Nel 1173 muore a Hromklay, in Armenia, Nersēs Šnorhali, monaco e catholicos degli armeni.
Nato nel 1102 presso la fortezza di Covk' da una famiglia di grande tradizione ecclesiale, Nerses entrò giovanissimo nel Monastero Rosso di K'esun assieme al fratello Grigoris. Ordinato presbitero nel 1120, venne assunto da Grigoris, nel frattempo divenuto catholicos, come collaboratore personale, e ricevette dalle sue mani l'ordinazione episcopale qualche anno più tardi.
Uomo di grande affabilità e di notevole cultura, Nerses si conquistò lo pseudonimo di Šnorhali, che indica un insieme equilibrato di dolcezza e amabilità, grazie alle grandi doti acquisite mediante l'ascesi monastica e manifestate per tutta la vita. Egli seppe infatti presiedere all'unità della propria chiesa e nel contempo intessere dialoghi con l'occidente latino e l'oriente bizantino, con cui l'Armenia non aveva più ristabilito la piena comunione dai tempi del concilio di Calcedonia.
Alla morte del fratello, nel 1166, Nersēs gli succedette alla guida della chiesa armena, ed ebbe così modo di condurre in prima persona la preparazione di quel sinodo di riconciliazione che sarà presieduto, dopo la sua morte, da Nersēs di Lambron.
Profondamente convinto che compito fondamentale di un pastore sia quello di servire l'unità della chiesa e fra le chiese, egli non cessò mai di ricordare a tutti come per costruire un'unità duratura siano necessarie una fede autentica e una carità radicata nell'adesione al cammino di abbassamento rivelato nella kenosi del Verbo.
Tracce di lettura
È Paolo a rivelarci come dev'essere un vescovo e come debba comportarsi: «Il vescovo sia irreprensibile, non sposato che una sola volta, sobrio, prudente, dignitoso, ospitale, capace di insegnare, non dedito al vino, non violento ma benevolo, non litigioso, non attaccato al denaro» e via dicendo. Egli deve, con il potere affidatogli, mantenere incrollabili le strutture di quei templi inabitati da Dio che sono i fedeli. Egli è tenuto a dare loro, secondo il comando del Signore, il cibo della Parola al tempo dovuto, giorno dopo giorno.
Quando diciamo che il vescovo dev'essere mite, umile, onesto, ci vengono in mente Mosè e David, che furono autentici pastori del popolo di Israele. Allo stesso modo i nuovi pastori sono chiamati a pascere il gregge con umiltà e pace, comportandosi da pastori, appunto, e non con la pompa e gli eccessi dei principi di questo mondo.
Quando l'Apostolo richiama alla mitezza, egli insegna quell'umiltà che fu data come esempio da Cristo stesso: «Imparate da me, che sono mite e umile di cuore».
(N. Šnorhali, Epistola generale)
- Dal Martirologio ecumenico della Comunità monastica di Bose
Nersēs Šnorhali (1102-1173) |