro gli altri il potere politico, economico e di qualsiasi altro genere terreno.

4. Interlocutori

“Testimonianza cristiana in un mondo multireligioso” ricorda ai cristiani che nel compiere la missione devono osservare il comandamento: “Non dire falsa testimonianza contro il tuo prossimo” (Es 20,16). Il documento afferma: “I cristiani devono parlare con sincerità e rispetto; devono ascoltare per conoscere e comprendere le credenze e le pratiche degli altri e sono incoraggiati a riconoscere e apprezzare ciò che è vero e buono in loro. Qualsiasi commento o approccio critico dovrebbe essere fatto in uno spirito di rispetto reciproco, assicurandosi di non rendere falsa testimonianza riguardo ad altre religioni”.

Per fare questo, dobbiamo dedicare del tempo ad ascoltare e studiare a fondo le opinioni degli altri, in modo da assicurarci che le nostre affermazioni sull'altro siano veritiere e corrette. Ancora il documento “Testimonianza cristiana” afferma: “La testimonianza cristiana in un mondo pluralistico include il dialogo con persone di diverse religioni e culture (cfr At 17,22-28)”. E questo non dovrebbe valere anche per il nostro impegno con i fratelli cristiani?

Voglio che ogni leader cattolico in tutto il mondo conosca le posizioni evangeliche non per sentito dire o dai media, ma di prima mano dagli stessi evangelici. Nella maggior parte dei casi, tale conversazione diretta dissipa false concezioni e favorisce una migliore comprensione, che a sua volta può anche portare a ridurre la discriminazione contro gli evangelici.

Voglio anche sentire di prima mano cosa rappresentano e cosa hanno da dire i leader cattolici e i cattolici. Non voglio dipendere dal sentito dire o dai media. A volte, attraverso tale interazione, apprendo che l'altra parte è più lontana dal cristianesimo evangelico di quanto pensassi. Ma più spesso scopro cosa abbiamo in comune, che ho bisogno di esaminare più attentamente le loro posizioni, o che ci sono cose che devo imparare da loro.

È necessario un dialogo continuo sulle questioni teologiche centrali in modo che possiamo riunirci ogni volta che è possibile senza compromessi teologici e avere una chiara comprensione di dove e perché siamo sinceramente in disaccordo. E l'amicizia è una piattaforma migliore del reciproco antagonismo su cui discutere le profonde differenze in teologia.

Cinque miliardi di persone nel mondo non capiscono perché persone chiamate cristiane, che prendono il nome da Gesù Cristo, combattono tra loro sulla questione se gli altri siano davvero cristiani. in tale comportamento, diventiamo colpevoli della valutazione di Dio su di noi: "Il nome di Dio è bestemmiato tra i pagani a causa tua" (Rm 2,24 citando Is 52:5).

Se senti che qualcun altro non ha parlato bene di te, hai ancora questo obbligo: “Se dunque offri il tuo dono all'altare e lì ti ricordi che tuo fratello o tua sorella ha qualcosa contro di te, lascia lì il tuo dono davanti all'altare. Prima va' a riconciliarti con loro; poi vieni e offri il tuo dono» (Mt 5,23-24). Proprio come Dio ci ha riconciliati con lui anche quando eravamo ancora suoi nemici, così Dio vuole che non aspettiamo che l'altra parte si penta, ma che siamo proattivi e cerchiamo la riconciliazione, anche quando il nostro fratello non sembra cercarla.

Astenersi dal parlare o anche proibire ad altri di parlare con l'altro campo e considerare tale impegno come una prova di compromesso teologico trascura il fatto che Dio ci ha creati a sua immagine con la capacità di stabilire e migliorare le nostre relazioni attraverso la comunicazione. Non puoi porre fine a nessuna guerra o tensione se le parti coinvolte non sono disposte a parlarsi, almeno con un mediatore.

Questa è la nostra quarta chiamata: parlare, ascoltare, studiare, discutere. Abbiamo bisogno di un dialogo più continuo e di incontri personali a tutti i livelli: tra cattolici ed evangelici come vicini, concittadini, leader locali e fino a livello globale.

[Segue...]

Thomas Schirrmacher



venerdì 25 giugno 2021

Fermati 1 minuto. La comunione ritrovata

Lettura

Matteo 8,1-4

1 Quando Gesù fu sceso dal monte, molta folla lo seguiva. 2 Ed ecco venire un lebbroso e prostrarsi a lui dicendo: «Signore, se vuoi, tu puoi sanarmi». 3 E Gesù stese la mano e lo toccò dicendo: «Lo voglio, sii sanato». E subito la sua lebbra scomparve. 4 Poi Gesù gli disse: «Guardati dal dirlo a qualcuno, ma va' a mostrarti al sacerdote e presenta l'offerta prescritta da Mosè, e ciò serva come testimonianza per loro».

Commento

Sotto il termine di lebbra, nell'Antico Testamento, venivano indicati diversi tipi di lesioni e imperfezioni sia della pelle umana che di stoffe, pelli o pareti domestiche. Essendo considerata la lebbra uno dei sintomi più gravi dell'impurità e tale perciò da comportare l'esclusione dalla comunità ebraica il lebbroso chiede a Gesù non semplicemente di essere guarito ma di purificarlo (gr. katharizai). Toccandolo, e contravvenendo in questo modo alle prescrizioni giudaiche (Lv 5,3), Gesù lo restituisce alla vita sociale. Il fine della legge è infatti il bene dell'uomo (Mc 2,27).

Mentre nel successivo miracolo descritto da Matteo, quello per la guarigione del servo del centurione, Gesù opera a distanza, nel caso del lebbroso questi necessita di un contatto fisico, che gli era stato negato durante la sua infermità.

Il lebbroso non ha alcun dubbio sulla capacità di Gesù di guarirlo, ma solo sulla sua volontà: "Signore, se tu vuoi puoi sanarmi" (v. 2).

L'intimazione al lebbroso di non dire ad alcuno della sua guarigione è dovuta alla necessità di Gesù, in questa fase del suo ministero, di non attirare l'ostilità delle autorità religiose e di non attirare l'attenzione delle folle sui suoi miracoli, ma sul contenuto della sua predicazione. Ma è anche la testimonianza per noi che ci sono miracoli che Dio compie nelle nostre vite che devono restare nel segreto del nostro rapporto intimo con lui.

Gesù invita il lebbroso sanato a far comprovare al sacerdote l'avvenuta guarigione e a suggellarla con l'offerta prescritta (Lv 14,1-33).

Anche noi siamo chiamati a riconoscere il nostro bisogno di guarigione da quelle lacerazioni che ci allontanano dalla comunione con Dio e con il prossimo; e per questo come il lebbroso dobbiamo compiere un atto di fede nella potenza di Cristo, affidandoci alla sua libertà, che non può che volere il nostro bene.

Preghiera

Signore Gesù, stendi la tua mano sulle nostre piaghe; affinché restituiti alla salute dell'anima e del corpo possiamo lodarti e ritrovare la comunione fraterna con il nostro prossimo. Amen.

- Rev. Dr. Luca Vona

Massimo di Torino. Nessuno diceva propria qualche cosa

La Chiesa cattolica d'Occidente celebra oggi la memoria liturgica di Massimo di Torino, vescovo e padre della Chiesa. Di lui si hanno scarsissime notizie. Nato sicuramente nel IV secolo in un'imprecisata provincia settentrionale italiana dell'impero romano, viene storicamente considerato il fondatore della Archidiocesis Taurinensis. Già discepolo di sant'Eusebio di Vercelli e di sant'Ambrogio da Milano, guidò la diocesi della allora Julia Augusta Taurinorum tra il 390 e il 420, nel difficile periodo delle invasioni barbariche.
Il suo impegno si concentrò prevalentemente sulla lotta contro la pratica della simonìa e del paganesimo. A tal proposito è ricordato per aver fatto erigere, probabilmente sui resti di un precedente tempio pagano, una piccola chiesa dedicata a Sant'Andrea dai cui resti, nel XII secolo, sorse la celebre chiesa della Consolata.
Massimo divenne inoltre conosciuto per i suoi numerosi sermoni, oggi raggruppati in un'edizione critica curata da A. Mutzenbecher. Nelle sue omelìe, tra l'altro, accennò sovente ai primi martiri di Torino, i santi Avventore, Ottavio e Solutore le cui reliquie sono conservate a Torino. La data della morte è incerta: viene fissata intorno al 420. Secondo la cronotassi dell'Arcidiocesi di Torino il suo successore fu il vescovo Massimo II.
Alcune sue reliquie sono conservate nella basilica di San Massimo a Collegno, alle porte di Torino, una delle più antiche chiese cristiane del Piemonte che, molto probabilmente, fu sede vescovile dello stesso Massimo. Per lungo tempo si è creduto che la chiesa ospitasse anche la tomba del protovescovo ma ripetuti scavi archeologici effettuati nel XIX secolo hanno smentito questa ipotesi. Sempre nel XIX secolo la municipalità di Torino gli intitolò una via del centro storico e l'arcidiocesi gli dedicò una chiesa, in essa ubicata e consacrata nel 1853.
A lui è dedicata la chiesa ortodossa di San Massimo ai piedi della collina torinese.

Tracce di lettura

Al tempo degli apostoli fu così grande la dedizione del popolo cristiano, che nessuno diceva sua la propria casa, nessuno rivendicava come propria qualche cosa, come afferma san Luca quando dice: «E nessuno diceva suo proprio qualcosa di ciò che possedeva, ma tutto era loro comune. Nessuno tra essi era nel bisogno». Beato dunque il popolo, che mentre ha molti ricchi in Cristo, non ha alcun bisognoso nel mondo e che, mentre pensa alle ricchezze eterne, allontana dai fratelli la povertà temporale.
(Massimo di Torino,  Sermoni 17).

- Fonti: Wikipedia; Martirologio ecumenico della Comunità monastica di Bose

Maximus Taurinensis.JPG
Massimo di Torino (?-420)

giovedì 24 giugno 2021

Fermati 1 minuto. La migliore versione di noi stessi

Lettura

Luca 1,57-66.80

57 Per Elisabetta intanto si compì il tempo del parto e diede alla luce un figlio. 58 I vicini e i parenti udirono che il Signore aveva esaltato in lei la sua misericordia, e si rallegravano con lei. 59 All'ottavo giorno vennero per circoncidere il bambino e volevano chiamarlo col nome di suo padre, Zaccaria. 60 Ma sua madre intervenne: «No, si chiamerà Giovanni». 61 Le dissero: «Non c'è nessuno della tua parentela che si chiami con questo nome». 62 Allora domandavano con cenni a suo padre come voleva che si chiamasse. 63 Egli chiese una tavoletta, e scrisse: «Giovanni è il suo nome». Tutti furono meravigliati. 64 In quel medesimo istante gli si aprì la bocca e gli si sciolse la lingua, e parlava benedicendo Dio. 65 Tutti i loro vicini furono presi da timore, e per tutta la regione montuosa della Giudea si discorreva di tutte queste cose. 66 Coloro che le udivano, le serbavano in cuor loro: «Che sarà mai questo bambino?» si dicevano. Davvero la mano del Signore stava con lui. 80 Il bambino cresceva e si fortificava nello spirito. Visse in regioni deserte fino al giorno della sua manifestazione a Israele.

Commento

Il più grande conforto che possiamo avere dai nostri figli è di metterli nelle mani di Dio. Per questo la circoncisione, che è stata sostituita, nella nuova alleanza, dal battesimo cristiano, diviene occasione di gioia più grande della stessa nascita. 

L'usanza giudaica era quella di dare nome al bambino proprio in occasione della circoncisione, così come Abramo ricevette un nome nuovo dopo aver sancito l'alleanza con Dio mediante questo segno esteriore. Il Signore, infatti, chiama per nome coloro che sono affidati a lui, il che significa che non è solo genericamente il Dio del popolo dei salvati, ma il Padre di ciascuno di noi, che così possiamo chiamarlo in virtù del rapporto personale e filiale che abbiamo con lui. 

Questo rapporto, insito in un "nome nuovo", unico, che ci viene attribuito è ben rappresentato dal contenzioso tra Elisabbetta e gli amici e parenti giunti per assistere alla circoncisione di Giovanni. Questi suggeriscono di chiamarlo Zaccaria, come il padre, ma lei si oppone e mossa dallo Spirito Santo afferma risolutamente che si chiamerà Giovanni.

Comunicando con Zaccaria mediante segni, i vicini e parenti ottengono anche da lui la risposta scritta che il bambino dovrà chiamarsi Giovanni. Muto e sordo, Zaccaria non può fare a meno di esprimere la volontà di Dio. Quando lo Spirito parla sa come farsi sentire. Così affermerà Gesù, quando i farisei rimprovereranno la folla esultante al suo ingresso a Gerusalemme: "se questi taceranno, grideranno le pietre" (Lc 19,40). 

Compiuta la volontà di Dio sul bambino la lingua di Zaccaria si scioglie in un canto di lode. Giovanni susciterà meraviglia e la sua fama si spargerà per le regioni circostanti fin dall'infanzia, anticipando quella che otterrà con l'inizio del suo ministero profetico, quando folle di peccatori verranno a lui in cerca di conversione. Ci si sarebbe aspettato di vedere Giovanni sacerdote come suo padre. Ma i piani di Dio per lui erano altri. Egli sarebbe diventato un profeta. Il più grande dei profeti.

Dio ci ama nella nostra specificità e ha un piano di salvezza e di santità particolari per ognuno di noi. Chiediamogli la grazia per imparare ad essere la migliore versione di noi stessi, piuttosto che la brutta copia di qualche santo.

Preghiera

O Dio, che ci chiami per nome, rivelaci la tua volontà ed effondi su di noi il tuo Spirito, affinché possiamo portarla a compimento a lode del tuo Nome. Amen.

- Rev. Dr. Luca Vona

San Giovanni il Battista, la voce che grida nel deserto

Le chiese d'oriente e d'occidente celebrano oggi la natività di Giovanni il Battista, profeta e precursore del Signore.
Figlio del sacerdote Zaccaria e di Elisabetta Giovanni è frutto della promessa di Dio e annuncia i tempi messianici in cui la sterile diventa madre gioiosa di figli e la lingua dei muti si scioglie nella lode profetica. Con lui rivive la profezia e si fa più urgente il richiamo alla conversione rivolto da Dio al suo popolo.

San Giovanni Battista, Basilica di Santa Sofia, Istanbul

Secondo la parola dell'angelo, Giovanni venne con lo spirito e la forza di Elia per preparare al Signore un popolo ben disposto. Egli visse nel deserto fino al giorno della sua manifestazione a Israele e lì, nella solitudine e nel silenzio, nell'ascesi e nella preghiera, si preparò alla sua missione.
Insieme a Gesù, il Battista è l'unico personaggio di cui il Nuovo Testamento narri la nascita, ed è l'unico santo celebrato dalla chiesa antica con più feste durante l'anno.
Quando nel IV secolo la nascita di Gesù venne fissata nel solstizio d'inverno, quella di Giovanni venne posta nel solstizio d'estate per rispettare la lettera del racconto evangelico. La coincidenza con il solstizio d'estate e l'inizio dell'accorciarsi delle giornate è stata vista dai padri come una conferma delle parole di Giovanni e della sua testimonianza al Cristo: «Egli deve crescere e io invece diminuire».
Asceta vissuto nel deserto, Giovanni è diventato ben presto il modello del monachesimo nascente ed è sempre stato venerato con particolare amore dai monaci, che nell'ascesi, nel silenzio, nella preghiera e nell'assiduità alle Scritture cercano di predisporre ogni cosa per poter accogliere Dio nelle loro vite.

Tracce di lettura

Annunciazione, concepimento, santificazione e nascita di Giovanni ci sono presentate in parallelo ad annunciazione, nascita, consacrazione di Gesù, e con questi dittici dei capitoli 1 e 2 del suo vangelo, con questi eventi della preistoria di Giovanni e di Gesù, Luca ci mostra che anche nell'infanzia Giovanni è stato il precursore del Messia ... Poi il silenzio del vangelo su Giovanni come su Gesù: Giovanni vivrà nel deserto fino al giorno della sua manifestazione a Israele, Gesù vivrà soggetto a Maria e Giuseppe a Nazaret. Per entrambi è il nascondimento, la crescita, la preparazione alla missione, al dies ostensionis ad Israel.
(E. Bianchi, Amici del Signore).

- Dal Martirologio ecumenico della Comunità monastica di Bose

mercoledì 23 giugno 2021

Fermati 1 minuto. I frutti buoni della fede

Lettura

Matteo 7,15-20

15 Guardatevi dai falsi profeti che vengono a voi in veste di pecore, ma dentro son lupi rapaci. 16 Dai loro frutti li riconoscerete. Si raccoglie forse uva dalle spine, o fichi dai rovi? 17 Così ogni albero buono produce frutti buoni e ogni albero cattivo produce frutti cattivi; 18 un albero buono non può produrre frutti cattivi, né un albero cattivo produrre frutti buoni. 19 Ogni albero che non produce frutti buoni viene tagliato e gettato nel fuoco. 20 Dai loro frutti dunque li potrete riconoscere.

Commento

I discepoli di Gesù che dichiaravano di parlare in nome di Dio erano chiamati profeti (cfr. Mt 10,4; 23,34). Come nell'Antico Testamento, accanto ai profeti veri, ci sono però quelli falsi: la differenza sta nella qualità dei loro "frutti" (v. 16), cioè nella bontà o nella malvagità delle loro azioni.

I falsi profeti sono coloro che propongono la via larga, che conduce a perdizione (Mt 7,13-14). Gesù insegna che non tutti coloro che dichiarano di far parte della comunità dei credenti sono tali. Alcuni sono come lupi tra le pecore, case che appaiono simili ma hanno differenti fondamenta (Mt 7,21-27), zizzania in mezzo al grano (Mt 13,24), vergini stolte tra le sagge (Mt 25,1-13), servi malvagi tra i buoni (Mt 25,14-30).

Il punto di riferimento per giudicare i profeti e i loro frutti sono le Scritture. Nessuna forma di gerarchia, nella Chiesa, può porsi al di sopra della loro autorità.

I frutti buoni sono la testimonianza di una fede viva ed efficace. Come ammonisce l'apostolo Giacomo "Tu hai la fede ed io ho le opere; mostrami la tua fede senza le opere, ed io con le mie opere ti mostrerò la mia fede" (Gc 2,18).

Ma se le buone opere sono espressione della fede, questa richiede di essere pazientemente coltivata, proprio come un albero "che darà frutto a suo tempo" (Sal 1,3). Non temiamo, dunque, la prova dell'inverno, la necessaria potatura per migliorare la crescita; attendiamo con speranza, davanti ai rami ancora spogli, l'apparire dei primi germogli; gustiamo e condividiamo, finalmente, i frutti, quando questi saranno giunti a piena maturazione.

Preghiera

Signore, vieni e visita la tua Chiesa, albero che la tua destra ha piantato; vivificalo con la tua grazia e insegnaci a prendercene cura. Amen.

- Rev. Dr. Luca Vona

martedì 22 giugno 2021

Fermati 1 minuto. Il decentramento necessario

Lettura

Matteo 7,6.12-14

6 Non date le cose sante ai cani e non gettate le vostre perle davanti ai porci, perché non le calpestino con le loro zampe e poi si voltino per sbranarvi.
12 Tutto quanto volete che gli uomini facciano a voi, anche voi fatelo a loro: questa infatti è la Legge ed i Profeti.
13 Entrate per la porta stretta, perché larga è la porta e spaziosa la via che conduce alla perdizione, e molti sono quelli che entrano per essa; 14 quanto stretta invece è la porta e angusta la via che conduce alla vita, e quanto pochi sono quelli che la trovano!

Commento

I maiali e i cani sono considerati animali impuri dagli ebrei. Il principio per cui le cose sante non vanno date ai cani (v. 6) è la ragione per cui Gesù non compie miracoli per coloro che non credono (Mt 13,58). Ciò non contraddice l'amore per i nemici e la preghiera per i persecutori (Mt 5,44). Le cose sante e le perle rappresentano il principio di correzione fraterna, dopo che il discepolo ha rimosso "la trave" dal proprio occhio. Non dobbiamo astenerci dal predicare il vangelo anche ai malvagi e agli uomini profani, come attesta la predicazione di Gesù ai pubblicani e ai peccatori, ma di fronte a un cuore indurito il discepolo è esortato a scuotere la polvere dai propri piedi e rivolgersi altrove (Mt 10,14).

"Tutto quanto volete che gli uomini facciano a voi, anche voi fatelo a loro" (v. 12) è la "Regola d'oro", presente prima di Cristo nei testi rabbinici, così come nei testi sacri induisti e buddhisti. Spesso in queste fonti è presente nella sua forma negativa "Non fare agli altri ciò che non faresti a te stesso". Privilegiando la forma positiva Gesù sottolinea che questo comandamento rappresenta un sommario e l'essenza dei principi etici contenuti nella Legge mosaica e negli scitti profetici.

Anche la metafora delle "due vie" - una che conduce alla vita, l'altra alla morte - ricorre nella filosofia e mella mitologia pagana (es. Ercole al bivio) e nell'Antico testamento (cfr. nel Sal 1; Dt 30,15). In questo contesto assume un orientamento escatologico. La porta stretta e la via angusta sono difficili da attraversare perché rappresentano la partecipazione alla morte e risurrezione di Cristo.

Tutti possiamo entrare nella vita, ma si tratta di un percorso esigente, che richiede impegno, abnegazione, rinuncia al proprio egoismo, il decentramento necessario per assumere la prospettiva dell'altro da sé.

Preghiera

Guidaci, Signore, sulla via della vita e rendici testimoni fedeli della tua Parola, mediante la rigenerazione nella tua morte e risurrezione. Amen.

- Rev. Dr. Luca Vona

lunedì 21 giugno 2021

Fermati 1 minuto. La differenza tra guardare e vedere

Lettura

Matteo 7,1-5

1 Non giudicate, per non essere giudicati; 2 perché col giudizio con cui giudicate sarete giudicati, e con la misura con la quale misurate sarete misurati. 3 Perché osservi la pagliuzza nell'occhio del tuo fratello, mentre non ti accorgi della trave che hai nel tuo occhio? 4 O come potrai dire al tuo fratello: permetti che tolga la pagliuzza dal tuo occhio, mentre nell'occhio tuo c'è la trave? 5 Ipocrita, togli prima la trave dal tuo occhio e poi ci vedrai bene per togliere la pagliuzza dall'occhio del tuo fratello.

Commento

L'esortazione di Gesù a non giudicare non consiste nel non riconoscere gli errori degli altri, ma nel non giudicarli in modo arrogante, ignorando la fallibilità e la debolezza stessa di chi giudica. Il discepolo è dunque chiamato al discernimento, con rettitudine e prudenza. Poco più avanti, infatti, Gesù mette in guardia i discepoli dai falsi profeti e li invita a giudicarli dai frutti (Mt 7,15); mentre nel Vangelo di Luca, Gesù rimprovera la capacità di saper valutare i segni metereologici ma di non saper riconoscere i segni dei tempi, giudicando ciò che è giusto (Lc 12,54-56).

Il verbo greco relativo all'osservare la pagliuzza, blepo, indica semplicemente il "vedere", potremo dire il "guardare", che è azione più superficiale del "vedere attentamente", indicato dal verbo diablepo, in riferimento all'accorgersi della trave. La capacità di un retto giudizio dipende dal saper discernere in profondità l'animo umano. Gesù invita, dunque, a non giudicare secondo le apparenze (cfr. Gv 7,24), perché solo Dio può giudicare il cuore e le intenzioni profonde dell'uomo.

L'appellativo di "ipocrita", rivolto in precedenza agli scribi e ai farisei, è indirizzato ora al discepolo che si preoccupa degli errori altrui, anche se piccoli (la pagliuzza), ignorando i propri, ben più grandi (la trave). Mostrare zelo per la correzione degli altri e permissivismo verso se stessi pone fuori dalla misericordia di Dio che ci sarà offerta nella misura con cui misureremo il nostro prossimo (v. 1).

Accettare gli altri per quello che sono e non per quello che vorremmo che fossero, riconoscere noi stessi per quello che siamo, è il punto di partenza per un cammino di crescita spirituale. Solo partendo dalla verità dei nostri inciampi e delle nostre ferite potremo fare spazio, in noi e negli altri, al dono della grazia che giustifica e rende santi agli occhi di Dio.

Preghiera

Donaci, Signore, l'umiltà per riconoscre la verità della nostra fragile condizione umana; affinché possiamo giudicare con rettitudine e misericordia. Amen.

- Rev. Dr. Luca Vona

domenica 20 giugno 2021

Il buon pastore

COMMENTO ALLA LITURGIA DELLA TERZA DOMENICA DOPO LA TRINITÀ

Colletta

O Signore, ti supplichiamo di ascoltarci nella tua misericordia; tu che ci hai donato un ardente desiderio di pregare, concedici che attraverso il tuo aiuto, possiamo essere difesi e confortati in ogni pericolo e avversità; per Gesù Cristo nostro Signore. Amen.

Letture

1 Pt 5,5-11; Lc 15,1-10

Commento

L’iconografia del buon pastore o, più precisamente del “bel” pastore (il termine greco è, infatti, kalòs), apparteneva al mondo greco e romano prima dell’avvento del cristianesimo ed era considerata di buon auspicio per i defunti.

Ma l’immagine di Dio come pastore di Israele, che mostra il proprio amore per la pecora perduta è ben presente nella religiosità ebraica, e in particolare nella letteratura profetica. Così in Ezechiele leggiamo: "Dice il Signore, Dio: 'Eccomi! io stesso mi prenderò cura delle mie pecore e andrò in cerca di loro. Come un pastore va in cerca del suo gregge il giorno che si trova in mezzo alle sue pecore disperse, così io andrò in cerca delle mie pecore e le ricondurrò da tutti i luoghi dove sono state disperse in un giorno di nuvole e di tenebre'" (Ez 34,11-12). E poi vi è il ben noto salmo 23, utilizzato tradizionalmente anche nell’ambito del rito delle esequie: "Il Signore è il mio pastore" (Sal 23,1).

Il protagonista della parabola del buon pastore si comporta in modo paradossale, sfidando la comune logica umana: chi lascerebbe novantanove pecore per andare a cercarne una sola che si è smarrita, senza la certezza di ritrovarla, e con il rischio di perdere l’intero gregge?

Dio non ragiona con mentalità di profitto, semplicemente in termini di costi e benefici. Il suo amore per noi è amore non solo dell’umanità nel suo insieme, ma per la nostra individualità. Per questo si fa carico di venirci a cercare, se anche fossimo gli unici dispersi del suo gregge.

Egli non ci abbandona e non sta neanche nell’ovile ad aspettare il nostro ritorno, ma ci viene incontro, si affatica nella ricerca e quando ci ha trovati aggiunge fatica a fatica portandoci sulle sue spalle. Troviamo così in quest'immagine la passione del Dio incarnato per l'umanità. 

Dio ci chiede la stessa sollecitudine verso il fratello più debole, nella consapevolezza che tutti siamo preziosi ai suoi occhi e che egli è venuto perché nulla vada disperso.

Umiliamoci, dunque, sotto la potente mano di Dio, come ci ammonisce l’apostolo Pietro (1 Pt 5,6); perché se ci lasciamo trovare, la sua mano ci raggiunge, non per castigarci, ma come mano tesa, che ci offre il suo soccorso e il suo conforto, in ogni pericolo e avversità.

- Rev. Dr. Luca Vona

venerdì 18 giugno 2021

Fermati 1 minuto. Quale mèta rincorriamo?

Lettura

Matteo 6,19-23

19 Non accumulatevi tesori sulla terra, dove tignola e ruggine consumano e dove ladri scassinano e rubano; 20 accumulatevi invece tesori nel cielo, dove né tignola né ruggine consumano, e dove ladri non scassinano e non rubano. 21 Perché là dov'è il tuo tesoro, sarà anche il tuo cuore.
22 La lucerna del corpo è l'occhio; se dunque il tuo occhio è chiaro, tutto il tuo corpo sarà nella luce; 23 ma se il tuo occhio è malato, tutto il tuo corpo sarà tenebroso. Se dunque la luce che è in te è tenebra, quanto grande sarà la tenebra!

Commento

L'accumulo di tesori "in cielo" (v. 20) ha a che fare con l'utilizzo dei beni terreni guidati da spirito di carità e condivisione.

Agire cristianamente nell'amministrare i beni terreni significa praticare l'elemosina, digiunare e vivere con sobrietà confidando in Dio nella preghiera, come raccomandato da Gesù stesso (Mt 6,1-18).
Se la manna stessa, cibo disceso dal cielo, messa in serbo per il giorno successivo "fece i vermi e si imputridì" (Es 16,20), il cristiano nel suo esodo verso la vita eterna non deve preoccuparsi di accumuare ricchezze. Anche le grazie spirituali che riceviamo da Dio non devono portarci a confidare su una "scorta di meriti", perché quotidianamente dobbiamo alimentare la nostra fede, rendendola efficace nella carità.

Gli uomini pongono il proprio cuore là dove è il loro tesoro (Mt 6,19-21) e allo stesso modo fissano i loro occhi in ciò che desiderano di più (vv. 22-23). Un occhio puro ama posarsi sui beni celesti e rende limpido il nostro intero essere. Un desiderio disordinato dei beni terreni è rappresentato da Gesù con l'analogia dell'occhio malvagio, nel quale non può entrare alcuna luce e che farà giacere tutto l'uomo nelle tenebre.

La luce che è tenebra (v. 23) è da intendersi come espressione di una religiosità esteriore, ipocrita: una  mosca morta rovina l'olio del profumiere (Eccl 10,1). Per questo l'occhio malvagio rappresenta anche la cattiva intenzione nelle azioni dell'uomo, per malizia o per colpevole ignoranza.

Tutte le realtà terrene sono caratterizzate dall'impermanenza e dall'incapacità di colmare il desiderio di bene presente nel cuore dell'uomo, il quale trasformandole in idoli non potrà che andare incontro alla delusione.

Gesù ci chiama a fare chiarezza su quale mèta stiamo rincorrendo, qual è il fine che abbiamo scelto per la nostra vita, ciò che la riempie di senso, invitando la nostra anima a scegliere "la parte migliore, che non le sarà tolta" (Lc 10,42).

Preghiera

Donaci, Signore, la saggezza di scegliere la via del vangelo, per rendere la nostra fede operosa e far fruttare i doni del tuo Spirito. Amen.

- Rev. Dr. Luca Vona

giovedì 17 giugno 2021

Fermati 1 minuto. Gesù, maestro di preghiera. Commento al Padre nostro

Lettura

Matteo 6,7-15

7 Pregando poi, non sprecate parole come i pagani, i quali credono di venire ascoltati a forza di parole. 8 Non siate dunque come loro, perché il Padre vostro sa di quali cose avete bisogno ancor prima che gliele chiediate. 9 Voi dunque pregate così:
Padre nostro che sei nei cieli,
sia santificato il tuo nome;
10 venga il tuo regno;
sia fatta la tua volontà,
come in cielo così in terra.
11 Dacci oggi il nostro pane quotidiano,
12 e rimetti a noi i nostri debiti
come noi li rimettiamo ai nostri debitori,
13 e non ci indurre in tentazione,
ma liberaci dal male.
14 Se voi infatti perdonerete agli uomini le loro colpe, il Padre vostro celeste perdonerà anche a voi; 15 ma se voi non perdonerete agli uomini, neppure il Padre vostro perdonerà le vostre colpe.

Commento

Prima di offrirci un modello perfetto di preghiera con il "Padre nostro" Gesù ci esorta a essere parsimoniosi nelle parole da utilizzare. Il rapporto con Dio deve essere filiale, e quindi improntato a semplicità di cuore. Lo sproloquiare (gr. battalogeo, chicchierare) può essere riferito all'abitudine dei pagani di recitare una lunga lista di nomi divini. Nella nostra preghiera dobbiamo stare attenti a comprendere quel che diciamo e a dire solo ciò che scaturisce dal profondo del nostro cuore.

Eviteremo dunque la ripetizione di formule senza prestare attenzione, ma ciò non costituisce una proibizione contro la preghiera insistente, alla quale ci esorta, ad esempio, la parabola dell'amico importuno (Lc 11,5-8). Gesù stesso prega ripetendo le stesse parole nell'orto degli ulivi: "lasciatili, si allontanò di nuovo e pregò per la terza volta, ripetendo le stesse parole" (Mt 26,44). Non è dunque condannata la ripetizione di parole ma la vana ripetizione. Neanche è condannata la preghiera che si protrae a lungo. Gesù prega tutta la notte (Lc 6,2) ed esorta i suoi discepoli a pregare sempre, senza stancarsi (Lc 18,1).

La preghiera del Padre nostro comprende tutte le nostre reali necessità e tutto ciò che è legittimo chiedere. Era entrata sicuramente a far parte della liturgia già al tempo in cui Matteo scrive, ma lungi dal rappresentare una semplice formula è un modello di brevità, semplicità e completezza, che dovrebbe ispirare ogni altra preghiera. Delle sei petizioni tre sono rivolte a Dio e tre riguardano le necessità dell'uomo. Gesù ci esorta infatti a cercare prima di tutto il regno di Dio e la sua giustizia, perché tutte le altre cose ci saranno date in aggiunta (Mt 6,33). 
Le richieste per le necessità umane sono tutte rivolte al plurale, a indicare che dobbiamo pregare gli uni per gli altri, in un vincolo di comunione.

Le prime parole della preghiera rivelano la natura intima di Dio: Egli è padre; e noi possiamo chiamarlo Padre perché in Cristo abbiamo ricevuto lo spirito di adozione a figli. Lo Spirito stesso intercede nella nostra preghiera, con gemiti inesprimibili (Rm 8,26), gridando "Abbà, Padre" (Gal 4,6).

Il primo atto della preghiera è un atto di adorazione: "sia santificato il tuo nome" (v. 9). Tutte le altre richieste devono essere subordinate a questa e devono avere come unico scopo questa. Santificare (gr. hagiazo) il nome di Dio può essere inteso come un atto di ossequio e obbedienza; ma è anche una invocazione affinché Dio santifichi il suo stesso nome, manifestando la sua potenza e la sua gloria con l'avvento del suo regno. Nella supplica che segue (v. 10) si chiede infatti che il regno, predicato da Cristo e dai suoi apostoli, giunga a compimento sulla terra, così come è realizzato perfettamente in cielo.

"Sia fatta la tua volontà" esprime la necessità che ogni richiesta sia sottomessa ai piani e alla gloria di Dio. Con questa invocazione chiediamo che in questo mondo, deturpato dal maligno, prevalga la volontà di Dio, che lo rende simile al Cielo.

Gesù ci invita a chiedere al Padre che ci doni il pane quotidiano (v. 11). Non che ce lo venda, né che ce lo presti, ma che ce lo dia per la sua misericordia. La nostra sopravvivenza, materiale e spirituale, dipende dalla grazia di Dio.
L'aggettivo greco epiousios viene comunemente tradotto con "quotidiano", a indicare il nutrimento materiale essenziale per il nostro sostentamento. Ma il termine potrebbe anche essere reso con "futuro", assumendo una connotazione escatologica e venendo a significare il pane del giorno che verrà, il pane del regno, tanto desiderato e ora urgentemente atteso ("dacci oggi"). Con queste parole chiediamo dunque anche il pane che nutre il nostro spirito, il pane sacramentale e la grazia di Dio, con cui riceviamo Cristo, il pane vivo disceso dal cielo (Gv 6,51).

La richiesta di rimettere, letteralmente "lasciar andare", i debiti (v. 12), ovvero i peccati contratti verso Dio, è correlata al perdono nel giudizio finale. Chiediamo di essere perdonati come noi perdoniamo ai nostri debitori, non comportandoci come il servo al quale fu condonato molto dal suo padrone ma che non ebbe pietà del suo conservo (Mt 18,21-35).

Gesù ci esorta a chiedere di non essere introdotti nella tentazione (v. 13); questo il senso traslato della parola greca eisphero, che significa "portar dentro" Tenendo conto quanto afferma Giacomo nella sua lettera, dove è detto che "Dio non tenta nessuno al male" (Gc 1,13) si arriva alla conclusione che non è Dio l'agente attivo della tentazione, sebbene l'esempio di Giobbe dimostra che egli può mettere l'uomo alla prova esponendolo all'azione di Satana. Ciò che si chiede al Padre è di essere preservati dalle tentazioni, che qui possono essere riferite sia ai peccati che alle più generali prove della fede. Nel contesto escatologico dominante di questo passo il senso potrebbe essere anche quello di chiedere a Dio di risparmiare ai discepoli le prove e le persecuzioni che precedono la fine dei tempi. 

Il termine greco hò poneròs indica il male, da cui si chiede di essere liberati; è chiaramente maschile e sta a indicare il Maligno, a causa del quale il peccato e la morte sono entrati nel mondo.

Esortandoci a perdonare per essere perdonati (vv. 14-15), Gesù non condiziona la nostra giustificazione alle nostre opere. La grazia che ci è stata accordata dal sangue di Cristo e che trova espressione nel segno sacramentale del Battesimo ci ha purificati completamente dal peccato, ma qui siamo invitati a chiedere a Dio e concedere al nostro prossimo una remissione dei peccati quotidiani, come un lavacro parziale: "Chi ha fatto il bagno, non ha bisogno di lavarsi se non i piedi ed è tutto mondo" (Gv 13,10). Con le parole a commento della sua preghiera (v. 14) Gesù attesta che egli è venuto nel mondo non solo per riconciliarci con il Padre ma anche per riconciliarci l'un l'altro.

Preghiera

Signore Gesù Cristo, insegnaci a pregare; perché possiamo crescere in santità e sapienza in un continuo dialogo con il nostro Padre che è nei Cieli. Amen.

- Rev. Dr. Luca Vona

mercoledì 16 giugno 2021

Giovanni Taulero e l'abisso dell'anima

La chiesa luterana celebra oggi la memoria di Johannes Tauler.

Il 15 giugno 1361 muore a Strasburgo, dov'era nato agli inizi del secolo, Johannes Tauler, frate domenicano e testimone fra i più amati nel medioevo occidentale.

Di famiglia benestante, Johannes era entrato nel convento domenicano di Strasburgo non ancora quindicenne, e vi aveva ricevuto una tradizionale educazione scientifica, teologica e spirituale. Ma la vera spinta a ripensare in profondità la sua fede gli venne dal fatto di vivere un tempo di grandi conflitti e contraddizioni al vangelo, anche in seno al suo Ordine, che avevano provocato a più riprese gli interventi diretti del capitolo generale dei Predicatori.

Johannes Tauler - Wikiquote
Johannes Tauler (ca 1300-1361)

Per rispondere alla decadenza nella vita spirituale dei religiosi e del popolo cristiano, Tauler diede vita ai cosiddetti «amici di Dio», ossia a gruppi di cristiani impegnati a vivere una vita di fede maggiormente fondata sull'ascolto del vangelo e sulla preghiera personale.
In anni di intenso apostolato in seno ai conventi domenicani dell'Alsazia e presso i beghinaggi della regione, Tauler insegnò un modo di vivere l'esperienza dell'incontro con Dio ispirato alla visione teologica dei padri della chiesa e nel contempo alla mistica di Meister Eckhart. Egli formò così intere generazioni di credenti a una spiritualità capace di sostenere un impegno concreto e coerente con il vangelo nella vita di tutti i giorni.
Alla sua morte, Tauler lasciò una collezione di Sermoni che rimangono fra le espressioni più sobrie ed evangeliche della letteratura mistica medievale.

Tracce di lettura

L'autentica preghiera è una vera ascensione in Dio, che eleva completamente lo spirito, cosicché Dio può in verità entrare nel fondo più puro, più intimo, più nobile, più interiore, dove solo c'è vera unità, riguardo al quale Agostino dice che l'anima ha in sé un abisso nascosto che non ha nulla a che fare con il tempo e con tutto questo mondo.
In questo nobile, delizioso abisso, in questo regno celeste, là s'immerge la dolcezza, è là eternamente il suo posto, e là l'uomo diventa tanto silenzioso, essenziale e assennato, e sempre più distaccato, più interiorizzato e più elevato in una maggior purità e passività, e sempre più abbandonato in ogni cosa, perché Dio stesso è venuto di presenza in questo nobile regno, e vi opera, vi dimora e vi regna.
Allora l'uomo acquista una vita tutta divina, e lo spirito si fonde qui completamente, s'infiamma in ogni cosa ed è attirato nel fuoco ardente della carità che è essenzialmente per natura Dio stesso. Da tale stato, gli uomini ridiscendono poi a tutte le necessità del santo popolo cristiano, si volgono con una preghiera e un desiderio santi verso tutto ciò per cui Dio vuole essere pregato, e a vantaggio dei loro amici, vanno ai peccatori e si adoperano in tutta carità a trovare rimedio per i bisogni di ciascun uomo.
(J. Tauler, Sermoni 24,7)

- Dal Martirologio ecumenico della Comunità monastica di Bose