Il Rev. Dr. Luca Vona
Un evangelico nel Deserto

Ministro della Christian Universalist Association

giovedì 30 aprile 2020

Fermati 1 minuto. Dove andrai tu, andrò anch'io

Ma Rut rispose: «Non pregarmi di lasciarti, per andarmene via da te; perché dove andrai tu, andrò anch'io; e dove starai tu, io pure starò; il tuo popolo sarà il mio popolo, e il tuo Dio sarà il mio Dio; dove morirai tu, morirò anch'io, e là sarò sepolta». Rut 1,16-17

L'impegno di Rut a una fedeltà fino alla morte è rivolto a Naomi, ma è un'immagine perfetta della totale consacrazione a Dio.
Non sappiamo le vie in cui il Signore ci condurrà, ma possiamo impegnarci a seguirlo.
Spesso non possiamo scegliere il posto,  ma attraverso la consacrazione possiamo scegliere lui come compagno.
Quando ci affidiamo a Dio diventiamo membri del suo popolo. Le persone che vi appartengono posso non essere ricche, sapienti o acculturate. Ma poiché sono il suo popolo sono amorevoli e devote. Io necessito proprio di questo tipo di compagnia.
affidiamo a Dio anche la nostra morte: "sarò seppellito là dove tu vorrai"; perché neanche la morte può separarci da Cristo.

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Giuseppe Benedetto Cottolengo. Noi apparteniamo ai poveri

Nel calendario della chiesa ambrosiana si ricorda oggi Giuseppe Benedetto Cottolengo, presbitero e fondatore della Casa della Divina provvidenza. Nativo di Bra, nei pressi di Cuneo, Giuseppe Cottolengo, al pari di molti altri aspiranti al presbiterato del suo tempo, ebbe molte difficoltà nello studio per la chiusura dei seminari seguita alla Rivoluzione francese. Egli riuscì tuttavia a ricevere l'ordinazione presbiterale all'età di venticinque anni, nel 1811, nel seminario di Torino. Dapprima, si dedicò intensamente agli studi teologici, entrando a far parte di una congregazione torinese di preti teologi; ma la sua vera vocazione si rivelò essere un'altra.

G.B.COTTOLENGO
Giuseppe Benedetto Cottolengo (1786-1842)

Dedito già da tempo a un ripensamento silenzioso, anche difficile, della strada intrapresa, egli s'imbatté nella drammatica situazione di una malata che nessun ospedale, per diversi motivi, voleva o poteva accogliere. Cottolengo iniziò così nel 1827 a creare uno spazio di accoglienza per ogni sorta di malati «rifiutati» dalla società: poveri e orfani, malati di mente e invalidi. Nei restanti quindici anni della sua vita, Giuseppe Benedetto diede vita a una serie impressionante di iniziative caritatevoli, fondando la Casa della Divina provvidenza e avviando una congregazione di preti, suore e laici dediti al sostegno dei malati più emarginati della società. Vero e proprio «genio del bene», come lo definirà papa Pio IX, Cottolengo manifestò come la multiforme sapienza dell'uomo di fede possa trovare risposte a ogni appello rivolto dai bisogni lancinanti degli ultimi e degli abbandonati. Cottolengo morì dopo aver contratto il tifo, il 30 aprile del 1842. Al momento della sua morte, le sue case di accoglienza avevano curato più di 6.500 malati.

Tracce di lettura

Esercitate la carità, ma esercitatela con entusiasmo! Per far del bene ai poveri dovete, se occorre, insozzarvi fino al collo: questa è la carità che dovete esercitare.
Non fatevi chiamare due volte: siate solleciti! Interrompete qualunque altra occupazione, anche santissima, e volate in aiuto dei poveri.
E' una bella cosa sacrificare la salute e anche la vita per il bene dei nostri fratelli abbandonati o infermi. Essi sono i nostri padroni e i nostri fratelli, sono le perle della Piccola casa.
E non facciamo economia con i poveri, perché quanto abbiamo è tutto loro, e noi stessi apparteniamo a loro e non ad altri.
(G. B. Cottolengo)

- Dal Martirologio ecumenico della Comunità monastica di Bose

mercoledì 29 aprile 2020

Fermati 1 minuto. Benedici il Signore anima mia

Vi esorto dunque, fratelli, per la misericordia di Dio, a presentare i vostri corpi in sacrificio vivente, santo, gradito a Dio; questo è il vostro culto spirituale. Rm 12,1 

Basta un attimo di riflessione per considerare che quello che mangiamo, l'aria che respiriamo, la forza per compiere il nostro lavoro quotidiano, ma anche i nostri familiari e i nostri amici sono un dono della misericordia di Dio.
Ma come cristiani sappiamo che è un dono di Dio anche il perdono dei peccati che ci è stato ottenuto per mezzo del sacrificio di Gesù Cristo; è un dono di Dio la compagnia dei nostri fratelli e sorelle nella fede; è un dono di Dio la possibilità di parlare con lui nella preghiera.
Per questo diciamo con il salmista: "Benedici, anima mia, il SIGNORE; e tutto quello ch'è in me, benedica il suo santo nome" (Sal 103,1).
Partendo da questi presupposti San Paolo ci esorta a consacrare la nostra vita al Signore. Perché non troveremo pace, non troveremo benedizione finché non avremo posto tutto sopra il suo altare.

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Caterina da Siena. Una vita per la riconciliazione

Nel calendario romano e in quello anglicano ricorre oggi la memoria di Caterina da Siena, terziaria domenicana e maestra della fede. Caterina Benincasa nacque a Siena nel 1347, ventiquattresima di venticinque figli. Nutrendo fin da piccola una particolare propensione per la vita interiore, a quindici anni si fece terziaria domenicana, attratta dall'attività caritativa verso i poveri e i malati. Il suo amore per Cristo, alimentato da un costante dialogo interiore, e la radicale vita evangelica che conduceva, le attirarono un piccolo cenacolo di discepoli, che la seguiranno ovunque per partecipare dei suoi doni e del suo ministero. Caterina votò tutta la propria vita alla causa della pace e dell'unità, operando - fatto del tutto inusuale per una giovane donna del suo tempo - per la riconciliazione delle città in lotta e per la riforma della chiesa, afflitta dalla corruzione e dallo scisma. 

CATERINA DA SIENA, Andrea Vanni, XIV sec.
Caterina da Siena (1347-1380), Andrea Vanni, XIV secolo

Caterina visitò i poveri per portare loro conforto e i potenti per indicare loro la via della riconciliazione esigita dal vangelo. Ebbe un'intensa corrispondenza, grazie alla quale elargiva consigli spirituali a tutti coloro che le chiedevano una parola, e lasciò un cantico d'amore di rara bellezza nel suo Dialogo sulla divina provvidenza. Caterina fu proclamata dottore della chiesa da Paolo VI nel 1968, titolo che le è riconosciuto anche dalla Chiesa d'Inghilterra. Essa morì in questo giorno, nel 1380, e pur avendo vissuto un lasso di tempo così breve ci ha lasciato con la sua vita una delle pagine più belle della spiritualità cristiana.

- Dal Martirologio ecumenico della Comunità monastica di Bose

martedì 28 aprile 2020

Fermati 1 minuto. Consacrare il proprio lavoro

Mosè disse ai figli d'Israele: «Vedete, il SIGNORE ha chiamato per nome Besaleel (...) lo ha riempito dello Spirito di Dio, per dargli sapienza, intelligenza e conoscenza per ogni sorta di lavori. Es 35,30-31

Dio ha chiamato Mosè per nome perché fosse il leader spirituale di Israele. Ma Mosè non fu l'unico chiamato per nome e la leadership spirituale non è l'unico compito cui Dio consacra l'uomo.
Dio ha bisogno di uomini talentuosi per costruire un luogo di adorazione. Egli disse ai figli di Israele: "il SIGNORE ha chiamato per nome Besaleel (...) lo ha riempito dello Spirito di Dio" (Es 35,30). Le abilità di Besaleel furono consacrate a Dio. Ogni uomo che svolge i proprio obiettivo quotidiano all'ombra di Dio può fare propria la testimonianza Biblica: "il SIGNORE lo ha riempito dello Spirito di Dio".

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Luigi Maria Grignon de Montfort. La vera devozione a Maria

Il 28 aprile la Chiesa cattolica d'occidente celebra la memoria di Luigi Maria Grignion de Montfort, S.M.M., ovvero Louis-Marie Grignion de Montfort (Montfort-la-Cane, 31 gennaio 1673 – Saint-Laurent-sur-Sèvre, 28 aprile 1716), presbitero francese, fondatore della Compagnia di Maria e delle Figlie della Sapienza.

Nominato missionario apostolico da papa Clemente XI esercitò il suo ministero nelle regioni nord-occidentali della Francia: nel Poitou (soprattutto in Vandea) e in Bretagna. Trascorse i primi anni di sacerdozio, occupandosi degli ospedali e dei poveri, mentre dopo l'incontro con il pontefice si dedicò quasi esclusivamente alla predicazione delle missioni. L'attività missionaria lo rese molto popolare e amato dagli abitanti di quelle regioni.

Luigi Maria Grignon de Montfort (1673-1716)

Fu autore di diversi testi nei quali presenta la sua dottrina spirituale che predicava nelle missioni. La sua opera principale è il Trattato della vera devozione alla Santa Vergine nel quale espone la sua dottrina mariana: Luigi Maria infatti promosse il culto mariano, nella forma che chiamava "la vera devozione", e la pratica del Rosario.

Fu proclamato santo da papa Pio XII nel 1947 e nel 2000, sotto il pontificato di papa Giovanni Paolo II, fu aperta una causa, tuttora in corso, per proclamarlo dottore della Chiesa.

Papa Giovanni Paolo II era particolarmente devoto a san Luigi Maria e al "Trattato di vera devozione": è stato il pontefice che maggiormente ha promosso la spiritualità monfortana che è molto presente nel suo magistero. Come suo motto scelse le parole: «Totus tuus» che derivano proprio dal "Trattato" come spiega lo stesso pontefice:

«Ecco spiegata la provenienza del Totus tuus. L'espressione deriva da san Luigi Maria Grignion de Montfort. È l'abbreviazione della forma più completa dell'affidamento alla Madre di Dio, che suona così: Totus Tuus ego sum et omnia mea Tua sunt. Accipio Te in mea omnia. Praebe mihi cor Tuum, Maria.»

Ricorda san Luigi Maria anche nell'enciclica Redemptoris Mater:

«[...] mi è caro ricordare, tra i tanti testimoni e maestri di tale spiritualità, la figura di san Luigi Maria Grignion de Montfort, il quale proponeva ai cristiani la consacrazione a Cristo per le mani di Maria, come mezzo efficace per vivere fedelmente gli impegni battesimali.»

lunedì 27 aprile 2020

Fermati 1 minuto. Conservare uno sguardo limpido

La lampada del corpo è l'occhio. Se dunque il tuo occhio è limpido, tutto il tuo corpo sarà illuminato. Mt 6,22

La guida della luce interiore procede in due opposte direzioni. Siamo sciolti dagli attaccamenti e dalle ambizioni terrene - contemptus mundi - e siamo stimolati a un divina ma dolorosa preoccupazione per il mondo - amor mundi.
Ma il distacco completo è molto più difficoltoso del distacco "mirato"; è più facile chiudere gli occhi davanti a una prelibatezza durante un giorno di digiuno che conservare gli occhi aperti, ma limpidi, ogni giorno della nostra vita.. Per questo la guida della Parola di Dio è più tagliente di una spada a due lame.

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Avvakum e tutti i martiri Vecchi Credenti

Il 14 aprile del 1682 sale sul rogo l'arciprete Avvakum, leader storico di quei cristiani russi passati alla storia come i Vecchi Credenti. Nella chiesa russa del XVII secolo, scossa dalla grave decadenza morale del clero e animata dal profondo desiderio religioso del popolo, diversi furono i tentativi di riforma spirituale che si succedettero, provocando scontri a volte violenti nella popolazione sia nella gerarchia. Con l'elezione del patriarca Nikon, che poi sarà condannato dal concilio di Mosca del 1666, vennero introdotte in Russia riforme liturgiche e disciplinari ispirate alla tradizione greca, che tuttavia sconvolsero la vita quotidiana dei cristiani.
Avvakum e i suoi compagni organizzarono una reazione molto tenace alle riforme, giungendo a forme di vero e proprio fanatismo religioso. Per questa loro ostinazione essi vennero condannati dal medesimo concilio del 1666. Da quel momento ebbe origine un corposo scisma in seno alla Chiesa ortodossa russa. Ancor oggi i seguaci della «vecchia fede» sono numerosissimi in tutta la Russia. Dal 1667 al 1971, quando il Santo Sinodo di Mosca toglierà le condanne contro gli usi dei Vecchi Credenti, questi ultimi subirono a più riprese feroci persecuzioni da parte delle autorità pubbliche, a volte appoggiate nelle loro repressioni dalla gerarchia moscovita. Avvakum ci ha lasciato nella sua Vita un eccezionale documento che permette di comprendere le grandezze e le miserie di uomini che hanno comunque offerto nel corso della storia una grande testimonianza, disposti a morire per quella che credevano essere la genuina fede cristiana. Per questo motivo è doveroso ricordare nella preghiera tutti i Vecchi Credenti morti perché perseguitati in odio alla loro espressione religiosa.

Tracce di lettura

Ora chiedo perdono a tutti i veri credenti. Ci sono state delle cose che riguardavano la mia vita di cui non avrei dovuto parlare affatto. Non a noi, ma al nostro Dio la gloria. Ma io non sono niente. L'ho detto e lo ripeto: sono un fornicatore e un predone, ladro e assassino, amico di pubblicani e peccatori. Nel giorno del giudizio tutti riconosceranno i miei atti, se buoni o cattivi. Ma se anche sono ignorante nelle parole, non lo sono nell'intendimento; non ho studiato né dialettica né retorica né filosofia, ma ho in me l'intendimento di Cristo, come dice l'Apostolo: «Sono un ignorante nell'arte del parlare, ma non nella dottrina».
(Avvakum, Vita scritta da lui stesso)

- Dal Martirologio ecumenico della Comunità monastica di Bose

venerdì 24 aprile 2020

La consacrazione dei nostri cari

Quando furono compiuti i giorni della loro purificazione secondo la legge di Mosè, portarono il bambino a Gerusalemme per presentarlo al Signore. Lc 2,22

Se noi oggi non affidiamo volontariamente i nostri cari al Signore, nel tempo della consacrazione, difficilmente saremo forti nell'ora della prova. La sua stessa premura per noi richiede la consacrazione non solo di noi stessi ma anche di coloro che amiamo.

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Il genocidio degli armeni (1915-1918)

Si celebra oggi "il giorno della memoria" dei martiri armeni del XX secolo. La notte fra il 23 e il 24 aprile del 1915 vengono arrestati in massa a Costantinopoli uomini politici, ecclesiastici, giornalisti, avvocati e letterati armeni, con il pretesto che sta per compiersi una rivolta premeditata di tutti gli armeni residenti in Turchia. È l'inizio di quello che sarà il secondo genocidio della storia in termini numerici, dopo quello degli ebrei compiuto dal regime nazista. Deportazioni massicce e trattamenti disumani porteranno tra il 1915 e il 1918 alla scomparsa sulla via dell'esilio e tra le sabbie della Siria di 1.500.000 armeni.
Quanti riescono a fuggire si rifugeranno nei campi profughi mediorientali oppure oltre le prime montagne del Caucaso. Sebbene non sia facile districare il complicato groviglio di fede, identità nazionale e azione politica volta all'indipendenza che portò al genocidio del loro popolo, gli armeni ricordano i loro fratelli morti durante la prima guerra mondiale come martiri, perseguitati in odio alla loro fede e alla loro diversità.
È comunque storicamente accertato che pochissimi furono coloro che, pur di salvarsi dalla furia distruttrice dei turchi, si convertirono all'islam rinnegando la fede dei loro padri.

- Dal Martirologio ecumenico della Comunità monastica di Bose

Martiri Armeni (1) – Risveglio Popolare

giovedì 23 aprile 2020

Fermati 1 minuto. Un sacrificio ragionevole

Vi esorto dunque, fratelli, per le compassioni di Dio, a presentare i vostri corpi, il che è il vostro ragionevole servizio, quale sacrificio vivente, santo e accettevole a Dio. Rm 12,1 (Nuova Diodati)

Paolo chiama l'atto di intera consacrazione "sacrificio ragionevole". Arrendersi a Dio è una richiesta ragionevole perché tutti possono adempiervi. Se Dio richiedesse del talento, qualcuno potrebbe restare escluso. Se chiedesse soldi, qualcuno potrebbe non essere in grado di pagare. Ma quando Dio chiede una resa di me stesso alla sua volontà chiede qualcosa che è totalmente alla mia portata.
Ciò non è ragionevole anche in considerazione di quello che Dio ha fatto per me? Mi ha donato la vita. Non dovrei liberamente condividere la mia vita con lui? Mi ha donato il suo unico Figlio, morto per i nostri peccati. Non dovrei rinunciare al peccato? Mi offre la vita eterna. Non è ragionevole accettare questa offerta?
La mia mente mi dice che opporre resistenza sarebbe folle e fatale.

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San Giorgio. Patrono della Chiesa d'Inghilterra

Il 23 di aprile nei calendari di tutte le chiese cristiane si celebra la memoria di Giorgio di Lidda, il martire più venerato di tutta la cristianità. Egli nacque probabilmente in Cappadocia. Suo padre, Geronzio, era un pagano di origine persiana, mentre la madre Policronia era cristiana. Avviato alla carriera militare, Giorgio si fece discepolo convinto del Signore, abbandonando le armi e dando ogni suo bene ai poveri. Quanto al suo martirio, i racconti sono talmente intrisi di dati leggendari da rendere difficile una ricostruzione dell'accaduto. Anche la data della sua morte è incerta, mentre sicuro è il luogo della sua sepoltura, nella città palestinese di Lidda, dove già nel 350 era sorta una basilica in suo onore. 
La sua antica Passio conobbe traduzioni e arricchimenti in ogni lingua d'oriente e d'occidente. Si tratta di un racconto traboccante di miracoli, alcuni dei quali davvero eclatanti. Famoso è l'episodio, immortalato in numerosissime varianti iconografiche e narrato da Jacopo da Varagine nella sua Leggenda aurea, in cui Giorgio uccide il drago che terrorizzava la città di Silene in Libia. Simbolo della lotta contro le potenze del male, Giorgio è patrono dell'Inghilterra, e il numero di chiese a lui dedicate in tutto il mondo è pressoché incalcolabile.

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File:Saint George and the Dragon by August Kiss in Berlin.jpg ...
Statua di San Giorgio a Berlino, nel quartiere Nikolaviertel (1853)

mercoledì 22 aprile 2020

Fermati 1 minuto. La consacrazione del nostro futuro

Pietro, voltatosi, vide venirgli dietro il discepolo che Gesù amava; quello stesso che durante la cena stava inclinato sul seno di Gesù e aveva detto: «Signore, chi è che ti tradisce?» Pietro dunque, vedutolo, disse a Gesù: «Signore, e di lui che sarà?» Gesù gli rispose: «Se voglio che rimanga finché io venga, che t'importa? Tu, seguimi». Gv,21-20-22


Gesù chiede a Pietro di seguirlo indipendentemente da ciò che possa riservargli il futuro. Ciò è parte dell'intera consacrazione di sé a Dio: impegnarci ad accettare la sua volontà, ancora sconosciuta, per ogni decisione che prenderemo in futuro.

Ma è possibile consacrare a Dio qualcosa che ancora non conosciamo? La nostra vita si dispiega istante dopo istante. ma noi possiamo in un singolo di questi istanti prendere la risoluzione di donare tuta la nostra vita a Dio. Ciò è parte del nostro pieno assenso allo spirito santo e del nostro santo abbandono alla misericordia di Dio.
Non conosciamo molte cose del nostro domani,  ma conosciamo colui che custodisce il domani e che ci tiene per mano.

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Maria Gabriella Sagheddu. Un'offerta silenziosa per l'ecumenismo

Ricorre oggi la memoria di Maria Gabriella Sagheddu, monaca trappista spentasi il 23 aprile del 1939 a soli 25 anni di età. Maria Sagheddu era nata a Dorgali, in Sardegna, in una povera famiglia di pastori. Ragazza molto brillante, aveva dovuto tuttavia rinunciare agli studi secondari per aiutare la madre rimasta vedova a mantenere i suoi fratelli e le sue sorelle. Poco interessata ai problemi religiosi, Maria cambiò profondamente all'età di 18 anni: iniziata un'intensa vita di preghiera, la giovane si diede alla catechesi e all'apostolato, maturando a poco a poco una chiara vocazione alla vita monastica. Abbandonata la Sardegna, Maria entrò a 21 anni nella Trappa di Grottaferrata. 
Sotto la sapiente guida della badessa, madre Pia, essa scoprì l'ecumenismo spirituale di Paul Couturier, e decise sulla scia di altre sorelle della sua comunità di offrire la propria vita e le proprie sofferenze per la causa dell'unità fra i cristiani. Ammalatasi pochi mesi dopo di tubercolosi, Maria, divenuta nel frattempo suor Maria Gabriella, visse i restanti mesi di vita immersa nella preghiera di Gesù per l'unità dei credenti in lui. Sebbene la sua vicenda sia per certi versi assimilabile a quella di altri testimoni della passione per l'ecumenismo, la piccolezza e la semplicità di Maria apparve subito un segno importante per indicare la via verso la comunione fra le diverse confessioni cristiane. La sua vita ebbe un impatto enorme, soprattutto sul nascente ecumenismo della chiesa cattolica, e toccò i cuori di cristiani di ogni paese e confessione. Suor Maria Gabriella è stata beatificata da papa Giovanni Paolo II al termine della settimana di preghiera per l'unità dei cristiani del 1983.

Tracce di lettura

Ho letto questa frase di Ruusbroec: «Con un cuore umile e generoso, offri e presenta Cristo come fosse la tua offerta, come un tesoro che libera e colma di ogni bene. Egli, a sua volta, ti offrirà al suo Padre celeste come frutto prezioso per il quale egli è morto, e il Padre ti abbraccerà con il suo amore». Mi sono fermata... mi è parso che il Signore volesse farmi capire: «Questa parola è per te». Gesù mi ha scelta come oggetto privilegiato del suo amore, dandomi da portare la sua sofferenza per essere sempre più conforme a lui... Penso che non capirò mai pienamente l'amore che Gesù mi ha mostrato offrendomi questa croce. (Maria Gabriella Sagheddu, Conversazioni con la sua badessa)

- Dal Martirologio ecumenico della Comunità monastica di Bose

BEATA SUOR MARIA GABRIELLA SAGHEDDU - SANTINO CON PREGHIERA | eBay
Maria Gabriella Sagheddu (1914-1939)

martedì 21 aprile 2020

Fermati 1 minuto. Chi si umilia sarà esaltato

È Dio che produce in voi il volere e l'agire, secondo il suo disegno benevolo. Fil 2,13

L'intera consacrazione di sé a Dio non abbassa l'uomo, ma lo innalza. Lungi dall'essere svilita, l'umanità che si arrende a Dio viene da lui esaltata; la libertà e la creatività non sono umiliate ma utilizzate con maggiore efficacia. Questo ci insegna la storia della santità; la storia di uomini e donne che hanno rinunciato a una vita centrata su di sé, che altrimenti li avrebbe tenuti lontani dallo sviluppo del loro più alto potenziale in Dio.

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Anselmo d'Aosta e le ragioni della fede

La Chiesa cattolica d'occidente, la Chiesa luterana e la Chiesa anglicana celebrano oggi la memoria di Anselmo di Aosta, monaco e Arcivescovo di Canterbury.

Anselmo nacque ad Aosta attorno al 1033. Poco dopo i vent'anni, egli lasciò la sua città e viaggiò per conoscere i monasteri e i centri spirituali del suo tempo. Giunto all'abbazia di Bec, in Normandia, fu profondamente colpito dall'incontro con l'abate Lanfranco, uomo di grande erudizione, che lo convinse a rimanere a Bec per farsi monaco. 
Anselmo, già da tempo cultore appassionato delle discipline filosofiche e teologiche, trovò nell'austera quiete della Normandia l'humus ideale per approfondire i propri studi. Alla ricerca di una migliore intelligenza della fede, Anselmo affrontò le questioni teologiche con un metodo nuovo, che troverà pieno sviluppo nella scolastica medievale.
Divenuto priore e abate di Bec, egli fu chiamato nel 1093 a succedere a Lanfranco anche come arcivescovo di Canterbury. Come primate della chiesa inglese, nonostante l'amicizia personale con il re d'Inghilterra, Anselmo si batté per la libertà della chiesa dalle ingerenze del potere politico e fu costretto due volte all'esilio. Malgrado le contraddizioni patite, la vita e l'insegnamento di Anselmo sono permeati di una pace e una gioia profonde, frutto della contemplazione di Dio e del suo mistero, e sono animati da quella dolce compassione per le sofferenze di Cristo che, diffusa in seguito dai cistercensi, darà vita a un nuovo e ricco filone nella storia della spiritualità occidentale. Anselmo morì a Canterbury il 21 aprile 1109.
ANSELMO DI AOSTA, cattedrale di Canterbury
Anselmo d'Aosta (ca 1033-1109)

Tracce di lettura

Veramente, o Signore, è inaccessibile questa luce in cui tu abiti; veramente non c'è altro che possa penetrare questa luce, allo scopo di investigarti. Proprio perciò io non la vedo, perché è eccessiva per me. Tuttavia, per mezzo suo vedo tutto quel che vedo, così come il debole occhio vede quel che vede per mezzo della luce del sole, luce che non può vedere nel sole stesso. Il mio intelletto non ha potere nei suoi confronti - troppo risplende -, non l'afferra, e l'occhio dell'anima mia non riesce a fissarsi in lei troppo a lungo. Ne è colpito dal fulgore, ne è sconfitto dall'ampiezza, ne è soffocato dall'immensità, ne è schiacciato dalla capacità.
O luce somma e inaccessibile! O completa e beata verità, quanto sei lontana da me, che ti sono tanto vicino! Quanto sei remota dalla mia vista, mentre io sono così presente alla tua! Dovunque sia, sei tutta presente, e io non ti vedo. In te mi muovo e sono in te, e non posso avvicinarmi a te. Tu sei dentro e attorno a me, e io non ti sento.
(Anselmo di Aosta, Proslogion 16)

- Dal martirologio ecumenico della Comunità monstica di Bose

lunedì 20 aprile 2020

Fermati 1 minuto. Il fine ultimo

Il fine ultimo della nostra consacrazione, secondo Rm 6,13 ("presentate voi stessi a Dio, (...) le vostre membra come strumenti di giustizia"), non è l'opera di evangelizzazione, né il ministero ecclesiastico, né una vita di sacrificio o un servizio alla comunità locale. Tutti questi possono rappresentare mezzi e tappe intermedie della nostra consacrazione. Quest'ultima consiste nella nostra risoluzione di vivere l'intera volontà di Dio su di noi nella misura in cui veniamo a conoscerla.

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Johannes Bugenhagen, riformatore della Danimarca

Il 20 aprile la Chiesa luterana celebra la memoria di Johannes Bugenhagen (Wollin, 24 giugno 1485 – Wittenberg, 20 aprile 1558), religioso e predicatore tedesco. Soprannominato Pomeranus per via della sua patria d'origine (la Pomerania), Bugenhagen fu una delle personalità più illustri della riforma protestante che interessò la Germania e, in seguito, buona parte del continente europeo a partire dal 1517.

Nacque nella regione della Pomerania, a Wollin (oggi Wolin, in Polonia), nel 1485 e, durante la sua adolescenza, ricevette una buona educazione prima di giungere agli studi universitari dedicandosi a svariati campi dello scibile umano. Presso l'accademia di Greifswald si occupò particolarmente di grammatica, dialettica, musica e persino di fisica.

Johannes Bugenhagen (1485-1558)

Personalità poliedrica, mostrò grande ingegno nel campo pedagogico, promuovendo gli studi scolastici inizialmente nella scuola di Treptow. Furono, questi, anni vivacissimi ed intensi sotto il profilo della ricerca intellettuale, che fecero approdare Bugenhagen alla scoperta delle idee di Erasmo da Rotterdam e dei numerosi umanisti che auspicavano una riforma di tutta la Chiesa.

Tale desiderio si rafforzerà allorquando entrerà in possesso delle opere di Lutero e, con precisione, del De Captivitate Babiloniae, inizialmente giudicato da lui stesso eretico e pernicioso per l'integrità della fede e, in seguito, accolto come foriero di verità da propagare. Nel 1522, dopo aver carpito le attenzioni e gli elogi di Lutero, venne nominato ministro della collegiata di Wittenberg; incarico che conserverà sino alla morte.

A partire dallo stesso anno si occuperà dell'organizzazione di numerose chiese in varie località della Germania (tra le altre Amburgo e Lubecca) prima che il re di Danimarca e di Norvegia, Cristiano III, lo chiamasse per dare ordine e struttura alla chiesa del suo regno, imprimendole il sigillo delle dottrine luterane.

Bugenhagen soppresse la gerarchia cattolica nominando sovrintendenti luterani, e ordinò circa 24 000 ministri di culto per ciascuna delle due parti componenti il regno danese. Inoltre, attivo fu anche il suo operato volto alla riorganizzazione delle università, prima fra tutte quella di Copenaghen, e alla promozione di scuole femminili, da affiancare a quelle maschili, dopo che avevano visto la chiusura in seguito alla soppressione degli ordini religiosi cattolici. Contemporaneamente, favorì ed incrementò la nascita e lo sviluppo delle prime Università popolari della storia, rivolte all'alfabetizzazione culturale degli adulti.

domenica 19 aprile 2020

Fermati 1 minuto. Presentate voi stessi a Dio

non prestate le vostre membra al peccato, come strumenti d'iniquità; ma presentate voi stessi a Dio, come di morti fatti viventi. Rm 6,13

Dio può utilizzare ogni cosa e ogni capacità che gli consacro, ma egli è principalmente interessato a me stesso.
Gesù chiede al giovane ricco di abbandonare le proprie ricchezze perché esse rappresentano una volontà che non si è arresa a Dio. Il supremo interesse del giovane per i propri beni personali pone Dio in secondo piano.
Possiamo rinunciare a molte cose senza troppa fatica, ma Dio alla fine punta il dito verso quell'unica cosa, contraria alla sua volontà, il cui prezzo è per noi al di sopra di ogni altra. Questo è il test cruciale per comprendere se la nostra vita è guidata dall'amor proprio o dalla volontà di Dio.

eremiti metropolitani | FERMENTI CATTOLICI VIVI

Il vostro cuore non sia turbato

COMMENTO ALLA LITURGIA DELLA PRIMA DOMENICA DOPO PASQUA

Colletta

Padre Onnipotente, che hai donato il tuo unico Figlio affinché morisse per i nostri peccati e risorgesse per la nostra giustificazione; concedici di essere liberi dal lievito della malizia e del peccato, per servirti sempre in verità e con cuore puro. Per i meriti del tuo stesso Figlio Gesù Cristo nostro Signore. Amen.

Letture

1 Gv 5,4-12; Gv 20,19-23

Commento

Il mondo è nei vangeli quella forza che si oppone a Cristo e alla sua azione di salvezza. È una forza che risiede non solo fuori di noi, ma anche dentro di noi. È un ostacolo all'avvento del Regno di giustizia e di pace. La paura del mondo, la paura delle forze ostili che hanno messo a morte l'autore della vita è ben rappresentata dalle porte serrate, dietro le quali i discepoli si sono trincerati dopo il terribile epilogo della vicenda terrena di Gesù.

Ma il Risorto, che "si presentò là in mezzo" (Gv 20,19), è capace di entrare nei nostri cuori anche a porte chiuse, per donarci la sua pace; non come la dà il mondo, ma come dono dello Spirito, quella pace che è Dio stesso. Gesù ci invita a diventare noi stessi portatori di pace, innanzitutto attraverso il perdono: "a chi rimetterete i peccati saranno perdonati e a chi li riterrete saranno ritenuti" (Gv 20,23).

Dio è pace. Per questo Gesù ci esorta: "il vostro cuore non sia turbato e non si spaventi" (Gv 14,27). Tutto ciò che porta turbamento, in noi e fuori di noi, non è da Dio, anche se dovesse ammantarsi delle vestigia della pietà religiosa.

Il mondo ci fa versare in un continuo stato di agitazione con impegni, scadenze, sollecitazioni di ogni genere. Il più delle volte si tratta di cose distanti dalle necessità del Regno di Dio. Ma noi dobbiamo essere capaci di prenderne consapevolezza e di spostare il centro della nostra attenzione sulla quiete che Dio pone nelle profondità del nostro cuore.

Per contro, il mondo non deve turbarci al punto da voltargli le spalle chiudendo dietro di noi la porta della nostra stanza. Ad esso siamo stati inviati, per annunciare la buona notizia di Gesù Cristo (Gv 17,18). Non può essere considerato evangelico un atteggiamento di semplice “disprezzo del mondo”.

Il cristiano non appartiene al mondo ma è mandato nel mondo. Avere il Figlio, possedere Gesù, farlo nostro nell'ascolto della sua Parola e nella sequela del suo esempio, significa possedere la vita, vivere in pienezza, gustare il senso profondo della nostra esistenza. E noi siamo chiamati dal Risorto a condividere questa pienezza di vita, saldi nella nostra fede. Perchè "questa è la vittoria che ha vinto il mondo: la nostra fede" (1 Gv 5,4).

- Rev. Dr. Luca Vona

sabato 18 aprile 2020

Fermati 1 minuto. L'intera consacrazione di sé

presentate voi stessi a Dio, (...) le vostre membra come strumenti di giustizia. Rm 6,13

Dio chiede: Sei disposto a consacrare a me tutto te stesso? I tuoi occhi per vedere solo cose sante. Le tue orecchie per ascoltare solo ciò che è bene. Le tue mani per fare solo ciò che è giusto. I tuoi piedi per andare dove il mio Spirito ti conduce. La tua mente per pensare ciò che è benedetto. La tua volontà per cercare ciò che Cristo approva.
Allora risponderò con il salmista:

ho detto: «Ecco, io vengo!
Sta scritto di me nel rotolo del libro.
Dio mio, desidero fare la tua volontà,
la tua legge è dentro il mio cuore». Sal. 40,7-8

eremiti metropolitani | FERMENTI CATTOLICI VIVI


venerdì 17 aprile 2020

Fermati 1 minuto. Cosa posso dare a Dio?

Ricòrdati del SIGNORE tuo Dio, poiché egli ti dà la forza per procurarti ricchezze, per confermare, come fa oggi, il patto che giurò ai tuoi padri. Dt 8,18

In senso stretto io non posso dare nulla a Dio, perché tutto ciò che possiedo è lui che me lo ha donato.

C'è solo una cosa in questo mondo che Dio non può avere se io non gliela dono. Questa è il mio amore.

eremiti metropolitani | FERMENTI CATTOLICI VIVI

Caterina Tekakwitha. La prima santa "pellerossa"

Il Martirologio romano celebra oggi la memoria di Caterina TekakwithaCaterina, prima beata pellerossa d’America a salire agli onori degli altari. Negli Stati Uniti è ricordata il 14 luglio. Caterina nacque presso Fort Orange, odierna Albany nel 1656 da genitori di due etnie diverse, il padre irochese pagano e la madre algonchina cristiana.
Nel 1660 scampò all’epidemia di vaiolo che però le lasciò il volto sfigurato e una grave menomazione alla vista, segni che le procurarono una vita sociale difficile fra la sua gente. Rimasta ben presto orfana fu presa con sé da uno zio con l’incarico di aiutare la moglie nel governo della casa, il suo nome Tekakwitha le fu dato perché significa “colei che mette le cose in ordine”.
Giunta in età da marito respinse proposte di matrimonio, nel 1675 alcuni missionari cattolici francesi del Canada, giunsero nel suo villaggio, la loro conoscenza e la religione che professavano, l’affascinarono al punto che circa un anno dopo ricevé nel giorno di Pasqua del 1676 il santo Battesimo, le fu imposto il nome di Kateri (Caterina).

Santa Caterina Tekakwitha (1656-1680)

Per sfuggire alle ire dello zio pagano dovette riparare nella Missione di s. Francesco Saverio a Sault presso Montreal, dove ricevé la Santa Comunione e iniziò una vita di preghiera e straordinaria pietà. Senza trascurare le funzioni religiose e gli obblighi verso la famiglia che l’ospitava, Kateri si isolava spesso nella foresta a pregare, recitava il santo Rosario al mattino nel grande freddo del Canada, girando intorno alla propria campagna coltivata a mais, completando le sue orazioni nella piccola cappella del villaggio.
Il 25 marzo 1679 fece voto di perpetua verginità, sottoponendosi a pesanti penitenze. Distrutta dalla malattia e dai patimenti, morì il 17 aprile 1680 a soli 24 anni; dopo la sua morte scomparvero dal viso i segni del vaiolo.
E’ stata beatificata il 22 giugno 1980 da papa Giovanni Paolo II.

giovedì 16 aprile 2020

Benedetto Giuseppe Labre. Un "folle per Cristo" nella chiesa d'occidente

Il mercoledì santo del 1783 si spegne a Roma Benedetto Giuseppe Labre, vagabondo di Dio.
Nativo del borgo di Amettes (oggi nella diocesi di Arras), nel Nord della Francia, egli ricevette un'istruzione sufficiente a leggere in latino i grandi testi spirituali del suo tempo. Benedetto avvertì fin da giovanissimo di essere chiamato alla vita monastica, ma la sua ricerca vocazionale non fu facile. Egli fu infatti rifiutato da diverse certose a motivo della sua età precoce e di una salute malferma. I trappisti, dal canto loro, non lo ritennero in grado di condurre una vita religiosa tradizionale. 
Il giovane Labre non si arrese, e a partire dai propri limiti e dal rifiuto patito giunse a discernere la chiamata a una forma di testimonianza diversa e nel contempo profondamente evangelica. Divenuto pellegrino senza fissa dimora, in cerca della città futura, Benedetto si immerse nella preghiera, che non lo abbandonerà più fino alla morte, e visitò i grandi centri dell'Europa cristiana portando nella propria borsa unicamente il Nuovo Testamento, il breviario e l'Imitazione di Cristo. 
Giunto a Roma all'età di ventott'anni, egli visse vagabondando per sette anni da una chiesa all'altra e dormendo tra le rovine del Colosseo, in ascolto di poveri e pellegrini, amico di eretici e non credenti, totalmente abbandonato, come aveva sognato fin da piccolo, all'amore misericordioso di Dio. Alla sua morte si diffuse per le vie di Roma la voce: «È morto il santo», e migliaia di poveri e di vagabondi vollero assistere in Santa Maria dei Monti ai suoi funerali. Benedetto Labre, vagabondo di Dio e povero sulle tracce di Cristo, testimonia al cuore della chiesa d'occidente una possibilità paradossale di santità, che lo accosta alle grandi figure dei «folli per Cristo» delle chiese d'oriente.

- Dal Martirologio ecumenico della Comunità monastica di Bose

mercoledì 15 aprile 2020

La consacrazione eucaristica secondo Giovanni Crisostomo

Credi che si produca oggi lo stesso banchetto di quello dove Cristo era a tavola, e che questo banchetto non è differente da quello, giacché non è vero che questo sia preparato da un uomo mentre quello lo fu da lui stesso (Migne Gr. 58,507). Oggi come un tempo, è il Signore che compie e offre tutto  (Migne Gr. 61,228). Noi assumiamo il ruolo di servitori ma è lui che benedice e trasforma (Migne Gr. 58,744). Non la potenza di un uomo fa delle offerte il Corpo e il Sangue di Cristo, ma quello stesso Cristo che è stato crocifisso per noi. Il sacerdote che, in piedi, pronuncia le parole sante, è la figura del sacerdote vero, ma la grazia e la virtù di quelle parole vengono da Dio. Il sacerdote dice "questo è il mio corpo" e queste parole cambiano la natura delle offerte. La benedizione del Signore "crescete, moltiplicatevi e riempite la terra" benché sia stata pronunciata una volta sola ha conferito indefinitamente alla natura umana il potere di perpetuarsi. Così questa parola del Salvatore, una volta pronunciata, è bastata e basterà per operare sulla mensa di tutte le chiese, dall'ultima Pasqua di Gesù Cristo fino ai giorni nostri e fino al suo avvento, il compimento del più perfetto dei sacrifici (Migne Gr. 49,380.389). - San Giovanni Crisostomo; dalle Omelie

lunedì 13 aprile 2020

Risorgi, anima mia, con Cristo

Nella Passione e nella risurrezione Gesù ci ha dato un esempio da seguire: infatti nella Passione ci forma alla pazienza, mentre nella risurrezione ci anima alla speranza, per mostrare in noi, attraverso la sua persona due vite, una faticosa a cui dobbiamo far fronte, l'altra beata che dobbiamo sperare. (...)
Risorgi dunque, anima mia, con Cristo; dal sepolcro tenebroso del peccato, respira ormai della speranza della risurrezione e della vita eterna. Moriamo per amore di Dio in questa vita, affinché dopo la risurrezione possiamo vivere nella futura; infatti se ora per amore di cristo moriamo a noi stessi, allora regneremo con lui nella piena gioia del cielo.

        - Ludolfo di Sassonia (+ 1377), certosino

La risurrezione, Beato Angelico, Museo di San Marco, Firenze


giovedì 9 aprile 2020

Non una ripetizione, ma la partecipazione all'unico sacrificio

In primo luogo questo sacramento purifica dai peccati. Dal momento che è un sacrificio nobilissimo, che si offre per i peccati, è efficacissimo per espiare e cancellare tutte le colpe. E che cosa di più nobile si potrebbe offrire a questo scopo, se non il nostro Giudice e nel contempo nostro Salvatore, che in questo sacrificio si offre al padre per i peccati nostri? Nel sacrificio della santa messa l'oblazione che viene offerta non è altro che quella che il divin salvatore istituì nell'ultima Cena, diede agli apostoli e poco dopo offrì sulla croce per i peccati di tutti gli uomini. Tu, dunque, dal momento che vuoi essere liberato dai molti peccati e dalle pene a loro dovute, offri per te quest'ostia, cioè le piaghe sanguinanti del Salvatore, il suo sangue, le sue percosse, la sua tristezza, le sue pene e la sua morte. Pregalo che per merito di questa oblazione perdoni le tue colpe e ti rimetta la pena ad esse dovuta. (...)
Quando pertanto ti senti aggravato di vizi, macchiato e infangato, freddo e indolente, non allontanarti da Gesù Cristo, non cercare di astenerti da questo cibo salutare, ma gemi invece nel vederti diverso da quello che dovresti essere, e grida a colui che non può non muoversi a pietà verso i poveri che lo invocano. Digli: "Signore, io sono un uomo impuro, lo confesso: è appunto questa una delle cause per cui vengo a te, perché sono un povero peccatore. Ricorro perciò a te, che solo puoi cancellare le mie colpe, santificarmi, e ti introduco nella mia povera casa, affinché tu possa illuminare con la tua luce le mie tenebre, purificare con la tua purezza le mie miserie. sana, ti prego, con la tua virtù i miei mali, cura con il tuo corpo, pieno di piaghe e lividure i miei languori. Sana, o mio piissimo Salvatore, l'anima mia, perché ho peccato contro di te".
(...) questo cibo salutare unisce l'anima a Dio. Come il cibo terreno si trasforma nella sostanza di chi lo riceve e diviene un solo corpo con lui, così, benché in modo opposto, il cibo eucaristico converte in sé chi lo riceve, in modo da farlo deiforme. Non si ammirerà mai abbastanza perciò l'ineffabile condiscendenza divina, che volle dare sé a noi in cibo e sostenere il nostro corpo con il suo Corpo. E perché Dio fece ciò, se non per insegnarci che con questo cibo noi ci uniamo e veniamo trasformati in lui, come avviene nel cibo materiale in chi lo mangia? Egli infatti, dandosi in cibo a noi, volle procurare la nostra più stretta unione con lui, cosicché egli stesso non poteva trovare un modo di avvicinarsi l'anima maggiormente e più intimamente che in questo sacramento, dove appunto essa non solamente si unisce a Dio, ma diviene una stessa cosa con lui.

        Lanspergio (+1539), certosino


mercoledì 8 aprile 2020

Martin Chemnitz: il "secondo Lutero"

La Chiesa Luterana celebra oggi la memoria di Martin Chemnitz, predicatore evangelico, uno tra i protagonisti della Riforma protestante tra i teologi tedeschi della seconda generazione.
Ultimo di tre figli, perse il padre all'età di undici anni e a causa dei problemi economici della famiglia ebbe difficoltà a seguire un corso di studi regolare.
Riuscì tuttavia a laurearsi Magister in letteratura all'Università di Königsberg.
Nel 1550 entrò a servizio del Duca Alberto I di Prussia, come bibliotecario di corte. In cambio della cura per la biblioteca e l'insegnamento in alcuni corsi come precettore, ebbe libero accesso a quella che allora era considerata una delle migliori biblioteche d'Europa.
Per la prima volta Chemnitz si dedicò completamente allo studio teologico. Durante questi anni il suo interesse si spostò dalla astrologia, che aveva studiato a Magdeburgo, alla teologia. Iniziò con lo studio attento della Bibbia nella lingua originale, con l'obiettivo di rispondere alle domande che lo lasciavano perplesso. Rivolse poi la sua attenzione ai primi teologi della chiesa, i cui scritti lesse meticolosamente e con attenzione. Si interessò alle dispute teologiche del tempo, ancora una volta leggendo con cura, mentre prendeva appunti. Questo metodo precoce di auto scolasticismo luterano era stato suggerito da Melantone.
Nel 1554 diventò professore all'Università di Wittemberg, tenendo lezioni sui Loci communes di Melantone e compilando da questi la sua opera di teologia sistematica nominata Loci Theologici. Nello stesso anno fu ordinato presbitero.
Chemnitz ebbe parte importantissima nella propagazione del luteranesimo e nelle controversie teologiche, tentando di mettere d'accordo le varie correnti, sulla base della fedeltà alla dottrina di Lutero, tanto da giustificare il soprannome di alter Martinus.
Fu uno degli autori principali della Formula di Concordia, assumendo una posizione "centrista" nell'opera di mediazione tra i luterani tedeschi. Determinante anche il suo contributo per la pubblicazione del Liber Concordiae (1580), standard dottrinale della Chiesa Luterana.
Chemnitz difese la presenza reale di Cristo nelle specie eucaristiche (Repetitio sanae doctrinae de vera praesentia, Lipsia 1561, De duabus naturis in Christo, Jena 1570; 2ª ed., 1578 segg.), sostenendo, insieme con la dottrina luterana dell'ubiquità, una presenza relativa della natura gloriosa di Cristo, dipendente dalla sua volontà (multivoli praesentia).
Morì a Braunschweig l'8 aprile 1586.

Martin Cheminitz (1522-1586)

martedì 7 aprile 2020

Afraate. Discepolo delle Scritture

La Chiesa maronita ricorda in questo giorno Afraate (siriaco Aphrahat), vescovo e monaco, conosciuto come "il Sapiente Persiano", prima grande figura delle chiese siriache i cui insegnamenti siano stati tramandati come esempio ai posteri.
Afraate nacque sul finire del III secolo, verosimilmente nei dintorni di Ninive-Mossul, nell'odierno Iraq. Se il suo nome sembra tradire un'origine pagana, nondimeno la sua conoscenza delle Scritture e la sua esegesi sono altamente influenzate dai metodi giudaici.

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Afraate "il Saggio Persiano", IV secolo

Figlio di una chiesa di confine tra cristianesimo e giudaismo, egli visse la separazione e il conflitto tra chiesa e sinagoga con relativa serenità, con toni polemici ma pacati.
Afraate fu un «figlio del Patto», cioè un uomo impegnato a rimanere nel celibato per testimoniare la riunificazione escatologica dell'uomo inaugurata in sé dal Cristo, primo solitario, a cui i figli del Patto si ispiravano. Egli dimorò probabilmente presso il monastero di Mar Mattai, e secondo alcuni fu anche superiore di monaci e poi vescovo.
Estraneo alle controversie cristologiche che attanagliavano l'occidente, Afraate visse come discepolo delle Scritture, secondo la sua stessa definizione, e si premurò di trasmettere per iscritto i suoi insegnamenti sulla vita spirituale e sul rapporto fra cristianesimo e giudaismo attraverso le Dimostrazioni, unica sua opera giunta fino a noi. Dalle pagine di Afraate, scritte secondo uno stile sapienziale, inizia a emergere quel gusto per la bellezza e per la dolcezza spirituali che caratterizzerà il cristianesimo siriaco.

Tracce di lettura

Ama, mio amato, la condizione nella quale dimorano i figli della carne.
Retto è per l'uomo umiliare se stesso; la condizione di Adamo è polvere dalla terra.
Il suo Signore stabilì per lui un comandamento da custodire; se lo custodirà, il suo Signore farà pervenire alla condizione eccelsa colui che fu condannato. Adamo si esaltò e fu umiliato e ritornò alla polvere, alla sua condizione d'un tempo. Il nostro Salvatore, altissimo e magnifico, si umiliò e fu esaltato e fu elevato alla sua condizione d'un tempo e la sua gloria fu accresciuta e tutto gli fu sottomesso. Perciò, mio amato, all'uomo che ama Dio, si addice ed è giusto amare l'umiltà e restare nella sua condizione di umiltà. Poiché se la sua radice è piantata nella terra, i suoi frutti salgono davanti al Signore di grandezza.
(Afraat il Sapiente Persiano, Dimostrazioni 9,14)

lunedì 6 aprile 2020

Notker il balbuziente e la Scuola di San Gallo

La chiesa cattolica e le chiese luterane celebrano oggi la memoria di Notker Balbulus, monaco dell'Abbazia di San Gallo. Notker nacque nell’840 a Heligan (Zurigo); da ragazzo era schernito dai compagni di scuola, a causa di un difetto della parola; egli stesso da grande, si applicò il soprannome ‘Balbulus’ (balbuziente).
Eccellente studente, entrò in età giovanile nella celebre abbazia benedettina di San Gallo - fondata dal monaco irlandese morto nel 646 - intorno alla quale sorse poi l’omonima città, capoluogo del Cantone svizzero di San Gallo.
Diventò monaco e sacerdote esemplare, eccellente poeta, musico e maestro; ma anche modello di modestia; fu direttore della celebre scuola letteraria ed artistica, che dal X al XIII secolo, rese importantissima l’abbazia di San Gallo.
Fu denominato dai suoi contemporanei “vaso dello Spirito Santo”, e la moderna storia della letteratura, lo ricorda come Notker ‘il poeta’.
Con l’ausilio dei confratelli Ratperto e Tuotilo, diede all’abbazia gloria scientifica, artistica e liturgica, preparando i suoi discepoli ai più alti compiti nella Chiesa e nello Stato, come per esempio Salomone, che divenne vescovo di Costanza e Waldo che fu vescovo di Frisinga e tutti e due poi cappellani reali.
La sua opera fondamentale sono le “Sequenze liturgiche” (una quarantina), riunite nel ‘Liber Hymnorum’ da lui dedicato nell’884 al vescovo Liudvaldo di Vercelli e composte per la Messa solenne delle più importanti feste liturgiche dell’anno; molte di queste ‘Sequenze’ furono cantate in tutta Europa fino al XVI secolo; musico valente, si narra che compose un inno, ispirandosi al cigolio di una ruota di mulino (perciò è spesso raffigurato assorto vicino a tale meccanismo).
Notker fu anche autore di un ‘Martyrologium’, di opere storiche (specie le ‘Gesta di Karoli Magni’) e poesie occasionali, nelle quali poté esprimere il suo gioviale carattere.
Morì a San Gallo il 6 aprile 912 e fu venerato nel suo monastero come compatrono.


Notker I di San Gallo - Wikipedia
Notker Balbulus (840-912)

venerdì 3 aprile 2020

Gerhard Tertseegen. Riforma e monachesimo interiorizzato

Le chiese luterane celebrano oggi la memoria di Gerhard Tertseegen, morto la notte tra il 2 e il 3 aprile del 1769 nella sua solitudine volontaria. Gerhard era nato a Moers, in Renania, in una famiglia di tradizione riformata. A vent'anni cominciò ad avvertire una vocazione alla vita ritirata, ai margini del mondo, e molto presto sentì di dover colmare questo vuoto che si era creato nella sua esistenza con un'intensa vita spirituale. Influenzato da un lato dal radicamento biblico proprio della sua cultura protestante, dall'altro dalla lettura dei mistici medievali, Tersteegen avviò un'esperienza per molti aspetti assimilabile al monachesimo. 

Gerhard Tersteegen (Author of The Quiet Way)
Gerhard Tersteegen (1697-1769)

Munito di una piccola regola che disciplinava il suo lavoro di tessitore, lo studio e la preghiera, accolse un amico desideroso di vivere da celibe in fraternità con lui. Tersteegen vedeva nella vita fraterna una forma di nascondimento in Cristo conforme all'insegnamento neotestamentario sulla vita cristiana. Con gli anni il suo affinato discernimento divenne un patrimonio condiviso con moltissime persone, che gli scrivevano o andavano a trovarlo per ricevere consigli spirituali. Consapevole dell'esigenza di risveglio religioso che emergeva ormai in tutta la Germania e nei Paesi Bassi, Gerhard accettò di alternare alla propria solitudine un servizio itinerante di predicazione. Egli visse in tal modo fino alla fine dei suoi giorni, aiutando coloro che volevano stabilire delle «case di pellegrini», come amava chiamare i piccoli focolari di lavoro e di preghiera simili a quello cui lui stesso aveva dato vita. Alla purezza evangelica della sua teologia esperienziale e delle sue predicazioni si riferiranno Kierkegaard, Bultmann e Barth, mentre Bonhoeffer troverà grande conforto nelle sue poesie.

Tracce di lettura

Un giorno dice all'altro:
«La mia vita è un errare
verso la grande eternità».
O eternità, così bella,
abitua il mio cuore a te;
la mia patria non è di questo tempo.
(G. Tersteegen)

giovedì 2 aprile 2020

Francesco da Paola. Chi vuol essere il primo sarà il servo di tutti

La chiesa cattolica ricorda oggi Francesco da Paola, eremita e fondatore dell'Ordine dei minini.

Nato nella cittadina calabrese di Paola, Francesco Martotilla era figlio di una famiglia di forte ispirazione francescana. Dopo un anno passato da ragazzo presso il convento di San Marco Argentano, Francesco proseguì la sua ricerca vocazionale attraverso viaggi e pellegrinaggi ad Assisi, a Montecassino, a Roma e presso diversi romitori dell'Italia centrale. Colpito dalla vita povera ed evangelica degli eremiti, decise, ancora giovanissimo, di vivere una vita di grande solitudine e preghiera. Ritiratosi nella campagna calabrese, egli divenne molto presto un padre spirituale ricercato, e dovette accogliere molti compagni che chiedevano di vivere la sua stessa vita. Per essi egli fonderà eremi, scriverà regole di vita e, prima di morire, assicurerà il loro riconoscimento da parte dell'autorità della chiesa. Fedele alla propria vocazione eremitica, ma convinto del primato dell'amore nella vita del cristiano, Francesco lottò tutta la vita per compaginare il proprio desiderio di solitudine con il comandamento dell'amore verso tutti i fratelli che non smisero mai di cercarlo.
La sua fama fu tale che su ordine del papa di Roma si recò al capezzale del re di Francia Luigi XI, e finì per vivere l'ultima parte della sua vita presso la corte francese, conservando intatta la propria totale povertà e semplicità evangelica. A piedi nudi, rimanendo un semplice laico e conducendo un'ascesi rigorosa, Francesco non risparmiò ai potenti la parola esigente del vangelo, e si prodigò per difendere i poveri e i perseguitati a causa della giustizia. Francesco si spense a 91 anni, il 2 aprile del 1507, a Tours.

- Dal Martirologio ecumenico della Comunità monastica di Bose


mercoledì 1 aprile 2020

L'eucaristia ci rende portatori di Cristo. Le catechesi mistagogiche di Cirillo di Gerusalemme

Poiché Gesù stesso lo ha dichiarato, e ha detto del pane: "Questo è il mio corpo", chi dunque oserebbe ancora dubitarne? Poiché ha affermato ed ha detto: "Questo è il mio sangue", chi può voler contestare e dichiarare che non è il suo sangue? Pertanto veniamo dunque con piena convinzione a partecipare del corpo e del sangue di Cristo. Sotto le apparenze del pane ti è donato il suo corpo; sotto le apparenze del vino ti è distribuito il suo sangue; e partecipando al corpo e al sangue di Cristo, tu diventi un solo corpo, un solo sangue con lui. Sì, diventiamo veramente dei portatori di Cristo, poiché la sua carne e il suo sangue si diffondono nelle nostre membra. Sì, secondo l'espressione del beato apostolo Pietro, diventiamo partecipi della natura divina.
Questo pane non è più pane, malgrado la testimonianza del gusto, bensì il corpo del Cristo; questo vino non è più vino, checché ne dicano i sensi, bensì il sangue di Cristo.
Allora non considerare più come elementi ordinari questo pane e questo vino: è veramente il corpo e il sangue di Cristo secondo l'affermazione stessa del Maestro. Se i sensi ti suggeriscono la prima idea, la fede al contrario ti dia piena sicurezza. Non giudicare la realtà dal gusto, ma la tua fede ti persuada che in tutta verità sei stato giudicato degno del corpo e sangue di Cristo. (Cirillo di Gerusalemme, Catechesi mistagogiche; 4,1.3.9.6)

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Cirillo di Gerusalemme (ca 313-387)

Melitone di Sardi. Cristo, culmine della storia della salvezza

Alcuni antichi calendari sia occidentali sia orientali ricordano in questo giorno Melitone, vescovo di Sardi. Le notizie riguardanti la sua vita sono molto scarne. Melitone è definito da Policrate di Efeso «un eunuco che viveva interamente nello Spirito santo», a sottolineare il suo celibato volontario, molto raro nel II secolo. Secondo Eusebio, Melitone fu vescovo di Sardi e visitò la Terra Santa per raccogliere informazioni precise riguardo al canone delle Scritture ebraiche. Assertore degli usi quartodecimani, cioè della necessità di continuare a celebrare la pasqua cristiana il 14 di nisan, Melitone è famoso soprattutto per le sue omelie Sulla Pasqua, che eserciteranno un grande influsso sulle liturgie posteriori. In esse, servendosi largamente dell'esegesi tipologica, Melitone ripercorre la storia della salvezza, riconoscendo nel mistero pasquale di Cristo, agnello immolato per la salvezza dei credenti, il culmine e il centro della vicenda umana e cosmica. In un alternarsi di toni poetici e profetici da un lato e di una sorprendente profondità teologica dall'altro, Melitone rimanda con vigore e trasporto tutti gli uomini al Cristo, nella cui pasqua è avvenuta la pasqua dei credenti, il loro passaggio dalla morte alla vita.
Alle sue omelie - purtroppo segnate dalla polemica, molto viva nel II secolo, tra chiesa e sinagoga - sono ispirati diversi kontakia bizantini, nonché gli Improperi del Venerdì santo e l'Exsultet pasquale della chiesa latina.

MELITONE DI SARDI
Melitone di Sardi (II sec.)

Tracce di lettura

Egli è colui che ci ha fatti passare
dalla schiavitù alla libertà,
dalle tenebre alla luce,
dalla morte alla vita,
dalla tirannide al regno eterno,
facendo di noi un sacerdozio nuovo,
un popolo eletto in eterno.
Questi è l'agnello senza voce.
Questi è l'agnello trucidato.
Questi è colui che fu partorito da Maria, la buona agnella.
Questi è colui che dal gregge fu prelevato,
e al macello trascinato,
e di sera fu immolato
e di notte seppellito;
colui che sul legno non fu spezzato,
che in terrà non andò dissolto,
che dai morti è risuscitato
e ha risollevato l'uomo dal profondo della tomba.
(Melitone di Sardi, Sulla Pasqua 68.71)


Dal Martirologio ecumenico della comunità monastica di Bose