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Il Rev. Dr. Luca Vona
Un evangelico nel Deserto
Ministro della Christian Universalist Association
Ministro della Christian Universalist Association
domenica 31 ottobre 2021
Il perdono come frutto di giustizia
sabato 30 ottobre 2021
Fermati 1 minuto. Trovati dalla grazia
Lettura
Luca 14,1-6
1 Gesù entrò di sabato in casa di uno dei principali farisei per prendere cibo, ed essi lo stavano osservando, 2 quando si presentò davanti a lui un idropico. 3 Gesù prese a dire ai dottori della legge e ai farisei: «È lecito o no fare guarigioni in giorno di sabato?» Ma essi tacquero. 4 Allora egli lo prese per mano, lo guarì e lo congedò. 5 Poi disse loro: «Chi di voi, se gli cade nel pozzo un figlio o un bue, non lo tira subito fuori in giorno di sabato?» 6 Ed essi non potevano risponder nulla in contrario.
Commento
Gesù è invitato a casa di uno dei capi farisei per "prendere cibo", letteralmente "per prendere pane" (gr. arton). Il clima di austerità in cui si svolge il sabato ebraico è evidente dal fatto che non si tratta di un banchetto. I dottori della legge, ci dice Luca, "lo stavano osservando"; forse in attesa di qualche insegnamento o, forse, più malevolmente per coglierlo in errore su qualche cosa. E in effetti si presenta a Gesù un'occasione per rompere i loro schemi.
Si tratta di un idropico, un uomo il cui corpo è rigonfio a causa di una patologica ritenzione idrica. Forse un famigliare dei farisei. L'uomo non chiede nulla, né i suoi amici chiedono nulla per lui. Gesù è probabilmente meravigliato dall'umiltà dell'idropico e dall'insensibilità dei suoi amici, i quali conoscono i suoi poteri di guarigione ma non chiedono alcun intervento.
Così il Signore li interroga proprio sulla loro mancanza di misericordia, che li porta a porre la legge al di sopra della carità, quando invece dovrebbe essere al suo servizio. Questi uomini dotti rimangono senza parole, perché dovrebbero ammettere la propria ignoranza della legge o dovrebbero affermare qualcosa di inaccettabile.
La guarigione dall'idropisia era lenta e difficoltosa, ma Gesù prende quest'uomo per mano e gli ridona la salute all'istante (v. 4). L'idropico non ha cercato la grazia di Dio, ma è stato trovato dalla grazia e liberato immediatamente dal suo male. Con un'altra domanda Gesù si rivolge ai farisei sottolineandone la cura che mostrano, anche in giorno di sabato, per i propri affetti («un figlio» - anche se alcuni manoscritti riportano «un asino») e i propri affari («un bue»).
"Con la bocca dei bimbi e dei lattanti affermi la tua potenza contro i tuoi avversari, per ridurre al silenzio nemici e ribelli" (Sal 8,3) riconosce il salmista, parole che possiamo applicare a Gesù, il quale ha smontato i cavilli dei dottori della legge ("non potevano risponder nulla in contrario"; v. 6) con parole semplici e un efficace atto di misericordia.
Preghiera
Signore, che ci chiedi di non anteporre nulla al tuo amore e di trovarti nel nostro prossimo sofferente, donaci un cuore ricolmo della tua grazia, per accogliere e sanare a lode del tuo Nome. Amen.
- Rev. Dr. Luca Vona
giovedì 28 ottobre 2021
Fermati 1 minuto. Li chiamò apostoli
Lettura
Lc 6,12-19
12 In quei giorni Gesù se ne andò sulla montagna a pregare e passò la notte in orazione. 13 Quando fu giorno, chiamò a sé i suoi discepoli e ne scelse dodici, ai quali diede il nome di apostoli: 14 Simone, che chiamò anche Pietro, Andrea suo fratello, Giacomo, Giovanni, Filippo, Bartolomeo, 15 Matteo, Tommaso, Giacomo d'Alfeo, Simone soprannominato Zelota, 16 Giuda di Giacomo e Giuda Iscariota, che fu il traditore. 17 Disceso con loro, si fermò in un luogo pianeggiante. C'era gran folla di suoi discepoli e gran moltitudine di gente da tutta la Giudea, da Gerusalemme e dal litorale di Tiro e di Sidone, 18 che erano venuti per ascoltarlo ed esser guariti dalle loro malattie; anche quelli che erano tormentati da spiriti immondi, venivano guariti. 19 Tutta la folla cercava di toccarlo, perché da lui usciva una forza che sanava tutti.
Commento
Gesù scelse come apostoli chi volle, ma non scelse arbitrariamente, né superficialmente. Scelse dopo aver a lungo pregato, tutta la notte. L'evangelista Luca presenta spesso Gesù in preghiera prima dei momenti importanti della sua vita.
La Chiesa nasce dopo quella notte di preghiera di Gesù e mediante la nostra preghiera può crescere e prosperare. I Dodici ricevono una missione nella missione; non uno status di privilegiati, ma una speciale chiamata a servire con maggiore sollecitudine. Questo sarà il senso di un'altra chiamata da parte di Gesù, poco prima della sua passione: "Allora Gesù, chiamatili a sé, disse loro: «Voi sapete che coloro che sono ritenuti capi delle nazioni le dominano, e i loro grandi esercitano su di esse il potere. Fra voi però non è così; ma chi vuol essere grande tra voi si farà vostro servitore, e chi vuol essere il primo tra voi sarà il servo di tutti»" (Mc 10,42-43).
Gesù sceglie i suoi chiamandoli per nome. L'evangelista non aggiunge alcuna loro descrizione; ma il chiamare per nome è certamente testimonianza del fatto che egli si rivolse alla persona nelle sue qualità distintive, i suoi pregi e le sue debolezze, così come nelle differenze, spesso enormi, che incorrevano tra i chiamati.
Diversi, ma tutti tenuti insieme, ad eccezione di Giuda "il traditore", dall'amore di Cristo. Il chiamare per nome, fin dalla Genesi - quando Dio invita Adamo a dare un nome a ogni creatura - indica l'autorità su di essi e un'intima relazione spirituale. Gesù li chiamò "apostoli", ovvero "inviati", perché erano destinati non a creare delle scuole rabbiniche o filosofiche ma a predicare il vangelo a tutte le nazioni.
Dopo essere salito al monte per attirare a sé gli apostoli Gesù discende subito "in un luogo pianeggiante" (v. 17) e in questo abbassamento si fa loro maestro, non temendo di toccare e di farsi toccare dalle moltitudini bisognose di salvezza e di guarigione.
Eppure questo loro compito non inizierà prima di avere accompagnato Gesù nella sua missione terrena ed essere stati confermati dal Risorto. Allora diventeranno capaci di portare l'annuncio della grazia fino agli estremi confini della terra.
Preghiera
Signore Gesù Cristo, tu ci chiami per nome per salvarci e farci annunciatori della salvezza. Concedici di ricercare sempre la volontà del Padre nella preghiera fervente e prolungata. Amen.
- Rev. Dr. Luca Vona
Simone e Giuda. «Signore, come è accaduto che devi manifestarti a noi?»
mercoledì 27 ottobre 2021
Fermati 1 minuto. La conoscenza e la coerenza
martedì 26 ottobre 2021
Fermati 1 minuto. Vedere l'invisibile
Lettura
Luca 13,18-21
In quel tempo, diceva Gesù: «A che cosa è simile il regno di Dio, e a che cosa lo posso paragonare? È simile a un granello di senape, che un uomo prese e gettò nel suo giardino; crebbe, divenne un albero e gli uccelli del cielo vennero a fare il nido fra i suoi rami». E disse ancora: «A che cosa posso paragonare il regno di Dio? È simile al lievito, che una donna prese e mescolò in tre misure di farina, finché non fu tutta lievitata».
Commento
L'idea del regno di Dio che si estende come un maestoso albero, all'ombra del quale si radunano tutte le nazioni richiama alcuni passaggi messianici dell'Antico Testamento (Ez 17,23; 31,6). Le parole di Gesù sono un invito alla pazienza e alla speranza, al superamento dell'ossessione contabilizzatrice nel considerare la crescita della Chiesa e i nostri progressi spirituali. Gesù ci esorta a puntare sulla qualità, su quel lievito capace di far fermentare tutta la pasta.
Le parabole del granello di senapa e del lievito mettono in luce il sorprendente contrasto tra i piccoli inizi del Regno e la sua meravigliosa espansione. Le due immagini rappresentano l'azione di Dio, che si compie silenziosamente e nel segreto. L'opera della grazia nelle nostre anime e nel mondo non avviene in modo improvviso e "fragoroso", ma può essere scorta da orecchie capaci di ascoltare e occhi capaci di vedere ciò che opera nel segreto; necessita di un cuore capace dell'attesa, come il contadino che semina e come la donna che prepara il pane.
Dai piccoli segni possiamo intuire un esito che sarà sorprendente, rappresentato in queste due parabole dalla maestosità del cespuglio di senape in cui si rifugiano gli uccelli e dalla quantità di farina - circa sessanta chilogrammi! - che poco lievito fa panificare. Il Regno di Dio potrà così accogliere uomini di ogni popolo e nazione e saziare tutti coloro che hanno fame e sete di giustizia.
Preghiera
Signore, accresci la nostra fede affinché i nostri occhi possano aprirsi all'opera che la tua grazia compie incessantemente nei nostri cuori. Amen.
- Rev. Dr. Luca Vona
Mariologia. Una voce protestante. Elementi per un dialogo ecumenico (Parte prima)
lunedì 25 ottobre 2021
Fermati 1 minuto. La parola che scioglie i nostri lacci
Lettura
Luca 13,10-17
10 Una volta stava insegnando in una sinagoga il giorno di sabato. 11 C'era là una donna che aveva da diciotto anni uno spirito che la teneva inferma; era curva e non poteva drizzarsi in nessun modo. 12 Gesù la vide, la chiamò a sé e le disse: «Donna, sei libera dalla tua infermità», 13 e le impose le mani. Subito quella si raddrizzò e glorificava Dio. 14 Ma il capo della sinagoga, sdegnato perché Gesù aveva operato quella guarigione di sabato, rivolgendosi alla folla disse: «Ci sono sei giorni in cui si deve lavorare; in quelli dunque venite a farvi curare e non in giorno di sabato». 15 Il Signore replicò: «Ipocriti, non scioglie forse, di sabato, ciascuno di voi il bue o l'asino dalla mangiatoia, per condurlo ad abbeverarsi? 16 E questa figlia di Abramo, che satana ha tenuto legata diciott'anni, non doveva essere sciolta da questo legame in giorno di sabato?». 17 Quando egli diceva queste cose, tutti i suoi avversari si vergognavano, mentre la folla intera esultava per tutte le meraviglie da lui compiute.
Commento
Siamo nella sinagoga, in giorno di sabato. Gesù sta insegnando ma si interrompe. Ha notato una donna sofferente. Da diciotto anni è curva e non può raddrizzarsi in alcun modo. Eppure non ha smesso di comportarsi da "figlia di Abramo", recandosi alla sinagoga per osservare il giorno del Signore. Non chiede nulla. È Gesù a prendere l'iniziativa, e anche lui non chiede nulla alla donna. Luca ci informa che l'infermità è provocata da Satana ("posseduta da uno spirito di infermità", gr. pneuma echousa asthenias). Sappiamo dal libro di Giobbe che ciò è possibile perché anche questi patì una malattia causata dall'angelo accusatore.
Gesù agisce in maniera diversa rispetto ai suoi esorcismi. Non sgrida alcun demone, ma si limita a imporre le mani e pronunciare la sua parola di liberazione. La parola di Dio, come afferma la Lettera agli ebrei, "è viva, efficace e più tagliente di ogni spada a doppio taglio; essa penetra fino al punto di divisione dell'anima e dello spirito, fino alle giunture e alle midolla" (Eb 4,12). Così la parola di Dio penetra nell'anima e nel corpo di questa donna e scioglie la sua schiena ricurva.
Il miracolo compiuto da Gesù suscita la riprovazione da parte dei capi della sinagoga. Non hanno il coraggio di attaccarlo direttamente ma si rivolgono ai presenti. Il Signore, che conosce i cuori, li accusa di ipocrisia, perché le loro critiche non prendono le mosse dallo zelo per l'amore di Dio ma dall'invidia. Gesù evidenzia il modo in cui hanno pervertito la legge, piegandola al proprio egoismo. In giorno di sabato infatti, non trascurano di occuparsi del proprio bestiame, ma vorrebbero rifiutare a questa donna, sorella della loro stessa stirpe, figlia di Dio, creata a sua immagine e somiglianza, di riacquistare quella posizione eretta che distingue l'essere umano dagli animali.
La chiamata di Gesù scioglie l'uomo dalla casistica delle norme religiose per collocarlo nel vero sabato di Dio, che è manifestazione della sua gloria e della sua azione salvifica.
Preghiera
Signore, tu rialzi dalla polvere il misero e manifesti la tua gloria nella nostra debolezza. Ti benediciamo e ti glorifichiamo perché hai liberato le nostre anime dai lacci del peccato e ci hai donato la promessa della risurrezione. Amen.
- Rev. Dr. Luca Vona
domenica 24 ottobre 2021
Il nostro combattimento non è contro carne e sangue
venerdì 22 ottobre 2021
Fermati 1 minuto. Che tempo fa?
Lettura
Lc 12,54-59
In quel tempo, Gesù diceva alle folle: «Quando vedete una nuvola salire da ponente, subito dite: “Arriva la pioggia”, e così accade. E quando soffia lo scirocco, dite: “Farà caldo”, e così accade. Ipocriti! Sapete valutare l’aspetto della terra e del cielo; come mai questo tempo non sapete valutarlo? E perché non giudicate voi stessi ciò che è giusto? Quando vai con il tuo avversario davanti al magistrato, lungo la strada cerca di trovare un accordo con lui, per evitare che ti trascini davanti al giudice e il giudice ti consegni all’esattore dei debiti e costui ti getti in prigione. Io ti dico: non uscirai di là finché non avrai pagato fino all’ultimo spicciolo».
Commento
Abbiamo la capacità di giudicare, di valutare gli eventi. Gesù lo afferma rivolgendosi alle folle, non a una élite religiosa. Egli parla a uomini comuni: pescatori, agricoltori, commercianti. Si rivolge a noi.
Siamo capaci di dare un'nterpretazione agli eventi terreni, senza il bisogno di un aiuto esterno. Allo stesso modo dovremmo interpretare le cose spirituali, perché la nostra anima è capace di farlo. Il mondo ci spinge a farci assorbire completamente dai suoi affari e i pochi momenti di riposo diventano spesso occasione per un ozio improduttivo, che ci impedisce di vedere l'azione di Dio nella storia umana e nella nostra personale storia.
Le parole di Gesù spronano ogni discepolo ad applicarsi allo studio delle Scritture, alla preghiera, a un apostolato capace di cogliere profeticamente i segni dei tempi. Siamo chiamati a leggere in prima persona la nostra vita alla luce del vangelo; a camminare con Cristo - che in questo passo delle Scritture è in viaggio verso Gerusalemme, dove si compirà il suo destino terreno - finché siamo in tempo.
Finché siamo in vita, infatti, siamo per strada, e questo è il tempo della conversione e della riconciliazione. Come afferma l'apostolo Paolo: "Ecco ora il momento favorevole, ecco ora il giorno della salvezza!" (2 Cor 6,2). Gesù, che si fa presente con la sua misericordia nella vita di ogni uomo, ci esorta a riconoscere il tempo della nostra visitazione (Lc 19,44), riconciliandoci con Dio e con gli uomini.
Preghiera
Signore, giudice e mediatore, noi ci affidiamo a te, che hai steso le braccia sulla croce per la nostra riconciliazione. Concedici di camminare sempre alla luce della tua parola. Amen.
- Rev. Dr. Luca Vona
giovedì 21 ottobre 2021
Fermati 1 minuto. Come fuoco sulla terra
Lettura
Luca 12,49-53
49 Sono venuto a portare il fuoco sulla terra; e come vorrei che fosse già acceso! 50 C'è un battesimo che devo ricevere; e come sono angosciato, finché non sia compiuto! 51 Pensate che io sia venuto a portare la pace sulla terra? No, vi dico, ma la divisione. 52 D'ora innanzi in una casa di cinque persone 53 si divideranno tre contro due e due contro tre; padre contro figlio e figlio contro padre, madre contro figlia e figlia contro madre, suocera contro nuora e nuora contro suocera».
Commento
Gesù, come uomo, è pienamente consapevole delle sofferenze che lo attendono nella sua passione, ma la sua volontà umana è intimamente unita a quella della sua natura divina e a quella del Padre, così l'attesa del "battesimo" che dovrà ricevere diviene angoscia finché non sia compiuto.
Il baptismós, propriamente l'“immersione” nei dolori della passione, sarà segno di scandalo per molti (Rm 9,33) e gli stessi discepoli, in un primo momento, non coglieranno il significato profondo di quell'evento. In esso Gesù si rivela segno di contraddizione «per la rovina e la resurrezione di molti» (Lc 2,34).
L'atteggiamento di accoglienza o di rifiuto verso il mistero pasquale determina il nostro essere o non essere partecipi della morte e resurrezione del Cristo. A stabilire l'appartenenza al suo "popolo" non è più una discendenza o comunanza di sangue, ma la fede nel suo sangue redentore.
Adempimento del giudizio di Dio verso l'umanità, la croce, sulla quale sono stati inchiodati i nostri peccati, è il luogo di riconciliazione di tutte le cose, quelle nei cieli e quelle sulla terra (Col 1,20).
Le parole di Gesù, che vorrebbe già vedere il mondo bruciare della sua carità (v. 49) costituiscono un esempio per ogni discepolo, un invito ad aspirare ai carismi più grandi (1 Cor 12,31), a desiderare quella perfezione che si compie nell'adempimento della volontà di Dio, del suo progetto sulla nostra vita.
Preghiera
Signore Gesù Cristo, noi riconosciamo in te il Figlio di Dio, che si è fatto pietra di scandalo nella morte di croce. Concedici di essere edificati su di te come tempio del Dio vivente. Amen.
- Rev. Dr. Luca Vona
mercoledì 20 ottobre 2021
Fermati 1 minuto. L'amministratore fedele e saggio
Lettura
Luca 12,39-48
39 Sappiate bene questo: se il padrone di casa sapesse a che ora viene il ladro, non si lascerebbe scassinare la casa. 40 Anche voi tenetevi pronti, perché il Figlio dell'uomo verrà nell'ora che non pensate». 41 Allora Pietro disse: «Signore, questa parabola la dici per noi o anche per tutti?». 42 Il Signore rispose: «Qual è dunque l'amministratore fedele e saggio, che il Signore porrà a capo della sua servitù, per distribuire a tempo debito la razione di cibo? 43 Beato quel servo che il padrone, arrivando, troverà al suo lavoro. 44 In verità vi dico, lo metterà a capo di tutti i suoi averi. 45 Ma se quel servo dicesse in cuor suo: Il padrone tarda a venire, e cominciasse a percuotere i servi e le serve, a mangiare, a bere e a ubriacarsi, 46 il padrone di quel servo arriverà nel giorno in cui meno se l'aspetta e in un'ora che non sa, e lo punirà con rigore assegnandogli il posto fra gli infedeli. 47 Il servo che, conoscendo la volontà del padrone, non avrà disposto o agito secondo la sua volontà, riceverà molte percosse; 48 quello invece che, non conoscendola, avrà fatto cose meritevoli di percosse, ne riceverà poche. A chiunque fu dato molto, molto sarà chiesto; a chi fu affidato molto, sarà richiesto molto di più.
Meditazione
Tenersi pronti, ma in maniera operosa. Questo il senso dell'ammonizione di Gesù. A chi sono rivolte le sue parole? A noi, suoi servi, che abbiamo ricevuto ogni bene da lui, ma non per trattenerlo, quanto per amministrarlo e condividerlo con gli altri servi.
L'attesa diventa allora un tendere all'altro da sé, un tempo di sollecitudine verso il nostro prossimo. Il servo fedele sarà beato e verrà chiamato a regnare con Cristo.
Il "ritardo del padrone" (v. 45) indica il mutare delle aspettative dei primi cristiani riguardo la venuta imminente di Gesù. Luca si serve della copia di termini greci pais e paidiske, servi e serve, non trascurando l'elemento femminile presente nella comunità cristiana. Luca diffida i suoi lettori dall'interpretare in maniera erronea questo ritardo, che rappresenta il tempo della paziente misericordia del Signore.
La ricompensa del Signore per il servo fedele è un lavoro maggiore, una maggiore responsabilità (v. 44). Infatti, chi è il più grande tra i discepoli si farà servitore (Mc 10,43): è in questa capacità di donarsi che si trova la vera beatitudine, perché "vi è più gioia nel dare che nel ricevere" (At 20,35).
Il servo che attende irresponsabilmente il ritardo del padrone sarà sorpreso come da un ladro nella notte e verrà spogliato di ogni bene: «Perché a chiunque ha sarà dato e sarà nell'abbondanza; ma a chi non ha sarà tolto anche quello che ha» (Mt 25,29). Ciascuno dovrà rendere conto a Dio in proporzione ai doni ricevuti (v. 48).
Gesù invita ogni discepolo a esercitare una speranza operosa, nel riconoscimento delle potenzialità che ogni vita, visitata dalla grazia, racchiude in sé. Ciascuno è chiamato a interrogare la propria coscienza, per ricercare nella quotidianità la volontà di Dio, Signore del tempo, e per offrire una risposta generosa verso di lui e verso l'umanità.
Preghiera
Noi invochiamo il tuo ritorno Signore, ti attendiamo come la sentinella attende l'aurora. Il tuo spirito ci renda operosi nella tua vigna, nella consapevoleza che sei esigente con gli amministratori dei tuoi beni.
- Rev. Dr. Luca Vona
martedì 19 ottobre 2021
Paolo della Croce, annunciatore del mistero pasquale
lunedì 18 ottobre 2021
Luca, evangelista della misericordia
Fermati 1 minuto. Una Chiesa missionaria e con un bagaglio leggero
Lettura
Luca 10,1-9
1 Dopo questi fatti il Signore designò altri settantadue discepoli e li inviò a due a due avanti a sé in ogni città e luogo dove stava per recarsi. 2 Diceva loro: «La messe è molta, ma gli operai sono pochi. Pregate dunque il padrone della messe perché mandi operai per la sua messe. 3 Andate: ecco io vi mando come agnelli in mezzo a lupi; 4 non portate borsa, né bisaccia, né sandali e non salutate nessuno lungo la strada. 5 In qualunque casa entriate, prima dite: Pace a questa casa. 6 Se vi sarà un figlio della pace, la vostra pace scenderà su di lui, altrimenti ritornerà su di voi. 7 Restate in quella casa, mangiando e bevendo di quello che hanno, perché l'operaio è degno della sua mercede. Non passate di casa in casa. 8 Quando entrerete in una città e vi accoglieranno, mangiate quello che vi sarà messo dinanzi, 9 curate i malati che vi si trovano, e dite loro: Si è avvicinato a voi il regno di Dio.
Commento
L'invito di Gesù a pregare affinché Dio mandi operai nella sua messe (v. 2) sta a indicare che Dio solo è qualificato a conferire questo mandato, proprio come nella sua veste regale e messianica Gesù lo conferisce ai settantadue inviati. In alcuni manoscritti il numero dei discepoli è di settanta, forse a indicare i settanta anziani nominati da Mosè.
L'immagine degli agnelli in mezzo ai lupi si riferisce all'ostilità e ai pericoli che i discepoli troveranno durante la loro missione. Viaggiando in coppia potranno sostenersi l'un l'altro. Data l'urgenza del compito e l'impegno richiesto ai missionari, l'invito è di evitare di perdersi dietro i beni materiali e le formalità dei saluti "lungo la strada" (v. 4). Nella cultura del tempo il saluto di una persona prevedeva un elaborato cerimoniale, con molte formalità, come la condivisione di un pasto o una lunga sosta. Il discepolo deve evitare l'attaccamento alle cose e agli intrattenimenti terreni, dando sempre la priorità all'attività di missionaria.
Le parole di Gesù sono pervase di un senso escatologico, attestando la scarsità del tempo a disposizione. Coloro che portano l'annuncio di salvezza viaggiano con passo spedito. I discepoli dovranno entrare nelle case (v. 5) e non predicare nelle sinagoghe. Il messaggio che portano non è rinchiuso negli steccati della religiosità formalizzata e sedentaria del giudaismo farisaico. La Chiesa di Cristo, come attestano anche gli Atti degli apostoli (cfr. At 20,42; 5,20) muove i suoi primi passi come assemblea profetica e domestica. Il vangelo entra nella vita quotidiana e familiare di coloro che lo ricevono, i "figli della pace" (v. 6).
Il comando ai discepoli di mangiare quello che sarà loro messo davanti indica che è abrogata ogni distinzione tra cibi puri e impuri. Condividere il pasto è nel mondo antico un'espressione di intima amicizia. Cibandosi di quel che gli sarà offerto il vero discepolo "si fa tutto a tutti" proprio come testimonierà successivamente l'apostolo Paolo: "mi sono fatto greco con i greci, giudeo con i giudei, mi sono adattato a tutte le situazioni, per salvare ad ogni costo qualcuno" (1 Cor 9,19-22).
Senza il timore di scontrarsi con le forze contrarie del mondo, il messaggio evangelico è capace di adattarsi, "mettendosi a tavola" con l'uomo di ogni luogo e di ogni tempo.
Preghiera
Ti preghiamo Signore, di suscitare nella tua Chiesa operai volenterosi, per portare la benedizione del tuo messaggio di salvezza ad ogni uomo. Amen.
- Rev Dr. Luca Vona
domenica 17 ottobre 2021
Un tempo eravate tenebre
COMMENTO ALLA LITURGIA DELLA VENTESIMA DOMENICA DOPO LA TRINITÀ
Colletta
O Dio onnipotente e misericordioso, per la tua tenera bontà preservaci, ti supplichiamo, da ogni pericolo; affinché possiamo essere pronti, nell'anima e nel corpo, a compiere diligentemente tutte le cose che hai comandato. Per Cristo nostro Signore. Amen.
Letture
Ef 5,15-21; Mt 22,1-14
Commento
La parabola degli invitati a nozze riportata da Matteo si divide in due parti: la prima richiama il giudizio di Israele, per il suo rifiuto del Messia promesso; la seconda, che fa da "chiosa", si riferisce al giudizio individuale, e non è presente negli altri Vangeli.
Troviamo un racconto analogo nel Vangelo di Luca: quello del "gran convito" (Lc 14,15-24), dove il banchetto è preparato da un uomo benestante, mentre in Matteo si narra di un re, che invita alle nozze del proprio figlio. La parabola assume in Matteo un maggiore significato messianico e prefigura le persecuzioni e gli oltraggi che non solo i profeti dell'Antico Testamento, ma anche i discepoli e gli apostoli del Signore, in ogni tempo, subiscono per il suo nome.
Anche la reazione di colui che ha trasmesso l'invito è differente tra i due vangeli. In Luca gli invitati vengono rimpiazzati da mendicanti, mutilati, zoppi e ciechi. In Matteo il re decide di distruggere interamente la città di coloro che hanno rifiutato l'invito: "il re allora si adirò e mando i suoi eserciti per sterminare quegli omicidi e per incendiare la loro città" (Mt 22,7). Gerusalemme, la città di Dio, è ormai diventata "la loro città" perché Dio l'ha abbandonata in mano al nemico (Gerusalemme verrà distrutta dai romani pochi decenni dopo la morte di Cristo). Già nel libro dell'Esodo vediamo che, dopo che Israele si è costruito il vitello d'oro, Dio si rivolge a Mosè chiamando Israele "il tuo popolo" e non più "il mio popolo" (Es 32,7).
A questo punto della vicenda terrena di Gesù vi è un cambio di rotta decisivo, rappresentato dalle parole del re ai suoi servitori: "andate ora ai crocicchi delle strade e tutti quelli che troverete, chiamateli alle nozze". Mentre fino a prima Gesù aveva intimato ai discepoli "Non andate tra i Gentili e non entrate in alcuna città dei Samaritani" (Mt 10,5), tale divieto è ora abolito; lo stesso si può dire della distinzione tra popolo e popolo. Possiamo dire con Paolo che "qui non c'è più Greco e Giudeo, circonciso e incirconciso, barbaro e Scita, servo e libero" (Col 3,11), ma tutti sono del pari peccatori, ai quali viene fatta l'offerta della salvezza in Cristo. Adesso le porte della mensa sono aperte a tutti.
A ben vedere non viene fatta una discriminazione neanche a partire dalle opere: "radunarono tutti quelli che trovarono cattivi e buoni e la sala delle nozze si riempì di commensali" (Mt 22,10). Che la possibilità di presentarsi al banchetto sia data per grazia è chiaro nella descrizione dei nuovi invitati nel Vangelo di Luca: i "mendicanti, mutilati, zoppi e ciechi" (Lc 14,21) rappresentano la nostra natura umana, segnata dalle ferite e dalla cecità del peccato, che ci impediscono di pervenire da soli alla salvezza.
Nel seguito della parabola matteana, invece, "il re, entrato per vedere i commensali, vi trovò un uomo che non indossava l'abito di nozze" (Mt 22,11). L'ingresso del re è l'immagine del giudizio finale e della separazione degli ipocriti dalla Chiesa di Cristo. Egli entra quando tutti gli invitati sono seduti a tavola, come era d'uso nell'antico Oriente.
La fede necessaria per presentarsi al convito è simboleggiata dall'abito di nozze, di cui uno degli invitati è sprovvisto. Era abitudine in oriente, che i re distribuissero agli invitati gli abiti per presentarsi alla festa. Era infatti inammissibile che qualcuno si presentasse con vestiti logori. Risulta chiara in questa immagine l'idea della grazia rifiutata e, dunque, della libertà della coscienza umana, di accogliere il Figlio di Dio e la sua parola salvifica.
Questa immagine è utilizzata anche dal profeta Isaia: "Io mi rallegrerò grandemente nell'Eterno, la mia anima festeggerà nel mio Dio, perché mi ha rivestito con le vesti della salvezza, mi ha coperto col manto della giustizia, come uno sposo che si mette un diadema, come una sposa che si adorna dei suoi gioielli" (Is 61,10).
Benché i peccatori siano invitati ad andare a Cristo nella condizione in cui si trovano e benché la salvezza si ottenga "senza denari e senza prezzo" (Is 55,1), Paolo riconosce che Dio "ci ha grandemente favoriti nell'amato suo figlio" (Ef 1,6), del quale siamo chiamati a rivestirci.
- Rev. Dr. Luca Vona
venerdì 15 ottobre 2021
Fermati 1 minuto. Ditelo sui tetti
Lettura
Luca 12,1-7
1 Nel frattempo, radunatesi migliaia di persone che si calpestavano a vicenda, Gesù cominciò a dire anzitutto ai discepoli: «Guardatevi dal lievito dei farisei, che è l'ipocrisia. 2 Non c'è nulla di nascosto che non sarà svelato, né di segreto che non sarà conosciuto. 3 Pertanto ciò che avrete detto nelle tenebre, sarà udito in piena luce; e ciò che avrete detto all'orecchio nelle stanze più interne, sarà annunziato sui tetti. 4 A voi miei amici, dico: Non temete coloro che uccidono il corpo e dopo non possono far più nulla. 5 Vi mostrerò invece chi dovete temere: temete Colui che, dopo aver ucciso, ha il potere di gettare nella Geenna. Sì, ve lo dico, temete Costui. 6 Cinque passeri non si vendono forse per due soldi? Eppure nemmeno uno di essi è dimenticato davanti a Dio. 7 Anche i capelli del vostro capo sono tutti contati. Non temete, voi valete più di molti passeri.
Commento
Migliaia di persone attorniano Gesù e fanno da sfondo a questa pagina evangelica, contrapposte ai discepoli, ai quali anzitutto (v. 1) egli si rivolge; discepoli che egli chiama amici (v. 4), un termine che comprare quest'unica volta nei vangeli sinottici, ma che è frequente nel vangelo di Giovanni. Il Signore li invita a vigilare, per mettersi al riparo dall'ipocrisia, che qui è paragonata a un lievito, per la sua capacità di diffondersi e moltiplicarsi nella comunità.
Nel Nuovo Testamento troviamo associazioni sia positive che negative all'immagine del lievito. Ad esempio, nei vangeli sinottici (Mt 13,33 e Lc 13,20-21) il lievito, mescolato da una donna con tre misture di farina, è paragonato al regno di Dio. Nella prima lettera ai Corinzi (1 Cor 5,6-7) Paolo contrappone il lievito vecchio al lievito nuovo, ovvero l'immoralità in cui vivevano i destinatari dell'epistola prima di conoscere il vangelo e la rettitudine cui li richiama la conversione.
Il lievito dell'ipocrisia è la tendenza ad agire con doppiezza e a trarre in inganno il proprio interlocutore, un atteggiamento che troviamo sovente descritto nei Salmi: "Con la bocca benedicono, e maledicono nel loro cuore" (Sal 61,5); "Suscitano contese e tendono insidie, osservano i miei passi, per attentare alla mia vita" (Sal 55,7). Proprio l'evangelista Luca, subito prima di questo passaggio evangelico, aveva concluso il brano sulle invettive di Gesù contro i farisei, riportando che questi "cominciarono a farlo parlare su molti argomenti, tendendogli insidie" (Lc 11,53-54).
L'immagine esteriore di irreprensibilità dei farisei è in contrasto con le reali intenzioni del cuore. Ogni credente è chiamato alla coerenza tra essere e apparire: ne va della sopravvivenza della propria integrità (v. 5).
All'atteggiamento dei capi religiosi Gesù contrappone quello che dovrà essere l'agire dei suoi discepoli: una schiettezza nel parlare, al riparo da qualsiasi deriva "esoterica". Non vi è nulla, infatti, dell'annuncio evangelico, che debba essere tenuto nel segreto delle stanze di una casta sacerdotale, anziché essere rivelato in modo aperto e comprensibile. Il dovere della verità è tale che va adempiuto anche laddove la nostra stessa vita potrebbe risultare in pericolo, con piena fiducia nella provvidenza divina.
L'esempio dei cinque passeri venduti per due soldi, l'equivalente di due ore di salario, attesta che Colui che è nei cieli si preoccupa dei minimi dettagli ed eventi della sua creazione. Gesù ci invita a non temere, a essere testimoni coraggiosi della verità, a far risplendere la sua luce e a fare risuonare la sua voce.
Preghiera
Poni, Signore, nei nostri cuori e nelle nostre comunità, il lievito buono della tua parola, affinché fedeli ad essa possiamo crescere in santità e giustizia davanti ai tuoi occhi. Amen.
- Rev. Dr. Luca Vona
Teresa d'Avila e il castello interiore
Oggi la chiesa cattolica e quella anglicana ricordano Teresa di Gesù, monaca e riformatrice del Carmelo. Teresa de Cepeda y Ahumeda nacque nel 1515 ad Avila, in una famiglia della nobiltà spagnola. Donna di temperamento ardente, grande sognatrice, a vent'anni entrò nel Carmelo locale, affrontando la viva opposizione del padre.
Giunta a una profonda conoscenza di se stessa e della presenza di Dio nella propria anima, Teresa lasciò ai posteri, su indicazione del proprio padre spirituale, trattati sulla preghiera e sulla vita interiore che le hanno valso il titolo di dottore della chiesa, conferitole da Paolo VI nel 1970.
Teresa morì il 4 ottobre 1582, ma è ricordata il 15 perché proprio in quel giorno la chiesa d'occidente passò dal calendario giuliano a quello gregoriano.
Tracce di lettura
Possiamo considerare la nostra anima come un castello, fatto di un sol diamante o di un tersissimo cristallo, nel quale vi sono molte dimore, come molte ve ne sono in cielo. Alcune sono in alto, altre in basso, altre ancora laterali; e nel centro, al cuore di tutte, si trova la stanza più importante, dove si svolgono le cose di grande segretezza tra Dio e l'anima.
Non dovete immaginarvi queste dimore una dopo l'altra, come un'infilata di stanze, ma fissate lo sguardo sul centro che è la stanza o il palazzo del Re. Per quanto io ne capisca, la porta per entrare in questo castello è l'orazione e la meditazione.
Le cose dell'anima devono sempre esser considerate con larghezza, vastità e grandezza, senza paura di esagerare, perché l'anima è molto più capace di quanto possiamo immaginare e in tutte le sue parti si espande la luce del Sole che risiede nel mezzo.
(Teresa di Gesù, Castello interiore, Prime mansioni 1 e 2)
Teresa d'Avila (1515-1582) |