La chiesa cattolica celebra oggi la memoria di Rosa da Viterbo. Nel 1252 papa Innocenzo IV pensa di farla santa, e ordina un processo canonico, che forse non comincia mai. La sua fama di santità cresce ugualmente, e nel 1457 Callisto III ordina un nuovo processo, regolarmente svolto: ma nel frattempo muore, e Rosa non verrà mai canonizzata col solito rito solenne. Ma il suo nome è già elencato tra i santi nell’edizione 1583 del Martirologio romano. Via via si dedicano a lei chiese, cappelle e scuole in tutta Italia, e anche in America Latina.
Rosa nasce dai coniugi Giovanni e Caterina, forse agricoltori nella contrada di Santa Maria in Poggio; la testimonianze agiografiche ci informano che la famiglia possedeva una casa, un piccolo campo fuori porta e un asino.
Rosa da Viterbo (1233-1251) |
L’evento principale della vita di Rosa (con esso si apre il racconto della Vita I) risale ai suoi 16 anni circa di età e fu una grave malattia che la costrinse a letto; la fase culminante si ebbe tra martedì 21 e mercoledì 22 giugno 1250, come precisa scrupolosamente la fonte indicando non solo i giorni della settimana ma anche riferendosi al digiuno di Rosa per l’imminente vigilia di s. Giovanni Battista. La malattia è stata identificata in tempi recenti, mediante esami della salma, con la Sindrome di Cantrell, caratterizzata da mancanza congenita dello sterno che provoca normalmente la morte in tenera età. Rosa, dopo aver rifiutato il cibo perché già vigilia del giorno di festa, miracolosamente riprese vigore lodando la Vergine Maria e s. Anna e ricordando, nella preghiera, la crociata in corso di re Luigi IX (p. 228; entrambi temi tipici della predicazione minoritica). Rosa, dopo aver recitato, prostrata a terra, una formula di rinuncia ai beni del mondo, chiese alla madre di ricevere – secondo gli ordini ricevuti dalla Vergine – la tonsura, il cingolo (ottenuto adattando una corda d’asino) e la «tunica de cilicio» che una donna (tale Sita, subito accorsa) conservava presso il proprio letto; secondo la Vita II il rito fu invece celebrato di giorno, dal clero, nella chiesa parrocchiale (pp. 235-237).
Questa vestizione privata, la richiesta della quale incontrò le resistenze della stessa Sita, non ha riscontri precisi nella trafila ordinariamente prevista per i fratelli e sorelle della penitenza. Peraltro, i particolari descrittivi delle due Vite – pur in assenza di menzioni esplicite – consentono di individuare un’appartenenza di Rosa al terz’ordine francescano (appartenenza poi data per scontata dal processo quattrocentesco e dalle successive agiografie) nelle sue forme originarie ancora generiche.
Ma la dimensione privata si trasformò immediatamente in un evento pubblico. Rosa rese noto alle «mulieres» della contrada (Abate, 1952, p. 228), convocate in casa propria, l’invito della Vergine a intraprendere una processione penitenziale – ornata dell’abito ricevuto, dunque pubblica e solenne – nel corso della quale avrebbe dovuto percorrere l’itinerario cittadino che collegava le chiese di S. Giovanni in Zoccoli, di S. Francesco (legate alla presenza dei frati minori) e la parrocchiale di S. Maria in Poggio. Ciò avvenne il giorno seguente; dopo la processione (compiuta reggendo una maestà o crocifisso), la casa di Rosa divenne meta di molti devoti e – nonostante le prime forti opposizioni – la giovane chiese e ottenne la benedizione dei genitori, dei presenti e di un prete (garanzia, quest’ultimo, di autenticità e legittimazione gerarchica della sua esperienza).
Guarita, si mette a percorrere Viterbo portando una piccola croce o un’immagine sacra: prega ad alta voce ed esorta tutti all’amore per Gesù e Maria, alla fedeltà verso la Chiesa. Nessuno le ha dato questo incarico. Viterbo intanto è coinvolta in una crisi fra la Santa Sede e Federico II imperatore. Occupata da quest’ultimo nel 1240, nel 1247 si è “data” accettandolo come sovrano.
Rosa inizia la campagna per rafforzare la fede cattolica, contro l’opera di vivaci gruppi del dissenso religioso, in particolare i catari, aizzati contro il Papa da Federico II. Un’iniziativa spirituale, ma collegata alla situazione politica.
Per questo, il podestà manda Rosa e famiglia in domicilio coatto a Soriano del Cimino. Un breve esilio, perché nel 1250 muore Federico II e Viterbo passa nuovamente alla Chiesa. Ma non sentirà più la voce di Rosa nelle strade. La giovane muore il 6 giugno probabilmente del 1251 (altri pongono gli estremi della sua vita tra il 1234 e il 1252). Viene sepolta senza cassa, nella nuda terra, presso la chiesa di Santa Maria in Poggio. Nel novembre 1252 papa Innocenzo IV promuove il primo processo canonico (quello mai visto) e fa inumare la salma dentro la chiesa. Nel 1257 papa Alessandro IV ne ordina la traslazione nel monastero delle Clarisse. E forse vi assiste di persona, perché trasferitosi a Viterbo dall’insicura Roma (a Viterbo risiederanno i suoi successori fino al 1281).
La morte di Rosa si commemora il 6 marzo. Ma le feste più note in suo onore sono quelle di settembre, che ricordano la traslazione del corpo nell’attuale santuario a lei dedicato. Si ricorda nel 1868 anche l’iniziativa del conte Mario Fani che col circolo Santa Rosa, a Viterbo, anticipava la Società della Gioventù Cattolica, promossa poi dai cattolici bolognesi con Giovanni Acquaderni. Nel 1922 Benedetto XV ha proclamato Rosa patrona della Gioventù Femminile di Azione Cattolica.
A Viterbo, di cui è patrona della città e compatrona della diocesi, è ricordata il 4 settembre, giorno della traslazione.