COMMENTO ALLA LITURGIA DELLA VENTITREESIMA DOMENICA DOPO LA TRINITÀ
Colletta
O Dio, nostro rifugio e forza, che sei l’autore di ogni cosa buona; sii pronto, ti supplichiamo, ad ascoltare le devote preghiere della tua Chiesa; e concedici che le cose che chiediamo con fede possiamo ottenerle con efficacia. Per Gesù Cristo nostro Signore. Amen.
Letture
Fil 3,17-21; Mt 22,15-22
Commento
Era una convinzione rabbinica che colui che coniava la moneta di un paese ne fosse il dominatore. Secondo questa teoria, null'altro occorreva che di accertare quale fosse la moneta corrente in Giudea a quel tempo, per ottenere una risposta concludente alla domanda che era stata posta a Gesù: "è lecito o no pagare il tributo a Cesare?" (Mt 22,17).
La moneta romana circolava liberamente nel paese e i giudei non esitavano ad usarla in ogni affare e contrattazione. Se, come nazione si fossero astenuti dall'impiegarla ci sarebbe potuto essere almeno un pretesto per mettere in dubbio la legittimità del tributo richiesto dal governo romano; ma vivendo, come facevano, sotto la protezione delle leggi dell'imperatore, e facendo ogni giorno uso della moneta di Roma, lo riconoscevano di fatto come l'autorità sovrana del Paese. La legge sacra consentiva, infatti, ad Israele, di scegliersi il proprio governo, vincolandolo unicamente a continuare a corrispondere il tributo al tempio.
Come "le cose di Cesare" implicavano, nei fatti, più del semplice testatico (il tributo all'imperatore), "le cose di Dio", cui fa riferimento Gesù, significano di più che non semplicemente il tributo del tempio: includono il cuore con le sue affezioni, la coscienza, la volontà, le ricchezze individuali, in una parola la consacrazione a Dio di tutto intero l'uomo, del corpo non meno che dello spirito.
La risposta di Gesù non separa, ma unisce i doveri politici e quelli religiosi dei cristiani. Colui che è interamente votato a Dio, infatti, non può disinteressarsi della polis, del consesso umano in cui vive e nel quale è chiamato a esprimere la carità cristiana. Diversamente, il cristianesimo si ridurrebbe a sterile devozionalismo più che a quell'opera di trasformazione radicale e sostanziale del credente di cui parla Paolo nel capitolo terzo della sua lettera ai Filippesi.
Paolo afferma che "la nostra cittadinanza è nei cieli" (Fil 3,20), ma è qui sulla terra che già si misura il progresso nella santificazione che Cristo stesso compie in noi, "secondo la sua potenza che lo rende in grado di sottoporre a sé tutte le cose" (Fil 3,21).
Se il dominio di Cesare, il cui volto era impresso nel denaro, è infatti puramente convenzionale e soggetto alla volontà di Dio, il dominio di Cristo sulle nostre vite, in virtù del segno impresso nelle anime dalla fede battesimale, è l'esercizio di una sovranità reale. A ben vedere, non vi è cosa, nel cosmo, che non rechi impressa in sé il marchio del suo Creatore e che, dunque, non vada a lui ricondotta. Tutto è da Dio e tutto è per la lode e gloria di Dio.
Cristo, dimorando in noi, riproduce nella nostra vita la propria fisionomia morale; questa conformità sarà completata nei cieli dove "il nostro umile corpo sarà reso conforme al suo corpo glorioso" (Fil 3,21).
La garanzia che rende certa questa trasformazione è la sua potenza illimitata, il suo impero universale. Egli non ha coniato una moneta: era con il Padre quando, come Logos eterno, creava l'uomo a sua immagine e somiglianza; quando ha assunto la nostra natura umana, elevandola e unendola alla propria natura divina; quando ci ha purificati con le acque battesimali e segnati con il sangue della sua passione. Egli è il nostro Dio e noi siamo il popolo del suo pascolo (Sal 95,7). Siamo suoi. E nostra è la sua grazia; nostra la sua carità, che deve passare in abbondanza come moneta corrente tra le nostre mani.
- Rev. Dr. Luca Vona