Il 16 agosto 2005, durante la preghiera della sera che raduna la Comunità di Taizé e migliaia di giovani, frère Roger viene ucciso nella chiesa della Riconciliazione. Il 12 maggio precedente, circondato dai suoi fratelli, aveva festeggiato i suoi 90 anni nella semplicità e nella letizia.
Nel 1940, dopo aver concluso gli studi di teologia a Losanna e a Strasburgo, Roger Schutz, figlio di un pastore riformato svizzero, si stabilisce a Taizé, piccolo paese della Borgogna dove intende iniziare una comunità monastica dedicata alla riconciliazione dei cristiani e tesa ad alleviare la miseria umana. Nel 1949, i primi sette fratelli si impegnano nella vita comune. Convinto della necessità di fare di questa comunità un segno visibile di unità, frère Roger vi accoglie in un primo tempo fratelli appartenenti a diverse confessioni evangeliche, e successivamente, dal 1969, anche cattolici. Da allora Taizé costituisce un riferimento spirituale ed ecumenico di primo piano non solo per il mondo ecclesiale, ma anche per le decine di migliaia di giovani che la comunità accoglie anno dopo anno.
Vicino a papa Giovanni XXIII e al patriarca Athenagoras di Costantinopoli, frère Roger ha partecipato al Concilio Vaticano II in qualità di osservatore. Il suo desiderio profondo di unità lo ha sempre condotto a cercare gesti e simboli capaci di evocare, al di là delle difficoltà, l'avvento di una primavera della chiesa, chiamata ad essere una «terra di riconciliazione, di condivisione, di semplicità» al cuore della famiglia umana.
Tracce di lettura
Ci rendiamo conto che, duemila anni fa, il Cristo è venuto sulla terra non per creare una nuova religione, ma per offrire una comunione in Dio ad ogni essere umano? Dopo la sua resurrezione, la presenza del Cristo si fa concreta attraverso una comunione di amore che è la chiesa. I cristiani avranno il cuore così ampio, l'immaginazione così aperta, l'amore così ardente da scoprire questa via del vangelo e vivere da riconciliati?
Se la vocazione ecumenica ha provocato notevoli dialoghi e scambi, come dimenticare questa parola di Cristo: «Va' prima a riconciliarti»? A forza di rinviare a più tardi la riconciliazione dei cristiani, l'ecumenismo, senza rendersene conto, potrebbe alimentare un'attesa illusoria.
Quando i cristiani permangono in una grande semplicità e in un'infinita bontà del cuore, quando sono attenti a scoprire la bellezza profonda dell'animo umano, sono portati ad essere in comunione gli uni con gli altri nel Cristo.
Una credibilità può rinascere presso i giovani, quando questa comunione che è la chiesa si fa limpida, cerca con tutta la sua anima di amare e perdonare; quando, anche con pochi mezzi, si fa accogliente, vicina alle pene umane. Mai distante, mai sulla difensiva, liberata dalle severità, essa può irradiare l'umile fiducia della fede fin nei nostri cuori umani.
Sì, il Cristo chiama noi, evangelicamente poveri, a realizzare la speranza di una comunione. Anche il più semplice dei più semplici può riuscirci...
Penso che dalla mia gioventù non mi abbia mai abbandonato l’intuizione che una vita di comunità poteva essere un segno che Dio è amore, e amore soltanto. A poco a poco cresceva in me la convinzione che era essenziale creare una comunità con uomini decisi a donare tutta la loro vita, e che cercassero sempre di capirsi e riconciliarsi: una comunità dove la bontà del cuore e la semplicità fossero al centro di tutto.
(Frère Roger, Dio non può che amare)
- Dal Martirologio ecumenico della Comunità monastica di Bose