Il Rev. Dr. Luca Vona
Un evangelico nel Deserto

Ministro della Christian Universalist Association

martedì 31 marzo 2020

John Donne. La poesia come scienza di Dio

Nel marzo del 1631, dopo aver predicato il più bello dei suoi sermoni, si spegne all'età di 59 anni John Donne, presbitero e poeta fra i più grandi della letteratura inglese. Di famiglia cattolica, John era nato nel cuore di Londra, ed era rimasto molto presto orfano di padre. Da ragazzo era stato al tempo stesso uno studente serio e brillante e un ragazzo che amava la bella vita, secondo quanto trapela dai suoi componimenti giovanili.
Passato poco dopo i vent'anni alla Chiesa d'Inghilterra al termine di un lento ripensamento, Donne sposò Ann More, una ragazza ancora minorenne, senza il permesso del suo tutore. Imprigionato, egli perse tutte le prospettive di carriera che gli si erano dischiuse grazie al suo ingegno. Tuttavia, trovò nella famiglia (Ann gli darà dodici figli) un senso pieno per la propria vita. Poeta finissimo, capace di narrare in modo impareggiabile la bellezza dell'amore umano e di quello divino, Donne non scrisse tanto per la pubblicazione quanto per condividere la sua arte con gli amici a lui più cari.
Dopo aver più volte rifiutato l'ordinazione presbiterale che gli veniva offerta, Donne finì per accettarla un anno dopo essere stato eletto in parlamento, su richiesta del re Giacomo in persona. Nell'ultima fase della sua vita, egli impiegò la straordinaria capacità di scrivere che aveva ricevuto in dono per un'intensa attività di predicatore, che lo porterà a diventare decano della cattedrale londinese di San Paolo. I suoi sermoni, splendidi sul piano letterario, ricchissimi di citazioni bibliche e patristiche, costituiranno a lungo un modello di predicazione nella Chiesa d'Inghilterra.

John Donne (1571-1631)
Tracce di lettura

Nessun uomo è un'Isola,
intero in se stesso.
Ogni uomo è un pezzo del Continente,
una parte della Terra.
Se una Zolla viene portata via dall'onda del Mare,
la Terra ne è diminuita,
come se un Promontorio fosse stato al suo posto,
o una Magione amica o la tua stessa Casa.
Ogni morte d'uomo mi diminuisce,
perché io partecipo all'Umanità.
E così non mandare mai a chiedere per chi suona la Campana:
Essa suona per te. (John Donne, Nessun uomo è un'isola)

- Dal Martirologio ecumenico della Comunità monastica di Bose

lunedì 30 marzo 2020

Giovanni Climaco e la Scala per il Paradiso

Le chiese ortodosse fanno oggi memoria di Giovanni il Sinaita, detto «Climaco».
Poco si sa della vita di questo monaco vissuto tra il VI e il VII secolo. Gli agiografi raccontano che attorno all'età di sedici anni si recò al monastero di Raithu, ai piedi del Sinai, dove Dio aveva rivelato il proprio Nome a Mosè, attratto dalla fama dei monaci del luogo.
Dopo vent'anni trascorsi nella comunità, Giovanni ne visse altrettanti in solitudine. Eletto igumeno del monastero del Sinai quando aveva sessant'anni, egli compose per i suoi discepoli una delle più celebri opere della spiritualità cristiana: la Scala del paradiso, che gli varrà lo pseudonimo di Climaco (da klîmax, «scala»). In essa, Giovanni descrive i gradini che il monaco deve ascendere per giungere all'incontro con Dio, aggiungendo via via, secondo le sue stesse parole, «giorno dopo giorno, fuoco al fuoco e desiderio al desiderio». Il monaco, per il grande maestro sinaita, è un uomo che deve tendere all'hesychía, alla quiete dell'anima, mediante la lotta contro i pensieri malvagi, che si combattono praticando le virtù ad essi contrarie.
Climaco morì verso il 649, e presso gli ortodossi è celebrato solennemente anche la quarta domenica di quaresima.
GIOVANNI CLIMACO, icona del XV sec.
Giovanni Climaco (+649 ca)

Tracce di lettura

La mitezza è lo stato costante dello spirito sempre uguale a se stesso dinanzi agli onori come dinanzi agli insulti. Sicché essa significa pure pregare per il prossimo che ti turba, in tutta tranquillità e serenità. Mitezza perciò vuol dire anche solidità nella pazienza e capacita di amare, in quanto essa è madre di carità, prova di discernimento spirituale. Il Signore, come sta scritto, «insegnerà ai miti le sue vie». La mitezza procura la remissione dei peccati nella preghiera fiduciosa. Essa è come terra disponibile per la fecondazione dello Spirito santo, come sta scritto: «Su chi volgerò lo sguardo, se non su un'anima mite e tranquilla?»
(Giovanni Climaco, La scala del paradiso 24,134)

- Dal Martirologio ecumenico della Comunità monastica di Bose

Credere in Gesù e credere a Gesù

COMMENTO ALLA LITURGIA DELLA QUINTA DOMENICA DI QUARESIMA

Colletta

Ti supplichiamo, Dio Onnipotente, di guardare misericordioso al tuo popolo; affinché possa essere sempre custodito e guidato dalla tua grande bontà, sia nel corpo che nell’anima. Per Gesù Cristo, nostro Signore. Amen.

Letture

Eb 9,11-15; Gv 8,46-59

Commento

L'itinerario quaresimale ci invita a riflettere, nella domenica detta "di Abramo", su colui del quale i fedeli dei tre grandi monoteismi (ebraismo, cristianesimo e islam) si considerano figli. 

Dio appare ad Abramo quando questi è ormai avanti negli anni, invitandolo a lasciare la regione di Ur e facendogli una triplice promessa: una terra, una discendenza e la benedizione in lui di tutte le famiglie della terra (Gn 12,1-3). Egli diventa così il padre di tutti i credenti e il patriarca di cui i giudei si riconoscono come "stirpe". 

Dobbiamo guardarci, però, dal porre le fondamenta della nostra religiosità sulla sabbia del “senso di appartenenza”, erroneamente inteso quale garanzia di salvezza; non basta dire “siamo figli di Abramo” (Gv 8,33.53), come non basta dire “siamo cristiani”. Non si tratta semplicemente di credere a Gesù e di professarlo Figlio di Dio, ma di credere in Gesù. 

Credere in qualcuno è molto di più che credere a qualcuno. Credere in Gesù significa rimetterci completamente a lui, proprio come Abramo, che esultò nella speranza di vedere il giorno di Cristo (Gv 8,56), fu capace di affidarsi incondizionatamente a Dio. Credere in Gesù significa riconoscerlo come il "mediatore della nuova alleanza" (Eb 9,15), che ci ha acquistato la redenzione eterna con il suo sangue. È il sangue di Cristo, richiamato ripetutamente nella Lettera agli Ebrei (Eb 9,12-14) che vivifica la Chiesa e purifica “la nostra coscienza dalle opere morte per servire il Dio vivente!” (Eb 9,14).

Abramo fu prima di tutto uomo dell’ascolto, capace di porgere l’orecchio a quanto Dio aveva da dirgli e di mettersi in cammino per obbedire al suo volere. Non così coloro che si contrappongono a Gesù, il quale ammonisce: “Chi è da Dio, ascolta le parole di Dio; perciò voi non le ascoltate, perché non siete da Dio” (Gv 8,47). 

Siamo chiamati a metterci in ascolto della parola di Dio, abbandonandoci fiduciosamente a lui; a ricercare il tempo per fare silenzio dentro e fuori di noi, per porre un freno alle “opere morte” e all’attivismo che perde di vista l’orizzonte ultimo delle cose; per lasciare andare le false sicurezze di una religiosità fondata sulla fede nelle nostre azioni e devozioni, più che nell’opera straordinaria e incredibile che Dio può compiere in noi.

- Rev. Dr. Luca Vona


venerdì 27 marzo 2020

Meister Eckhart e la nascita di Dio nell'anima

Il 27 marzo la Chiesa luterana celebra la memoria del teologo e mistico Meister Eckhart.

Eckhart di Hochheim, conosciuto come "Maestro Eckhart", è un mistico tedesco del XIII-XIV secolo. Nato intorno al 1260 a Tambach, entra nell'Ordine domenicano e studia a Colonia e Parigi. Diventa priore di Erfurt e vicario della Turingia, scrivendo i "Trattenimenti spirituali". Nel 1302 è lettore di teologia a Parigi e nel 1323 si trasferisce a Colonia. Nel 1326 affronta un processo inquisitorio, difendendosi con uno scritto di giustificazione. Nel 1329, dopo la sua morte, una bolla papale condanna alcune sue tesi.

Le sue prediche e i suoi trattati, pubblicati anche sotto pseudonimo, continuano ad avere impatto nei secoli successivi. Nel XIX secolo, con la riscoperta dei sermoni tedeschi, Eckhart viene visto come rappresentante di un cristianesimo germanico.

La sua dottrina si focalizza sulla nascita di Dio nell'anima, dove Dio e l'essenza dell'Anima sono considerati identici. Eckhart utilizza la metafora del legno e del fuoco per spiegare come l'anima si trasformi in Dio. In contrasto con la tradizione scolastica, Eckhart afferma che Dio si riproduce nell'intelletto umano, portando alla pace interiore. L'uomo pacificato è considerato Figlio di Dio, seguendo il pensiero di Giovanni e Paolo.

La sua visione neoplatonica considera tutto esistente in Dio, senza molteplicità. L'uomo sperimenta la sua unità con Dio grazie alla grazia divina. Questa visione attiva della vita include un'apprezzamento del mondo creato, integrando il panteismo in una prospettiva teistica. Il pensiero di Eckhart promuove anche il dialogo interreligioso, evidenziando la razionalità della mistica cristiana.

Citazioni dai Sermoni

  • L'anima è fatta per un bene così grande ed alto, che essa non può in alcun modo trovare riposo, ed è sempre infelice, finché non giunge, sopra ogni modo, a quel bene eterno che è Dio, per il quale essa è fatta.
  • L'uomo che si è distaccato da se stesso, è così puro che il mondo non può sopportarlo.
  • Non si deve cercare niente, né conoscenza né scienza, né interiorità né devozione né pace, ma soltanto la volontà di Dio.
  • Tutto sarebbe donato a chi rinunciasse a se stesso assolutamente, anche per un solo istante.
Advent Day with Meister Eckhart - Saint James Episcopal Church
Meister Eckhart (1260-1328)

giovedì 26 marzo 2020

Giovanni di Dalyatha. «I miei occhi bruciano di te»

La quarta domenica di quaresima la Chiesa assira fa memoria di Giovanni di Dalyatha, mistico tra i più grandi della storia cristiana.
Giovanni, chiamato anche Saba o il «Vegliardo», nacque nella seconda metà del VII secolo nel villaggio di Ardamust, a nord-ovest di Mossul. Egli fu iniziato allo studio delle Scritture nella scuola del suo villaggio, quindi frequentò il monastero di Apnimaran e, intorno all'anno 700, divenne monaco nel monastero di Mar Yozadaq. Dopo sette anni, si ritirò in solitudine sulla montagna di Dalyatha, forse nei pressi dell'Ararat, e da essa prese il nome.
Negli anni di solitudine, Giovanni approfondì la propria vita spirituale e si esercitò nell'arte della contemplazione, imparando a discernere l'intimo legame tra la creazione e il Creatore, e alimentando il proprio spirito grazie all'incontro quotidiano con la natura e i suoi simboli. Malgrado la lontananza dai suoi simili, egli non perse mai quei tratti di profonda umanità che caratterizzeranno tutti i suoi insegnamenti.
Raggiunto da alcuni discepoli, Giovanni mise per iscritto i frutti della sua profonda esperienza interiore. Influenzato dalle opere di Evagrio, di Macario, di Dionigi Areopagita e di Gregorio di Nissa, egli sottolineò tuttavia in modo ancor più radicale rispetto ai suoi maestri come il grado più elevato della vita cristiana sia quello della carità e dell'amore.
Giovanni morì in una data imprecisata, in quella solitudine in cui più che a fuggire il mondo aveva imparato ad amare ogni creatura.

Tracce di lettura

I miei occhi sono stati bruciati dalla tua bellezza
ed è stata divelta davanti a me la terra sulla quale avanzavo;
la mia intelligenza è stupita per la meraviglia che è in te
e io, ormai, mi riconosco come uno che non è.
Una fiamma si è accesa nelle mie ossa
e ruscelli sono sgorgati per bagnare l'intera mia carne,
perché non si consumi.
O fornace purificatrice,
nella quale l'Artefice ha mondato la sua creatura!
O abito di luce, che ci hai spogliati della nostra volontà
perché ce ne rivestissimo, ora, nel fuoco!
Signore, lasciami dare ai tuoi figli ciò che è santo,
non è ai cani che lo do.
Gloria a te! Come sono mirabili i tuoi pensieri!
Beati coloro che ti amano,
perché risplendono per la tua bellezza
e tu dai loro in dono te stesso.
Questa è la resurrezione anticipata
di coloro che sono morti in Cristo.
(Giovanni di Dalyatha, Lettere)

- Dal Martirologio ecumenico della Comunità monastica di Bose

mercoledì 25 marzo 2020

Annunciazione del Signore. «Salve, sposa mai sposata!»

In questa solennità si ricorda il celebre episodio biblico dell'annuncio recato dall'angelo a Maria di Nazaret.
Maria, presentata da Luca come personificazione del resto povero e umiliato di Israele, di coloro che non attendono altro che la venuta del Messia, è nell'episodio odierno della Scrittura colei che, accogliendo mediante l'ascolto la parola di Dio recata dall'angelo, concepisce nel proprio grembo per opera dello Spirito santo il Figlio di Dio, la Parola dell'Altissimo fatta carne.
Maria è chiamata per questo nella tradizione patristica la nuova Eva, la madre di tutti i credenti: nei credenti, infatti, mediante la fede, il Signore ha deciso di stabilire la sua dimora.
Le prime tracce di una festa dell'Annunciazione risalgono alla prima metà del VI secolo, a Costantinopoli. La festa si diffuse progressivamente dalla capitale bizantina a tutto l'oriente e l'occidente. La sua collocazione nella data odierna, legata alla fissazione del Natale al 25 dicembre, le dona un tono marcatamente cristologico, rafforzato dal fatto che in occidente il 25 marzo era legato fin dall'antichità alla memoria dell'incarnazione, della passione e della resurrezione di Cristo.
Per mantenere il legame della festa odierna con il Natale e consentirne nel contempo la celebrazione solenne, l'antica liturgia mozarabica preferiva commemorare l'annunciazione il 18 dicembre, mentre quella siriaca dedica tuttora alla pericope lucana dell'annuncio a Maria le ultime due domeniche prima del Natale, quella ambrosiana riserva tale pericope per la domenica di avvento detta dell'Incarnazione.

Tracce di lettura

Noi ti supplichiamo, Signore, effondi la tua grazia nei nostri cuori, affinché, come abbiamo conosciuto dal messaggio di un angelo l'incarnazione del tuo Figlio Gesù Cristo, possiamo essere condotti dalla sua croce e dalla sua Passione alla gloria della risurrezione. (Book of Common Prayer, 1928)

Oggi è rivelato il mistero che è da tutta l'eternità:
il Figlio di Dio diventa Figlio dell'uomo;
partecipando a ciò che è inferiore,
ci rende partecipi delle cose più alte.
Adamo all'inizio fu ingannato:
cercò di diventare Dio, ma non vi riuscì.
Ora Dio diventa uomo,
per divinizzare Adamo.
Si rallegri la creazione ed esulti la natura:
l'arcangelo sta con timore davanti alla Vergine,
e con il suo saluto: «Rallegrati» reca
l'annuncio gioioso che il nostro dolore è finito.
O Dio, che ti sei fatto uomo per la tua misericordiosa compassione,
sia gloria a te!
(Orthros, Liturgia ortodossa, Orthros della festa dell'Annunciazione)

martedì 24 marzo 2020

Paul-Irénée Couturier. Testimone di ecumenismo

Il 24 marzo 1953 si spegne a Lione Paul-Irénée Couturier, presbitero cattolico la cui vita è un'incontestabile e sincera testimonianza di quell'ecumenismo a cui, anche grazie a lui, la Chiesa cattolica approderà con il concilio Vaticano II.
Couturier era nato a Lione nel 1881. Dopo aver ricevuto una formazione scientifica, entrò in seminario e fu ordinato presbitero. Quando aveva 39 anni, egli fece un'esperienza determinante: mosso dal desiderio di alleviare le sofferenze degli emigrati russi nella regione lionese, ne conobbe la vita e la fede e si convinse della profonda unità che già esisteva con i cristiani d'oriente.

04 24 couturier
Paul-Irénée Couturier (1881-1953)

Approfondendo la propria conoscenza del cristianesimo ortodosso, Couturier approdò a Chevetogne, dove fu profondamente toccato dagli scritti del cardinal Mercier e da dom Lambert Beauduin. Diede così inizio a quella che diverrà la «settimana di preghiera per l'unità dei cristiani», convinto che il cuore dell'ecumenismo sia la preghiera stessa di Gesù: «che tutti siano una sola cosa».
Couturier fu anche all'origine del Gruppo di Dombes, nato per promuovere una maggiore conoscenza fra cattolici e protestanti francesi. Egli avviò un'impressionante rete di rapporti epistolari, con i quali seppe intessere la trama essenziale di amicizia e di stima fra cristiani sul cui fondamento prenderanno avvio i grandi dialoghi ecumenici.
Alla sua morte i messaggi di cordoglio giunti al vescovo di Lione da tutte le chiese cristiane testimoniarono l'unanime riconoscimento all'impegno evangelico di un uomo che aveva saputo dare un'anima all'ecumenismo.

Tracce di lettura

Ogni generazione è chiamata a porsi di nuovo la domanda: che cosa fate voi per guarire il corpo spezzato di Cristo? Da molto tempo, da secoli, la carità, vincolo dell'unità, si è affievolita. L'unità è stata spezzata, i cristiani sono stati disgregati dalla ferita del peccato. E le divisioni persistono perché nei cuori la carità è ancora fredda.
La carità riprenderà la sua fiamma, la sua fiamma di calore luminoso, nel dolore, nell'umiltà, nel pentimento, nella preghiera, nella supplica, nell'ardore e nella perseveranza della preghiera. La preghiera è un combattimento con Dio in cui si trionfa per mezzo della forza stessa di Dio. (P.-I. Couturier, Opuscoli )

- Dal Martirologio ecumenico della Comunità monastica di Bose

Walter Hilton e La Scala di Perfezione. Contemplativi nella quotidianità

Walter Hilton nacque intorno al 1340. Secondo diversi indizi studiò legge all'Università di Cambridge. Nel 1371 era funzionario della Diocesi di Lincoln e divenne canonico di Abergwili. Intorno al 1370 abbracciò la vita eremitica, ma nella decade successiva abbandonò la vita solitaria per entrare nell'Ordine Agostiniano. Trascorse il resto della sua vita come canonico di Thurganton, dove morì il 24 marzo 1396. Le opere più importanti di Hilton sono La scala di Perfezione e La vita mista. Pur essendo versato nella lingua latina, Hilton scelse di pubblicare le sue opere in volgare per raggiungere un pubblico più vasto. Le sue opere erano infatti indirizzate primariamente a uomini e donne laici. Hilton li incoraggia ad adottare una routine di preghiera e contemplazione, per giungere a una maggiore conoscenza di Dio e di sé, senza abbandonare i propri doveri quotidiani. In tal senso, l'opera La vita mista fu scritta per un amico laico che considerava di abbandonare il mondo; Hilton lo incoraggia a rimanere nel suo stato, abbracciando, appunto, una vita mista, sia attiva che contemplativa.

Risultato immagini per walter hilton thurgarton
Walter Hilton (1340-1396)
La Scala di Perfezione si compone di due parti, la prima rivolta a un' amica eremita e la seconda parte a un più ampio uditorio. Nel definire i diversi stati della perfezione Hilton mostra una profonda conoscenza delle Scritture e della Teologia ma cerca di trarre i suoi esempi dalla vita quotidiana.
Insieme a Richard Rolle e Giuliana di Norwich, Hilton appartiene alla grande tradizione della mistica inglese tardo-medievale, che ricevette un influsso importante anche dalla mistica renano-fiamminga.
Nello stesso anno in cui Hilton entrava tra gli Agostiniani il suo amico Adam Horsley, incoraggiato da Hilton stesso, entrava tra i certosini. L'Ordine certosino, da sempre dedito alla collezione e alla copia di opere spirituali, contribuì alla diffusione delle opere di Hilton, producendo diverse copie anche al di fuori dell'Inghilterra e consentendogli di sopravvivere ai roghi della Riforma.
Hilton e le sue opere sono stati riscoperti dalla Chiesa Anglicana nel diciannovesimo secolo e il 24 marzo è ricordato nel calendario dei santi della Chiesa d'Inghilterra, mentre il 28 settembre in quello della Chiesa Episcopale, insieme a Richard Rolle e Margery Kempe.

lunedì 23 marzo 2020

Wolfgang di Anhalt-Köthen, firmatario della Confessione di Augusta

Il 23 marzo la Chiesa luterana celebra la memoria di Wolfgang di Anhalt-Köthen (Köthen, 1º agosto 1492 – Zerbst, 23 marzo 1566), nobile tedesco. Il Principe Wolfgang di Anhalt-Köthen, apparteneva alla dinastia degli Ascanidi ed era figlio di Valdemaro VI di Anhalt-Köthen e di Margherita di Schwarzburg. Regnò dal 1508 al 1562.
Nel 1521, durante la Dieta di Worms, conobbe Martin Lutero del quale ebbe a dire più tardi: «Egli mi ha conquistato il cuore». È stato il secondo sovrano al mondo a introdurre la Riforma nel suo paese. Con l'aiuto di Lutero egli introdusse la riforma protestante già nel 1525 nell'Anhalt-Köthen e nel 1526 nell'Anhalt-Bernburg.

Risultato immagini per Wolfgang di Anhalt-Köthen
Wolfang di Arnhalt-Köthen (1492-1566)

Nel 1529 Wolfgang fu uno dei portavoce della protesta nella dieta di Spira di quell'anno. Nel 1530 sottoscrisse nella dieta di Augusta la confessione augustana, prima esposizione generale dei principi del luteranesimo. Nel 1534 intraprese nell'Anhalt-Köthen le prime visite pastorali, espropriò le proprietà ecclesiastiche e le regalò alle comunità locali.
nel 1547 fu messo al bando e privato delle sue terre da parte dell'imperatore Carlo V. Dopo la pace di Passau nel 1552 comprò indietro il suo principato, ma non avendo figli cedette  cedette le sue proprietà ai suoi cugini.
Morì il 23 marzo 1566, ancora scapolo. Gli succedette Gioacchino Ernesto di Anhalt.

venerdì 20 marzo 2020

Alberto I di Hoenzollern e la conversione della Prussia al luteranesimo

La Chiesa Luterana celebra oggi la memoria di Alberto I di Prussia, o Alberto di Hohenzollern, in tedesco Albrecht von Hohenzollern (Ansbach, 16 maggio 1490 – Tapiau, 20 marzo 1568). Alberto è stato il trentasettesimo Gran Maestro dell'Ordine Teutonico e, dopo essersi convertito al luteranesimo, il primo Duca di Prussia, che fu il primo stato ad adottare il luteranesimo come religione di stato.

Alberto I di Prussia (1490-1568)

Partecipò alla Dieta di Norimberga del 1522 dove conobbe il riformatore Andreas Osiander, per influenza del quale Alberto si convertì al protestantesimo.
Fu attivo nella politica imperiale, entrò a far parte della Lega di Torgau nel 1526 e agì all'unisono con i protestanti nel complotto di rovesciare l'imperatore Carlo V. Alberto fondò scuole in ogni città e fondò l'Università di Königsberg nel 1544.
Sebbene Alberto abbia ricevuto relativamente pochi riconoscimenti nella storia tedesca, la sua dissoluzione dello Stato Teutonico causò la fondazione del Ducato di Prussia, che alla fine sarebbe diventato probabilmente il più potente stato tedesco e strumentale nell'unire tutta la Germania. Alberto è quindi spesso visto come il padre della nazione prussiana, e anche come indirettamente responsabile dell'unificazione della Germania.

Serapione di Thmuis: "Voi santificate il deserto"

Il 20 marzo l'antico Sinassario Alessandrino riporta la memoria di Serapione, asceta nel deserto egiziano e poi vescovo di Thmuis.
Serapione fu una figura di primissimo piano nella chiesa copta del IV secolo. Monaco nel deserto interiore, confidente di Antonio che gli lasciò in eredità, in maniera molto simbolica, una delle sue tuniche di pelle, Serapione accettò la nomina episcopale per contribuire a difendere la fede della chiesa, seriamente minacciata dagli ariani, ma soprattutto dai manichei. Per contrastare questi ultimi Serapione scrisse un trattato sulla dignità e l'importanza dell'Antico Testamento per la fede cristiana, che denota al tempo stesso una notevole finezza d'ingegno e una assidua frequentazione delle Scritture.
Serapione fu un polemista dai toni pacati, ebbe una sincera amicizia con Atanasio, che difese a più riprese dai detrattori, e contribuì in modo notevole alla pacificazione tra le fazioni che dividevano in modo profondo la chiesa nel IV secolo.
Egli morì in esilio sotto l'imperatore Costanzo, e per questo motivo Girolamo lo ricorda con il titolo di confessore della fede.

Tracce di lettura

È Gesù Cristo all'origine della vostra decisione, buona e lodevole, di farvi monaci, e sarà lui stesso a portarla a compimento. Egli vi dona, o monaci, una pazienza e una fede mirabili, egli si fa cammino percorribile per tutti coloro che desiderano essere salvati. Affrettandovi a percorrere questa via sin da principio, voi avete come compagno di viaggio il nostro Signore e Salvatore, come Dio disse a Israele: «Non ti lascerò e non ti abbandonerò».
Assieme a voi e grazie a voi, o monaci, è beato anche il mondo: voi santificate il deserto, e le vostre preghiere salvano l'intera umanità. (Serapione di Thmuis, Lettera ai monaci )

- Dal Martirologio ecumenico della Comunità monastica di Bose

giovedì 19 marzo 2020

Sibillina Biscossi. Reclusa e maestra d'anime

La Beata Sibillina Biscossi, nata a Pavia nel 1287 e morta nel 1367, era orfana di padre e di madre. Appena ebbe la forza di sfaccendare, venne messa a servizio. Ma a 12 anni divenne cieca. Fu allora raccolta dalle Terziarie domenicane di Pavia. Nei primi anni la bambina infelice pregò a lungo, con la speranza che san Domenico le concedesse il miracolo della vista. Poi capì che la sua cecità poteva essere luce e orientamento per gli altri. Accettò la privazione e si fece reclusa in una celletta attigua alla chiesa di San Tommaso, dove restò dai 15 agli 80 anni, nella più severa penitenza, vestita d'estate e d'inverno col medesimo saio, mangiando scarsamente e dormendo sopra una tavola di legno, senza né pagliericcio né copertura. Visitata da prelati e da potenti, da devoti e da dubbiosi, ella fu la Sibilla cristiana, che rispondeva a tutte le richieste di consiglio e di conforto. Era l'occhio luminoso di tutta la città di Pavia, che riconosceva nella cieca veggente una maestra di spirito. Si spense il 19 marzo, come lei stessa avrebbe previsto, e i suoi funerali furono solenni. Fu tumulata nella stessa chiesa di san Tommaso.

Risultato immagini per sibillina biscossi
Sibillina Biscossi (1287-1367)

Michael Weisse, riformatore e innologo boemo

Michael Weissen (ca 1488-1534) è stato un teologo tedesco, riformatore protestante e innologo. Prima francescano, si unì ai Fratelli boemi. Ha pubblicato il più ampio innario protestante del XVI secolo, scrivendone la maggior parte dei testi e delle musiche. Uno dei suoi inni è stato utilizzato nella passione di San Giovanni da Johann Sebastian Bach.

Risultato immagini per Michael Weiße (+ 1534)
Michael Weissen (1488-1534)
Weissen nacque a Neisse (ora Nysa), in Polonia) e vi frequentò la Scuola pastorale. Dal 1504 studiò all'Università di Cracovia e divenne frate francescano a Breslavia nel 1510. Lui e i colleghi Johannes Zeising e Johann Mönch si convertirono all'insegnamento di Martin Lutero e furono espulsi da Breslavia intorno al 1517. Nel 1518 furono ammessi tra i Fratelli Boemi.
Weissen fu eletto come Prediger (predicatore) e Vorsteher (leader) della comunità tedesca dei Fratelli a Landskron nel 1522. Lo stesso anno fu inviato come parte di una delegazione a Wittenberg, per confrontare il credo dei Fratelli con quello di Martin Lutero. Dal 1525, Weissen, Zeising e Mönch favorirono e promossero l'insegnamento di Ulrich Zwingli, il che causò conflitti con il vescovo di Praga. Mentre Weissen e Mönch si sottomisero al vescovo, Zeising si unì agli anabattisti e fu condannato e arso a Brno nel 1528 per decreto dell'Imperatore Ferdinando I.
Nel 1531, Weissen fu ordinato presbitero dell'Unità dei Fratelli in un sinodo a Brandeis e gli furono affidate le congregazioni tedesche di Landskron e Fulnek. 
Weissen pubblicò nel 1531 il primo innario dei Fratelli boemi in lingua tedesca, Ein New Gesengbuchlein (Un nuovo piccolo innario). Questi conteneva 157 inni, di cui 137 da lui scritti o adattati su melodie prevalentemente boeme della tradizione dei Fratelli. L'innario di Weissen influenzò altre raccolte e fu il primo strutturato per argomenti: otto sezioni per i periodi dell'anno liturgico, una sezione catechetica ("Leergeseng"), una per i diversi momenti del giorno, una per i bambini, per la penitenza, i funerali ("Zum begrebnis d Todte"), la meditazione del giudizio ultimo, la memoria dei santi.
Michael Weissen morì a Landskron nel 1534.

Giuseppe, padre di Gesù secondo la Legge e uomo del silenzio

Giuseppe era discendente di David, e il vangelo di Matteo lo definisce sobriamente: «Lo sposo di Maria, dalla quale è nato Gesù, chiamato il Cristo» (Mt 1,16) e «uomo giusto» (Mt 1,19). Egli ebbe il compito di legare Gesù alla discendenza davidica, di riassumere le figure dei patriarchi, che spesso avevano ricevuto in sogno la rivelazione di Dio, e di far ripercorrere al piccolo Gesù il cammino dell'esodo, inserendolo pienamente nella storia di Israele per renderlo erede delle promesse. Uomo del silenzio, Giuseppe apprese nella sua quiete orante, giorno dopo giorno, la volontà del Signore. Dopo il ritorno dall'Egitto, nulla ci è detto a suo riguardo. Un'antica leggenda vuole che egli abbia terminato i suoi giorni in una grande pace, indicando nel figlio Gesù, riconosciuto come Messia, il motivo della sua serenità di fronte alla fine della vita terrena. Per questo motivo, nella tradizione occidentale si cominciò presto a invocarne l'intercessione per ricevere il dono di una buona morte.
Le chiese bizantine ricordano Giuseppe assieme a David e a Giacomo fratello del Signore nei giorni che seguono il Natale. Nella chiesa copta la sua memoria era celebrata già nel V secolo. In occidente, invece, una vera e propria festa di Giuseppe si sviluppò soltanto in epoca moderna e divenne festa di precetto nel 1621.
In epoca recente, malgrado il suo inserimento nel Canone romano per volere di papa Giovanni XXIII, la festa di Giuseppe è stata privata della solennità che da poco aveva acquisito, quasi a segnare la discrezione e il silenzio che accompagnano sin dai primi secoli la memoria di colui che fu il padre di Gesù secondo la Legge.

Tracce di lettura

Giuseppe dalle labbra chiuse è l'uomo dell'interiore; fa parte di quella coorte di silenziosi per i quali parlare è perdere tempo, è soprattutto tradire l'Intraducibile, l'Ineffabile. Giuseppe dalle labbra chiuse è l'uomo che comincia là dove Giobbe finisce, che nasce con la mano sulla bocca. Ha un senso enorme di Dio, della dismisura del suo Essere e della sua pazzia d'amore.
Dopo il ritorno dall'Egitto, Giuseppe scompare. Credetemi, questa morte, questo transitus del beato Giuseppe non ha nulla di triste. Il suo silenzio è lo stesso di Dio. È riempito dalla forza dell'Amore.
(L.-A. Lassus, Pregare è una festa)

- Dal Martirologio ecumenico della Comunità monastica di Bose

mercoledì 18 marzo 2020

Pregare le Scritture. MEDITATIO

La meditazione è un'operazione dell'intelligenza che si concentra con l'aiuto della ragione nell'investigare le verità nascoste

La Parola di Dio diventa Parola di vita: è stata annunciata per venire a vivere nel cuore del credente. Leggere non rimane un accumulare nozioni. La scienza può non toccare la vita. Si potrebbe conoscere la Bibbia come il Corano o qualsiasi altro trattato scientifico. La Parola, invece, mira a sconvolgere la vita per ricostruirla secondo Dio.
La Lectio è un'esposizione universale. La Meditazio è un'attività squisitamente personale: riprende il messaggio della Lectio e comincia a personalizzarlo.

La MEMORIA ha qui una buona funzione. I Padri hanno parlato di "ruminatio". S. Bernardo ha introdotto questa parola per indicare il riprendere le Scritture per assicurarne l'apprendimento e la memorizzazione. Si tratta di un obbedienza al precetto del Deuteronomio: "State però bene attenti! Fate tutto per non dimenticare i fatti che avete visto con i vostri occhi: finché vivete non svaniscano dai vostri cuori" (Dt 8,4.9). "Le parole di questo comandamento, che oggi ti do, restino nel tuo cuore" (Dt 6,6).

Ricordare non significa rimanere ancorati al passato, bensì vivere sempre, vivere ora, quella Parola.

Il vero significato della Meditatio consiste nell'applicare a sé la Parola. Ne esce spontaneamente un esame della vita: quanto era presente questa parola prima d' ora? Se è "luce ai miei passi" (Sal 119,105)  che cosa chiede di cambiare? Che novità introduce?

Proprio come avviene nella prima evangelizzazione: il pagano ascolta la Parola, vede la differenza dal prima all'adesso, accoglie le esigenze della nuova vita.

La Meditatio dice: qui, ora (hic et nunc); "questi fatti sono stati scritti per noi" (1 Cor 10,11). Allora "Ascoltiamo ciò che il Signore ci dice" (Sal 85,9). La LECTIO aveva risposto alla domanda: "che cosa dice il testo?"; la MEDITATIO risponde alla domanda: "che cosa dice il testo a me e alla comunità?". La Parola entra nella situazione del nostro tempo, nelle circostanze della mia vita, con le sue realtà di gioia e di conflitto.

Occorre anche una buona dose di sincerità: "Ora non percepiamo più il testo come qualcosa che abbiamo solo ascoltato, ma come qualcosa che abbiamo sperimentato e toccato con le nostre stesse mani" (S. Giovanni Cassiano, Collationes 10,11).
Diventa anche chiaro quello che Dio chiede ad ognuno e alla comunità.



Cirillo di Gerusalemme. La Scrittura come fonte della catechesi

Il 18 marzo del 386 o del 387 muore a Gerusalemme Cirillo, pastore della chiesa gerosolimitana. Cirillo era nato attorno al 315 nei pressi della Città Santa, e nessuna informazione attendibile ci è giunta riguardo alla sua giovinezza. 
Quel che è certo è che egli fu ordinato presbitero all'età di trent'anni, e che dopo poco più di tre anni, e con un'elezione molto contestata, gli fu affidato il seggio episcopale di Gerusalemme. I dubbi e le maldicenze sulla sua persona lo accompagneranno per tutta la vita, soprattutto per il fatto che i suoi due vescovi consacranti erano filoariani. Ma Cirillo, a dispetto delle umiliazioni patite, maturò, grazie all'ascolto costante delle Scritture, un sensus fidei che lo porterà ad essere uno dei grandi difensori della fede apostolica. Condannato per tre volte all'esilio da imperatori o sinodi arianeggianti, Cirillo fu animato da un sincero spirito di carità e di attenzione per i poveri. Ma soprattutto coltivò un appassionato interesse per l'educazione religiosa dei fedeli. Le sue Catechesi, di schietta ispirazione biblica - sebbene non tutte di certa attribuzione - ne fanno uno dei più grandi annunciatori del vangelo dell'antichità. Non si può infine nascondere un'ombra, che non muta la grandezza dell'esempio che Cirillo ci ha lasciato in molti altri settori. Come altri padri della chiesa, egli non ebbe una piena comprensione del mistero di Israele, e si oppose con toni talmente veementi alla ricostruzione del Tempio di Gerusalemme, da contribuire in modo significativo a quell'antigiudaismo che soltanto sedici secoli dopo la chiesa comincerà a ricusare.

Tracce di lettura

La chiesa è detta cattolica perché abbraccia tutti i luoghi dell'universo, da un'estremità all'altra della terra; perché insegna la totalità dello scibile riguardo alle verità necessarie, senza omissione, sulle cose visibili e invisibili, celesti e terrestri; perché ha come referente religioso l'universo degli uomini, capi e sudditi, dotti e indotti, che è chiamata a raggiungere per condurre tutto il genere umano al culto in verità. Essa rende inoltre disponibile un rimedio universale e una cura per ogni sorta di peccato, dell'anima e del corpo, e possiede in sé ogni genere di forza, sia che la si possa esprimere a parole o mediante grazie di ogni sorta. (Cirillo di Gerusalemme, Catechesi 18,23)

- Dal Martirologio ecumenico della Comunità monastica di Bose

martedì 17 marzo 2020

Patrizio, evangelizzatore dell'Irlanda

La chiesa cattolica d'occidente, la chiesa anglicana, la chiesa luterana e la chiesa veterocattolica ricordano oggi Patrizio, evangelizzatore e primo vescovo dell'Irlanda.
Nato nella Cornovaglia britannica attorno al 390, non ancora sedicenne Patrizio era stato catturato da pirati irlandesi che lo avevano rivenduto come schiavo in Irlanda. Nei sei anni di cattività, in cui Patrizio fece il pastore, la sua solitudine fu colmata dalla presenza sempre più consolante del Signore nel suo cuore. Fuggito dall'Irlanda, Patrizio si preparò all'ordinazione presbiterale, e forse soggiornò per un certo tempo in qualche monastero della Gallia. 

San Patrizio (ca 390-461)

Non si sa con certezza se abbia mai emesso i voti monastici, anche se è chiaro il grande amore che aveva per i monaci e per la loro intimità con il Signore. Patrizio si nutrì con assiduità della Scrittura, nella quale infine troverà la sua vocazione di annunciatore del vangelo sino agli estremi confini della terra. Nel 432 Patrizio venne inviato come vescovo in Irlanda. Da quel momento, per trent'anni egli percorse in lungo e in largo l'isola diffondendo il vangelo, costituendo comunità e dando un'organizzazione agli sparuti gruppi di cristiani che già esistevano in quella terra. Spesso disprezzato dagli ibernici perché straniero, contrastato in seno alla chiesa per la sua cultura approssimativa, Patrizio riuscì tuttavia, grazie alla sua grande umanità e alla sua passione per il vangelo, a portare a termine con gioia la missione ricevuta, come testimonia la sua Confessione, documento autobiografico nel quale egli narra con toni altamente evangelici la propria esperienza missionaria. Egli morì, forse nel 461, non si sa bene dove. Sulla sua vita fiorì un'enorme messe di leggende, che lo resero uno dei santi più amati di tutto il medioevo.

Tracce di lettura

Non devo nascondere il dono che Dio mi elargì nella terra della mia prigionia, perché allora tenacemente lo cercai e là lo trovai e mi salvò da tutte le mie colpe in virtù dell'inabitazione del suo Spirito, che ha operato fino ad oggi in me. Perciò rendo incessantemente grazie al mio Dio, che mi ha conservato fedele nel giorno della prova, così che oggi con fiducia posso osare offrirgli in sacrificio come offerta viva la mia vita per Cristo Signore, che mi ha salvato da tutte le mie angosce, e così posso dire: «Chi sono io, Signore, quale vocazione è la mia, se tu hai operato al mio fianco con tutta la forza della tua divinità: ecco, siamo testimoni, il vangelo è stato predicato fino agli estremi confini della terra».
(Patrizio, Confessione 33-34)

- Dal Martirologio ecumenico della Comunità monastica di Bose

Preghiera

Cristo con me, Cristo davanti a me, Cristo dietro di me.
Cristo alla mia destra, Cristo alla mia sinistra,
Cristo quando mi corico, Cristo quando mi siedo,
Cristo quando mi alzo,
Cristo in ogni cuore che mi pensa,
Cristo in ogni bocca che mi parla,
Cristo in ogni occhio che mi guarda,
Cristo in ogni orecchio che mi ascolta.

(Lorica attribuita a San Patrizio)

lunedì 16 marzo 2020

Il Cuore di Cristo non ti lascerà mai

Poiché tutto proviene dal cuore dolcissimo di Gesù, tu devi riferire a questo medesimo Cuore tutti i doni, le grazie, i benefici che sono stati accordati a te come a tutti gli uomini; devi farlo per la maggior gloria di Dio e il vantaggio della Chiesa, senza attribuirti assolutamente nulla di quanto avrai fatto di buono, senza compiacerti dei doni di Dio, in modo egoistico, ma rendendogli subito tutto ciò che ti dona e facendo tutto risalire alla sua origine, che è il Cuore di Gesù: e devi farlo soprattutto recitando il Gloria Patri e recitando i salmi e gli inni che si riferiscono alla gloria di Dio.
È ancora nel Cuore di Gesù che deporrai i tuoi peccati; mediante lui domanderai perdono e grazia, loderai e benedirai Dio, non solamente a nome tuo, ma per tutti coloro che ti sono stati affidati, per tutta la Chiesa cattolica, invocando dal fondo dell'abisso della tua miseria l'abisso delle misericordie di Dio.
(...) ti abbandonerai pienamente a lui, nel dolore come nella gioia; gli darai fiducia, ti aggrapperai a lui; abiterai nel suo cuore, mettendo ogni tua cura nel conservare l'unità dello spirito nel vincolo della pace, così che lui, a sua volta, si degni di fissare la sua dimora nel tuo cuore e, infine, ti riposerai e dormirai nel cuore di Gesù, perché i cuori di tutti i mortali ti inganneranno e ti abbandoneranno, ma il cuore fedelissimo di Gesù non ti ingannerà, non ti lascerà mai.

        Domenico di Prussia (+ 1460), certosino

Risultato immagini per certosini cuore di gesu

Domenico Helion nacque nel 1382 nella Prussia orientale da una modesta famiglia; dopo aver frequentato per qualche tempo l'Università di Cracovia ed aver trascorso una giovinezza errabonda e dissoluta, entrò nel 1407, a 25 anni, nella certosa di S. Alberto di Trier in Germania. Dal 1415 al 1421 fu vicario della nuova fondazione di Marienfloss a Sierk, in Lorena. Per due volte maestro dei novizi nella certosa di S. Michele a Magonza, finché nel 1440 tornò a Trier, dove fu vicario per cinque anni.
Ebbe molto da soffrire in tutta la sua esistenza, sia per gravi malattie da cui non guarì mai completamente, sia per acute prove interiori. Per la santità della sua vita e per i doni mistici di cui fu favorito era assai stimato, soprattutto dall'arcivescovo di Trier, Ottone di Ziegenhayn. Dopo una lunga malattia, pazientemente sopportata, morì a Trier il 21 dicembre 1460 all'età di 78 anni.
La spiritualità di Domenico è totalmente incentrata sull'umanità di Cristo e i suoi misteri, particolarmente quelli dell'infanzia e della Passione. Il vivo sentimento della sua impotenza e povertà spirituale che lo segnò fin dall'inizio della sua conversione, lo fece crescere nella fiducia verso Cristo, tanto da essere fra i pochi mistici medievali che attribuirono a Gesù il titolo di "Madre". Questa fiducia, che fu duramente messa alla prova da una tentazione di disperazione che durò 10 anni (1414-1424), lo portò a esplorare il mistero del Cuore di Cristo.
Il "puro amore" in cui si muove tutta la sua spiritualità rimane sempre segnato dal realismo e dalla discrezione, non ammettendo mai una indifferenza reale, nemmeno ipotetica, riguardo alla propria salvezza eterna. Un notevole posto occupa la Vergine nel pensiero spirituale di Domenico, da lui molto amata nell'infanzia e a cui egli attribuì la conversione.

domenica 15 marzo 2020

Beati coloro che ascoltano la parola di Dio e la osservano

COMMENTO ALLA LITURGIA DELLA TERZA DOMENICA DI QUARESIMA

Colletta

Ti supplichiamo, Signore Onnipotente, di guardare al desiderio dei tuoi umili servi, e di stendere la tua destra, per difenderci da ogni nemico. Per Gesù Cristo, nostro Signore. Amen

Letture

Ef 5,1-14; Lc 11,14-28

Commento

Il mutismo costituiva nell’antichità giudaica una condizione particolarmente infelice, perché colui che ne era affetto non poteva né innalzare a Dio le sue lodi, né invocarlo per chiedere aiuto. Il protagonista di questa pagina del Vangelo di Luca diviene l’immagine di una separazione radicale da Dio e di uno stato di profonda solitudine. 

A volte la sofferenza è capace di prostrare l’uomo a tal punto da rendergli impossibile persino il conforto della preghiera. Gesù dimostra di essere capace di venirci incontro e di vincere anche questo genere di demoni. 

Vi è una battaglia in corso, tra il Regno di Dio da una parte e Satana e i suoi angeli dall’altra. Non è consentito assumere posizioni di neutralità. Non schierarsi con Cristo significa soccombere al demonio. Gesù è l’uomo forte (Lc 11,22), capace di disarmare il nemico e scacciare i demoni con il dito di Dio. 

Le sue azioni suscitano meraviglia e una voce si leva dalla folla. Di fronte alla donna che benedice il grembo che lo ha portato e i seni che lo hanno nutrito, Gesù relativizza i legami famigliari, anteponendo l'obbedienza a Dio alla parentela di sangue: "Beati coloro che ascoltano la parola di Dio e la mettono in pratica" (Lc 11,28); parole che suonano simili a quelle riportate da un altro passo del vangelo di Luca: "Mia madre e i miei fratelli sono quelli che odono la parola di Dio e la mettono in pratica” (Lc 8,21). 

La famiglia è una realtà voluta da Dio fin dall’origine della creazione; ma Gesù ci insegna che se la nostra carità non sarà capace di superare le stesse relazioni familiari non sarà all’altezza del suo vangelo. La parola di Dio è il modello da seguire; ma non è lettera morta; è il Figlio del Dio vivente (Mt 16,16). 

Se Gesù non fosse il Figlio di Dio potremmo trovare in lui semplicemente un predicatore, un guaritore o un rivoluzionario politico. Ma egli può essere un vero modello di vita perché è il Verbo incarnato, la manifestazione visibile e tangibile di Dio. La sua umanità è il velo attraverso il quale l’Assoluto, per definizione separato da tutto, ci si rende prossimo e conoscibile; è la mappa per il nostro itinerario di santificazione. Il Dio altissimo, di fronte al quale Mosè ed Elia dovettero coprirsi il volto, si rivela all’umanità in Cristo e Paolo ci esorta a farci suoi imitatori. 

Al di là degli elenchi di vizi e di virtù riportati dall'Apostolo, non molto diversi da quelli che possiamo trovare nella letteratura greca ed ebraica della stessa epoca, la vera novità del messaggio cristiano consiste in questa prossimità di Dio all’uomo. Nel cristianesimo la riflessione su Dio e l’esperienza di Dio non sono incentrate semplicemente su un libro, ma sul Risorto, che cammina con noi fino alla fine dei tempi (Mt 28,20).

- Rev. Dr. Luca Vona

venerdì 13 marzo 2020

Il costato di Cristo, fonte dei sacramenti e della Chiesa

Da questo medesimo fatto della Passione, noi impariamo, inoltre, secondo gli insegnamenti di S. Giovanni Crisostomo,che dobbiamo ricevere i sacramenti della Chiesa con fervore e devozione, come se scaturissero ancora per noi dal sacratissimo Cuore di Gesù. La ferita del suo Cuore è infatti come la sorgente dei sacramenti, perché come Eva fu formata da una costola del primo Adamo immerso in un profondo sonno nel paradiso terrestre, così pure la Chiesa, nostra madre, ricevette la vita per mezzo del sangue e dell'acqua che stillarono dal sacro fianco del secondo Adamo, assopito in croce nel sonno della morte.

        Ludlfo di Sassonia (+ 1377), certosino


Ludolfo di Sassonia, monaco certosino, nacque tra la fine del XIII e l’inizio del XIV secolo. Entrò giovanissimo nell’Ordine dei domenicani, dove rimase ventisei anni e compì gli studi di teologia, divenendo “magister theologiae”. Nel 1340 la sua indole fortemente contemplativa ed eremitica lo spinse nell’Ordine certosino, dove entrò come novizio nella Certosa di Monte Santa Maria di Strasburgo; qui fece la sua professione. Nel 1343 fu priore della Certosa di San Beato di Coblenza, richiesto fortemente dai monaci di quella comunità, ma dopo cinque anni chiese di essere ridotto monaco semplice per dedicarsi alla preghiera e alla contemplazione nella sua cella. Ottenuto il permesso dal Capitolo Generale del suo Ordine si ritirò nella Certosa di San Michele di Magonza, ma dopo alcuni anni fece ritorno a Strasburgo nella casa della sua professione, dove morì il 10 aprile 1377 in fama di santità.


Evangelici e Ortodossi. Cosa possono imparare gli uni dagli altri?

Una conferenza del Metropolita Kallistos Ware tenuta alla North Park University di Chicago nel 2011


Lasciatemi iniziare questa serata con le parole che non sono né di un Cristiano Ortodosso né di un Cristiano Evangelico, ma di un Cattolico Romano, il Cardinale Suenes. Egli ha detto "Per raggiungere l'unità dobbiamo prima amarci gli uni gli altri. Per amarci gli uni gli altri dobbiamo prima conoscerci gli uni gli altri. Questo riassume in un guscio di noce lo scopo del nostro dialogo Ortodosso-Evangelico. Come in ogni dialogo inter-cristiano e, quindi, inter-fede, noi cerchiamo di conoscerci meglio, al fine di amarci l'un l'altro pienamente ed essere capaci, per la grazia e la misericordia di Dio, di adempiere alla richiesta fatta da nostro Signore Gesù Cristo ai suoi discepoli "affinché siano tutti uno, come tu, o Padre, sei in me e io in te; siano anch'essi uno in noi, affinché il mondo creda che tu mi hai mandato" (Gv 17,21).
Oggigiorno, sentiamo spesso utilizzare la parola "dialogo", utilizzata nel titolo del mio intervento questa sera. Alcune persone sono a favore del dialogo e altre sono contro. Per quanto mi riguarda, sono fortemente a favore. Sono a favore di un dialogo sincero, un dialogo di amore ma anche un dialogo di verità, senza omissioni e senza compromessi. Lasciatemi dire perché sono a favore del dialogo.
Mezzo secolo fa è stato scritto un libro molto istruttivo sulla comprensione della persona umana. Un libro che vale ancora la pena leggere ma troppo trascurato. È di un filosofo scozzese, John MacMurray, intitolato Persons in Relation ("Persone in relazione). La sua tesi è che la personalità è relazionale. Come persone, noi siamo quel che siamo, solo in relazione ad altre persone. Nessuno, isolato, separato dagli altri, chiuso in se stesso, è una vera persona secondo l'immagine e somiglianza con Dio, la Santa Trinità. Non che John Mac Murray menzioni la Trinità. Ma avrebbe fortemente rafforzato la sua argomentazione.
I primi cristiani usavano dire unos christianus, nolos christianus, un solo cristiano, isolato e separato da tutti gli altri, non è un cristiano. Possiamo estendere questa affermazione, dicendo "una persona, nessuna persona", una persona isolata e separata da tutte le altre, non è una vera persona. Come afferma MacMurray "il sé esiste solo in una relazione dinamica con l'altro da sé. Il sé si costituisce in relazione con l'altro. Il proprio essere è nella relazione. Non c'è una era persona se non ci sono due persone che comunicano l'un l'altra. Essere umani signifa essere dialogici. Essere coinvolti in un dialogo. Così MacMurray conclude "Ho bisogno di voi per essere me stesso". Tutto ciò è stato sviluppato, in ambito Ortodosso, dal teologo greco John Zizioulas, Metropolita di Pergamo. La considerazione della persona umana come essere relazionale è già presente nella parola greca utilizzata per indicare la "persona". La parola "persona" in greco è "propospon", che significa "faccia" o "espressione del viso". Non sono una persona finché non guardo qualcuno negli occhi e lui guarda me.
Possiamo applicare questo concetto non solo agli individui ma anche alle comunità ecclesiali. Nessun gruppo ecclesiale può pienamente adempiere la propria vocazione in Cristo. Ogni comunità cristiana dovrebbe dire all'altra "abbiamo bisogno di voi per essere noi stessi". Questo può certamente essere applicato al dialogo tra Evangelici e Ortodossi.
A prima vista, gli Evangelici e gli ortodossi appaiono molto differenti, se non opposti. ma in realtà abbiamo in comune molto più di quanto si potrebbe pensare a prima vista. Condividiamo la stessa fede in Dio, nella Santissima Trinità; una comune fede in Gesù Cristo, vero Dio e vero uomo. Condividiamo la vera fede nella sua nascita verginale, nei suoi miracoli, nella sua morte sacrificale sulla croce per la nostra salvezza; la sua resurrezione corporale; la sua seconda venuta. Condividiamo una fede comune nelle Sacre Scritture, che consideriamo ispirate da Dio e veritiere; ma questo non implica alcun atteggiamento fondamentalista. Condividiamo una fede comune nel divino ordinamento del matrimonio e della famiglia; la convinzione comune che la sessualità è un dono di Dio, ma un dono che va impiegato nell'impegno vitalizio del matrimonio. Abbiamo un approccio comune a temi come l'omosessualità, la bioetica e l'eutanasia. Certo, ci sono divergenze significative tra di noi. Ma non sono così grandi come potremmo supporre. L'attuale vescovo Anglicano di Londra, Richard Chartres, ha affermato "Ci sono due tipi di cristiani. Da una parte, coloro che credono che il cristianesimo sia una religione rivelata, dall'altra parte coloro che ritengono che tu possa reinventarlo nel corso del tempo". Bene, riguardo questa divisione, gli evangelici e gli ortodossi stanno fermamente dalla prima parte.
Naturalmente, come ortodosso, sono consapevole che esistono diverse varianti all'interno dell'evangelicalismo - la più evidente, quella tra calvinisti e arminiani. io sono fermamente arminiano. C'è anche una differenza tra carismatici e non carismatici. Io mi pongo tra i carismatici. L'Ortodossia è certamente più uniforme nella dottrina e nel culto, rispetto agli evangelici. Ci sono differenze anche nel nostro approccio ai non-ortodossi, all'unità cristiana e al Movimento ecumenico. Notate che non ho scelto come titolo del mio intervento "Cosa possono imparare gli evangelici dagli Ortodossi?" ma "Cosa possiamo imparare gli uni dagli altri?". Il dialogo, quando è veritiero, è sempre reciproco, mai unilaterale.
Questa sera, lasciate che io esplori tre aree. La lista non vuole essere in alcun modo esaustiva. Diamo un'occhiata alla Chiesa e all'Eucaristia. Secondariamente, alla Scrittura e alla Tradizione. Infine, l'opera di Cristo. Cercherò di seguire il consiglio che mi ha dato il vescovo che mi ha ordinato prete. Al termine della liturgia gli ho chiesto di guidarmi nel mio ministero futuro. Egli mi disse (non fu in realtà la prima persona a dire questo): "Devi avere sempre tre punti nei tuoi sermoni; non di meno e non di più. In realtà, penso che spesso sia sufficiente avere un unto solo nel proprio sermone, anche se alcuni sermoni non sembrano averne affatto!
Cominciamo con Cristo e l'eucaristia, il primo dei tre temi della mia lista. Cosa si intende con la Chiesa? Qual'è l'unico scopo della Chiesa? Cos'è che essa sola realizza e nessun altro può fare? Potremmo rispondere: " La Chiesa è qui per proclamare la salvezza in Gesù Cristo". Questo è vero, ma è incompleto. Non siamo qui semplicemente per proclamare. Gesù, durante l'ultima cena, non ha detto ai suoi discepoli: "Dite questo". Egli ha detto "Fate questo". Egli stava parlando dell'azione della Santa Comunione. Quindi la Chiesa si fonda non semplicemente su delle parole ma su una azione. L'azione dell'Eucaristia, cui il Battesimo è indissolubilmente collegato. È attraverso questi due sacramenti primari della Chiesa - Il Battesimo e l'Eucaristia - che la salvezza è resa per noi possibile, mentre da parte nostra è richiesta la risposta della fede. Quindi la Chiesa è un organismo eucaristico. L?unità non è imposta dall'alto, mediante il potere giurisdizionale. L?unità nella Chiesa è creata dal suo interno suo interno, mediante la condivisione del Sacramento del Corpo e del Sangue di Cristo. Per questo, pensando al contatto tra Ortodossi e Evangelici, penso che sia bene partire dall'Eucaristia.
L'attitudine degli Ortodossi verso l'Eucaristia e la Divina Liturgia è ben sintetizzata in un sermone predicato nell'864 da San Fozio, Patriarca di Costantinopoli. Egli descrive l'impressione suscitata su di lui da una chiesa nuovamente decorata nella città. Egli comincia parlando della delizia e meraviglia provata dal fedele entrando nella corte di fronte alla chiesa. Egli si sente come radicato nel terreno. La facciata della chiesa è un nuovo miracolo e una già da vedere, ma quando "con difficoltà" - afferma Fozio - si riesce a distaccarsi per andare a vedere l'interno stesso della chiesa "di quale gioia, trepidazione e sorpresa si è attraversati. Era come se si fosse entrati nel Paradiso stesso". Ora, c'è un certo numero di cose che possiamo notare in questo sermone. IL primo è l'accento sull'esperienza visiva. La tradizione evangelica si affida primariamente alla Parola annunciata e ascoltata. Naturalmente, questo è importante anche per noi Ortodossi. ma noi chiediamo che la grazia sia trasmessa no solo attraverso l'ascolto ma anche attraverso gli occhi. Nelle parole di Fozio, notiamo l'importanza della bellezza nel culto. Questo è un tema che sta particolarmente a cuore agli Ortodossi.
È famosa l'affermazione dello scrittore russo Dostoyevsky: "La bellezza salverà il mondo".
Anche nella narrazione di Fozio notiamo l'importanza dell'esperienza fisica e materiale. Le icone sono molto importanti nel culto ortodosso. Le reliquie hanno un posto speciale. E dietro questa attenzione per ciò che è fisico e materiale vi è una solida dottrina della creazione, come affermato nel primo capitolo della Genesi: "Allora DIO vide tutto ciò che aveva fatto, ed ecco, era molto buono". (Gn 1,31). Questa dottrina della creazione è ancora molto importante ai nostri giorni per il problema della crisi ecologica. Ma ciò che è molto importante nel sermone di Fozio sono le sue parole: "Era come se si fosse entrati nel paradiso stesso". Questa è la prima immagine che la chiesa Ortodossa ha della Chiesa in adorazione nella Divina Liturgia: il Cielo in terra, un paradiso terrestre.
Molti di voi conosceranno la storia leggendaria della conversione della Russia. Il Principe Vladimir di Kiev, ancora pagano, mandò i suoi emissari in differenti paesi del mondo, per tentare di scoprire quale fosse la vera fede. Arrivati a Costantinopoli i greci li condussero nella grande chiesa di Santa Sofia - Hagia Sophia - dove poterono assistere alla Divina Liturgia. Ritornati a casa, riferirono a Vladimir che lì avevano trovato ciò che cercavano. "Non sapevamo se ci trovassimo in Cielo o in terra. Perché certamente non c'è una bellezza simile sulla terra. Sappiamo solo questo: che Dio dimora lì tra gli esseri umani e che il loro culto sorpassa qualsiasi altro culto sulla terra. Per questo non possiamo dimenticare quella bellezza". Il Cielo in terra - qui ci avviciniamo molto al concetto di Chiesa dei cristiani ortodossi. Nelle parole di San Giovanni Crisostomo: "La chiesa è il luogo degli angeli, degli arcangeli, del Regno di Dio; il Paradiso stesso".
Il vescovo russo a Londra, morto qualche anno fa, il Metropolita Anthony Bloom, i cui scritti sulla preghiera sono ben noti, scrisse: "La Chiesa è grande. Così grande che contiene il Cielo e la terra, così grande che le persone di ogni nazione, di ogni cultura e di ogni lingua sono a casa in essa". Il Cielo sulla terra. Quando preghiamo, noi Ortodossi ci sentiamo uniti alla compagnia celeste, con i defunti così come con i viventi. Per questo, nel nostro Culto includiamo le preghiere per i defunti. Preghiamo gli uni per gli altri mentre siamo in vita. Non dovremmo pregare gli uni per gli altri quando qualcuno oltrepassa i confini della morte? E, naturalmente, includiamo l'invocazione della Beata Vergine Maria e dei Santi. Siamo consapevoli che loro pregano per noi e non temiamo di affidarci alle loro preghiere.
Vorrei condividere con voi la mia esperienza della prima volta che ho assistito a una liturgia ortodossa. Sono stato cresciuto come Anglicano. Un sabato pomeriggio, quando avevo diciassette anni, stavo girovagando per una parte di Londra che non avevo mai esplorato e vidi una chiesa in cui non ero mai entrato. Preso dalla curiosità, entrai. Era la Chiesa Russa a Londra. Fuori era un pomeriggio brillante e soleggiato. Come entrai nella chiesa tutto era scuro. Inizialmente potevo vedere a malapena. Solo notai che non c'erano panche, solo un ampio pavimento pulito - perché gli ortodossi, almeno nella tradizione dei paesi originari, pregano in piedi, sebbene ciò stia cambiando in paesi come la Grecia.
La mia prima impressione fu che la chiesa era vuota. Poi realizzai che non era completamente vuota. Accato alle pareti c'erano poche persone, per lo più anziane, e stavano davanti a delle icone illuminate da lampade. Sul lato orientale della chiesa c'era un ampio pannello con numerose icone e candele. Da qualche parte, lontano dalla vista, un coro stava cantando. Si trattava, in fatti della consueta liturgia vesperale del sabato, celebrata dai russi ortodossi. dalla parrete ricoperta di icone fuoriuscì un diacono intonando una litania. Subito ebbi una impressione contraria a quella provata inizialmente. Con ferma convinzione pensai: la chiesa non è vuota. È piena. Piena di adoratori invisibili. Questa piccola congregazione è parte di una azione più grande di sé. non c'è separazione tra la terra e il cielo. Gli angeli sono qui a pregare con noi, i santi, la Santa Madre di Dio, nostro Signore Gesù Cristo stesso - stiamo tutti partecipando a un'unica azione indivisa.
questo è ciò che noi Ortodossi desideriamo innanzitutto e al di sopra di tutto condividere con i nostri fratelli e le nostre sorelle Evangelici. Talvolta vediamo che la dottrina della Chiesa nell'evangelicalismo non è esattamente come vorremmo. Certo, la Chiesa è la compagnia di coloro che sono salvati per la fede. Ma è molto di più di questo. Talvolta percepiamo che non viene posta abbastanza enfasi sulla presenza del Cielo e della terra nei sacramenti; la presenza del Cielo sulla terra nei sacramenti. Ma dobbiamo evitare duri contrasti. Ricordo, ad esempio l'inno di Charles Wesley Let heaven and earth combine, angels and men, agree (Lasciate che cielo e terra si uniscano e angeli e uomini si accordino). Questo è il modo in cui noi Ortodossi comprendiamo la principale azione della Chiesa, la santa Eucaristia.
Ma noi Ortodossi potremmo chiederci "cosa possono offrirci gli evangelici?". La prima cosa che mi viene in mente è il sermone. Qualche settimana fa andavo in giro per Londra, esplorando le chiese, in gran parte progettate da Christopher Wran, nella città ricostruita dopo il grande incendio del 1666. Qual è la prima cosa che ti colpisce quando entri in queste chiese del diciassettesimo secolo? Un grande pulpito, posto in alto, con un grande leggio sulla sommità. In rapporto il Santo tavolo dell'Eucaristia è quasi nascosto, sulla parete a est, piccolo e poco consistente. Le chiese ortodosse spesso non hanno affatto pulpito. La nostra chiesa ortodossa a Oxford non ha pulpito. I predico dai gradini del santuario. Quando in una chiesa ortodossa c'è un pulpito, non è affatto prominente. Certamente sono predicati dei sermoni nelle chiese ortodosse, più diffusamente negli Stati Uniti che negli antichi paesi. ma il sermone non è considerato così importante dagli ortodossi. noi dovremmo dargli maggiore valore. Il clero dovrebbe essere più impegnato nel preparare le omelie.
Vorrei approfondire questo punto. I cristiani ortodossi amano la liturgia, ma spesso la loro comprensione della liturgia è decisamente incompleta. È istintiva più che articolata. Gli evangelici possono aiutarci a sviluppare una maggiore comprensione della fede, più riflessiva e, soprattutto, più personale.
Vengo al secondo tema: Scrittura e Tradizione. Noi ortodossi amiamo definirci come la Chiesa della Santa Tradizione. Un evangelico, giustamente, può rispondere: "E le Scritture?". È importante, tutavia, per noi ortodossi, ricordare aglil evangelici e anche a noi stessi (perché come ortodossi spesso lo dimentichiamo) che la chiesa ortodossa è anche la chiesa delle Sacre Scritture. Ricordo una volta in cui mi trovavo sull'isola di Patmos in Grecia, nel monastero di San Giovanni, cui appartengo. Stavo lavorando in biblioteca e arrivarono due gentiluomini (credo fossero americani) desiderosi di fotografare alcuni manoscritti. Non avevano avuto molte informazioni su di me: "c'è un monaco lì". Non pensavano nemmeno comprendessi l'inglese e continuavano ad accendere e spegnere le luci, il che mi irritava perché stavo leggendo. E continuavano a parlare ad alta voce. Uno disse all'altro "Questa gente non legge mai la Bibbia'"; "No" - rispose l'altro - "leggono solo leggende di santi". A questo punto pensai fosse giunto il momento di intervenire e dissi "Ogni tanto leggiamo la Bibbia". Divennero rossi e conclusero il loro lavoro senza dire più nulla. Spesso i visitatori dei monasteri sono sorpresi del fatto che parlo inglese. Ricordo di essere sceso in cortile una volta e di aver trovato un gruppo di studenti americani. Mi chiesero: "Parla inglese?" - "Sì, un poco", risposi. DOpo un po' mi dissero "lei parla inglese molto bene". "Faccio del mio meglio", risposti. E loro: "Come ha imparato il suo inglese?". Risposi"Ogni tanto ne raccolgo un poco".
Torniamo alle persone che stavano fotografado i manoscritti e alle quali risposi "Ogni tanto leggiamo la Bibbia". Pensai tra me e me "no hanno in qualche modo ragione? Noi ortodossi conosciamo la Bibbia come realmente dovremmo? Fa parte della nostra vita quotidiana come di quelal di un cristiano evangelico?". I santi padri della Chiesa Ortodossa sottolineano l'importanza della Scrittura. San Gregorio di Nissa scrive: "Noi consideriamo la Bibbia come fonte di ogni dogma e di ogni regola, oltre a quelle che concordano con essa. San Giovanni Crisostomo afferma che poiché nelal Bibbia è il Signore stesso che parla, se qualcuno ritornasse dai morti o un angelo discendesse dal cielo no meriterebbe una attestazione di fede maggiore di quelal riservata alle Scritture. nel diciannovesimo secolo un grande uomo della Chiesa russa, il Metropolita Filarete di Mosca, ora glorificato come santo, disse "L'unica fonte pura e autosufficiente per la dottrina della fede è rivelata dalla Parola di Dio contenuta nelle Sacre Scritture. Tutto ciò che è necessario per la salvezza è affermato nelle Sacre Scritture. Le Sacre Scritture, come vera parola di Dio in se stesse sono il giudice supremo in ogni controversia. Le decisioni dei concili devono essere sottoposte alla prova delle Scritture. La tradizione della Chiesa deve essere sottoposta alla prova delle Scritture".
In ogni chiesa ortodossa il ilbro del vangelo è posto nel mezzo dell'altare; è portato in processione; è venerato dai fedeli al Mattutino; è nuovamente portato in processione durante la Divina Liturgia. Al contempo, noi ortodossi dobbiamo farci un esame di coscienza. Stiamo mettendo in pratica quanto affermato da Gregorio di Nissa, Giovanni Crisostomo e Filarete di Mosca? Noi veneriamo il vangelo, ma le persone sanno cosa si trova oltre la copertina? Vi è una grande distanza tra la disciplina ortodossa e la pratica ortodossa. Su questo punto gli evangelici possono certamente aiutarci. Se noi ortodossi conoscessimo la Bibbia come loro la conoscono!
San Tikhon di Zadonsk, un vescovo ortodosso del diciottesimo secolo, afferma: "Se un re terreno o un imperatore ti scrivesse una lettera, non la leggeresti con gioia? Certamente con grande giubilo e con grande attenzione. Ma come ci comportiamo verso le parole che ci sono state indirizzate nientemeno che da Dio stesso? Ti è stata mandata una lettera non da un imperatore terreno ma dal Re del Cielo e tu disprezi un tale inestimabile tesoro. A prire e leggere questa lettera significa entrare in una intima conversazione, faccia a faccia con Dio. Ogni volta che leggi il vangelo è Cristo stesso che ti parla; e mentre leggi stai parlando con lui".
Gli evangelici possono aiutare noi ortodossi a mettere in pratica quanto affermato da San Tikhon. Voi potete aiutarci ad apprezzare il carattere personale delle Scritture; potete aiutarci a essere quotidianamente dei cristiani genuinamente biblici, in un modo in cui oggi noi non siamo. Gli ortodossi ascoltano il vangelo letto in chiesa, ma difettano della pratica di leggere la Bibbia a casa, individualmente o come famiglia. Lasciamoci ispirare dall'esempio degli evangelici.
Cosa dire poi dell'Ortodossia come chiesa della santa Tradizione? Nella Chiesa ortodossa, come in quella Cattolica romana, si suole parlare di due fonti della rivelazione: la Scrittura e la Tradizione. La tradizione è vista come qualcosa che si aggiunge alle Scritture e gli evangelici, non senza ragione, sono contrariati da questo. Oggigiorno, tuttavia, molti ortodossi evitano di parlare in questi termini. Sottolineamo oggi, i fatto, che vi è un'unica fonte. La tradizione non è una sencoda fonte della rivelazione, che si aggiunge alle Scritture. Rappresenta semplicemente il modo in cui, attraverso i secoli, sono state comprese, pregate, applicate e vissute le Scritture nella Chiesa. Gli evangelici non possono accettare una simile interpretazione della Tradizione? Non è in contraddizione con il principio del sola scriptura.
Ma permangono delle difficoltà. Per esempio, secondo la nostra tradizione ortodossa la Beata Vergine maria è stata assunta anima e corpo al Cielo. A differenza dei cattolici non abbiamo proclamato questo come dogma, ma è parte della fede della nostra gente ed è espresso nei testi liturgici utilizzati il 15 agosto. Non è questo un problema, dal momento che tale verità non è attestata dalle Scritture? noi ortodossi abbiamo una risposta, ma ne parlerò in seguito.
Sarebbe molto profittevole se gli evangelici e gli ortodossi studiassero la Bibbia insieme. Noi ortodossi interpretiamo la Bibbia attraverso la Chiesa e nella Chiesa. Non escludiamo lo studio critico della Bibbia. Non siamo fondamentalisti. Ma per noi è cruciale chiederci "come è stata compresa la Scrittura dai santi?" Per noi sono i migliori commentatori della Bibbia.
Come è stata compresa la Bibbia dai santi Padri? io noto un crescente interessem nei circoli evangelici, per l'interpretazione patristica della Bibbia. Noto con piacere, ad esempio, l'opera in più volumi Ancient-Christian Commentary on Scripture, edita sotto gli auspici evangelici dal Dr. Thomas Oden; opera alla quale hanno cooperato gli ortodossi. Padre Andrew Louth ad esempio, ha preparato il volume sull'apertura del libro della Genesi. Lavoriamo insieme.
Voglio venire poi all'opera di Cristo, raccontando un episodio che mi è capitato tempo fa viaggiando in treno. Un uomo venne a sedersi davanti a me e fissandomi mi chiese "Sei stato salvato?". Vi dirò più avanti la risposta.
Cosa significa essere salvati da Cristo e in Cristo? Gli evangelici danno maggiore importanza alla Croce; gli ortodossi all'Incarnazione e alla Resurrezione. Gli evangelici parlano di sacrificio espiatorio; gli ortodossi pensano a Cristo come vincitore della morte. Gli evangelici dicono "Cristo è per me", gli ortodossi "Cristo è in me". Gli evangelici distinguono tra giustificazione, santificazione e glorificazione, sebbene non siano separati. Nell'ortodossia non c'è una chiara distinzione tra questi momenti. La salvezza è vista come un processo continuo. Secondo le parole del Metropolita Antonio "la conversione ha un inizio ma non ha mai una fine". Pensando alla salvezza gli ortodossi la considerano una theosis, una deificazione. Noi diventiamo, come afferma San Pietro (2 Pt 1,4), partecipi della natura divina. Gli evangelici nella loro considerazione della salvezza usano un linguaggio forense, utilizzano categorie legali; mentre gli ortodossi impiegano immagini di guarigione, hanno un approccio terapeutico. Gli ortodossi considerano l'Incarnazione dal punto di vista dell'amore divino, mentre in Occidente Anselmo e Calvino sottolineano maggiormente la giustizia divina e la sua soddisfazione. Gli evangelici pongono maggiore enfasi sulla rinascita e la conversione, intesi come un momento specifico; per gli ortodossi la conversione è un processo che dura tutta la vita.
Ora, c'è un elemento di verità in questo contrasto, che però non va esagerato. Ancora, e ancora, noi abbiamo bisogno non di un e/o ma di un e/e. Quando ero giovane mi recai in America in nave (all'epoca viaggiare in aereo era molto costoso). Il viaggio durava cinque giorni e nel biglietto erano inclusi i pasti al ristorante. Non vi era limite al numero di portate che si potevano consumare in ogni pasto. Così una sera la coppia affiancò a sembrava in imbarazzo per aver preso tre portate, mentre io, giovane studente, ne avevo prese sette o otto! ora, vorrei applicare questo modello alla dottrina della salvezza. Possiamo trovare, nelle Sacre Scritture, differenti immagini della salvezza e gli scrittori del Nuovo Testamento non presentano una dottrina sistematica su di essa. Questo dovrebbe essere il nostro approccio. Utilizzare tutte le differenti immagini presentate nel Nuovo Testamento. Ad esempio troviamo l'immagine del sacrificio sostitutivo nella seconda lettera ai Corinti: "Colui che non ha conosciuto peccato, egli lo ha fatto diventare peccato per noi, affinché noi diventassimo giustizia di Dio in lui" (2Cor 5,21). Questa immagine dell'espiazione sostitutiva è certamente biblica, anche se noi ortodossi nono ne facciamo molto uso. Questa immagine è anche presente nei Padri. Atanasio parla di Cristo come di "colui che si è caricato dei nostri peccati". Noi ortodossi parliamo della theosis (divinizzazione), come richiamata ad esempio dalla seconda lettera di Pietro: "Attraverso queste ci sono state elargite le sue preziose e grandissime promesse perché per mezzo di esse voi diventaste partecipi della natura divina dopo essere sfuggiti alla corruzione che è nel mondo a causa della concupiscenza" (2 Pt 1,4). La troviamo descritta anche nel vangelo di Giovanni, dove Cristo cita il salmo 82: "Gesù rispose loro: «Non sta scritto nella vostra legge: 'Io ho detto: voi siete dèi'?" (Gv 10,34). Coloro ai quali è stata donata la Parola di Dio sono chiamati dèi, e la Scrittura non può essere annullata. Ma tutto il Vangelo di Giovanni è attraversato dal tema della gloria divina; così come tutte le lettere di Paolo sono attraversate dall'idea dell'"essere in Cristo", non come mera metafora. Tutto questo deve essere preso con assoluto realismo. Quando leggiamo il terzo capitolo della lettera ai Romani, in merito alla giustificazione, dobbiamo proseguire meditando il capitolo sesto, che ci parla dell'essere morti, sepolti e risorti in Cristo mediante il battesimo.
Dunque la theosis/deificazione è un termine essenziale per gli ortodossi. Ma è un tema anche caratteristico della teologia dei fratelli Wesley. Basti pensare all'inno di Charles Wesley Since the Son hath Made Me Free, dove scrive "cambia la mia natura nella tua". Questo è esattamente ciò che noi ortodossi intendiamo con il termine "deificazione": no diventiamo un ulteriore membro della Trinità; ma la salvezza significa una totale trasformazione del nostro essere nella grazia e nella gloria del Dio vivente.
Possiamo quindi utilizzare le differenti immagini della salvezza proposte dalla Scrittura. Ma ciò che gli ortodossi possono imparare dagli evangelici è un senso più profondo dell'esperienza personale della salvezza. Noi non dovremmo dire semplicemente "Cristo è morto", ma "Cristo è morto per me". Come ortodossi abbiamo bisogno di un profondo desiderio di un impegno personale per Cristo, un senso più grande dell'urgenza di condividere la nostra fede con gli altri, mediante l'evangelizzazione e la missione.
Anche in questo caso voglio evitare contrasti e generalizzazioni. Come ortodossi abbiamo diverse espressioni dell'incontro personale con Cristo. Basti leggere gli scritti di Simeone "il nuovo teologo", redatti nell'undicesimo secolo. Abbiamo anche importanti realtà di evangelizzazione, come ad esempio l'Armata del Signore in Romania, il movimento Zoe in Grecia, il Movimento della Gioventù Ortodossa in Libano. Abbiamo missioni in Kenya, Uganda, Corea e Giappone. ma potremmo fare molto di più.
lasciatemi concludere citando le parole del mio amico il Dr. Bradley Nassif. Egli dice che la chiesa ortodossa è quella più pienamente evangelica nel mondo, per la sua visione incarnazionista e trinitaria della vita. Come ortodosso penso questo della mia chiesa. Ma riconoscendo la distanza tra la teoria e la pratica, penso che gli ortodossi abbiano bisogno dei fratelli e delle sorelle evangelici per essere meglio ciò che sono. Abbiamo bisogno di voi per essere noi stessi.
Ora vi starete chiedendo, "che cosa ha risposto all'uomo nel treno?". Certamente non ho risposto "No, non sono stato salvato". Sarebbe stata una negazione del mio Salvatore. Al tempo stesso esitavo a rispondere "Sì, sono stato salvato", come se si trattasse di uno stato che non potesse cambiare. ma Dio è fedele ed egli non cambia. Ma io sono dotato di una volontà libera e potrei cambiare. Avevo in mente le parole di San Paolo dopo la sua conversione sulla via di Damasco: "non succeda che dopo avere predicato agli altri, venga io stesso squalificato." (1 Cor 9,27).
Dunque, se avessi risposto "Non lo so" avrebbe considerato la risposta troppo debole da parte di un prete. Ciò che dissi, invero, fu: "Io credo che per grazia di Dio sono costantemente salvato"; non "sono stato salvato", ma "io vengo salvato continuamente". Come ho già detto, la salvezza è un processo, non un singolo evento, è un viaggio continuo, un pellegrinaggio completato solo al momento della morte. Questa fu la mia risposta all'uomo sul treno. ma se voi avete una risposta migliore vi prego di farmelo sapere.

Sessione di domande e risposte

Partecipante: Metropolita Ware, questa sera avete portato alla luce molti punti comuni tra protestanti e Ortodossi; credete che un giorno possano prendere parte assieme alla stessa mensa eucaristica?

Met. Ware: Prima di tutto mi scuso se ho parlato troppo a lungo, lasciando poco spazio alle domande. Quando insegnavo a Oxford avevo sempre paura di restare senza parole a metà del discorso. Ho sempre avuto davanti ai miei occhi l'esempio di un collega che inizio l'insegnamento a Oxford il giorno prima di me; si preparò una lezione di 50 minuti, ma finì di presentarla in 20 minuti. L'unica cosa che avrebbe fare fu di riprenderla daccapo perché nessuno aveva capito niente. Invece disse "Scusatemi! Non ho altro da dire!" e si allontanò. ma nella confusione anziché imboccare la porta di uscita si infilò in un ripostiglio! Fu ignominiosamente accompagnato verso l'uscita dagli studenti. Così questa sera prima di iniziare mi sono sincerato su dove fosse il ripostiglio. Ma il mio problema è piuttosto il contrario: ho sempre troppo da dire.
Ora, venendo alla domanda; una domanda davvero importante. Nel nostro dialogo, nella nostra ricerca dell'unità cristiana, siamo giustamente preoccupati di raggiungere l'unione nella mensa eucaristica. Questo è il nostro obiettivo, la nostra speranza e non ce ne dobbiamo dimenticare.
Ci sono due modi diversi di affrontare questa discussione. La prima afferma"Il Sacramento eucaristico ha una grande importanza. Condividiamolo qui ed ora e la comunione al Corpo e al Sangue di Cristo ci aiuterà a superare le divisioni e le incomprensioni che non siamo in grado di superare con i nostri soli sforzi. Poniamo la nostra fiducia nei Sacramenti. Questa è la cosa più importante".
Un altro approccio afferma: "non possiamo strumentalizzare la Comunione e gli altri sacramenti. Devono essere il coronamento dei nostri sforzi. Dobbiamo prima cercare l'accordo nella fede (che non significa un accordo su ogni singola questione teologica) e dopo celebrare la meraviglia della n ostra ritrovata unità nella fede, condividendo la Santa Comunione.
Noi ortodossi propendiamo per il secondo approccio ma per quanto mi riguarda, quando ricevo la Santa Comunione, esprimo la mia totale fede in Cristo. Non sarebbe realistico, per me, condividere la Comunione con persone che hanno una fede differente. I penso che le divergenze tra le nostre chiese siano troppo grandi al momento, per la condivisione della Santa Comunione. Dobbiamo lavorare per superare le nostre divisioni e dopo unirci nella grande gioia della condivisione sacramentale. Noi ortodossi riconosciamo già il fatto che condividiamo con gli evangelici molti elementi della fede, ma sottolineamo al contempo il "non ancora". Finché non giungiamo a una più stretta e reciproca condivisione della fede il tempo di condividere i sacramenti non è ancora arrivato.

Partecipante: Sua Eminenza, nel suo discorso ha detto che la comprensione ortodossa della liturgia è più intuitiva che speculativa. Mi domando se il dialogo con gli evangelici non possa beneficiare di una maggiore comprensione speculativa della liturgia da parte degli ortodossi.

Met. Ware: Lasciatemi prima aggiungere alla mia precedente risposta che sono molto dispiaciuto del fatto che evangelici e ortodossi non possano condividere la Comunione e che dobbiamo tutti dispiacerci di questa divisione, al momento insormontabile.
Cosa manca maggiormente alla liturgia ortodossa penso che sia la predicazione. I sermoni dovrebbero basarsi sulle letture del giorno. Dovremmo anche migliorare la comprensione della struttura e del significato della liturgia. Per questo lancio un appello ai miei "colleghi" ortodossi affinché curino le prediche e aiutino i fedeli nella migliore comprensione della liturgia.
Ci sono molti libri sulla liturgia ortodossa e dovremmo incoraggiare i nostri fedeli a leggerli. Sarebbe una buona cosa se esortassimo i nostri fedeli a venire in chiesa all'inizio della liturgia. I miei parrocchiani ciprioti non mi chiedono "Quando inizia la liturgia?" ma "Quando finisce la liturgia?".
Quindi certo, dobbiamo superare l'appartenenza nominale e incoraggiare le persone a penetrare nel significato della liturgia. Questo significa, prima di tutto, che la liturgia venga celebrata in una lingua compresa dal popolo.

Partecipante: Nel suo discorso ha affermato che alcuni teologi ortodossi sono contrari al dialogo ecumenico. Può spiegarci le ragioni mdi questo atteggiamento?

Met. Ware: La ragione è che ritengono la Chiesa Ortodossa l'unica vera chiesa di Cristo sula terra. Che è, in effetti ciò che noi ortodossi affermiamo. Alcuni tra gli ortodossi più rigorosi, sfavorevoli al dialogo, sottolineano questa stringente conclusione. Alcuni di loro affermano che fuori dai confini visibili della Chiesa Ortodossa non esistono veri sacramenti e la grazia dello Spirito Santo. Ora io, come ortodosso, non posso credere questo. Sono convinto della presenza dello Spirito Santo in altre comunità cristiane; che ci sono molti santi, uomini e donne, in altre confessioni cristiane; che c'è la vera grazia battesimale laddove il battesimo è amministrato con acqua nel nome della Santa Trinità.
Dunque ciò che intendo dire quando affermo che la Chiesa Ortodossa è la vera Chiesa è che in essa vi è una "pienezza" di fede e vita spirituale che non si trovano altrove. Sarei insincero se negassi questo di fronte a voi, stasera. Ma questo non significa che fuori dalla Chiesa Ortodossa non vi sono che tenebre. Credo piuttosto che vi siano una dinamica e vitale presenza della grazia di Cristo e dello Spirito Santo nelle altre comunità cristiane. Io credo che a volte esse abbiano visto, compreso e vissuto la verità della fede più chiaramente di quanto abbiamo fatto noi ortodossi. Per questo penso che dovremmo imparare da tali esempi. Il che non significa assimilare cose estranee alla nostra tradizione, ma piuttosto ciò che abbiamo trascurato e dimenticato. Questo è il senso di ciò che intendo dire quando affermo che abbiamo bisogno di voi per essere noi stessi.
Suppongo che gli ortodossi che sono contro il dialogo ecumenico ritengono che la pienezza della fede è nella Chiesa Ortodossa e non abbiamo niente da imparare dagli altri. Io ritengo che anche se la pienezza della fede fosse nella Chiesa ortodossa noi avremmo comunque da imparare dagli altri per capire meglio noi stessi. Si dice che il vero guadagno di un viaggio consiste nel tornare a casa e vederla con occhi nuovi, come la prima volta. La stessa cosa può essere applicata al dialogo tra cristiani. Parlando con gli altri torniamo nella nostra chiesa e la vediamo con sguardo rinnovato.

Partecipante: eminenza, vivendo in una grande città sembra che più siamo ammassati l'un l'altro più aumenta il senso di solitudine. È singolare che noi che seguiamo Cristo facciamo fatica a chiamarci fratelli l'un  l'altro. Se necessitiamo degli altri per essere noi stessi, come possiamo portare la luce di Cristo a coloro che sono persi nelle città attraversate dalla paura e dalla violenza? Coe possiamo contribuire insieme alla pace nelle nostre città?

Met. Ware: Concordo con lei che le nostre divisioni tra cristiani sono un grande ostacolo per l'evangelizzazione,
Il fatto che non parliamo con una sola voce ha fatto allontanare molte persone dalla fede. È significativo che il movimento per l'unità cristiana è nato nel ventunesimo secolo da una preoccupazione per l'evangelizzazione. È nel campo della missione che i cristiani hanno iniziato a sentire lo scandalo delle divisioni. Quindi certamente, se saremo più uniti sarà più facile testimoniare la nostra fede davanti al mondo. È significativo che le parole di Cristo "perché siano una cosa sola" proseguano con "affinché il mondo creda". la Chiesa non esiste per se stessa. La Chiesa è per la salvezza del mondo. Se cerchiamo l'unità cristiana è per la salvezza del mondo.

Partecipante: Vostra Eminenza, ieri avete parlato della Preghiera di Gesù. Come possiamo portare questa preghiera dalla mente al cuore?

Met. Ware: Sì, il mio tema, ieri, riguardava la preghiera interiore, e in particolare quella che è nota come Preghiera di Gesù - l'invocazione del nostro Salvatore e del santo nome di Gesù - "Signore Gesù Cristo, Figlio di Dio, abbi pietà di me". Noi ortodossi crediamo che la preghiera cresca sempre più a livello interiore. Comincia come preghiera delle labbra - preghiera orale - ma poi diventa più interiore - preghiera della mente. Perché la preghiera che è detta solo con le labbra non è vera preghiera. Dobbiamo pregare con a nostra mente, con tutta la nostra attenzione, allora la preghiera diventa preghiera della mente. Ma dopo, noi diciamo, che c'è uno stadio ulteriore in cui la preghiera può discendere dalla mente al cuore. Quando noi cristiani orientali parliamo del cuore noi ci riferiamo solo alle sensazioni e alle emozioni. Il cuore significa il centro spirituale dell'essere umano. Il cuore è il  luogo dove prendiamo le nostre decisioni. Il cuore è la sede della comprensione e della saggezza. nel cuore troviamo noi stessi a immagine e somiglianza di Dio. Questa comprensione del cuore come centro non solo delle emozioni ma di tutta la persona è esattamente il modo in cui viene considerato nelle Scritture. Quando parliamo della discesa della preghiera dalla mente al cuore vogliamo sottolineare che la preghiera deve coinvolgere l'intero nostro essere. Non è qualcosa che pensiamo  semplicemente con la nostra mente in modo distaccato. la preghiera diviene non qualcosa che facciamo ma un qualcosa che siamo. La preghiera del cuore è una preghiera in cui tutta la persona, il cervello, le emozioni, le sensazioni, la comprensione profonda e anche il corpo partecipano alla preghiera. Questo è ciò che noi intendiamo come discendere dalla mente al cuore. La preghiera diventa, per grazia di Dio e non solo per i nostri sforzi, preghiera di tutto il nostro essere.

Partecipante: Lei ha parlato del rapporto tra la dottrina e le Scritture - o delle credenze e pratiche degli ortodossi con le Scritture. Ci sono cose che risultano ostiche agli evangelici, come le icone o la credenza nella perpetua verginità di Maria. Forse può aiutarci a capirne di più.

Met. Ware: Consentitemi di offrirvi giusto qualche spunto. le icone. Certamente lo sviluppo dell'arte rappresentativa nel cristianesimo si è realizzato lentamente. Nelle catacombe del secondo e terzo secolo ci sono rappresentazioni di Cristo, ma solo dal Iv-V secolo abbiamo icone di Cristo. Non prima del VI-VII secolo è attestata la pratica di venerare queste icone - inginocchiandosi, baciandole, accendendo di fronte ad esse delle candele o bruciando incenso. Dunque, la devozione alle icone è cresciuta gradualmente. All'inizio vi era un grande timore di cadere nell'idolatria. Man mano che questo timore è venuto meno e i cristiani sono diventati una presenza dominante nell'impero romano, si è sviluppato un rapporto diverso con le icone.
Le fondamenta della teologia delle icone si riferiscono all'incarnazione di Cristo. Questa riceve una grande enfasi nel settimo secolo, soprattutto con Giovanni Damasceno. Egli afferma che nell'antica alleanza le immagini erano proibite. Questo era giusto, perché nessuno ha mai visto Dio faccia a faccia. Ma ora che Dio si è incarnato, ora che la Parola si è fatta carne, noi possiamo realizzare un'icona di Cristo; non della sua natura divina, ma della sua persona umana. Secondo Giovanni Damasceno se noi non ci raffiguriamo una immagine di Cristo rischiamo di considerare irreale la sua natura umana; per questo egli riconduce fermamente la venerazione delle icone al dogma dell'Incarnazione.
Cristo non ha avuto solo un anima umana, ma anche un corpo umano. ha avuto una natura materiale e attraverso di questa ha dispensato la sua grazia. Se un elemento materiale, il suo corpo, può veicolare la grazia, allo stesso modo possono veicolarla altri mezzi materiali. La devozione alle icone è strettamente correlata alla nostra fede nell'Incarnazione. "non disprezzate la materia" - afferma Giovanni Damasceno" - "perché attraverso di essa ci è stata data la salvezza". Queste sono le basi teologiche per noi ortodossi.

Partecipante: Ci sono credenze simili tra gli evangelici e gli ortodossi?

Met. Ware. Prima è stata menzionata la perpetua verginità della madre del nostro Signore Gesù Cristo. Non è chiaramente affermata dalle Scritture, ma sia Lutero che Calvino credevano in essa. Questa è una cosa che si è sviluppata nella chiesa attraverso la preghiera e la riflessione teologica: la convinzione che la Beata Vergine non ha avuto altri figli oltre Gesù. Gli ortodossi hanno considerato questa una conseguenza, ma no una conseguenza logica, quanto spirituale. Un senso di riverenza verso l'unicità dell'Incarnazione ci ha portato a credere che la Beata Vergine non abbia avuto altri figli. Io penso che questo non derivi semplicemente da una grande reverenza verso la Vergine ma soprattutto da una grande riverenza verso il suo figlio Gesù Cristo, vero Dio e vero uomo. Questa è la base, il nostro amore per Cristo, la credenza si è sviluppata da questo attraverso una profonda preghiera della comunità cristiana.
ma, di fatto, non vi è alcuna definizione formale della perpetua verginità di Maria. Noi ci crediamo e applichiamo questo titolo nella liturgia, ma non abbiamo mai avvertito l'esigenza di definire ciò in cui crediamo. Si tratta di una profonda convinzione scaturita dalla preghiera.
La stessa cosa può essere detta dell'assunzione della Vergine in anima e corpo. Questa è strettamente correlata con la nostra fede nella resurrezione dei corpi. dunque, noi crediamo, nel caso della Vergine, che la sua resurrezione sia stata anticipata. È stata preservata dalla morte e dal giudizio e ora vive, nella completezza della sua persona, nel Regno a venire. Anche questo è qualcosa che si è sviluppato mediante la preghiera e la riflessione della Chiesa. Non lo rendiamo parte della fede che predichiamo al mondo intero mediante le nostre missioni. È qualcosa che deve essere compreso nella preghiera della Chiesa.
Altra cosa è il titolo che attribuiamo alla Vergine, Theotokos, Madre di Dio. Questo è riferito all'Incarnazione. Questo titolo è conferito non solo per onorare la Vergine, ma per salvaguardare la vera fede in Gesù Cristo. Maria è madre, non di una persona umana, per quanto unita a Dio. Questo sarebbe nestorianesimo. Maria è madre di una singola è indivisa persona con due nature, una umana e una divina. Se diamo a lei il titolo Madre di Dio è per salvaguardare l'unità della persona di Cristo. Questo è il motivo per cui, diversamente dalla fede nell'assunzione, abbiamo definito questo come dogma, che deve essere accettato da tutti i credenti. Dunque, la nostra predicazione è innanzitutto cristologica. Il ruolo della Vergine Maria nella Chiesa va compreso partendo da questo. E la nostra fede nell'assunzione in anima e corpo non è un dogma ma l'espressione della nostra speranza.

- Traduzione a cura del Rev. Dr. Luca Vona