Lettura
Matteo 18,12-14
12 Che ve ne pare? Se un uomo ha cento pecore e una di queste si smarrisce, non lascerà le novantanove sui monti per andare in cerca di quella smarrita? 13 E se gli riesce di ritrovarla, in verità vi dico che egli si rallegra più per questa che per le novantanove che non si erano smarrite. 14 Così il Padre vostro che è nei cieli vuole che neppure uno di questi piccoli perisca.
Commento
Con la parabola della pecora smarrita Gesù restituisce un'immagine di Dio che richiama la compassione su cui si fondava già l'antica alleanza con il popolo di Israele, tante volte infedele, eppure sempre cercato e riconciliato con sé. Questa apprensione di Dio, per la salvezza del suo popolo, e che si estende, come già annunciato dai profeti dell'epoca post-esilica, a tutte le nazioni, trova compimento nel mistero dell'incarnazione del Verbo. In Cristo, buon pastore, la misericordia di Dio trova un cuore umano in cui pulsare. Egli lascia "i monti" (v. 12), lascia le altezze della sua gloria celeste, per discendere nelle valli, spesso oscure, in cui risiede l'umanità smarrita.
Dio si rallegra per la salvezza del suo gregge non solo in quanto moltitudine, ma di ogni singola sua pecora. L'immagine di questo animale non deve indurci a considerare il credente come una creatura passiva nelle mani di Dio. La possibilità di allontanarci da lui segna in maniera chiara la cifra della nostra libertà personale. Ma al contempo il nostro bene si realizza all'interno di una relazione con Dio, il quale chiama ciascuno di noi per nome (Gv 10,3), riconoscendo dunque la nostra unicità. È lui che ci guida su pascoli erbosi (Sal 22,2). È lui che ci fa riposare al sicuro (Sal 4,9). L'atteggiamento del buon pastore è per i credenti un modello della sollecitudine che questi devono mostrare verso ogni uomo alla ricerca della via che conduce alla salvezza.
Preghiera
Signore, tu ci chiami per nome. Apri le nostre orecchie alla tua voce, affinché possiamo rallegrarci con te della nostra salvezza. Amen.
- Rev. Dr. Luca Vona