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Il Rev. Dr. Luca Vona
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Ministro della Christian Universalist Association
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domenica 28 febbraio 2021
Papa Francesco. Imparare ad accogliere le nostre nevrosi
Quale demone ci tormenta?
sabato 27 febbraio 2021
Gregorio di Narek, padre e poeta della chiesa armena
venerdì 26 febbraio 2021
Dizionario della Musica Anglicana. Adrian Batten
Adrian Batten (c. 1591 - c. 1637) fu attivo durante un periodo importante della musica sacra inglese, tra la Riforma e la Guerra Civile negli anni Quaranta del Seicento. Durante questo periodo la musica liturgica delle prime generazioni di anglicani iniziò a divergere in modo significativo dalla musica del Continente. Tra i generi sviluppati durante questo periodo da Batten e altri compositori anglicani c'era l il verse anthem (inno in versi), in cui le sezioni si alternano tra il coro al completo e i solisti, guidati e unificati da un accompagnamento d'organo indipendente.
Manoscritto autografo di Adrian Batten, Preces for 4 voices |
Batten nacque a Salisbury, e divenne corista e studente di organo presso la cattedrale di Winchester.
Nel 1626 fu nominato vicario del coro della cattedrale nella cattedrale di St. Paul, e lì suonò anche l'organo. Per quanto è noto, rimase in questa posizione fino alla sua morte.
Per aumentare le sue entrate mentre era all'Abbazia di Westminster lavorò come copista di musica, e i libri contabili dell'Abbazia registrano i pagamenti a Batten per la copia di opere di Weelkes, Tallis e Tomkins. A Batten è attribuita la conservazione di molti brani di musica sacra dell'epoca, compilati nel Batten Organbook (ora nella Bodleian Library), un quarto di 498 pagine con la sua calligrafia. Contenente molte opere popolari di quel tempo, che Batten arrangiò per l'organo. Il Batten Organbook è l'unica fonte sopravvissuta per molti pezzi del tempo.
L'Organbook contiene poche opere di Batten, quindi, ironia della sorte, gran parte della sua musica è andata perduta. Di conseguenza, Batten è meno conosciuto di alcuni dei suoi contemporanei. Era, tuttavia, un compositore prolifico. Un certo numero di opere esistono solo in manoscritto in varie biblioteche e cattedrali britanniche, non essendo mai state pubblicate.
Fermati 1 minuto. La strada giusta per presentarsi a Dio
giovedì 25 febbraio 2021
Fermati 1 minuto. "Chiedete"... "cercate"... "bussate"
mercoledì 24 febbraio 2021
Dizionario della Musica Anglicana. Joseph Barnby
Sir Joseph Barnby |
È stato direttore del "Barnby's Choir" dal 1864 e nel 1871 fu nominato, in successione a Charles Gounod, direttore della Royal Albert Hall Choral Society, incarico che mantenne fino alla sua morte. Nel 1875 fu precentore e direttore musicale all'Eton College e nel 1892 divenne preside della Guildhall School of Music, ricevendo l'onorificenza di cavaliere nel luglio dello stesso anno. Le sue opere includono l'oratorio Rebekah, The Lord is King (Salmo 97), molti Services e Anthem e 246 inni (pubblicati nel 1897 in un volume), la celebre ninna nanna sulle parole di Lord Tenneson Sweet and Love e alcuni brani per l'organo a canne.
Fermati 1 minuto. Segni
Lettura
Luca 11,29-32
29 Mentre le folle si accalcavano, Gesù cominciò a dire: «Questa generazione è una generazione malvagia; essa cerca un segno, ma non le sarà dato nessun segno fuorché il segno di Giona. 30 Poiché come Giona fu un segno per quelli di Nìnive, così anche il Figlio dell'uomo lo sarà per questa generazione. 31 La regina del sud sorgerà nel giudizio insieme con gli uomini di questa generazione e li condannerà; perché essa venne dalle estremità della terra per ascoltare la sapienza di Salomone. Ed ecco, ben più di Salomone c'è qui. 32 Quelli di Nìnive sorgeranno nel giudizio insieme con questa generazione e la condanneranno; perché essi alla predicazione di Giona si convertirono. Ed ecco, ben più di Giona c'è qui.
Commento
La folla pretende di vedere continuamente dei "segni" da parte di Gesù: prodigi, guarigioni, esorcismi. Ma la sua risposta spazza via ogni falsa attesa, richiamando la gente che lo segue al senso profondo di ciò che sente e ascolta. Non sono, in realtà, dei "segni" che essa deve aspettare, perché il "segno" vero è lui stesso: la sua persona, la sua parola e la sua testimonianza. Questo "segno" va accolto attraverso un impegno di conversione, l'unico capace di far riconoscere la grandezza di Gesù e del suo insegnamento, che si innalza ben sopra quella di Salomone.
Il "segno di Giona" è interpretato da Gesù in relazione alla sua morte e risurrezione. Come Giona fu gettato dalla barca per salvare la vita dell'equipaggio minacciato dalla tempesta così Gesù è stato gettato fuori da questo mondo nella sua passione per salvarci dalla tempesta del peccato; e come Giona riemerse dal ventre del pesce dopo tre giorni e tre notti, così Gesù risorge il terzo giorno, liberandoci dal potere della morte.
Gli abitanti di Ninive risposero alla predicazione di Giona, che minacciava la distruzione della città da parte di Dio, cospargendosi di cenere e facendo quaranta giorni di penitenza. Anche noi siamo chiamati al ravvedimento, dalla persona di Gesù, che è molto più grande di Giona. Ma mentre quest'ultimo predicava l'imminente castigo di Dio, Gesù annuncia la buona notizia della salvezza, che ci spinge a conformarci alla volontà di Dio non per timore, ma in risposta al suo gratuito atto di amore.
Il sorgere (v. 31) della regina del sud, insieme agli abitanti di Ninive, nel giorno del giudizio, indica la loro risurrezione, ma anche la loro accusa contro la generazione incredula. La sapienza di cui Dio aveva rivestito Salomone diventa fulgida manifestazione della misericordia divina nel volto di Gesù, disprezzato, flagellato, crocifisso per essersi fatto carico dei nostri peccati: "Ecco l'uomo!" (Gv 19,5); ecco Dio che viene a visitarci come amore disarmato e come tale ci chiede di accoglierlo.
Preghiera
Signore Gesù Cristo, che ti sei fatto peccato in nostro favore, perché diventassimo giusti davanti a Dio, concedici di conformarci sempre più a te, segno vivente dell'amore del Padre. Amen.
- Rev. Dr. Luca Vona
martedì 23 febbraio 2021
Fermati 1 minuto. Gesù, maestro di preghiera. Commento al Padre nostro
lunedì 22 febbraio 2021
Dizionario della Musica Anglicana. Edward Bairstow
Sir Edward Bairstow (1874-1946) |
Fermati 1 minuto. Solo la fede ci apre alla comprensione
Margherita da Cortona e la ricerca del volto di Cristo
Il 22 febbraio del 1297 conclude i suoi giorni terreni Margherita da Cortona, terziaria francescana. Nata nel 1247 a Laviano, sul lago Trasimeno, Margherita rimase presto orfana di madre. A disagio con la propria matrigna, essa fuggì, appena sedicenne, nel castello del conte Arsenio di Montepulciano, con il quale visse per dieci anni. Quando l'uomo che amava incontrò precocemente la morte durante una partita di caccia, Margherita fu respinta sia dalla propria famiglia sia da quella di Arsenio. Abbandonata da tutti e con un figlio da allevare, nato dalla relazione con il nobile toscano, la giovane fu accolta da due nobildonne di Cortona, che la indirizzarono ai frati minori, presso i quali trascorrerà gran parte della sua vita. Aiutata dai francescani, Margherita segnò a sua volta profondamente la loro spiritualità con una vita di grande austerità e di totale dedizione agli ultimi. Donna di grande carità e mistica della passione di Cristo, da cui attingeva la forza per amare, Margherita fu all'origine di innumerevoli iniziative a favore di poveri e ammalati, nei quali non si stancò mai di cercare il volto del suo Signore. Essa si spense all'età di cinquant'anni in una piccola cella nella rocca sovrastante Cortona, delusa dalle decisioni dei capitoli francescani che ormai si allontanavano dal rigore degli inizi, ma ritenuta da tutti un modello di vita evangelica.
Tracce di lettura
Il Signore le disse in visione: «Cosa domandi di me, Margherita, martire mia?». «Signore mio, perché mi chiami martire, quando io non ho patito per amor tuo nulla di aspro?». Il Signore le rispose: «Il tuo martirio è il timore che hai di perdermi e di offendere me, tuo Creatore; ma io ti dico che sei la nuova luce data a questo mondo e illuminata da me». A queste parole l'umile Margherita esclamò: «Signore, scenda su di me la tua misericordia, perché non sia tenebra in questo mondo, ma fa' che io risplenda della tua luce, tu che sei la mia luce». E il Signore a lei: «Non è forse vero, figlia mia, che tu per amor mio ti sei privata di ogni gioia della terra? E che per amore mio sei pronta ad affrontare ogni sofferenza? Non racchiudi forse nel tuo cuore, per amore mio, tutti i poveri del mondo?». (fra' Giunta Bevignati, Leggenda di Margherita da Cortona 10,16)
- Dal Martirologio ecumenico della Comunità monastica di Bose
Margherita da Cortona (1247-1297) |
domenica 21 febbraio 2021
Enzo Bianchi ha fatto le valigie
La cassa di cartone che il volontario carica su un furgone Iveco vale più di ogni conferma ufficiale. Fratel Enzo Bianchi sta lasciando l'eremo nel quale ha trascorso gli ultimi mesi, a poche decine di metri dalla sua creatura, la comunità che aveva fondato nel 1963, eppure mai così lontano, sempre più lontano. Fino a un punto che si sperava non arrivasse mai. Per nessuna delle parti coinvolte in una contesa cominciata ormai quattro anni fa e ancora oggi incomprensibile ai più.
Enzo Bianchi, fondatore della Comunità monastica di Bose |
Cosa è o cosa è stata Bose lo sanno tutti, e tutti sanno che è difficile riassumere in poche righe. Una delle comunità più famose e visitate d'Italia e forse d'Europa, formata da monaci di entrambi i sessi che provengono da Chiese cristiane di diversa estrazione e votata al dialogo ecumenico con ogni forma di cristianità. Nasce nel 1963 a Torino, su impulso di un ex ragioniere divenuto monaco sull'onda del Concilio Vaticano II, che guida un gruppo di giovani cattolici e protestanti. Nel 1965 si trasferiscono sulle serre, le alture moreniche che separano la provincia di Torino da quella di Biella, a Bose, in una frazione di Magnano e subito iniziano gli incontri ecumenici.
Superano indenni i veti dell'allora vescovo di Biella, e quando nel fatidico 1968 il cardinale di Torino Michele Pellegrino bussa alla porta di quello che all'epoca era solo un cascinale, la legittimazione del nuovo monastero diventa implicita ma reale. Sono passati quasi sessant' anni, duranti i quali tutto è diventato più grande, la comunità, che oggi conta più di cento persone, la fama, l'interesse, sono state aperte altre sedi in Italia e a Gerusalemme.
Nel 2017 Enzo Bianchi rinuncia alla carica di priore, all'età di 74 anni, lasciandola al suo successore designato da tempo, Luciano Manicardi. Si sposta in un edificio all'esterno del perimetro della comunità, per non interferire. Poi succede qualcosa. All'inizio sono soltanto voci. Nel maggio 2020, in piena pandemia, un decreto della Santa Sede, firmato da papa Francesco, che in occasione del cinquantesimo anniversario della comunità, fissato per convenzione nel 1968, aveva scritto a Bianchi definendo la comunità «una feconda presenza nella Chiesa e nella società», ordina all'ex priore di allontanarsi in modo definitivo.
Non è ancora dato sapere la ragione di un provvedimento così duro. Il «decreto singolare» del Vaticano lasciava intuire una storia di divisioni interne. L'eredità del fondatore, che si era spostato in un eremo poco distante, la sua ombra e il suo carisma potevano essere una presenza incombente, potevano inibire e condizionare decisioni e comportamenti. Per questo era meglio che Bianchi si trasferisse «entro e non oltre dieci giorni dalla notifica» in un'altra sede di Bose, l'eremo di Cellole San Gimignano, in provincia di Siena. Non succede nulla.
Il Monastero di Bose, a magnano (Biella) |
A gennaio di quest' anno la sede designata per fratel Enzo «con un passo sofferto» dismette la sua appartenenza alla comunità, e viene ceduta «in comodato d'uso» all'ex priore. Come se ci fosse bisogno di un taglio ancora più netto. L'ultimo termine per il trasferimento viene fissato al 17 febbraio, prima dell'inizio della Quaresima. Il giorno seguente, con un comunicato anch' esso di inedita durezza, la «sua» Comunità prende atto «con profonda amarezza» del fatto che fratel Enzo non è ancora partito. «Lo spostamento a Cellole avrebbe contribuito ad allentare la tensione e la sofferenza di tutti e avrebbe facilitato il lento cammino di riconciliazione e comprensione reciproca. Purtroppo, la mano tesa non è stata accolta».
Qualche giorno prima, fratel Enzo aveva scritto in un tweet una frase neppure troppo sibillina, che lasciava capire come ormai ogni ponte fosse stato bruciato. «Silenzio sì, assenso alla menzogna no». La verità sta emergendo, sostiene l'ex priore, una delle figure religiose più conosciute del nostro Paese. Ieri le serre di Biella erano coperte della nebbia e dall'umidità. Il monastero era deserto, in tempi di epidemia i visitatori sono pochi. Da un anno non è più possibile ospitare nessuno per le settimane di meditazione. I frutti dell'enorme orto sono stati regalati alla Caritas, perché non c'era nessun turista a comprarli.
La piccola comunità fa notizia solo per questo dissidio lacerante e doloroso. Nessun ospite è autorizzato a parlare. Abbiamo saputo che questo capitolo si chiude con l'addio di fratel Enzo ai suoi luoghi da monaci che raccomandavano l'anonimato, da persone vicine al diretto interessato, e da quelle poche cose in attesa di essere portate via. «Non è un trasferimento, si tratta di un esilio» dice amaro un suo ex collaboratore, che gli vuole bene, come gliene vogliono quasi tutti.
Non sta a noi dare giudizi su una vicenda che ha coinvolto anche il Papa. Ma quale che sia la causa del conflitto, sappiamo che non è stato ben gestito, lasciando trapelare voci, illazioni, sospetti, generando tensioni ulteriori. Fino a questa frattura così definitiva. Non è scritto da nessuna parte che le cose belle come Bose possano durare per sempre.
- Marco Imarisio, Corriere della Sera, 21 febbraio 2021