Il Rev. Dr. Luca Vona
Un evangelico nel Deserto

Ministro della Christian Universalist Association

giovedì 14 ottobre 2021

Mariologia. Una voce protestante. Principali dati dottrinali (Parte seconda)

Renzo Bertalot, "Ecco la serva del Signore. Una voce protestante", Editore Facoltà Teologica Marianum (2002)


II - PRINCIPALI DATI DOTTRINALI CIRCA MARIA NELLA TRADIZIONE PROTESTANTE (Parte seconda)

4. TEOLOGI DEL SECOLO XX

4.1. Linee generali

Dal sec. XVI al nostro tempo dobbiamo prendere atto che le teologie cattoliche e protestanti si sono sviluppate non solo seguendo ognuna le proprie vie, ma insistendo, il più delle volte, sulle loro contrapposizioni. Così, mentre da parte cattolica troviamo la promulgazione di altri due dogmi mariani, l'Immacolata concezione e l'Assunzione di Maria, nel protestantesimo notiamo un crescente abbandono della linea originale della Riforma. Si parla sempre meno di Maria e si teme che il cattolicesimo diventi sempre più espressamente una religione mariana. Quello che dev'essere detto di Maria va detto anche per i profeti e per gli apostoli, ognuno secondo la propria vocazione specifica, senza graduatorie di priorità. La riflessione teologica protestante non ha un corollario mariologico, che anzi viene energicamente rifiutato. Esso è considerato, prima del Vaticano Il, non più come una spiegazione della regola cristologica, ma come una regola aggiunta (Jacques de Senarlens), come la "somma di tutte le eresie" e "un'ingratitudine a Cristo" (Roger Mehl). Anche dopo il Vaticano Il Karl Barth ne parla come di "un ramo parassitario da potare" perché condannato a morte in partenza e "intimamente bacato". Negli scritti di Oscar Cullmann, Emil Brunner e Paul Tillich non sono posti in discussione i temi classici dell'argomento. Jürgen Moltmann ne accenna in una meditazione sul Magnificat "la marsigliese della comunità cristiana", ma sostanzialmente non si discosta dalla posizione riformata tradizionale: Maria rimane allineata con gli altri testimoni biblici, anche se essa è "in maniera unica il compimento di un essere umano che viene reso letteralmente corpo materno del salvatore del mondo".

Oggi non si può dire che vi siano ragioni di scontro sull'espressione "madre di Dio". Il termine è biblico (Lc 1,43). Le posizioni della Riforma sono confermate e si nota, fin dagli anni precedenti il Vaticano II, un consenso tra tutte le chiese cristiane. Giovanni Miegge lo esprimeva, allora, richiamandosi - lui valdese - alle parole stesse di G. Roschini, noto mariologo cattolico. "Se guardiamo bene, le formule "madre di Cristo" e "madre di Dio" sono sinonime, e significano una sola e stessa cosa. La beata Vergine, infatti, non è detta "madre di Dio" in quanto generò la divinità o la natura divina del Verbo (ciò sarebbe eretico), ma perché generò l'umana natura assunta dal Verbo nell'unità della persona, ossia perché generò secondo l'umanità una persona avente l'umanità e la divinità" (2).

4.2. Max Thurian

Come eccezione all'impostazione protestante odierna della riflessione su Maria, bisogna ricordare la scuola di Taizé. A differenza del mondo protestante, in genere, e, forse, in assonanza con altri orientamenti, sorti nelle nuove forme di vita comunitaria, la ricerca su Maria è corroborata dalla presenza di icone e dalla recita dell'Ave Maria. Questi tentativi hanno avuto senz'altro il merito di rompere il silenzio e di cercare le premesse per un dialogo ecumenico. Tra i teologi che si sono particolarmente impegnati in questa direzione va ricordato Max Thurian. Il suo libro Maria Madre del Signore, immagine della Chiesa (3) è stato ampiamente apprezzato nell'area cattolica, ma non ha goduto dello stesso consenso nel mondo della Riforma. Le sue conclusioni sono eccessivamente basate sull'allegoria e non trovano, ad occhi protestanti, un supporto sufficiente al momento della verifica con i testi del NT. Egli vede, per esempio, come primo anello di una lunga catena, un titolo di Maria nell'espressione biblica "figlia di Sion". Già da un punto di vista linguistico potrebbero sorgere grosse riserve non appena si fa il confronto con altri modi di esprimersi che sono simili: "figlia di Babilonia" (Is 47,1), "figlia dei caldei" (Is 47,5), "figlia d'Egitto" (Ger 46,11). Si tratta molto probabilmente di formule idiomatiche per indicare la città o la nazione. Inoltre non sempre la bibbia parla della "figlia di Sion" in termini positivi o riferibili a Maria (Is 1,8; 3,16). Infine il NT non conosce esplicitamente l'applicazione di questo titolo a Maria. Il Signore se ne serve per indicare la città di Gerusalemme (Gv 12,15; Mt 21,5). Gli apostoli ignorano il parallelismo e ne adoperano altri come "Gerusalemme celeste" o Sara (Gal 4,21-31). Questi limiti dell'opera di Max Thurian rischiano di controbilanciare i meriti e non facilitano il richiamo dell'attenzione teologica protestante.

4.3. Karl Barth

Sono pochi i teologi che hanno inciso così fortemente sulla teologia della nostra epoca come K. Barth. Il suo pensiero ha suscitato consensi e nuovi orientamenti ben al di là della propria confessione riformata. Per quanto riguarda il nostro tema egli non si discosta sostanzialmente dalla tradizione generale del protestantesimo. Non ammette una mariologia perché passa accanto alla Maria reale. Non la ritiene determinante neppure per il rinnovamento cattolico avviato con il Vaticano II. Egli ci offre, tuttavia, il materiale teologico necessario per iniziare un discorso più rigoroso.

La Scrittura dice che tutti noi siamo stati "ribelli" e "per natura meritevoli d'ira, come gli altri" (Ef 2,3). Per Barth, Maria non fa eccezione e i padri lo confermano dicendo che tutta la natura umana è condannata. A Natale, tuttavia, assistiamo ad un fatto nuovo che Barth interpreta in assonanza con alcuni teologi cattolici. Giuseppe, come maschio, come rappresentante della storia e dell'iniziativa dell'uomo, è scartato dall'agire di Dio. Maria, invece, come donna rappresentante dell'umanità nel suo insieme, è visitata dall'alto. È nella giustificazione e nella santificazione che la natura umana, compresa quella di Maria, viene strappata alla sua fatalità e resa degna di Dio.

Detto questo, Barth fa un parallelo tra Israele e Maria. Entrambi sono "ammessi" e "accolti" per essere uniti al Figlio di Dio; confermano l'opera di Dio senza concorrervi. La loro esistenza è perciò privilegiata, che lo sappiano o no. Il loro essere è illuminato dal Regno, che si è avvicinato in Cristo, ed è orientato in modo preciso da questa determinazione. Sono beati in quanto è dato loro di sapere. Maria, infatti, crede, perché è colmata di grazia. Non v'è nulla di più grande dello sguardo di Dio rivolto alla "bassezza" di Maria. Ciò che è vero per lei è vero per noi. La nostra vocazione è di essere al suo fianco: di lasciar fare a Dio. Maria è una parabola della chiesa, è "l'esempio di una cristianità che serve unicamente e chiaramente il Signore", "che coopera con lui esclusivamente sotto forma di servizio". All'inizio della sua monumentale dogmatica Barth parla di una presenza passiva di Maria, sottolineando il miracolo di Natale, ma alla fine della sua opera non esita ad affermare che nello Spirito Santo non siamo passivi, ma resi attivi e liberi (4). Non è una contraddizione all'interno del suo pensiero, ma un dire con chiarezza qual è il ruolo di Maria nell'iniziativa dì Dio senza confondere l'uno con l'altra.

Note

(3) M. THURIAN, Maria Madre del Signore, immagine della Chiesa, Morcelliana, Brescia 1965.

(4) K. BARTH, Dogmatique, Labor et Fides, Genève, vol. 3, p. 182 ss; vol. 20, p. 323 ss; vol. 21, p. 20 ss.