Il Rev. Dr. Luca Vona
Un evangelico nel Deserto

Ministro della Christian Universalist Association

mercoledì 30 settembre 2020

Gregorio l'Illuminatore. Padre del cristianesimo armeno

Gli antichi calendari d'oriente e d'occidente ricordano il 30 settembre Gregorio l'Illuminatore, apostolo degli armeni.

Gregorio era figlio di un principe parto, Anak, e nacque in Armenia perché il padre vi si era trasferito attorno alla metà del III secolo. In Armenia la sua famiglia, coinvolta nella congiura ordita dal re sassanide Artaserse per eliminare il re di Armenia Cosroe, fu sterminata dai figli di quest'ultimo, e Gregorio sfuggì alla morte riparando a Cesarea di Cappadocia. A Cesarea ricevette il battesimo cristiano, si sposò, ed entrò alla corte del re Tiridate, figlio di Cosroe. A motivo della sua fede cristiana e dell'appartenenza alla famiglia di Anak egli conobbe dure persecuzioni, fino a essere recluso nel carcere di Artaxata per quindici anni, dal 298 al 313.

Gregorio l'Illuminatore (ca 260-328)

Secondo i più antichi racconti agiografici, Gregorio guarì il re Tiridate da una grave malattia, e questi si convertì al cristianesimo. Per questo motivo, a Gregorio è attribuita tradizionalmente la conversione di gran parte dell'Armenia al cristianesimo.

Sul piano storico, è certo che Gregorio, una volta ottenuta la libertà, fu ordinato vescovo a Cesarea nel 314 dal vescovo Leonzio, e grazie all'aiuto delle chiese cappadocie riuscì a riorganizzare profondamente la vita dei cristiani armeni, portando il vangelo in territori dove non era ancora stato predicato.

Sempre secondo la tradizione, egli morì solitario, dopo essersi ritirato in una grotta vicino al villaggio di Thordan. Gli armeni ne ricordano in tre date differenti l'inizio della prigionia, la fine della prigionia e il ritrovamento delle spoglie mortali.

Tracce di lettura

L' inconoscibile venne nella carne e fu toccato e conosciuto nella carne; ed egli assunse liberamente su di sé tutte le passioni della carne, e soffrì nell'umiliazione, trovandosi in mezzo a stranieri. E senza esservi costretto da nessuno, ma per sua stessa indipendente volontà, egli portò tutto ciò, come sta scritto: «Io ho il potere di deporre la mia vita secondo il mio beneplacito, per poi riprenderla di nuovo». E nacque da una vergine e volontariamente adempì la volontà di colui che l'aveva inviato. Dice infatti: «Sono venuto a compiere la volontà del Padre mio», così da mostrare l'unica, indissolubile e indivisibile unità che regna tra di loro. (Gli insegnamenti di san Gregorio 379-380)

- Dal Martirologio ecumenico della Comunità monastica di Bose


Girolamo. Le Scritture hanno le radici piantate in cielo

Nel 420 muore a Betlemme Girolamo, padre della chiesa e monaco. Nato in Dalmazia negli anni '40 del IV secolo, Girolamo si recò a Roma per studiare i classici latini. Nella capitale dell'impero egli conobbe la vita ascetica dell'occidente, e si recò poi in oriente per conoscere la tradizione monastica del deserto siriaco. Giunto ad Antiochia, fu ordinato presbitero, suo malgrado, dal vescovo Paolino.

Girolamo (ca 342-420), le icone di Bose

Tornato a Roma, Girolamo fondò sull'Aventino un luogo di preghiera frequentato dalle donne dell'aristocrazia romana, tre delle quali, Marcella, Paola ed Eustochio, lo seguiranno in Palestina nel 385. A Roma Girolamo acquisì un profondo amore per le Scritture, che non lo abbandonerà più fino alla morte. Uomo dal carattere passionale, egli ebbe amicizie intense, come quella con Rufino di Aquileia, che non tardarono a diventare contrapposizioni altrettanto profonde quando questioni di principio si frapposero tra lui e i suoi interlocutori. Alla morte di papa Damaso, deluso da molti di coloro che aveva amato sino ad allora, Girolamo lasciò tutto e ripartì per l'oriente, alla volta di Betlemme, dove, fondato un monastero maschile e uno femminile, si dedicò alla traduzione e al commento dei libri della Scrittura. È a lui che si deve la Vulgata, il testo latino della Bibbia che fu adottato in tutto l'occidente. Ma neppure nella solitudine monastica trovò pace, poiché venne coinvolto, per la sua conoscenza allora ineguagliabile delle Scritture, nelle grandi controversie teologiche del tempo. Nei suoi scritti, e in particolare nel suo vasto epistolario, Girolamo ha lasciato alla chiesa un tesoro monumentale di insegnamenti e intuizioni sulla vita cristiana e sull'ascesi monastica, ed è ricordato giustamente come uno dei più grandi dottori della chiesa indivisa.

Tracce di lettura

Ora ti domando, carissimo fratello, se non ti pare di abitare, già qui sulla terra, nel regno dei cieli, quando si vive fra i testi della Scrittura, li si medita, non si conosce o non si cerca di conoscere nessun'altra cosa.

Non vorrei che ti fosse di danno, nella sacra Scrittura, la semplicità e - vorrei dire - la banalità delle parole. Può essere che questa stesura dipenda da difetto d'interpretazione, oppure che sia stata fatta appositamente per renderne più facile la comprensione al pubblico, per far sì che in un'unica e medesima frase, tanto l'uomo di cultura quanto l'ignorante potessero coglierne il senso secondo la propria capacità.

Da parte mia non sono così superficiale e stupido da farmi passare per uno che tutte queste cose le conosce, o che vuol cogliere in terra i frutti di quelle radici che sono piantate in cielo. Confesso però che ne ho il desiderio e che ho pure voglia di impegnarmi con tutte le mie forze per intraprendere il cammino verso tale meta.

(Girolamo, Lettera 53,10)

Fermati 1 minuto. L'aratore che si volge indietro

Lettura

Luca 9,57-62

57 Mentre andavano per la strada, un tale gli disse: «Ti seguirò dovunque tu vada». 58 Gesù gli rispose: «Le volpi hanno le loro tane e gli uccelli del cielo i loro nidi, ma il Figlio dell'uomo non ha dove posare il capo». 59 A un altro disse: «Seguimi». E costui rispose: «Signore, concedimi di andare a seppellire prima mio padre». 60 Gesù replicò: «Lascia che i morti seppelliscano i loro morti; tu va' e annunzia il regno di Dio». 61 Un altro disse: «Ti seguirò, Signore, ma prima lascia che io mi congedi da quelli di casa». 62 Ma Gesù gli rispose: «Nessuno che ha messo mano all'aratro e poi si volge indietro, è adatto per il regno di Dio».

Commento

In questo brano, che ha un parallelo in Matteo (Mt 8,18-22), l'evangelista Luca ci riferisce tre modi diversi di porsi verso la sequela di Gesù. 

Il primo protagonista che entra in scena è un "volontario", che avvicina il Signore mentre questi è per la strada. Matteo ci riferisce che si trattava di uno scriba, dunque di una persona abituata a vivere nell'agiatezza. Nell'offerta precipitosa di sé egli sembra non rendersi conto dei costi del discepolato che, lungi dall'offrire una posizione sociale elevata e sicurezze economiche, espone all'incertezza e a grandi sacrifici. 

Tutta l'attività di Cristo sarà quasi sempre fraintesa dai dottori della legge, i quali si attendevano un Messia che avrebbe instaurato un regno terreno forte e prospero. Per questo egli si scontrerà spesso con l'incomprensione predicando il vangelo e ancora più nell'evento della sua passione. Dal Figlio di Dio, dal Figlio dell'uomo, per utilizzare una espressione messianica (cfr. Dn 7,13-14) che Cristo spesso applica a sé, ci si aspettava una manifestazione di potenza e gloria.

Il secondo aspirante discepolo è un giovane, chiamato direttamente da Gesù («Seguimi»; v. 59). Costui è desideroso di accogliere l'invito ma desidera prima occuparsi del padre, rimandando il discepolato dopo la morte di questi. Le parole del giovane sono infatti un semitismo che non indica certamente la celebrazione del funerale del padre - se fose morto quel giorno il giovane non si sarebbe trovato neanche lì dove stava, essendo obbligatorio per la legge ebraica a celebrare i funerali il giorno stesso della morte - ma significava l'occuparsi del padre anziano fino alla sua  morte. Il giovane dunque, aspettava la morte del padre, e probabilmente anche di riceverne l'eredità. Chiaramente un simile approccio al discepolato non può che trovare la riprovazione del Signore. 

Il terzo "candidato" si offre a Gesù ma chiede di potersi prima congedare dai suoi parenti. Gesù capisce che il cuore di quest'uomo è ancora diviso tra il mondo e le esigenze del regno di Dio: l'aratore che non guarda avanti mentre ara non può che tracciare solchi storti. 

Le parole di questa pagina evangelica non riguardano soltanto chi si consacra a un ministero particolare nella chiesa, ma ogni battezzato, che in quanto tale è rivestito del ministero sacerdotale, regale e profetico di Cristo. Questi non può trovarci esitanti. Accogliere il vangelo significa scoprire in esso la gioia nella semplicità e novità di vita, in cui l'apostolo si rimette completamente nelle mani del Padre celeste.

Preghiera

Rimuovi, Signore, dalle nostre vite e dai nostri cuori, quanto si frappone alla tua grazia e rendici predicatori del regno, non per spirito mercenario ma per amore del tuo Nome. Amen.

- Rev. Dr. Luca Vona

martedì 29 settembre 2020

Fermati 1 minuto. Un ordine meraviglioso

Lettura

Giovanni 1,47-51

47 Gesù intanto, visto Natanaèle che gli veniva incontro, disse di lui: «Ecco davvero un Israelita in cui non c'è falsità». 48 Natanaèle gli domandò: «Come mi conosci?». Gli rispose Gesù: «Prima che Filippo ti chiamasse, io ti ho visto quando eri sotto il fico». 49 Gli replicò Natanaèle: «Rabbì, tu sei il Figlio di Dio, tu sei il re d'Israele!». 50 Gli rispose Gesù: «Perché ti ho detto che ti avevo visto sotto il fico, credi? Vedrai cose maggiori di queste!». 51 Poi gli disse: «In verità, in verità vi dico: vedrete il cielo aperto e gli angeli di Dio salire e scendere sul Figlio dell'uomo».

Commento

Gli angeli, "messaggeri" (gr. anghelos; ebr. malak) celesti, sono presenti in diverse pagine dell'Antico testamento e li troviamo anche in alcuni momenti cruciali della vita di Gesù; in particolare, nel deserto, dopo che egli ha vinto le tentazioni del demonio - "gli angeli lo servivano" (Mc 1,13) - e prima della sua passione, durante la preghiera nell'orto degli ulivi - "gli apparve un angelo dal cielo a confortarlo"(Lc 22,43). Successivamente, fanno da custodi alla sua tomba, annunciando alle donne del seguito di Gesù la sua risurrezione. 

Nel passo evangelico in cui Giovanni riporta il dialogo tra Gesù e Natanaèle viene richiamata la visione della scala di Giacobbe (Gen 28,10-22). In quel frangente il patriarca stava fuggendo dal fratello Esaù, per andarsi a rifugiare dallo zio Labano; Giacobbe sognò una scala che dalla terra si protendeva fino al cielo e gli angeli salivano e scendevano sopra di essa; Dio gli parlava, promettendogli la terra sulla quale stava dormendo, una discendenza numerosa come la sabbia del mare, la benedizione in lui di tutte le famiglie della terra. Tale benedizione si realizza in Cristo, il quale è il vero mediatore tra Dio e gli uomini, egli stesso "scala" attraverso la quale gli angeli discendono ad amministrare la grazia di Dio sulla terra e risalgono a Dio, portando le suppliche della Chiesa. 

Gli angeli nelle Scritture sono esseri spirituali creati da Dio, posti al suo servizio e a servizio dell'uomo. La loro azione di messaggeri è attestata nel Nuovo testamento nel racconto dell'annunciazione a Maria, nell'invito ai pastori ad andare ad adorare il Messia appena nato a Betlemme, nell'avvertimento in sogno a Giuseppe di fuggire in Egitto per salvare il bambino Gesù da Erode. Negli Atti degli apostoli assistiamo alla liberazione di Pietro dalla prigione per opera di un angelo. 

Il culto ebraico e quello cristiano della chiesa primitiva non prevede l'adorazione degli angeli, come leggiamo nel libro dell'Apocalisse: "Udite e vedute che le ebbi, mi prostrai in adorazione ai piedi dell'angelo che me le aveva mostrate. Ma egli mi disse: «Guardati dal farlo! Io sono un servo di Dio come te e i tuoi fratelli, i profeti, e come coloro che custodiscono le parole di questo libro. È Dio che devi adorare»" (Ap 22,8-9). Ma nel momento in cui ci affidiamo a Dio siamo certi che egli ci assiste mediante intelligenze e potenze spirituali, che lo servono e gli danno lode in cielo e ci soccorrono e difendono sulla terra, nel nome di Gesù Cristo. Per questo, con il salmista, innalziamo a lui la nostra lode: "Lodatelo, voi tutti, suoi angeli, lodatelo, voi tutte, sue schiere" (Sal 148, 2).

Preghiera

Dio onnipotente, che hai ordinato e stabilito il servizio degli angeli e degli uomini in un ordine meraviglioso; concedi misericordioso che così come gli angeli ti servono sempre in Cielo, possano, per tuo incarico, soccorrerci e difenderci sulla terra. Per Gesù Cristo, nostro Signore. Amen.

- Rev. Dr. Luca Vona

lunedì 28 settembre 2020

Fermati 1 minuto. Accogliere un Dio che si fa bambino

Lettura

Luca 9,46-50

46 Frattanto sorse una discussione tra loro, chi di essi fosse il più grande. 47 Allora Gesù, conoscendo il pensiero del loro cuore, prese un fanciullo, se lo mise vicino e disse: 48 «Chi accoglie questo fanciullo nel mio nome, accoglie me; e chi accoglie me, accoglie colui che mi ha mandato. Poiché chi è il più piccolo tra tutti voi, questi è grande». 49 Giovanni prese la parola dicendo: «Maestro, abbiamo visto un tale che scacciava demòni nel tuo nome e glielo abbiamo impedito, perché non è con noi tra i tuoi seguaci». 50 Ma Gesù gli rispose: «Non glielo impedite, perché chi non è contro di voi, è per voi».

Commento

Gesù ha appena annunciato l'approssimarsi della sua passione, ma i discepoli non hanno compreso e sono impauriti. (Lc 9,44-45); non riescono a cogliere la grandezza del sacrificio che si sta per compiere e si mettono a discutere tra di loro su chi sia il più grande. 

Capita anche a noi credenti, come individui, e forse ancor più alle chiese, come istituzioni religiose: una tendenza all'autoreferenzialità, a sentirsi depositari della vera ortodossia e ortoprassi. Così l'unica Chiesa di Cristo si è frammentata nei secoli in numerose denominazioni, lacerando il suo Corpo mistico e rinnovando nella storia la sua passione. 

Proprio Giovanni, l'evangelista che più di tutti insiste sulla natura di Dio come amore, pone a Gesù il quesito se sia giusto che uno "che non è con noi tra i tuoi seguaci" scacci i demòni nel nome di Gesù. Ma il Signore, che aveva invitato a giudicare l'albero dai frutti, respinge ogni settarismo. 

Gesù prende un bambino, se lo mette vicino (v. 47) e lo addita come esempio per chi vuole essere grande tra i discepoli. Un bambino è totalmente dipendente dai genitori e così il vero discepolo deve tenere a mente che nulla può fare senza la grazia che opera in lui. 

Gesù, che non considerando un tesoro geloso la sua uguaglianza con Dio si è fatto obbediente fino alla morte (Fil 2,6-8), rivela lo stretto legame tra l'incarnazione e la passione, tra la culla e la croce. 

Il parallelo che egli pone tra la sua natura e quella di un fanciullo mostra un Dio che si fa bisognoso delle nostre cure, per non "scomparire" tra le malvagità del mondo e che ci chiama a custodire il dono fragile e prezioso che abbiamo ricevuto.

Preghiera

Donaci l'umiltà, Signore, per superare le divisioni e operare nel tuo nome contro il male. La tua grazia ci trovi sempre docili all'azione dello Spirito, affinché possiamo crescere in santità e giustizia davanti ai tuoi occhi. Amen.

- Rev. Dr. Luca Vona

domenica 27 settembre 2020

Per mezzo della fede, radicati nell'amore

COMMENTO ALLA LITURGIA DELLA SEDICESIMA DOMENICA DOPO LA TRINITÀ

Colletta

Signore, ti supplichiamo, possa la tua continua pietà purificare e difendere la tua Chiesa; e poiché essa non può essere al sicuro senza il tuo soccorso, preservala sempre con il tuo aiuto e la tua bontà. Per Gesù Cristo nostro Signore. Amen.

Letture

Ef 3,13-21; Lc 7,11-17

Commento

Due folle si incontrano: l'una è quella dei discepoli di Gesù e del suo vasto seguito, l'altra quella del funerale dell'unico figlio di una vedova. Nella società patriarcale di quel contesto storico-geografico le vedove erano una categoria particolarmente vulnerabile; possiamo immaginare, dunque, la tragedia per questa donna, di aver perso l'unico figlio maschio. 

Gesù "ne ebbe compassione"; con una traduzione più accurata del verbo greco splanchnizomai, possiamo dire "ne fu commosso nelle viscere". Lo stesso verbo è utilizzato da Luca nella parabola del buon samaritano e in quella del figliol prodigo. Gesù, che si commosse fino a prorompere in pianto davanti alla tomba dell'amico Lazzaro, comprende la nostra miseria di creature soggette alla morte a causa del peccato (cfr. Rm 5,12-14) e compie in questa occasione un gesto che per la legge ebraica rendeva impuri. 

Egli non solo non contrae alcuna impurità ma è anche in grado di ridonare la vita a ciò che si è avviato verso la corruzione. Un gesto semplice e una parola efficace: "Giovinetto, dico a te, alzati!" - quell'"alzati" che nel verbo originale greco egheiro descriverà nello stesso Vangelo di Luca il mistero pasquale. 

Gesù non teme di toccare con mano la nostra miseria. Troppe volte la religione inculca un senso di impurità in chi vorrebbe avvicinarsi ad essa, provocandone il rifiuto. Per paura di perdere consensi, d'altra parte, alcune chiese rimuovono la parola "peccato" dal proprio lessico, disconoscendo che nell'uomo vi è una tendenza al male, all'egoismo, alla prevaricazione. 

Il vangelo ci istruisce sul fatto che tutti abbiamo peccato ma la fede in Cristo ci consente di morire al peccato per risorgere nella grazia. Come i testimoni del giovane riportato in vita possiamo veramente dire "Dio ha visitato il suo popolo". 

"Per mezzo della fede... radicati nell'amore" conosceremo, afferma Paolo (Ef 3,17-19), la misura dell'amore di Cristo, e saremo "ripieni della pienezza di Dio". Dio che può fare molto di più di quel che possiamo immaginare (Ef 3,20) ha mandato il suo Figlio a restaurare l'immagine divina nell'uomo. Non ci concede solo di vincere la morte, ma di partecipare alla sua vita trinitaria.

- Rev. Dr. Luca Vona

sabato 26 settembre 2020

Fermati 1 minuto. Il coraggio che viene dalla comprensione delle Scritture

Lettura

Luca 9,43-45

43 E tutti furono stupiti per la grandezza di Dio.

Mentre tutti erano sbalorditi per tutte le cose che faceva, disse ai suoi discepoli: 44 «Mettetevi bene in mente queste parole: Il Figlio dell'uomo sta per esser consegnato in mano degli uomini». 45 Ma essi non comprendevano questa frase; per loro restava così misteriosa che non ne comprendevano il senso e avevano paura a rivolgergli domande su tale argomento.

Meditazione

Gesù si è appena trasfigurato davanti a Pietro, Giacomo e Giovanni e, disceso dal monte, ha liberato dalle sue sofferenze un epilettico indemoniato. Tutti sono stupiti per la grandezza di Dio che opera in lui. Ma subito vengono "freddati" dalle sue parole: il Figlio di Dio deve soffrire ed essere messo a morte. Per due volte questo breve passo evangelico ci dice che i discepoli "non comprendevano" il senso di queste parole e non solo non comprendevano ma avevano anche paura a fargli domande su questo argomento. Non vi è scandalo più grande di quello di un Dio che si fa, nella carne, sofferenza, debolezza, morte, in una "disfatta" che nelle ore immediatamente successive alla passione sembrerà definitiva. Solo l'incontro con il Risorto, incontrato dai due discepoli sulla via di Emmaus e apparso agli apostoli, potrà condurre a una piena comprensione degli eventi, nell'ottica di un piano salvifico già presente nelle antiche Scritture: "cominciando da Mosè e da tutti i profeti spiegò loro in tutte le Scritture ciò che si riferiva a lui" (Lc 24,27); "aprì loro la mente all'intelligenza delle Scritture (Lc 24,45). Anche noi possiamo restare scandalizzati dalla sofferenza e dalla morte, a maggior ragione quando colpiscono il giusto; anche noi, sebbene credenti, possiamo aver paura di affrontare l'argomento. Forse l'intera nostra vita e l'intera storia dell'umanità sono un tentativo di distrazione dal pensiero della morte. Ma la speranza del cristiano è fondata sulla fede nel primogenito di coloro che risuscitano dai morti (Col 1,18); colui che ha vinto la morte e restaurerà ogni cosa, quando vi saranno "un cielo nuovo e una nuova terra" (Ap 21,1) ed egli "tergerà ogni lacrima (Ap 21,4).

Preghiera

Apri le nostre menti, Signore, alla comprensione delle Scritture, affinché possiamo seguirti con coraggio e lodare il tuo disegno di salvezza. Amen.

- Rev. Dr. Luca Vona

venerdì 25 settembre 2020

Lancelot Andrewes. Chiudi la tua porta dietro di te e prega nel segreto

Il 25 settembre 1626 muore all'età di 71 anni, nella pace e nella preghiera, Lancelot Andrewes, vescovo anglicano di Winchester.
Andrewes era nato a Londra nel 1555, ed era il primogenito di una ricca famiglia di mercanti. Egli mostrò presto una tale propensione allo studio e alla vita interiore che i suoi genitori gli consentirono di proseguire la formazione fino a diventare professore a Cambridge e a Oxford.
Uomo di enorme erudizione, Andrewes fu ordinato diacono e poi presbitero, e col passare degli anni seppe essere anche un notevole uomo di azione, capace di rimanere all'altezza dei numerosi incarichi affidatigli dalla chiesa e poi dal re d'Inghilterra, che lo volle come suo confessore personale.
Andrewes prese parte alla nuova traduzione inglese della Bibbia e, suo malgrado, alle controversie teologiche del tempo fra Roma e Canterbury; ma fu un accanito oppositore di ogni interpretazione dei canoni ecclesiastici non rispettosa delle persone coinvolte in giudizio dalla chiesa.
Eletto vescovo di Chichester nel 1605, e più tardi trasferito alla sede di Winchester, egli fu per tal motivo membro di diritto del Parlamento inglese. Andrewes in qualità di parlamentare cooperò con il governo ogni volta che all'ordine del giorno vi erano questioni inerenti alla chiesa ma si rifiutò sempre di compiere ingerenze in campi non strettamente collegati alla fede cristiana.
Alla sua morte, nel 1626, venne alla luce, grazie alla pubblicazione postuma dei suoi sermoni e delle sue Preces privatae, l'enorme ricchezza della sua vita spirituale; egli fu infatti, seppur nel nascondimento, uno dei più grandi uomini di preghiera della chiesa di ogni tempo.

Tracce di lettura

La mia preghiera sgorghi,
salga fino a te, entri,
compaia al tuo cospetto, trovi grazia,
si faccia prossima a te;
e non lasciare che torni a me sterile, ma,
poiché tue sono la scienza, la forza e la volontà,
ascolta, porgi l'orecchio,
sii attento e guarda,
comprendi,
ascolta,
esaudisci e agisci.
(L. Andrewes, Preces privatae)

- Dal Martirologio ecumenico della Comunità monastica di Bose

Lancelot Andrewes (1555-1626)


Fermati 1 minuto. L'alterità e la prossimità di Cristo

Lettura

Luca 9,18-22

18 Un giorno, mentre Gesù si trovava in un luogo appartato a pregare e i discepoli erano con lui, pose loro questa domanda: «Chi sono io secondo la gente?». 19 Essi risposero: «Per alcuni Giovanni il Battista, per altri Elia, per altri uno degli antichi profeti che è risorto». 20 Allora domandò: «Ma voi chi dite che io sia?». Pietro, prendendo la parola, rispose: «Il Cristo di Dio». 21 Egli allora ordinò loro severamente di non riferirlo a nessuno. 22 «Il Figlio dell'uomo, disse, deve soffrire molto, essere riprovato dagli anziani, dai sommi sacerdoti e dagli scribi, esser messo a morte e risorgere il terzo giorno».

Meditazione

Gesù cerca la solitudine per pregare, ma pur trovando "un luogo appartato" (v. 18) è con i suoi discepoli. Questa contemporanea distanza e prossimità sembra testimoniare la necessità di una ricerca personale e intima con il Padre e al contempo la dimensione comunitaria, "ecclesiale" della preghiera.

Poco prima nel suo Vangelo, Luca ci ha riferito la curiosità di Erode di vedere Gesù, ma sappiamo dal racconto della passione che il tetrarca lo considerava niente di più che un uomo capace di compiere prodigi, ricercandolo per soddisfare la propria curiosità.

Gesù termina questo suo momento di preghiera ponendo una domanda ai discepoli, forse afflitto dalle incomprensioni trovate durante la sua predicazione e richiedendo un'aperta attestazione di fede. I discepoli gli riferiscono chi pensa la gente che egli sia: Giovanni il Battista, Elia, uno degli antichi profeti. Insomma, "nulla di nuovo". Le folle - contrapposte a pochi uomini e donne che venono guariti e lo riconosco per chi egli è - relegano la sua identità a un retaggio del passato, non riescono a cogliere la totale alterità della sua persona rispetto all'uomo, in quanto Figlio di Dio, e al contempo la sua totale prossimità al genere umano in quanto Dio incarnato. 

A rispondere a nome dei discepoli è Pietro, che riconosce in Gesù il Cristo di Dio (v. 20), il Messia atteso da Israele. Questa affermazione non gli viene da una deduzione intellettuale ma gli è rivelata dal Padre, messa in bocca dallo Spirito. 

Matteo nel suo Vangelo riporta la risposta di Gesù alla professione di fede di Pietro: «Beato te, Simone figlio di Giona, perché né la carne né il sangue te l'hanno rivelato, ma il Padre mio che sta nei cieli» (Mt 16,17), evidenziando che la fede stessa è un dono della grazia. Gesù ordina di non riferire ciò a nessuno. Egli si aspetta una risposta personale da ciascuno di noi alla sua domanda: «Chi sono io?»: nessuna autorità religiosa potrà costringere la nostra coscienza a professare ciò che Dio chiede da noi come un atto di libertà, capace di accogliere la luce della grazia. 

Ma Gesù dice anche che egli "deve soffrire molto" (v. 22); si tratta di un imperativo: egli sa che il suo destino è la croce e gli va incontro senza esitazioni, perché sarà proprio la croce a rivelare pienamente chi egli veramente è: colui che dona la sua vita per i peccatori, con un atto di espiazione che è al contempo totale abbassamento della propria divinità, per prendere su di sé la condizione umana, innalzandola fino a quella divina. La croce sarà lo scandalo più grande, ma al contempo anche la più alta rivelazione di Dio all'umanità. Su questa verrà posto il sigillo della resurrezione.

Preghiera

Noi ti confessiamo, Signore, come il Cristo, salvatore dell'umanità e di ciascuno di noi individualmente. La preghiera, rivolta al Padre, vicino a te, ci aiuti a comprendere sempre più a fondo la tua natura divina e lo Spirito santo ci conforti nelle prove della vita presente. Amen.

- Rev. Dr. Luca Vona

giovedì 24 settembre 2020

Silvano del Monte Athos e la docilità all'azione dello Spirito

Nel 1938 muore al monte Athos lo starec Silvano. Semën (Simeone) Ivanovič Antonov era nato nel 1866 a Šovsk, in Russia, da una famiglia di poveri contadini, ed era entrato nel 1892 nel monastero athonita di San Panteleimon. La sua parabola monastica fu una straordinaria ricerca di docilità all'azione dello Spirito santo. Silvano aveva infatti cominciato ad avvertire da giovane la presenza dello Spirito nel suo cuore, e aveva deciso di dedicarsi interamente a custodire mediante la preghiera il dono ricevuto. Nominato economo del monastero, egli continuò a riservare ogni giorno un tempo ragguardevole per la preghiera, pur avendo ormai più di 200 monaci a cui provvedere. Ammaestrato dallo Spirito a riconoscere Gesù e in Gesù la misericordia del Padre, Silvano intraprese un cammino di assimilazione al suo Signore. Egli capì che solo nell'umiltà, nel riconoscersi «terra desolata», «carne di peccato», avrebbe potuto raggiungere la piena comunione con Cristo disceso agli inferi per amore di tutti gli uomini. Ebbe la grazia della preghiera continua ed ebbe la visione del Cristo oltre a soffrire molto da parte di demoni. Ma l'esperienza mistica che più lo marcò, avvenne attorno all'anno 1906, quando in preda a grande sconforto per non riuscire a estirpare i suoi sentimenti di orgoglio, così si rivolse a Dio: «Signore, tu vedi che cerco di pregarti con spirito puro, ma il demonio me lo impedisce.» Ricevette allora nel suo cuore questa risposta: «Gli orgogliosi devono sempre soffrire da parte dei demoni.» Silvano rispose: «Allora, Signore, dimmi cosa devo fare perché la mia anima diventi pura.» Di nuovo ricevette la risposta: «Tieni il tuo spirito in inferno e non disperare mai». In realtà, proprio per essersi accusato, lui stesso di essere un orgoglioso, e aver pregato Dio di estirpargli questo sentimento, ha mostrato un grande spirito di umiltà. Nonostante non avesse ricevuto una istruzione superiore, assunse grande fama presso i pellegrini che lo cercavano per i suoi utili consigli, tra essi anche altri prelati, vescovi e cattedratici. Passò gli ultimi anni della sua vita a ricevere migliaia di persone che venivano dai luoghi più lontani per chiedere una parola o una preghiera : colui che ormai era noto a tutti semplicemente come lo «starec Silvano».

Tracce di lettura

Spirito santo, non abbandonarci! Quando tu sei in noi, l'anima avverte la tua presenza, trova in Dio la sua beatitudine: tu ci doni l'amore ardente per Dio. Spirito santo, non mi abbandonare! Quando ti allontani da me, i pensieri malvagi assalgono il mio cuore: l'anima mia piange lacrime amare. 

(dagli Scritti di Silvano dell'Athos).

Abba Paisio pregava per un proprio discepolo che aveva rinnegato Cristo. Mentre pregava, gli apparve Cristo e gli disse: « Paisio, per chi stai pregando? Non mi ha forse rinnegato?». Ma il santo continuò ad aver compassione del proprio discepolo. Allora il Signore gli disse: «Paisio, tu mi sei divenuto simile mediante l'amore»

(Detto dei padri che Silvano amava ripetere)

- Fonti: Martirologio ecumenico della Comunità monstica di Bose; Wikipedia

Silvano del Monte Athos (1866-1938)

Fermati 1 minuto. Vediamo quel che cerchiamo

Lettura

Luca 9,7-9

7 Intanto il tetrarca Erode sentì parlare di tutti questi avvenimenti e non sapeva che cosa pensare, perché alcuni dicevano: «Giovanni è risuscitato dai morti», 8 altri: «È apparso Elia», e altri ancora: «È risorto uno degli antichi profeti». 9 Ma Erode diceva: «Giovanni l'ho fatto decapitare io; chi è dunque costui, del quale sento dire tali cose?». E cercava di vederlo.

Commento

La fama di Gesù si è diffusa dai suoi giorni terreni a oggi fino a ogni angolo della terra, ma quanti riescono davvero a riconoscerlo per quello che egli è? L'interesse di Erode verso Gesù narrato dall'evangelista Luca prepara quello che il tetrarca mostrerà durante la passione. Egli, che ha ucciso Giovanni il Battista, cercherà in seguito di uccidere anche Gesù (Lc 31,33), e quando questi verrà a lui inviato da Pilato per essere giudicato, Erode si rallegrerà "perché da molto tempo desiderava vederlo per averne sentito parlare e sperava di vedere qualche miracolo fatto da lui" (Lc 23,8). 

Di fronte al silenzio di Gesù, che non accondiscende a tale richiesta, Erode reagirà facendolo insultare e schernire dai suoi soldati e rimandandolo da Pilato. Erode è confuso in merito all'identità di Gesù, perché la sua curiosità lo fa restare a un livello superficiale di comprensione; cerca di vederlo, ma unicamente per appagare il desiderio di assistere a qualche prodigio. 

A Erode non interessa niente della ricerca della verità, della bontà, della giustizia di Dio. Per questo la verità incarnata si sottrae a lui, non disvelando la propria natura e la propria potenza. Il rapporto tra Gesù ed Erode attesta il fatto che ciò che troveremo in Gesù dipende da ciò che stiamo cercando. 

Così Nicodemo trova in lui la verità che cercava nelle Scritture; gli scribi e i farisei che gli sono ostili credono di avere di fronte un impostore e un bestemmiatore; Pilato vede in lui un uomo innocente ma non riesce ad andare oltre; mentre il centurione che assiste alla sua morte escalama «Davvero costui era Figlio di Dio!» (Mt 27,54). 

L'idea che abbiamo di Gesù è fondamentale nella relazione che stabiliamo con lui, per questo egli domanda rivolto ai Dodici: «Ma voi chi dite che io sia?»; «Il Cristo di Dio» (Lc 9,20), risponde Pietro, prendendo la parola a nome dei discepoli, e di tutti coloro i cui occhi si aprono alla comprensione mediante la fede.

Preghiera

La conoscenza di te, Signore, possa appagare il nostro desiderio di verità e giustizia, per essere tuoi discepoli nel mondo, testimoniando il Figlio di Dio che si è incarnato, è morto e risorto per noi. Amen.

- Rev. Dr. Luca Vona

mercoledì 23 settembre 2020

Fermati 1 minuto. Come riconoscere il vero apostolo di Cristo

Lettura

Luca 9,1-6

1 Egli allora chiamò a sé i Dodici e diede loro potere e autorità su tutti i demòni e di curare le malattie. 2 E li mandò ad annunziare il regno di Dio e a guarire gli infermi. 3 Disse loro: «Non prendete nulla per il viaggio, né bastone, né bisaccia, né pane, né denaro, né due tuniche per ciascuno. 4 In qualunque casa entriate, là rimanete e di là poi riprendete il cammino. 5 Quanto a coloro che non vi accolgono, nell'uscire dalla loro città, scuotete la polvere dai vostri piedi, a testimonianza contro di essi». 6 Allora essi partirono e giravano di villaggio in villaggio, annunziando dovunque la buona novella e operando guarigioni.

Commento

Gesù comunica la sua stessa potenza ai dodici apostoli che si è scelto e li manda - questo il significato del termine apostoli: "inviati" - ad annunciare il regno di Dio, a cacciare i demòni e a curare tutte le malattie. Non c'è altro di cui debba occuparsi un apostolo: annunciare il vangelo e confortare gli infermi nell'anima e nel corpo. L'instaurazione del regno di Dio non è opera umana, per questo Gesù chiede ai Dodici di non preoccuparsi di nulla, neanche di ciò che sembra indispensabile, come il pane o un cambio di vestiti.

All'apostolo è richiesta una radicale semplicità di vita e un totale affidamento alla provvidenza di Dio. Da ciò deriva anche il dovere della "stabilità": lungi dal girare di casa in casa, magari per cercare beni e ricompense, gli apostoli dovranno stabilirsi presso una sola casa in ogni città; ma tale stabilità non deve portare a un attaccamento contrario al dovere della predicazione itinerante. 

Essi, dunque, ripartiranno di là, dopo aver proclamato il vangelo a quella città, e andranno altrove a portare il lieto annuncio, liberare e sanare. Se non saranno accolti andranno oltre, rifiutando di portare con sé persino la polvere di quella città; non pronunceranno maledizioni ma compiranno il gesto di una rottura completa con coloro che non credono. 

Da tutti questi segni riconosceremo il vero apostolo: l'annuncio fedele del vangelo, la sobrietà di vita, il disinteresse verso qualsiasi ricompensa per il suo ministero, il sedersi alla mensa di chiunque lo accolga (come fece Gesù anche con i pubblicani e i peccatori), la capacità di un distacco per andare oltre ad annunciare la parola di Dio, la mitezza e al contempo la radicalità di fronte al rifiuto della sua missione.

Preghiera

Donaci, Signore, la gioia dell'anuncio del vangelo, la coerenza espressa nella semplicità di vita e una salda fiducia nella tua misericordia. Amen.

- Rev. Dr. Luca Vona

martedì 22 settembre 2020

Fermati 1 minuto. Quale famiglia cristiana?

Lettura

Luca 8,19-21

19 Un giorno andarono a trovarlo la madre e i fratelli, ma non potevano avvicinarlo a causa della folla. 20 Gli fu annunziato: «Tua madre e i tuoi fratelli sono qui fuori e desiderano vederti». 21 Ma egli rispose: «Mia madre e miei fratelli sono coloro che ascoltano la parola di Dio e la mettono in pratica».

Commento

Non sappiamo se i "fratelli" di Gesù menzionati in questo brano fossero figli di Maria o, come accadeva secondo una usanza semitica, il termine greco adelphos (f. adelphe) va inteso come "cugini", "nipoti", "fratellastri" (vedi ad es. Gn 14,16; 29,15; Lv 10,4). Una antica e diffusa tradizione patristica afferma la verginità di Maria anche dopo aver partorito Gesù. 

Tutto ciò poco conta ai fini dell'interpretazione del racconto di Luca. Ciò che esso ci trasmette è che, senza disprezzare la famiglia naturale, Gesù pone al di sopra di essa la famiglia che egli "si è scelto", quella di coloro che ascoltano la parola di Dio e la mettono in pratica (v. 21). Il passo evangelico, "ingentilito" rispetto al parallelo di Marco (Mc 3,31-35) - in cui Gesù afferma «Chi è mia madre e chi sono i miei fratelli?». (Mc 3,33) - riferisce che "non potevano avvicinarlo", "stavano fuori" e "desideravano vederlo", ma tutto ciò gli era impedito dalla folla. 

Vi è una distanza, una barriera impenetrabile che si frappone tra Gesù e i suoi familiari. In un passo ancor più "duro" di Marco ci viene riferito che i familiari di Gesù, in altra occasione "uscirono per andare a prenderlo; poiché dicevano: «È fuori di sé» (Mc 3,21)". Altrove Gesù afferma: «Un profeta non è disprezzato che nella sua patria, tra i suoi parenti e in casa sua» (Mc 6,4). 

Gesù relativizza l'istituto familiare; non ne fa "una gabbia", un contesto chiuso e autoreferenziale, ma lo pone in secondo piano rispetto al senso di appartenenza alla famiglia dei credenti. In questo senso, «chiunque avrà lasciato case, o fratelli, o sorelle, o padre, o madre, o figli, o campi per il mio nome, riceverà cento volte tanto e avrà in eredità la vita eterna» (Mt 19,29). Altrove Gesù afferma: «Non crediate che io sia venuto a portare pace sulla terra; non sono venuto a portare pace, ma una spada. Sono venuto infatti a separare il figlio dal padre, la figlia dalla madre, la nuora dalla suocera. (Mt 10,34-35)». 

Ma se la parola di Dio è una spada che può recidere i legami familiari è anche un vincolo che può rafforzarli, arricchirli di una forza di unione soprannaturale. Allora la famiglia diventa qualcosa di più di una sorta di "clan"; diviene il focolare della Parola di Dio, laddove due o tre riuniti nel nome di Gesù lo rendono presente in mezzo a loro; diventa nucleo fecondo per l'evangelizzazione al di fuori di essa.

Preghiera

Custodisci le nostre famiglie Signore, affinché la tua parola possa rendersi presente in mezzo a noi, per vivificare le nostre relazioni e renderci apostoli del vangelo. Amen.

- Rev. Dr. Luca Vona

lunedì 21 settembre 2020

Matteo evangelista e Gesù come nuovo Mosè

Oggi le chiese d'oriente e d'occidente ricordano Matteo, apostolo ed evangelista.

Levi-Matteo, figlio di Alfeo, era un esattore delle tasse a Cafarnao. Chiamato da Gesù alla sua sequela, egli fu tra coloro che lasciarono tutto - casa, fratelli e sorelle, padre e madre, amici, lavoro e beni - per andare dietro al Signore. Gli evangeli raccontano che Matteo il pubblicano diede un banchetto d'addio per i suoi amici, pubblicani e peccatori come lui, e che Gesù si recò a casa sua e pranzò con loro, mostrando così di essere venuto nel mondo non per i giusti ma per i peccatori. Matteo, secondo la tradizione, è l'autore del vangelo che porta il suo nome, destinato ai credenti in Gesù Messia venuti dall'ebraismo, e probabilmente scritto a qualche anno di distanza dalla redazione del vangelo secondo Marco. Quale scriba divenuto discepolo del regno dei cieli, egli fu capace di trarre dal proprio tesoro cose nuove e cose antiche, per rispondere ai problemi posti ai suoi interlocutori dalla distruzione del Tempio di Gerusalemme. Gesù, nell'opera matteana, è presentato come il nuovo Mosè che, con autorità divina, risale alla volontà stessa del Legislatore e porta così a compimento la rivelazione data da Dio sul Sinai. Non sappiamo con certezza in quali regioni Matteo abbia predicato il vangelo. Secondo la tradizione, in Siria o in Etiopia.

Caravaggio, San Matteo e l'angelo, Chiesa di San Luigi dei Francesi, 1602

Tracce di lettura

Nel chiamare qualcuno, Gesù gli diceva che ormai gli restava una sola possibilità di credere in lui, cioè quella di abbandonare tutto e di andare con il Figlio di Dio fatto uomo. Con questo primo passo colui che si pone alla sequela è messo nella situazione di poter credere. Se non si mette a seguire, se resta indietro, non impara a credere. Colui che è chiamato deve uscire dalla propria situazione, in cui non gli è possibile credere, per entrare nella sola situazione in cui è possibile credere. Questo passo non ha in sé un valore programmatico, è giustificato solo dalla comunione con Gesù Cristo che così viene raggiunta. Finché Levi resta alla dogana o Pietro attende alle reti, essi possono esercitare onestamente la propria professione, possono avere antiche o nuove conoscenze di Dio, ma se vogliono imparare a credere in Dio, devono seguire il Figlio di Dio fatto uomo, devono andare con lui.

(D. Bonhoeffer, Sequela)- Dal Martirologio ecumenico della Comunità monastica di Bose

Fermati 1 minuto. Gesù medico e medicina per le nostre anime

Lettura

Matteo 9,9-13

9 Andando via di là, Gesù vide un uomo, seduto al banco delle imposte, chiamato Matteo, e gli disse: «Seguimi». Ed egli si alzò e lo seguì. 10 Mentre Gesù sedeva a mensa in casa, sopraggiunsero molti pubblicani e peccatori e si misero a tavola con lui e con i discepoli. 11 Vedendo ciò, i farisei dicevano ai suoi discepoli: «Perché il vostro maestro mangia insieme ai pubblicani e ai peccatori?». 12 Gesù li udì e disse: «Non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati. 13 Andate dunque e imparate che cosa significhi: Misericordia io voglio e non sacrificio. Infatti non sono venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori».

Commento

Tra le persone più disprezzate nella società ebraica ai tempi di Gesù vi erano gli esattori delle imposte, perché non solo trattenevano per sé parte delle somme riscosse, ma lavoravano direttamente per i dominatori romani. 

Gesù chiama Matteo (Marco e Luca si riferiscono a questo pubblicano con il nome Levi) mentre egli è ancora nel peccato. Quella pronunciata da Gesù è un'unica parola, declinata all'imperativo: «Seguimi». La risposta di Matteo è istantanea, "si alzò e lo seguì". Non c'è alcun artificio retorico nella chiamata di Gesù: una sola parola è capace di persuadere e di trasformare la realtà, come vediamo in molte sue guarigioni, liberazioni da demoni e nei miracoli di resurrezione (Lazzaro e la figlia di Giairo). 

La sua parola è parola efficace. La risposta del vero discepolo è altresì incondizionata: Matteo non discute né se ne va rattristato come il giovane che aveva chiesto a Gesù cosa avrebbe dovuto fare per ottenere la vita eterna ma non se la sentiva di dare via le proprie ricchezze (Mt 19,22). Forse Matteo aveva ascoltato la predicazione del Battista o aveva sentito parlare di Gesù, ma quando questi passa di persona davanti a lui e lo chiama egli resta immediatamente affascinato. 

Segue nel Vangelo l'immagine del banchetto, probabilmente preparato a casa di Matteo stesso, insieme ad altri pubblicani. Il banchetto nell'antico oriente era simbolo di una condivisione d'animi profonda tra i commensali. Per questo i farisei mormorano e si scandalizzano per la familiarità che Gesù mostra verso i peccatori. E qui il Signore definisce il peccato come una malattia, una realtà che non può essere semplicemente condannata ma che va guarita; e implicitamente presenta se stesso come medico e medicina. 

A noi chiede un atteggimento simile, richiamando le parole del profeta Osea: "misericordia io voglio e non sacrificio" (Os 6,6). Il banchetto che segue la conversione di Matteo rammenta quello che segue il ritorno del figliol prodigo nella parabola a lui dedicata. Gesù ha promesso per chi lo ama di cenare con lui (Ap 3,20) e prendere dimora presso di lui (Gv 14,23); la sua parola catturerà il nostro cuore oppure lo troverà chiuso alla sua misericordia?

Preghiera

Signore Gesù Cristo che ci hai chiamato dalla morte del peccato alla vita nella grazia, concedici di gioire con te e di condividere con ogni uomo il dono della tua salvezza. Amen

- Rev. Dr. Luca Vona



domenica 20 settembre 2020

L'ansia per il mondo e quella per il Regno

COMMENTO ALLA LITURGIA DELLA QUINDICESIMA DOMENICA DOPO LA TRINITÀ

Colletta

Custodisci, ti supplichiamo, Signore, la tua Chiesa con la tua misericordia; e, poiché per la fragilità umana senza di te non possiamo che cadere, mantienici sempre al riparo da ciò che è dannoso e guidaci verso ciò che è profittevole per la nostra salvezza; per Gesù Cristo, nostro Signore. Amen.

Letture

Gal 6,11-18; Mt 6,24-34

Commento

Gesù ci raccomanda di non avere ansia per le ricchezze o per il nostro domani, ma è giusto avere ansia per la nostra salvezza e per la salvezza del prossimo; il cristiano e la Chiesa non devono mai venir meno a tale sollecitudine.

La vita del cristiano non è spensierata e concentrata sul cogliere edonisticamente l'attimo presente. Preghiamo invocando il Regno di Dio e il compimento della sua volontà, sospiriamo come le anime davanti al trono dell'agnello e come il salmista, dicendo "Fino a quando Signore?" (Sal 13,1; Sal 79,5; Ap 6,10).

Il messaggio evangelico non ci chiede di essere anestetizzati, di fuggire il senso di limitatezza e imprevedibilità che caratterizza la nostra esistenza umana in questo mondo. C'è un'ansia da curare e c'è un'ansia che non necessita di cure, perché è semplicemente un richiamo della retta coscienza a lavorare nella vigna che il Signore ci ha affidato, in prossimità del suo ritorno.

Esiste poi un'ansia religiosa contraria alla volontà di Dio. L'apostolo Paolo ci parla nella sua Lettera ai Galati, di coloro che vogliono fare bella figura nella carne e costringono gli altri a farsi circoncidere per non essere perseguitati per la croce di Cristo (Gal 6,12). Costoro sono anche ipocriti, perché "neppure quelli stessi che sono circoncisi osservano la legge, ma vogliono che siate circoncisi per potersi vantare nella propria carne" (Gal 6,13). 

Anche le chiese cristiane rischiano di adottare segni esteriori, atteggiamenti etici e pastorali, nell'ottica del conformismo e alla ricerca del consenso, per evitare le persecuzioni del mondo. Viene persa, così, quella sollecitudine positiva, per l'evangelizazione, per l'annuncio coraggioso del vangelo.

Gesù ci vuole liberare da queste ansie sbagliate, che esprimono un ripiegamento egocentrico e, in definitiva, una vita meschina e sofferente. Ci chiede di spostare il baricentro da noi stessi, liberandoci dalla schiavitù che caratterizza il timore della perdita, l'avversione per ciò che disturba i nostri interessi, il senso di incertezza che paralizza la nostra volontà.

La vita nella grazia è una esperienza di liberazione da tutte quelle sollecitudini vane, perché legate a ciò che è transitorio, impermanente, imponderabile. Da tutto ciò che è rassicurazione illusoria di essere salvati, come la circoncisione, le questioni di cibo o di bevanda (Rm 14,17), o qualsiasi altro segno "esteriore" di appartenenza religiosa. 

È la riscoperta di una esistenza centrata in Dio, alimentata dalla fiducia nel Padre, che con amore si prende cura delle sue creature. Egli stesso infatti ci rivestirà di un abito nuovo e splendente, come e più dei gigli del campo; ci donerà un abito di santità, perché “né la circoncisione né l'incirconcisione hanno alcun valore, ma l'essere una nuova creatura” (Gal 6,15).

- Rev. Dr. Luca Vona

venerdì 18 settembre 2020

Fermati 1 minuto. Gesù non ha paura delle donne

Lettura

Luca 8,1-3

1 In seguito egli se ne andava per le città e i villaggi, predicando e annunziando la buona novella del regno di Dio. 2 C'erano con lui i Dodici e alcune donne che erano state guarite da spiriti cattivi e da infermità: Maria di Màgdala, dalla quale erano usciti sette demòni, 3 Giovanna, moglie di Cusa, amministratore di Erode, Susanna e molte altre, che li assistevano con i loro beni.

Commento

La predicazione del regno di Dio è un'attività itinerante, che Gesù non compie da solo, ma insieme ai suoi discepoli. Egli si sposta di città in città, perché «Le volpi hanno le loro tane e gli uccelli del cielo i loro nidi, ma il Figlio dell'uomo non ha dove posare il capo» (Mt 8,20). Insieme a lui troviamo i Dodici, ma anche un piccolo gruppo di donne, cosa del tutto inconsueta per la cultura religiosa dell'epoca. I rabbini, infatti, non avevano donne come discepoli. Questa ritrosia è evidente nel racconto giovanneo dell'incontro tra Gesù e la samaritana, dove appunto i discepoli di Gesù si stupirono nel vederlo discorrere con una donna presso il pozzo (Gv 4,27). 

«Signore, gli disse la donna, dammi di quest'acqua, perché non abbia più sete» (Gv 4,15) esclama la samaritana al pozzo; e di quell'acqua sembrano essersi dissetate le tre discepole che seguono Gesù nel suo ministero. Maria, proveniente dalla città di Màgdala, è identificata da una tradizione senza alcun riscontro oggettivo con la donna che in un passo precedente versa il profumo sui piedi di Gesù e ne versa sul suo capo prima della passione; qui si dice semplicemente che fu liberata da sette demòni, ma un'altra tradizione, sempre senza alcun fondamento, ne fa una prostituta. Giovanna e Susanna sono menzionate solo qui. 

Saranno delle donne a seguire Gesù nella sua passione e a sostare sotto la croce, con Maria, la madre di Gesù e Giovanni, il discepolo che egli amava. E sempre delle donne sono le prime testimoni della risurrezione, annunciatrici della lieta notizia ai Dodici stessi. 

Le Scritture presentano un atteggiamento ambivalente sulla donna, a partire dalla progenitrice Eva, mediante la quale il peccato è entrato nel mondo, ai numerosi ammonimenti contenuti nel libro dei Proverbi, in cui l'uomo viene messo in guardia dalla capacità femminile di circuire e far cadere nel peccato. 

Eppure, tutta la storia della salvezza è costellata da figure di donne esemplari e benedette da Dio, a partire da Sara, che concepisce Isacco nella sua vecchiaia e diviene partecipe della promessa, fatta da Dio ad Abramo, di una discendenza più numerosa della sabbia del mare e, dunque, di una redenzione che si estende oltre i confini stessi di Israele; e poi Rachele, sposa di Giacobbe e madre di Giuseppe, che "piange i suoi figli", figura di colei che per Israele intercede presso Dio (Ger 31,15, ripreso da Mt 2,18). Per mezzo di una donna il Verbo incarnato decide di venire in mezzo a noi: Maria, nuova Eva, è lo strumento mediante il quale giungono a compimento le promesse messianiche. 

Sono figure per lo più silenziose le donne dell'Antico e del Nuovo Testamento, ma significative nella storia della salvezza. Il loro silenzio è sempre fecondo.

Preghiera

Concedicci Signore, di essere associati a te nella predicazione della salvezza e il nostro agire, guidato dal tuo Spirito, sia sempre più eloquente delle nostre parole. Amen.

giovedì 17 settembre 2020

Ildegarda di Bingen e il fuoco del Paraclito

Nel 1179 muore nel monastero di Rupertsberg, presso Bingen, Ildegarda, monaca e mistica.

Nata ottantun anni prima a Bermersheim, nella Renania, Ildegarda fu affidata a otto anni a Jutta di Sponheim, un'anacoreta che viveva legata alle benedettine di Disibodenberg. Intorno alle due donne la comunità crebbe, e alla morte di Jutta, Ildegarda ne assunse la responsabilità.

Essa seppe fare tesoro della propria estrema sensibilità e fragilità fisica per comprendere in profondità le forze fisiche e biologiche della natura e per affinare la propria arte farmacologica e medica, da cui molti trassero grandi benefici.

Attenta lettrice e ruminatrice delle Scritture, fu una donna di temperamento straordinario: predicò il vangelo in modo itinerante, quasi un secolo prima di Francesco d'Assisi, seguendo unicamente la voce interiore che la spingeva a farlo; promosse il rinnovamento spirituale nel monachesimo del suo tempo, e fu sempre pronta a servire i malati e a lenire le loro sofferenze.

In tutto questo, Ildegarda non dimenticò mai le proprie figlie spirituali, ma continuò sino alla fine a seguire a una a una tutte le monache dei monasteri che aveva fondato, con una dolcezza e una sensibilità pari alla forza e alla fermezza che aveva saputo mostrare quando si era trovata ad ammonire e a consigliare i potenti del suo tempo.

Su indicazione di Bernardo di Clairvaux, Ildegarda mise per iscritto il frutto della sua contemplazione visionaria del mondo, lasciando così ai posteri almeno un poco della sapienza che aveva saputo vivere e incarnare nel suo lungo itinerario umano e monastico.

Tracce di lettura

O fuoco dello Spirito Paraclito, vita della vita di ogni creatura, sei santo, tu che vivifichi le forme.

Sei santo, tu che copri con balsami le fratture doloranti, santo, tu che fasci le ferite incancrenite. Soffio di santità, fuoco di amore, dolce gusto nei cuori e pioggia nelle anime, profumato di virtù.

Fontana purissima nella quale si vede Dio, intento a radunare gli stranieri e a cercare gli smarriti.

Corazza della vita, speranza dell'unione di tutti gli uomini, crogiolo della bellezza, salva le tue creature!

Grazie a te le nubi corrono, l'aria plana, le pietre si coprono di umidità, le acque diventano ruscelli e la terra trasuda la linfa verdeggiante.

E sei ancora tu a guidare incessantemente i dotti e a colmarli di gioia mediante l'ispirazione della tua sapienza.

Lode dunque a te, che fai risuonare le lodi e rallegri la via: a te la speranza, l'onore e la forza.

Lode a te che porti a noi la luce. (Ildegarda di Bingen, O fuoco dello Spirito Paraclito)

- Dal Martirologio ecumenico della Comunità monastica di Bose

Ildegarda di Bingen (1098-1179)

Fermati 1 minuto. Un grande perdono genera un grande amore

Lettura

Luca 7,36-50

36 Uno dei farisei lo invitò a mangiare da lui. Egli entrò nella casa del fariseo e si mise a tavola. 37 Ed ecco una donna, una peccatrice di quella città, saputo che si trovava nella casa del fariseo, venne con un vasetto di olio profumato; 38 e fermatasi dietro si rannicchiò piangendo ai piedi di lui e cominciò a bagnarli di lacrime, poi li asciugava con i suoi capelli, li baciava e li cospargeva di olio profumato. 39 A quella vista il fariseo che l'aveva invitato pensò tra sé. «Se costui fosse un profeta, saprebbe chi e che specie di donna è colei che lo tocca: è una peccatrice». 40 Gesù allora gli disse: «Simone, ho una cosa da dirti». Ed egli: «Maestro, di' pure». 41 «Un creditore aveva due debitori: l'uno gli doveva cinquecento denari, l'altro cinquanta. 42 Non avendo essi da restituire, condonò il debito a tutti e due. Chi dunque di loro lo amerà di più?». 43 Simone rispose: «Suppongo quello a cui ha condonato di più». Gli disse Gesù: «Hai giudicato bene». 44 E volgendosi verso la donna, disse a Simone: «Vedi questa donna? Sono entrato nella tua casa e tu non m'hai dato l'acqua per i piedi; lei invece mi ha bagnato i piedi con le lacrime e li ha asciugati con i suoi capelli. 45 Tu non mi hai dato un bacio, lei invece da quando sono entrato non ha cessato di baciarmi i piedi. 46 Tu non mi hai cosparso il capo di olio profumato, ma lei mi ha cosparso di profumo i piedi. 47 Per questo ti dico: le sono perdonati i suoi molti peccati, poiché ha molto amato. Invece quello a cui si perdona poco, ama poco». 48 Poi disse a lei: «Ti sono perdonati i tuoi peccati». 49 Allora i commensali cominciarono a dire tra sé: «Chi è quest'uomo che perdona anche i peccati?». 50 Ma egli disse alla donna: «La tua fede ti ha salvata; va' in pace!».

Commento

Siamo davanti a un fariseo che mostra verso Gesù un importante gesto di accoglienza, invitandolo a condividere un pasto. L'ingresso in casa della donna durante il convito attesta che si trattava di un grande banchetto, perché in questo caso era consentito, in oriente entrare in casa a curiosare. 

Questo racconto è più un dipinto che una narrazione, per il suo svolgersi quasi completamente in silenzio. Dipinto dai colori contrastanti se confrontiamo il fariseo, che siede a mensa con Gesù e si pone dunque sul suo stesso piano e la donna, accovacciata dietro i suoi piedi; questa non dice una parola, ma mette in atto una serie di gesti, che richiamano le antiche usanze orientali verso gli ospiti: accogliere l'invitato con un bacio, lavargli i piedi, ungergli il capo con olio profumato. 

La tradizione che identifica questa donna con Maria di Magdala è tardiva e priva di fondamento, così come quella secondo la quale si tratterebbe di una prostituta. Il termine usato (gr. hamartolos) indica infatti semplicemente una condizione di peccato sia al maschile che al femminile. Il "lasciar fare" di Gesù nei confronti della donna è occasione di scandalo per il fariseo, che dentro di sé dubita di avere di fronte a sé un profeta: «Se costui fosse un profeta, saprebbe chi e che specie di donna è colei che lo tocca: è una peccatrice» (v. 39). 

Chiaramente il fariseo si considera di "una specie" del tutto differente, degno di stare a tavola con un profeta. La sua sicurezza di sé è in pieno contrasto con l'atteggiamento della peccatrice, che non smette di piangere. 

Contrariamente a quel che pensa il fariseo, Gesù sa benissimo chi è quella donna e sebbene quell'uomo, che si sentiva giusto per la pratica della legge, non abbia il coraggio di esprimere ad alta voce le proprie perplessità, lo anticipa facendogli una domanda. Chi sarà più felice: un uomo a cui vengono condonati cinquanta denari o uno a cui ne vengono condonati cinquecento? Il fariseo dà la risposta giusta, ma la sua giustizia rimane su un piano puramente teorico, legalistico; è lui a non sapere chi ha di fronte, scandalizzandosi, insieme ai commensali, di colui che riconosce semplicemente come Maestro, ma che dichiara di poter rimettere i peccati (v. 49).

La grande fede e l'amore della peccatrice hanno generato il perdono e questo, a sua volta, ha generato un grande amore. Il fariseo si pone al di fuori di questo circolo di fede e di amore, considerandosi giusto davanti a Gesù.

Senza l'umiltà la nostra religiosità è una pratica sterile. Non importa quanto "intimo" possiamo considerare il nostro rapporto con Dio. Chi si mette a tavola con il Signore aspettandosi di essere lodato come giusto o per vantarsi di aver familiarità con lui ne rimarrà deluso, perché non saprà comprendere la vera natura di colui che è venuto a salvare i peccatori e che afferma alla nostra anima «La tua fede ti ha salvata; va' in pace!».


Preghiera

Signore, donaci la pace che il mondo non conosce; noi non confidiamo nella nostra giustizia ma nella tua grande misericordia e ti adoriamo come il Figlio di Dio, venuto nel mondo per salvare i peccatori. Amen.

- Rev. Dr. Luca Vona

mercoledì 16 settembre 2020

Cipriano e Cornelio. La difesa dell'autonomia e dell'unità della Chiesa

Nel 258 nel corso delle persecuzioni dell'imperatore Valeriano, muore martire a Cartagine il vescovo Cipriano. Nato intorno al 210, Cipriano era un retore pagano che si convertì al cristianesimo dopo aver distribuito tutti i suoi beni ai poveri. A tre anni soltanto dalla conversione fu eletto vescovo di Cartagine. Vissuto in un periodo di grandi divisioni nella chiesa, suscitate dalle diverse posizioni assunte dai cristiani di fronte alla pressione ad apostatare esercitata su di loro dai persecutori, Cipriano optò sempre per un atteggiamento misericordioso verso chi era caduto nell'apostasia. Convinto infatti che il ministero episcopale fosse uno e indivisibile, e che fosse stato lasciato da Cristo alla chiesa per custodirne l'unità attraverso la remissione dei peccati, egli difese l'autorità episcopale sia contro le intromissioni dell'impero sia contro quei cristiani che minavano l'unità della chiesa pretendendo di costituire delle chiese parallele di uomini impeccabili. Anche per questo motivo, Cipriano sostenne contro l'antipapa Novaziano, eletto dalla fazione più rigorista del clero romano, il legittimo papa di Roma Cornelio. Il comune atteggiamento di Cornelio e Cipriano verso chi aveva ceduto di fronte alle violenze dei persecutori e la loro comune morte nel martirio, hanno fatto sì che la chiesa d'occidente li ricordi assieme in questo giorno.

Tracce di lettura

Fratelli, vi sono alcuni che invece di proporre la speranza, insinuano la disperazione e la mancanza di fede sotto il pretesto di offrire la fede. Ma il Signore dice a Pietro: «Io ti dico che tu sei Pietro e sopra questa pietra edificherò la mia chiesa, e le porte dell'inferno non la vinceranno. Io ti darò le chiavi del regno dei cieli: tutto ciò che legherai sulla terra sarà legato anche nei cieli e tutto ciò che scioglierai sulla terra sarà sciolto anche nei cieli».
Il Signore edifica la sua chiesa sopra uno solo; anche se dopo la sua resurrezione egli conferisce un'eguale potestà a tutti gli apostoli: «Come il Padre ha mandato me, anch'io mando voi. Ricevete lo Spirito santo: a chi rimetterete i peccati saranno rimessi; saranno ritenuti a chi li riterrete». Tuttavia per evidenziare l'unità dispose che l'origine della medesima procedesse da uno solo. Come può credere allora di possedere la fede chi non mantiene l'unità della chiesa?
(Cipriano, L'unità della chiesa cattolica 3-4)

- Dal Martirologio ecumenico della Comunità monastica di Bose

Cipriano e Cornelio (+258), Catacombe di san Callisto


Fermati 1 minuto. Generati dalla Sapienza

Lettura

Luca 7,31-35

31 A chi dunque paragonerò gli uomini di questa generazione, a chi sono simili? 32 Sono simili a quei bambini che stando in piazza gridano gli uni agli altri:
Vi abbiamo suonato il flauto e non avete ballato;
vi abbiamo cantato un lamento e non avete pianto!
33 È venuto infatti Giovanni il Battista che non mangia pane e non beve vino, e voi dite: Ha un demonio. 34 È venuto il Figlio dell'uomo che mangia e beve, e voi dite: Ecco un mangione e un beone, amico dei pubblicani e dei peccatori. 35 Ma alla sapienza è stata resa giustizia da tutti i suoi figli».

Commento

Un giudizio duro quello di Gesù sulla sua - e sulla nostra - generazione. Che sarà ribadito, in forma ancora più drastica, poco più avanti nel Vangelo di Luca: «O generazione incredula e perversa, fino a quando sarò con voi e vi sopporterò?»; parole che scuotono, queste ultime se pensiamo che furono rivolte ai discepoli che non erano riusciti a guarire il figlio indemoniato di un uomo che era ricorso a loro.

Gesù si lamenta con gli scribi e i farisei che non hanno accolto né il ministero ascetico di Giovanni il Battista, né il ministero gioioso di colui che "mangia e beve con i peccatori", annunciando il perdono  e la grazia, "promulgando l'anno di misericordia del Signore" (Is 61,2; Lc 4,19). 

L'atteggiamento di incredulità è considerato un atteggiamento infantile, una mancanza di maturità nella fede. Tale rischio riguarda anche i cristiani quando da un lato ricercano esempi di rigore e di ascetismo, ma non hanno la capacità di comprenderne il richiamo alla conversione; dall'altro faticano ad accettare l'idea di una misericordia "troppo larga di maniche" e mostrano sentimenti di contrarietà, perché il Padre ha cucinato il vitello grasso per festeggiare il ritorno a casa del figliol prodigo, del nostro fratello o della nostra sorella convertiti. Ogni scusa diventa  buona per rifiutare il vangelo.

Così facendo siamo ingiusti, questa la parola che usa Gesù. Perché non riconosciamo con gratitudine quanto amore Dio ha donato a noi per primo e non siamo capaci, dunque, di rispondere con altrettanto amore, si manifesti esso nella forma di un distacco dal mondo per cercare le cose di lassù (Col 3,1) o nella predicazione della gioia evangelica.

Ma la sapienza, che è il Cristo, il Logos eterno, non è sterile. Essa genera i suoi figli che le rendono lode e giustizia. Noi saremo generati da lei nella misura in cui essa sarà generata in noi, mediante lo Spirito di Dio.

Preghiera

Signore, noi ci rallegriamo per la tua grazia; aiutaci a maturare frutti di conversione, per annunciare il vangelo della salvezza. Te lo chiediamo per il tuo Figlio, Sapienza eterna che si è incarnata nel tempo prestabilito per la nostra redenzione. Amen.

- Rev Dr. Luca Vona

martedì 15 settembre 2020

Fermati 1 minuto. La Chiesa, generata sotto la croce

Lettura

Giovanni 19,25-34

25 Stavano presso la croce di Gesù sua madre, la sorella di sua madre, Maria di Clèofa e Maria di Màgdala. 26 Gesù allora, vedendo la madre e lì accanto a lei il discepolo che egli amava, disse alla madre: «Donna, ecco il tuo figlio!». 27 Poi disse al discepolo: «Ecco la tua madre!». E da quel momento il discepolo la prese nella sua casa.
28 Dopo questo, Gesù, sapendo che ogni cosa era stata ormai compiuta, disse per adempiere la Scrittura: «Ho sete». 29 Vi era lì un vaso pieno d'aceto; posero perciò una spugna imbevuta di aceto in cima a una canna e gliela accostarono alla bocca. 30 E dopo aver ricevuto l'aceto, Gesù disse: «Tutto è compiuto!». E, chinato il capo, spirò.
31 Era il giorno della Preparazione e i Giudei, perché i corpi non rimanessero in croce durante il sabato (era infatti un giorno solenne quel sabato), chiesero a Pilato che fossero loro spezzate le gambe e fossero portati via. 32 Vennero dunque i soldati e spezzarono le gambe al primo e poi all'altro che era stato crocifisso insieme con lui. 33 Venuti però da Gesù e vedendo che era già morto, non gli spezzarono le gambe, 34 ma uno dei soldati gli colpì il fianco con la lancia e subito ne uscì sangue e acqua.

Commento

La figura di Maria, che appare in maniera discreta nei Vangeli e solo in quello di Giovanni figura sotto la croce, era stata presente durante il primo miracolo di Gesù alle nozze in Cana di Galilea. In quella occasione aveva portato all'attenzione del figlio la mancanza di vino per i commensali, ricevendo l'enigmatica risposta: "'Che ho da fare con te, o donna? Non è ancora giunta la mia ora'" (Gv 2,4). 

La trasformazione dell'acqua in vino non è un miracolo di guarigione o liberazione, ma con esso Gesù sembra prefigurare in maniera incruenta il dono del suo sangue per la vita dei peccatori riconciliati.

Quell'"ora" che è un "non ancora" a Cana, scocca nel momento culminante della passione, in cui Maria diventa madre dei credenti - personificati da Giovanni - e al tempo stesso oggetto di sollecitudine del discepolo.

Maria sotto la croce è stata assurta a simbolo della Chiesa e come colei che intercede per gli uomini presso il Figlio; eppure nella loro semplicità le parole evangeliche ci mostrano il Figlio che intercede per Maria e la affida al discepolo che egli amava. 

Una madre è degna senz'altro di essere onorata - "Onora tuo padre e tua madre" (Es 20,12) - e al tempo stesso un figlio, quale viene definito Giovanni in rapporto a Maria, è oggetto delle sollecitudini materne. 

Se Maria rappresenta la Chiesa, questa è affidata ai credenti, affinché se ne prendano cura. Ma al tempo stesso essi sono figli della Chiesa, dalla quale hanno ricevuto la dottrina degli apostoli, per mezzo del vangelo. 

La Chiesa non è una istituzione umana, ma la comunità dei redenti dalla sete di anime di Cristo.

Preghiera

Noi ti lodiamo, Padre celeste, per averci donato la tua Parola vivente, rivestita di un vero corpo nel grembo di Maria; il tuo Spirito ci guidi sempre nell'amore alla tua Chiesa, generata dal sangue del tuo Figlio. Amen.

- Rev. Dr. Luca Vona

domenica 13 settembre 2020

Un maestro che si prende cura

COMMENTO ALLA LITURGIA DELLA QUATTORDICESIMA DOMENICA
DOPO LA TRINITÀ

Colletta

Dio onnipotente ed eterno, accresci in noi la fede, la speranza e la carità; affinché possiamo ottenere ciò che hai promesso, compiendo ciò che hai comandato. Per Gesù Cristo nostro Signore. Amen.

Letture

Gal 5,16-24; Lc 17,11-19

Commento

Gesù si trova ai limiti di Israele, tra la Samaria e la Giudea, in un territorio a popolazione mista, in parte di etnia ebraica, in parte di etnie straniere. I samaritani, oltre che provenire da diverse nazionalità, praticavano un culto sincretico in un tempio sul Monte Gherizim; la loro religiosità teneva in gran considerazione il Pantateuco ma affiancava al timore per il Dio biblico il culto di idoli pagani. Per tali ragioni erano grandemente disprezzati dal popolo di Israele.

La comune sorte della malattia aveva unito i lebbrosi protagonisti di questo episodio evangelico, in parte ebrei e in parte samaritani, nella vita al di fuori della società. I lebbrosi infatti dovevano seguire precise disposizioni della legge levitica (Lv 13), abitare fuori dalle città e mantenersi ad ampia distanza da chi avrebbero incontrato, annunciando a gran voce la propria impurità.

Alla vista di Gesù il loro grido di dolore si volge verso di lui, che viene riconosciuto non come semplice didàskalos, "insegnante", ma come "maestro", epistàta (cfr. Lc 5,5), cioè come colui che si prende cura dei suoi allievi; questo titolo nel Vangelo di Luca gli è attribuito normalmente dai discepoli.

Gesù compie la guarigione ma chiede ai lebbrosi di andare prima a mostrarsi ai sacerdoti. La legge infatti non è stata ancora abolita, il velo del tempio non è stato ancora squarciato dalla sua morte. I lebbrosi guariscono strada facendo, ma solo uno torna indietro a ringraziare Gesù e, prostratosi, ne riconosce la natura divina. 

Gli altri nove, perché non sono tornati a glorificare colui dal quale avevano implorato la guarigione? Forse la ritenevano come dovuta, attribuivano ai propri meriti il miracolo compiuto da Gesù. Si mostrano come coloro che scampato il pericolo, mancano di gratitudine. 

Anche noi rischiamo di essere pronti a ricorrere a Dio con fede nelle difficoltà, ma spesso ci dimentichiamo di ringraziarlo quando le nostre preghiere vengono esaudite. Quanto spazio vi è nella nostra preghiera per la supplica e quanto per la lode?

Gesù invita il samaritano ad alzarsi e ne proclama la salvezza per fede. Questi non solo è guarito da un male che lo teneva al di fuori della società civile, ma è stato illuminato spiritualmente dalla grazia riconoscendo Gesù come Signore.

Cristo ci purifica da quei peccati e da quelle ferite che ci tengono separati dalla comunione fraterna, non guarda alla nostra storia passata e non fa distinzioni. D'altronde, come nota Paolo nella sua lettera ai Galati: "le promesse furono fatte ad Abrahamo e alla sua discendenza: non dice «E alle discendenze» come se si trattasse di molte, ma come di una sola: «E alla tua discendenza», cioè Cristo" (Gal 3,16). In Cristo siamo salvati, non mediante la legge, ma mediante la promessa fatta ad Abramo, patriarca di un'eredità numerosa come la sabbia del mare.

- Rev. Dr. Luca Vona

mercoledì 9 settembre 2020

Poemen e la coscienza della propria fragilità

La Chiesa copta fa oggi memoria di abba Poemen, monaco del deserto egiziano vissuto a cavallo tra il IV e il V secolo. L'esatta ricostruzione della sua figura storica costituisce uno dei puzzle più intricati dell'agiografia moderna. Quel che è certo, tuttavia, è che Poemen fu ritenuto portatore di insegnamenti talmente importanti da attribuire a lui oltre un ottavo di tutto il corpo dei Detti dei padri del deserto. 
Secondo la letteratura apoftegmatica, egli nacque attorno al 350, visse nell'insediamento monastico di Scete dove si era recato assieme a sei fratelli, ed entrò in contatto con le più grandi figure spirituali di quel tempo. Di lui si ricordano parole assai significative sul tema del discernimento spirituale, che per Poemen nasce dalla conoscenza della propria e dell'altrui fragilità. Soltanto l'umiltà, quindi, il non giudicare, il non fare paragoni, possono condurre un uomo a conoscere ciò che è possibile conoscere di se stesso e del fratello che gli sta accanto. Da ciò scaturiscono quella condiscendenza e quella misericordia che sole pongono il credente in cammino sulle tracce del Dio rivelato da Gesù Cristo. Poemen è ricordato anche da diversi calendari bizantini e orientali, e il Baronio ne introdusse il nome nel Martirologio Romano del 1573.

Tracce di lettura

Il padre Poemen disse: «Il vigilare, lo stare attenti a se stessi, e il discernimento, queste tre virtù sono guide dell'anima».
Disse ancora: «Da qualsiasi pena tu sia colto, la vittoria è il tacere».
Disse abba Poemen: «Vi è un uomo che sembra tacere e il suo cuore giudica gli altri; costui parla sempre; e ve ne è un altro che parla da mane a sera e conserva il silenzio; non dice cioè niente che non sia di edificazione».
Un fratello chiese al padre Poemen: «Se vedo la caduta di un fratello, è bene nasconderla?». L'anziano gli rispose: «Nell'ora in cui copriremo la caduta del fratello, anche Dio coprirà la nostra; nell'ora in cui la sveleremo, anche Dio svelerà la nostra»
(Detti dei padri del deserto, Poemen 35, 37, 27 e 64)

- Dal Martirologio ecumenico della comunità monastica di Bose

Detti dei Padri del Deserto – San Poemen Abate – “Ipocrita è chi insegna al  suo prossimo una cosa a cui egli non è ancora arrivato” – Francesco, va',  ripara la mia casa
Poemen (ca 350-450)