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Il Rev. Dr. Luca Vona
Un evangelico nel Deserto
Ministro della Christian Universalist Association
Ministro della Christian Universalist Association
domenica 31 gennaio 2021
Ciò che la sola legge non può dare
venerdì 29 gennaio 2021
Fermati 1 minuto. Hai mai colto l'attimo in cui una pianta cresce?
giovedì 28 gennaio 2021
Gli evangelici svizzeri contro la nuova legge su matrimonio e tecnologie riproduttive per coppie LGBT
Fermati 1 minuto. Gli abbagli del mondo e la luce di Cristo
Tommaso d'Aquino. Rendere ragione della speranza
Nel 1274, mentre si sta recando al concilio di Lione, muore nei pressi dell'abbazia di Fossanova Tommaso d'Aquino, frate domenicano.
Nato nei pressi di Aquino, vicino a Napoli, Tommaso entrò a circa diciotto anni nell'Ordine dei predicatori. Discepolo di Alberto Magno a Colonia e a Parigi, egli insegnò in queste città e poi a Roma, Bologna e Napoli. Tommaso fu autore di una considerevolissima opera teologica, che lasciò incompiuta, e fu con Bonaventura il più grande pensatore cristiano d'occidente del XIII secolo.
San Tommaso d'Aquino (1224/25-1274), affresco del beato Angelico, Museo nazionale di San Marco, Firenze |
mercoledì 27 gennaio 2021
Fermati 1 minuto. Gesù, parola che si è fatta seme
martedì 26 gennaio 2021
Fermati 1 minuto. Una Chiesa missionaria e con un bagaglio leggero
Lettura
Luca 10,1-9
1 Dopo questi fatti il Signore designò altri settantadue discepoli e li inviò a due a due avanti a sé in ogni città e luogo dove stava per recarsi. 2 Diceva loro: «La messe è molta, ma gli operai sono pochi. Pregate dunque il padrone della messe perché mandi operai per la sua messe. 3 Andate: ecco io vi mando come agnelli in mezzo a lupi; 4 non portate borsa, né bisaccia, né sandali e non salutate nessuno lungo la strada. 5 In qualunque casa entriate, prima dite: Pace a questa casa. 6 Se vi sarà un figlio della pace, la vostra pace scenderà su di lui, altrimenti ritornerà su di voi. 7 Restate in quella casa, mangiando e bevendo di quello che hanno, perché l'operaio è degno della sua mercede. Non passate di casa in casa. 8 Quando entrerete in una città e vi accoglieranno, mangiate quello che vi sarà messo dinanzi, 9 curate i malati che vi si trovano, e dite loro: Si è avvicinato a voi il regno di Dio.
Commento
L'invito di Gesù a pregare affinché Dio mandi operai nella sua messe (v. 2) sta a indicare che Dio solo è qualificato a conferire questo mandato, proprio come nella sua veste regale e messianica Gesù lo conferisce ai settantadue inviati. In alcuni manoscritti il numero dei discepoli è di settanta, forse a indicare i settanta anziani nominati da Mosè.
L'immagine degli agnelli in mezzo ai lupi si riferisce all'ostilità e ai pericoli che i discepoli troveranno durante la loro missione. Viaggiando in coppia potranno sostenersi l'un l'altro. Data l'urgenza del compito e l'impegno richiesto ai missionari, l'invito è di evitare di perdersi dietro i beni materiali e le formalità dei saluti "lungo la strada" (v. 4). Nella cultura del tempo il saluto di una persona prevedeva un elaborato cerimoniale, con molte formalità, come la condivisione di un pasto o una lunga sosta. Il discepolo deve evitare l'attaccamento alle cose e agli intrattenimenti terreni, dando sempre la priorità all'attività di missionaria.
Le parole di Gesù sono pervase di un senso escatologico, attestando la scarsità del tempo a disposizione. Coloro che portano l'annuncio di salvezza viaggiano con passo spedito. I discepoli dovranno entrare nelle case (v. 5) e non predicare nelle sinagoghe. Il messaggio che portano non è rinchiuso negli steccati della religiosità formalizzata e sedentaria del giudaismo farisaico. La Chiesa di Cristo, come attestano anche gli Atti degli apostoli (cfr. At 20,42; 5,20) muove i suoi primi passi come assemblea profetica e domestica. Il vangelo entra nella vita quotidiana e familiare di coloro che lo ricevono, i "figli della pace" (v. 6).
Il comando ai discepoli di mangiare quello che sarà loro messo davanti indica che è abrogata ogni distinzione tra cibi puri e impuri. Condividere il pasto è nel mondo antico un'espressione di intima amicizia. Cibandosi di quel che gli sarà offerto il vero discepolo "si fa tutto a tutti" proprio come testimonierà successivamente l'apostolo Paolo: "mi sono fatto greco con i greci, giudeo con i giudei, mi sono adattato a tutte le situazioni, per salvare ad ogni costo qualcuno" (1 Cor 9,19-22).
Senza il timore di scontrarsi con le forze contrarie del mondo, il messaggio evangelico è capace di adattarsi, "mettendosi a tavola" con l'uomo di ogni luogo e di ogni tempo.
Preghiera
Ti preghiamo Signore, di suscitare nella tua Chiesa operai volenterosi, per portare la benedizione del tuo messaggio di salvezza ad ogni uomo. Amen.
- Rev Dr. Luca Vona
lunedì 25 gennaio 2021
La conversione di Paolo, afferrato dalla misericordia
Fermati 1 minuto. Il dovere e la grazia dell'annuncio
Lettura
Marco 16,15-18
15 Gesù disse loro: «Andate in tutto il mondo e predicate il vangelo ad ogni creatura. 16 Chi crederà e sarà battezzato sarà salvo, ma chi non crederà sarà condannato. 17 E questi saranno i segni che accompagneranno quelli che credono: nel mio nome scacceranno i demòni, parleranno lingue nuove, 18 prenderanno in mano i serpenti e, se berranno qualche veleno, non recherà loro danno, imporranno le mani ai malati e questi guariranno».
Commento
Gesù, che in precedenza aveva chiesto agli apostoli di predicare il vangelo della salvezza alle pecore perdute della casa di Israele (Mt 10,5-6; 15,24), estende ora questa missione nei confronti del mondo intero (v. 15). Undici apostoli non potranno da soli adempiere a un compito così grande, ma insieme ai settandadue discepoli e ad altri che si aggiungeranno loro di generazione in generazione, getteranno il seme del vangelo verso i quattro angoli della terra.
Il "grande mandato" è simile nei Vangeli di Matteo e Marco. Attraverso il battesimo si entra nella Chiesa, la comunità di Gesù-risorto, e la funzione della Chiesa è di evangelizzare "ogni creatura" (v. 15).
I miracoli, che all'inizio della predicazione di Gesù sono stati "segni" per suscitare la fede, divengono ora espressione del regno di Dio che si fa strada nella storia. Quella che viene delineata da Gesù e un'umanità riconciliata: la pacifica convivenza con i serpenti velenosi, la capacità di affrancare dagli influssi del male, la ritrovata comprensione senza che si perda la ricchezza delle differenze, sono i segni di un cielo nuovo e di una terra nuova (Ap 21,1), promessi dal Risorto nel nuovo patto siglato sulla croce.
Pur coltivando il dialogo tra fedi e culture differenti, nella solidarietà suscitata dalla comune natura umana e nel riconoscimento della diversità come benedizione, non può essere trascurata l'urgenza e la responsabilità dell'annuncio evangelico: "guai a me se non predicassi il vangelo!" eslama l'apostolo Paolo (1 Cor 9,16), afferrato dalla misericordia del Risorto.
Annunciare Cristo significa partecipare alla sua missione sacerdotale, per liberare l'uomo da ciò che lo rende schiavo, non lasciarsi danneggiare dalla malvagità di questo mondo ma saperne curare e guarire le ferite.
Preghiera
Rinnova in noi, Signore, il fervore per l'annuncio della tua Parola; affinché possiamo essere dispensatori della tua grazia che salva e guarisce. Amen.
- Rev. Dr. Luca Vona
domenica 24 gennaio 2021
Il ministero della felicità
sabato 23 gennaio 2021
L'Osservatore Romano ricorda Valdo Vinay
venerdì 22 gennaio 2021
Fermati 1 minuto. Plasmati secondo la sua volontà
La proposta del Pastore Paolo Ricca: un concilio per tutti i cristiani
È la via che intravede l’autorevole teologo valdese per una «diversità riconciliata». Le Chiese dovrebbero uscire dal monologo dell’«io basto a me stessa» per stare come in un mosaico, tutte intorno al Signore. Ne parla in un'intervista rilasciata a Vittoria Prisciandaro sul mensile Jesus (1/2021) che riproponiamo integralmente qui.
Il Pastore e teologo Paolo Ricca |
Professor Ricca, quali sono a suo parere i passi più importanti compiuti finora nel cammino ecumenico tra le Chiese cristiane? E qual è il compito più significativo che abbiamo davanti a noi?
«La cosa più importante è che, seppur lentamente, si sta diffondendo nel cristianesimo in generale la consapevolezza che oggi non si può essere cristiani se non si è ecumenici. L’impostazione in modo ecumenico della vita cristiana sia dei singoli che delle parrocchie, comunque della Chiesa nel suo insieme, è imprescindibile. Se, come fino a un secolo fa, si è cristiani solo in maniera confessionale, cioè ciascuno all’interno della propria confessione, nella migliore delle ipotesi si è cristiani a metà. L’ecumenismo è in fondo un fenomeno recente, iniziato solo nella seconda metà dell’Ottocento: è un processo che avanza lentamente, ma progressivamente in quasi tutte le Chiese cristiane. Il cattolicesimo è entrato in ritardo nel movimento, solo negli anni Sessanta del secolo scorso, ma con la volontà e capacità di strutturare immediatamente l’idea ecumenica, già a partire dal concilio Vaticano II, dando così una continuità e una solidità alla svolta ecumenica in casa cattolica dalla quale non si torna indietro».
Quali sono, invece, gli ostacoli maggiori nel dialogo?
«L’ostacolo maggiore è la lentezza che le Chiese tutte hanno a uscire dalla mentalità del monologo ed entrare in quella del dialogo. Cioè ad abbandonare l’idea dell’autosufficienza, che la propria Chiesa basta a realizzare il cristianesimo. La scoperta ecumenica è proprio questa: una Chiesa, piccola o grande che sia, non basta, c’è sempre un deficit. La mia identità confessionale, qualunque essa sia, è deficitaria rispetto alla realizzazione della pienezza dell’essere cristiano. Siamo vissuti per secoli nella convinzione che ciascuno avesse la pienezza cristiana, oggi la difficoltà maggiore è uscire da questa gabbia e capire che tu hai bisogno dell’altro cristiano per essere cristiano».
Una consapevolezza più che mai urgente, oggi che i cristiani sono chiamati a dialogare con fedeli di religioni diverse in società sempre più pluraliste. Qual è a suo parere il giusto approccio al dialogo interreligioso?
«È evidente che è urgente, ma attenzione, perché se si sovrappone il problema interreligioso a quello ecumenico si crea una grande confusione. L’unità cristiana si fa intorno a Cristo e non intorno a un’idea di unità generale o a un Dio che non ha più il profilo cristiano perché deve essere accettevole a tutti gli altri. Nella logica spirituale il dialogo interreligioso è un momento ulteriore, che va coltivato anche parallelamente a quello intercristiano, ma senza sovrapporre il primo al secondo».
In Italia come è andato il cammino ecumenico?
«In Italia c’era un problema ulteriore: la sproporzione, non solo numerica, tra protestantesimo, cattolicesimo e ortodossia rendeva molto difficile il dialogo ecumenico. Ma devo dire a onore del cattolicesimo italiano nel suo insieme, che questa difficoltà, che era notevole, è stata superata. Ed è una cosa bella che merita di essere detta. Senza dimenticare che qui c’è anche il Vaticano. In altri Paesi si sono fatti più progressi, ma in generale possiamo essere soddisfatti della qualità attuale del dialogo ecumenico, dell’incontro, della fiducia reciproca. In Italia direi che siamo a livelli europei».
Il dialogo talvolta è difficile anche all’interno della stessa Chiesa o famiglia ecclesiale. Quali sono, in proposito, i nodi nel mondo protestante? Cosa spera per il futuro?
«Nella storia del protestantesimo è successo che la pluralità, che era in generale suggerita dalla diversità interna al messaggio cristiano complessivo, è sfociata sovente in divisione. Non si è stati cioè capaci di convivere in armonia senza un Papa, senza un’autorità centrale. Il papato è il modo cattolico di temperare diversità e unità, per cui il cattolicesimo romano ha al suo interno enormi diversità, al prezzo di un’unità centralizzata e ferrea nella sua struttura. Cosa che nel protestantesimo non è mai esistita e non esisterà mai. Il prezzo è stato che la diversità è sfociata in divisione, in una perdita di cattolicità. Paradossalmente questo si abbina al fatto che ciascuna confessione, anche quelle relativamente piccole dal punto di vista numerico, come può essere la Chiesa avventista del settimo giorno, è Chiesa mondiale, ha conservato al suo interno una cattolicità non cattolica. Il recupero della cattolicità è per me un compito ecumenico, una priorità del protestantesimo. Quindi, in sintesi, direi che sono due gli obiettivi: mantenere saldamente l’ancoraggio alla Sacra Scrittura, perché il protestantesimo è nato da lì, come momento di profetismo biblico. E poi, mantenere la diversità liberandosi dalla divisione, inventando un modo storicamente realizzabile, per avere questa “diversità riconciliata”. Probabilmente la soluzione è la conciliarità».
Che cosa significa concretamente? Come immagina questa “conciliarità”?
«La immagino come unità conciliare dell’unica Chiesa cristiana, come nella Chiesa cristiana antica. Il Concilio è stata la prima e fondamentale forma dell’unità cristiana, fin dal cosiddetto Concilio di Gerusalemme, del libro degli Atti, capitolo 15. Le Chiese ortodosse, giustamente, identificano la storia dell’unità cristiana con la storia dei Concili veramente ecumenici, nei quali cioè tutta la Chiesa era rappresentata. Così dovrà essere nel futuro, anche se sono tante le difficoltà per realizzare oggi un Concilio veramente ecumenico. Probabilmente bisognerà partire dalle Chiese locali e da lì, lentamente e pazientemente, costruire o ricostruire una coscienza conciliare della Chiesa andata smarrita nei secoli passati».
Come interpreta il magistero di papa Francesco sotto l’aspetto del dialogo ecumenico?
«Ambivalente. Ha compiuto dei gesti nuovi importantissimi, si è fatto quasi luterano con i luterani, quando è andato ad aprire le commemorazioni dei 500 anni della Riforma nella cattedrale di Lund, con i leader della Federazione luterana mondiale. Cosa che i suoi predecessori non avrebbero mai fatto. Sono cose che resteranno nella memoria della Chiesa. Questo è l’aspetto nuovo, positivo, estremamente promettente. Quello che però mi lascia un po’ perplesso è il fatto che non ha modificato in nulla la dottrina. Il Concilio, ad esempio, parla di “fratelli separati”. Collocato nel suo tempo era un passo avanti enorme. Ma oggi quella formula non va più, non descrive più la realtà, non si può più parlare così. Così come l’espressione delle Chiese protestanti chiamate “comunità ecclesiali”, che non vuol dire nulla o peggio significa Chiese a metà… Come si fa, con Chiese che hanno avuto centinaia di martiri… Oggi queste espressioni andrebbero cambiate, erano cose che a quel tempo erano un passo avanti; ma oggi, che abbiamo fatto altri passi, vanno superate. Bisogna descrivere la situazione attuale. Il Papa stesso non pensa in termini di “fratelli separati”, non agisce così. Allora lo dica. Per questo dò un giudizio ambivalente. Anche perché potrebbe venire un altro Papa e dire che nulla è cambiato: così resteremmo al Vaticano II, che sarebbe un tornare indietro».
Si parla spesso del cosiddetto «ecumenismo del sangue». Le persecuzioni di oggi che interrogativi pongono alle Chiese?
«È un ecumenismo involontario che testimonia che cristiani di diverse Chiese, dal cattolico al pentecostale, vivono la loro fede come cristiani, sono martiri della Chiesa di Dio, non di quella battista, riformata o cattolica o copta. Questo è l’ecumenismo. Meravigliosa e tragica testimonianza della coscienza cristiana fondamentale, per la quale è in gioco Cristo, non una confessione o una Chiesa. È la fede cristiana la posta in gioco, e per Cristo vale anche la pena di sacrificare la propria esistenza».
Esiste poi l’ecumenismo della vita, nella carità. Le grandi migrazioni di massa, la giustizia sociale, le povertà materiali e spirituali di interi popoli… Fenomeni del genere che tipo di testimonianza chiedono alle Chiese?
«Sono cose molto belle da incoraggiare, moltiplicare. È un tipo di unità, anche se non è totale. L’unità cristiana si svolge a due livelli fondamentali, di azione e di dottrina. Nella prima ci si intende facilmente, il raggio di cooperazione è molto ampio. E, da un certo punto di vista, è più “facile”, perché pone meno problemi della seconda».
Oggi la salvaguardia dell’ambiente e di un’ecologia integrale, al centro della Laudato si’ e del magistero del patriarca Bartolomeo, è una nuova frontiera ecumenica?
«Certo. E le Chiese, come sempre, arrivano tardi. Ricordo che il tema ecologico era posto dal movimento ecumenico fin dagli anni Settanta, con il famoso programma, intorno al quale si sono fatte assemblee mondiali, “Pace, giustizia e salvaguardia del creato”. È una trinità che deve essere mantenuta. Io stesso a quel tempo mi sono stupito di sentir parlare, a livello ecumenico, del problema dell’acqua. Non esisteva ancora a livello di coscienza, né cristiana né civile, la consapevolezza del grande problema dell’acqua per l’umanità. Il problema ecologico per l’intera umanità, a livello ecumenico, è stato posto da tempo. Le Chiese sono state avvertite. E speriamo che finalmente queste cose divengano patrimonio della vita».
La vita delle Chiese si intreccia con la storia del mondo. E oggi numerosi sono gli episodi di “cronaca”, i temi cosiddetti sensibili, che creano frizione nel mondo delle Chiese. Quali i nodi più grandi?
«Sui temi cosiddetti sensibili, che sono effettivamente difficili e complessi, rientra il discorso che facevo sull’insufficienza delle Chiese a essere Chiese da sole. La Chiesa cattolica affronta il problema dell’eutanasia: perché non interroga la altre prima di pronunciarsi? Quella protestante approva l’aborto come diritto della donna. Perché non si confronta prima con Chiese che, su questo punto, la pensano diversamente? È questo il problema. Le Chiese dovrebbero uscire dal monologo, dall’ “io basto a me stessa”, per dare una risposta cristiana all’eutanasia, all’aborto… Non basti a te stessa, confrontati con le altre che su questo punto la pensano diversamente, non per assumere il loro punto di vista, ma per dire almeno che la tua è una posizione tra le altre. Ma nessuna Chiesa lo dice, perché tutte, essendo ancora malate di autosufficienza, dicono che la loro è “la” posizione cristiana».
Nella sua vita quali sono stati i momenti in cui ha sentito più forte questa unità?
«Appartengo a una piccola Chiesa, quella valdese, e man mano che ho scoperto le altre Chiese, le altre tradizioni, mi è venuta la nostalgia dell’unità. Grazie a Dio ho fatto tante esperienze: la liturgia ortodossa partecipando a Mosca a certi riti, addirittura a un pontificale, una liturgia presieduta dal patriarca; o a culti luterani vecchia maniera, o pentecostali in cui mi chiedevano di predicare… Ho partecipato a diversi modi di rendere culto a Dio. È una ricchezza, una cosa bella questa varietà, questo pregare con la stessa tensione verso Dio. Man mano che conosci gli altri cristiani diventi un nostalgico dell’unità, intesa non alla vecchia maniera, ma come pluralità condivisa, accettata, gradita. La si desidera. Non è un momento, è un processo, quello di conoscere l’altro cristiano. E non si finisce mai. La Chiesa è un mosaico, tante tessere, tante storie, tante vicende. Tutte intorno al Signore».
(Ripreso dal sito "Alzo gli occhi verso il cielo")
Santa Damiana e le quaranta martiri
Agli inizi del IV secolo, nella provincia egiziana di Parallos, a nord del delta del Nilo, muoiono decapitate l'igumena Damiana e le quaranta monache del suo monastero. Figlia di Marco, governatore locale, Damiana era stata educata alla fede dal padre. All'età di quindici anni, desiderosa di dedicarsi totalmente alla preghiera e alla meditazione delle Scritture, chiese il permesso di ritirarsi con alcune compagne in un luogo adatto alla vita monastica. Marco, che era un uomo di grande generosità, fece allora costruire per loro un monastero ben protetto.
Santa Damiana, mosaico. |
Sopraggiunta la persecuzione di Diocleziano, Marco fu tra i primi, per la sua posizione, a essere invitato ad apostatare. E così avvenne, almeno in un primo tempo; più tardi Damiana, donna di grande coraggio e fermezza, convinse il padre a rinnegare l'apostasia. Questi confessò pubblicamente la propria fede e fu decapitato. L'imperatore, saputo il ruolo di Damiana e delle sue compagne in ciò che era accaduto, tentò inutilmente di farle apostatare. Morirono tutte martiri, e sul luogo del loro martirio esiste tuttora un monastero femminile che porta il loro nome.
- Dal Martirologio ecumenico della Comunità monastica di Bose
giovedì 21 gennaio 2021
Predicazione, cura pastorale e salute mentale
- Tieni presente che le persone vogliono sperimentare come la Parola di Dio ha rilevanza in tutti i passaggi della loro storia personale. Alcune storie di vita sono piene di vergogna, frustrazione, paura, rabbia, tristezza, sogni non realizzati, relazioni interrotte, angoscia e simili. Man mano che il messaggero si avvicina alla loro realtà, il suo impatto diventa un sano spazio di consapevolezza, speranza, significato, scopo e crescita. Pertanto, fai spazio per entrare in contatto con le esigenze delle persone.
- Mostra alle persone come l'amore incondizionato di Dio è sempre presente. A volte comunichiamo e articoliamo molto bene le verità bibliche, ma i concetti sembrano molto freddi e distanti da ciò che le persone stanno vivendo nella propria realtà. Pertanto, si alienano da Dio. Dalla Genesi all'Apocalisse, vediamo l'amore e la presenza incondizionati di Dio. Egli ha mostrato costantemente una vicinanza all'umanità. Ci ricorda ripetutamente che non è distante dalla nostra storia personale.
- Assicurati che il messaggio presenti un uomo e una donna che sono ancora in un processo, non un prodotto finito. Paolo lo ha visualizzato nella sua sana esperienza personale: "Non che io abbia già ottenuto tutto questo o sia già arrivato alla perfezione; ma proseguo il cammino per cercare di afferrare ciò per cui sono anche stato afferrato da Cristo Gesù" (Fil 3,12)
- In qualità di messaggero, sii realistico con il messaggio. Una delle responsabilità chiave per chi si occupa di cura pastorale non è generare false aspettative o promesse, ma gettare le basi di salute, amore e cura. Non ci sono risposte facili per i problemi complessi della vita. Tuttavia, non evitarli o ignorarli. Possiamo ascoltare e accompagnare coloro a cui teniamo nel loro pellegrinaggio e confidare in Dio che nel tempo che ci è stato dato possa rispondere.
- Siate consapevoli che tra i nostri fedeli, spettatori e lettori ci sono persone che stanno affrontando problemi di salute mentale, in uno spettro da moderato a cronico.5 C'è speranza anche per loro. È stato rilevato che "la maggior parte dei pastori, dei familiari e delle persone con malattie mentali acute concordano sul fatto che i cristiani con malattie mentali acute possono prosperare spiritualmente". 6 Nonostante la loro situazione personale o familiare, è possibile un cambiamento o una guarigione strutturale o funzionale. Una parola di incoraggiamento, speranza, presenza di Dio e amore incondizionato durante il loro trattamento e cura è come acqua nel deserto.
Fermati 1 minuto. Lasciare spazio per comprendere
Lettura
Marco 3,7-12
7 Gesù intanto si ritirò presso il mare con i suoi discepoli e lo seguì molta folla dalla Galilea. 8 Dalla Giudea e da Gerusalemme e dall'Idumea e dalla Transgiordania e dalle parti di Tiro e Sidone una gran folla, sentendo ciò che faceva, si recò da lui. 9 Allora egli pregò i suoi discepoli che gli mettessero a disposizione una barca, a causa della folla, perché non lo schiacciassero. 10 Infatti ne aveva guariti molti, così che quanti avevano qualche male gli si gettavano addosso per toccarlo. 11 Gli spiriti immondi, quando lo vedevano, gli si gettavano ai piedi gridando: «Tu sei il Figlio di Dio!». 12 Ma egli li sgridava severamente perché non lo manifestassero.
Commento
Il ritirarsi di Gesù presso il lago di Gennesaret, che segna il confine con i territori pagani, indica la sua definitiva rottura con la sinagoga e l'apertura del suo messaggio a tutti i popoli. Le folle che lo seguono testimoniano la sua grande fama, nonostante l'ostilità dei farisei e degli erodiani.
La folla è tale che rischia di schiacciare Gesù, le persone si gettano addosso a lui, come indica il verbo greco thlibo, il cui significato è stringere creando un senso di oppressione. Gesù "si difende" salendo su una barca. A volte anche chi ha fede costringe Dio dentro categorie che ne fanno quasi un "idolo", con una devozione che guarda solo alla ricerca del miracolo.
Gesù ha pietà anche di queste folle di uomini "semplici" e afflitti. I mali da cui cercano la guarigione coloro che si gettano addosso a lui sono letteralmente "piaghe" (gr. mastigas), termine con il quale si indicavano diverse patologie, ma che può essere inteso anche con il significato di "correzione, castigo". Come le piaghe inviate agli egiziani e quelle descritte nel libro dell'Apocalisse, si tratta di mali inviati da Dio per sollecitare il ravvedimento.
I demòni riconoscono l'identità di Gesù, ma pur temendola, non si sottomettono ad essa. Dio ci chiama a stabilire una relazione con lui, a crescere nella carità e non solo nella conoscenza intellettuale del suo mistero. Per quanto ricca possa essere la nostra cultura teologica non varrà a niente se l'ortoprassi non sarà all'altezza dell'ortodossia.
Gesù riprende i demòni, intimandogli di non rivelare la sua identità; egli vuole essere accolto dagli uomini non per la testimonianza degli spiriti maligni ma per le proprie opere e per le proprie parole, che proclamano chiaramente chi egli è. Per questo ristabilisce una distanza dalle moltitudini; una distanza piena di sollecitudine, ma in grado di lasciare spazio a una considerazione più attenta e meditata, meno "istintiva", sulla sua persona.
Preghiera
Donaci, Signore, di cercarti con cuore puro; affinché possiamo accoglierti come colui che con le proprie piaghe è venuto a sanare le ferite prodotte in noi dal peccato. Amen.
- Rev. Dr. Luca Vona
Agnese. La mitezza che confonde le potenze del mondo
Nella seconda metà del III secolo, il 21 gennaio di un anno a noi ignoto, muore martire a Roma Agnese, appena tredicenne. La sua grande forza d'animo, che le derivava secondo gli agiografi da una fede incrollabile a dispetto della sua fragilità di adolescente e della sua esile figura, ne fecero una delle martiri più famose di tutta la cristianità. La sua Passio, giunta a noi nelle versioni greca, latina e siriaca del V secolo, era già conosciuta da tutti i grandi padri della chiesa. Ambrogio, Agostino, papa Damaso, Girolamo, Massimo di Torino, Gregorio Magno, Beda il Venerabile, Prudenzio, e poi i poeti carolingi, e infine Jacopo da Varagine, offriranno dei ritratti toccanti della giovane Agnese, fondati tutti su una tradizione orale di antichissima memoria.
Sant'Agnese (III sec.), mosaico, Roma |
Anche l'iconografia della santa ebbe uno sviluppo enorme. Nelle immagini, soprattutto medievali, Agnese appare con a fianco un agnello, a ricordo del suo nome e del sogno avuto, secondo la leggenda otto giorni dopo la sua morte, dai suoi genitori che la videro insieme ad altre martiri sfilare accanto a un agnello senza macchia (cf. 1 Pt 1,19). Sul luogo della sua deposizione fu edificata, una basilica che, più volte rimaneggiata, fu in seguito ricostruita in stile bizantino e che ancor oggi è una delle principali chiese di Roma. Il nome di Agnese è ricordato nel Canone romano, la principale preghiera eucaristica della chiesa latina.
- Dal Martirologio ecumenico della Comunità monastica di Bose
mercoledì 20 gennaio 2021
Fermati 1 minuto. Non un pugno chiuso ma una mano tesa
Lettura
Marco 3,1-6
1 Entrò di nuovo nella sinagoga. C'era un uomo che aveva una mano inaridita, 2 e lo osservavano per vedere se lo guariva in giorno di sabato per poi accusarlo. 3 Egli disse all'uomo che aveva la mano inaridita: «Mettiti nel mezzo!». 4 Poi domandò loro: «È lecito in giorno di sabato fare il bene o il male, salvare una vita o toglierla?». 5 Ma essi tacevano. E guardandoli tutt'intorno con indignazione, rattristato per la durezza dei loro cuori, disse a quell'uomo: «Stendi la mano!». La stese e la sua mano fu risanata. 6 E i farisei uscirono subito con gli erodiani e tennero consiglio contro di lui per farlo morire.
Commento
Gesù entra nella sinagoga di Cafarnao. Qui trova l'occasione per chiarire ulteriormente il senso del sabato, contro la polemica dei farisei appena avvenuta per le spighe strappate dai discepoli per sfamarsi. La sua predicazione avviene più con le opere che con le parole. Vi è un uomo con una mano paralizzata ed egli lo invita a mettersi nel centro della sala di culto. Quest'uomo è posto di fronte ai farisei quasi come simbolo della loro paralisi dottrinale e del legalismo cui hanno reso soggetto il popolo di Dio.
I dottori della legge non hanno né pietà per il malato, né devozione per colui che può guarirlo, così anziché intercedere stanno a guardare, con occhio malevolo, per accusare Gesù di aver violato il riposo sabbatico.
La domanda di Gesù se sia lecito in giorno di sabato fare il bene o il male, salvare una vita o toglierla (v. 4) non può che avere un'unica risposta per colui che è realmente guidato dalla pietà religiosa. Ma nessuno parla, e quel silenzio che spesso è complice dell'ingiustizia, suscita in Gesù indignazione e tristezza. In controluce c'è la durezza di cuore dei farisei (v. 5), il rigore della dottrina che anestetizza ogni emozione.
Gesù guarisce l'uomo dalla mano inaridita con un comando semplice e diretto "Stendi la mano!"; e l'uomo "la stese e la sua mano fu risanata" (v. 5). Il Figlio di Dio, il Logos incarnato, la Parola e la Sapienza con cui il Padre ha creato il mondo, è parola che non ritorna mai a Dio senza effetto (Is 55,11).
Le mani tenute legate dalla Legge, vengono sciolte per poter compiere il bene e coltivare il seme della grazia. I farisei - rappresentanti dell'ortodossia religiosa - e gli erodiani - difensori del potere statale - pur divisi in opposte fazioni, trovano un comune interesse nella volontà di far morire Gesù (v. 6), avvertito come un elemento di sovversione della loro "volontà di potenza" politica e religiosa.
Ma il potere sovversivo di Gesù passa attraverso un "depotenziamento", una spoliazione del Figlio di Dio, fino alla morte di croce (Fil 2,8), in modo da aprire, lungo le vie oscure della nostra umanità sofferente, assunta su di sé, la via per la risurrezione.
Preghiera
Insegnaci, Signore, a non anteporre nulla a te; la nostra fede possa essere non un pugno chiuso per ferire, ma una mano aperta per ricevere la tua grazia e tesa per donare al nostro prossimo. Amen.
- Rev. Dr. Luca Vona