Lettura
Luca 2,22-35
29 «Ora lascia, o Signore, che il tuo servo
vada in pace secondo la tua parola;
30 perché i miei occhi han visto la tua salvezza,
31 preparata da te davanti a tutti i popoli,
32 luce per illuminare le genti
e gloria del tuo popolo Israele».
33 Il padre e la madre di Gesù si stupivano delle cose che si dicevano di lui. 34 Simeone li benedisse e parlò a Maria, sua madre: «Egli è qui per la rovina e la risurrezione di molti in Israele, segno di contraddizione 35 perché siano svelati i pensieri di molti cuori. E anche a te una spada trafiggerà l'anima».
Commento
Secondo la legge mosaica (Lv 12,2-8) la donna che partoriva un figlio maschio non doveva toccare niente di sacro né entrare nel tempio per quaranta giorni, a motivo della sua impurità rituale. Al termine di questo periodo doveva offrire un agnello di un anno come sacrificio da bruciare e una tortora o un giovane colombo in espiazione dei suoi peccati. Le donne che non potevano permettersi un agnello dovevano offrire, come fece la madre di Gesù, due giovani colombi. Ciò attesta la povertà di Maria e Giuseppe. La Legge prevedeva, la consacrazione al Signore di ogni primogenito (Es 13,2.12).
La nascita di Gesù porta a compimento le speranze degli ebrei devoti, che attendevano il Messia annunciato a Israele, in particolare dal profeta Isaia e nel libro di Daniele. Il cantico di Simeone, chiamato Nunc dimittis dalle sue due prime parole nella versione in latino, sembra provenire dall'ambiente giudeo-cristiano, come anche il Magnificat e il Benedictus.
L'inno si trova perfettamente in sintonia con l'annuncio del carattere universale della salvezza che attraversa il vangelo di Luca. Il vangelo sarà predicato a uomini di ogni lingua popolo e nazione (Ap 5,9), non solo a Israele, dunque, ma anche ai gentili. Per tutti e tre i cantici viene specificato da Luca che chi li pronuncia è mosso dallo Spirito Santo.
I primi a riconoscere l'avvento del Messia sono persone umili, povere, senza posizioni di particolare rilievo: Maria e Giuseppe, fidanzati di modeste condizioni del paesino di Nazaret; Elisabetta, anche lei una donna, che profetizza mentre il precursore sussulta nel suo grembo; e Simeone, "uomo giusto e timorato di Dio" (v. 25) che non sarà più menzionato nei Vangeli.
Nel prendere tra le braccia Gesù, Simeone trova la gioia e la pace che non solo gli fanno sentire compiute le aspettative di Israele ma danno compimento e significato alla sua stessa esistenza: "Ora lascia, O Signore, che il tuo servo vada in pace..." (v. 29).
Nell'incontro con il Figlio di Dio incarnato scopriamo una pace che pervade la nostra vita e che ci conforta anche di fronte alla morte, non più considerata con terrore. L'incontro con Gesù colma le aspettative più profonde della nostra anima; questo il senso etimologico della "salvezza" cantata da Simeone: "fare integro", aggiungere all'edificio della nostra esistenza quella pietra angolare (Mt 21,42) che gli dona stabilità e perfezione.
"Ogni cosa è in travaglio, più di quel che l'uomo possa dire; l'occhio non si sazia mai di vedere" (Eccl 1,8). Finché non vede Cristo. Come Simeone, tenendo quel bambino tra le braccia, posando il nostro sguardo su di lui, possiamo trovare nella sua tenerezza il volto misericordioso di Dio.
Preghiera
Donaci, Signore, la pace che scaturisce dall'incontro con te; affinché possiamo cantare il mistero della grazia compiutosi nella tua incarnazione. Amen.
- Rev. Dr. Luca Vona