COMMENTO ALLA LITURGIA DELLA TERZA DOMENICA DOPO PASQUA
Colletta
Dio Onnipotente, che mostri a coloro che sono nell’errore la luce della tua verità, affinché possano tornare sulla via della giustizia; concedi a tutti coloro che sono ammessi alla sequela di Cristo, di evitare quelle cose contrarie alla loro professione, e di seguire tutte le cose a lui gradite. Per Gesù Cristo nostro Signore. Amen.
Letture
1 Pt 2,11-17; Gv 16,16-23
Commento
La fede nella risurrezione, che è al centro della vita di ogni cristiano, ci dona la certezza che la verità e la giustizia, in Cristo, hanno vinto il mondo. E questa fede, lungi dal rappresentare un sogno consolatorio, ci porta a diventare noi stessi, in Cristo, protagonisti della vittoria sulla menzogna, sull’ingiustizia, sulla morte e sul peccato.
Dio, però, non ci tratta come pedine su uno scacchiere. Egli ci mostra la luce, ma non ci obbliga a riceverla. La natura umana è immersa nelle tenebre e il Signore visita e illumina le nostre tenebre. C’è una scintilla divina in ciascuno di noi; e siamo liberi di alimentarla e trasmetterla, di trasformarla in un focolare o in un incendio che divampa; così come possiamo stoltamente soffocarla, metterla sotto il moggio (Mt 5,14-15). Un giorno ci verrà chiesto conto del dono che abbiamo ricevuto e dell’uso che ne abbiamo fatto.
Il Risorto, nel suo discorso di commiato, parla di un breve momento in cui i suoi discepoli non lo vedranno più, e allora piangeranno e si lamenteranno, mentre il mondo si rallegrerà; ma poi lo ritroveranno e la loro tristezza si muterà in gioia.
Il vero cristiano sente di non appartenere completamente a questo mondo, ha nostalgia di Dio, cerca la comunione con lui. Le gioie del mondo per lui non sono abbastanza e con il salmista esclama “l’anima mia è assetata di Dio, del Dio vivente. Quando verrò e comparirò davanti a Dio?” (Sal 42,2).
La nostra fede ci rende Dio presente, ma la Verità si fa strada in maniera sofferta tra le tenebre, come se dovesse venire alla luce tra i dolori del parto (Gv 16,21). Questo è stato vero per la vicenda terrena di Gesù, dalla sua predicazione, accolta con entusiasmo - ma anche oggetto di aspre contestazioni - alla condanna della croce, fino alla vittoria della risurrezione, che ha prevalso sulla morte e sul peccato.
Anche la storia della Chiesa, così come la nostra personale vicenda di fede, ripercorrono queste tappe obbligate: la gioiosa rivelazione del Verbo incarnato, di una presenza divina che abita la creazione e che ha posto nel cuore dell’uomo la sua dimora; il faticoso ritorno dell’uomo dal suo esilio alla comunione con il Creatore, e da qui il richiamo di Pietro a comportarci come pellegrini, astenendoci dai "desideri della carne".
Ma cosa sono i desideri della carne? Lungi dall'esprimere una visione sessuofobica, la parola "carne", (gr. sarx) rappresenta la componente mortale della nostra natura umana. L'astensione dai suoi desideri significa la capacità di non renderci schiavi delle cose finite, caduche, transitorie. Se ci ripieghiamo su di esse, ricercando lì la salvezza, ciò che troveremo sarà soltanto tenebra.
Se tratteremo le cose buone che sono nel mondo per quello che sono, come mezzi e non come il fine, potremo attraversarle indenni, guidati dalla luce divina e trasfigurando esse stesse in luce. Allora la nostra tristezza si muterà in gioia.
- Rev. Dr. Luca Vona